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venerdì 8 novembre 2013

La Storia nell’aula di Primo Levi (da Moked)

In occasione della quinta Lezione Primo Levi, intitolata quest’anno “Raccontare per la storia”, gli storici banchi di legno a strapiombo dell’aula magna della facoltà di Chimica di Torino, intitolata allo scrittore nell’aprile del 2007, erano pieni di un pubblico composito ed eterogeneo, in cui i tantissimi giovani facevano onore all’intenso dialogo da lui condotto nelle scuole per tanta parte della sua vita, e i circa duecento posti non sono bastati a contenere tutti coloro che attendono ogni anno la Lezione come una occasione di approfondimento e riflessione irrinunciabile.

Dopo le brevi parole introduttive di Ernesto Ferrero – scrittore, critico letterario, direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino e presidente del Centro Internazionale di studi Primo Levi, che ha organizzato come negli scorsi anni la Lezione Primo Levi – e Fabio Levi, docente di Storia contemporanea all’università di Torino e direttore del Centro, che hanno ricordato le scorse quattro edizioni della Lezione, la magistrale Lezione Primo Levi tenuta ieri dalla storica sociale Anna Bravo è stata accolta da un applauso commosso che non sembrava volersi spegnere. 

Nell’intervento della storica hanno trovato posto molti temi complessi, (...)

Dall’analisi di come nel dopo guerra la consapevolezza del genocidio come fulcro dell’ideologia nazista e del sistema concentrazionario sia stata difficoltosa, alla ricostruzione di come è stato accidentato il percorso di “Se questo è un uomo”, all’analisi del senso e del significato di un termine tanto abusato, quella zona grigia di cui molto si parla, ma spesso a sproposito, tutto ha contribuito a coinvolgere profondamente i presenti.(...) 

http://moked.it/blog/2013/11/08/qui-torino-raccontare-per-la-storia/#sthash.ai52ohaH.dpuf

mercoledì 31 luglio 2013

31 luglio 1919: nasce Primo Levi

(...) Nato il 31 luglio del 1919 a Torino, da genitori di religione ebraica, Primo Levi si diploma nel 1937 al liceo classico Massimo D’Azeglio e si iscrive al corso di laurea in chimica. Riesce a laurearsi nel 1941 , a pieni voti e con lode ma sul diploma di laurea figura la precisazione: "di razza ebraica". Comincia così la sua carriera di chimico, che lo porta a vivere a Milano, fino all’occupazione tedesca. Il 13 dicembre del 1943 viene catturato  e successivamente trasferito al campo di raccolta di Fossoli dove comincia la sua odissea. Nel giro di poco tempo, infatti, il campo viene preso in gestione dai tedeschi, che deportano tutti i prigionieri ad Auschwitz. È il 22 febbraio del '44:  questa data che nella vita di Levi segnerà  il confine tra "prima" e "dopo". "Avevamo appreso con sollievo la nostra destinazione. Auschwitz: un nome privo di significato, allora e per noi".  (...)

Primo Levi, lo scrittore testimone della Shoa (dal sito Gariwo)

lunedì 17 dicembre 2012

La Laicità di Primo Levi (da Linkiesta - aprile 2012)


Nessun profeta ardisce più rivelarci il nostro domani, e questa, l’eclissi dei profeti, è una medicina amara ma necessa­ria. Il domani dobbiamo costruircelo noi, alla cieca, a tentoni; costruirlo dalle radici, senza cedere alla tentazione di ricomporre i cocci degli idoli frantumati, e sen­za costruircene di nuovi.

*Primo Levi, L’altrui mestiere, Einaudi, Torino 1985, pp. 245-247

Primo Levi e il Lavoro

Questa sera Roberto Benigni - in uno spettacolo non sempre felice, a mio avviso - ha parlato di amore per il lavoro come forma di felicità terrena. Credo fosse una citazione voluta di Primo Levi. Forse può interessare rileggere la pagina de "La chiave a stella", perché credo abbia spunti ancora molto interessanti.

FMM


L'argomento era centrale, e mi sono accorto che Faussone lo sapeva. Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l'amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono. Questa sconfinata regione, la regione del rusco, del boulot, del job, insomma del lavoro quotidiano, è meno nota dell'Antartide, e per un triste e misterioso fenomeno avviene che ne parlano di più, e con più clamore, proprio coloro che meno l'hanno percorsa. Per esaltare il lavoro, nelle cerimonie ufficiali viene mobilitata una retorica insidiosa, cinicamente fondata sulla considerazione che un elogio o una medaglia costano molto meno di un aumento di paga e rendono di più; però esiste anche una retorica di segno opposto, non cinica ma profondamente stupida, che tende a denigrarlo, a dipingerlo vile, come se del lavoro, proprio od altrui, si potesse fare a meno, non solo in Utopia ma oggi e qui: come se chi sa lavorare fosse per definizione un servo, e come se, per converso, chi lavorare non sa, o sa male, o non vuole, fosse per ciò stesso un uomo libero. È malinconicamente vero che molti lavori non sono amabili, ma è nocivo scendere in campo carichi di odio preconcetto: chi lo fa, si condanna per la vita a odiare non solo il lavoro, ma se stesso e il mondo. (da La chiave a stella)


lunedì 9 aprile 2012

La laicità di Primo Levi

Parallelamente ai modelli, abbiamo seguito uomini che pure erano fatti come noi della creta di Adamo, ma li abbiamo idealizzati, ingigantiti, osannati come dei: potevano e sapevano tutto, avevano sempre ragione, avevano licenza di contraddirsi, di cancellare il loro passato. Adesso il delirio della delega pare finito, ad Ovest ed anche ad Est: non ci sono più le Isole Felici né i capi carismatici. Siamo orfani, e vi­viamo il disagio degli orfani. Molti di noi, quasi tutti, avevano trovato comodo, economico, riporre la pro­pria fede in una verità confezionata: era una scelta umana, ma errata, ed ora ne scontiamo il fallimento. Il nostro futuro non è scritto, non è certo: ci siamo sve­gliati da un lungo sonno, ed abbiamo visto che la condizione umana è incompatibile con la certezza.

Nessun profeta ardisce più rivelarci il nostro domani, e questa, l’eclissi dei profeti, è una medicina amara ma necessa­ria. Il domani dobbiamo costruircelo noi, alla cieca, a tentoni; costruirlo dalle radici, senza cedere alla tentazione di ricomporre i cocci degli idoli frantumati, e sen­za costruircene di nuovi.

*Primo Levi, L’altrui mestiere, Einaudi, Torino 1985, pp. 245-247