lunedì 7 dicembre 2020

L'illusione illuminista

Forse è una riflessione già accennata in passato, mi torna spesso: credo che uno dei problemi più seri dell'approccio filosofico - politico che genericamente possiamo definire "progressista" sia scommettere eccessivamente sull'"educazione consapevole" come motore trainante del miglioramento delle persone. 

Da questo nodo due problemi, forse due facce del medesimo: 

- stupirsi quasi ingenuamente delle "ricadute" della storia nelle "tenebre" (presunte o reali esse siano), non facendo i conti con il fatto che siamo animali razionali, sociali, forse anche spirituali, ma comunque con un residuo ineliminabile di "animalità", se non anche di "bestialità" (che va per lo più limitata e governata e non certo esaltata, ma è comunque sempre presente)

- illudersi che si possano governare gli istinti degli uomini e delle donne "educando" (governando? controllando? "censurando"?) parole, costrutti razionali espliciti, contenuti culturali e via così dicendo.

Ovviamente non è che si debba cadere in un estremo opposto di sfiducia nell'azione educativa e culturale, ma soprattutto di questi tempi si nota una sorta di rinnovato ardore in senso "politico-didattico" (per esempio verso problematiche  ambientaliste, o di genere, o di memoria) che fa temere nuove illusioni, e forse nuovi pesanti errori, da cui trarrebbero paradossale beneficio le forze più reazionarie, autoproclamandosi - come spesso capita - custodi di "autenticità" rimossa. 

sabato 5 dicembre 2020

Mes, cos'è e cosa prevede la riforma (AdnKronos)

"L'Esm o Mes, Meccanismo Europeo di Stabilità, è il meccanismo per la risoluzione delle crisi creato nel 2012 per gli Stati dell'area euro. Serve a fornire assistenza ai Paesi dell'Eurozona che hanno seri problemi finanziari; raccoglie fondi sul mercato dei capitali e mediante transazioni sul mercato monetario. Non è finanziato da denaro dei contribuenti, capitale a parte: si finanzia sui mercati, emettendo obbligazioni. (...) 

BACKSTOP - Tra questi obiettivi, c'è anzitutto il backstop , cioè la garanzia di ultima istanza, per il Single Resolution Fund (Srf), o Fondo Unico di Risoluzione: quest'ultimo è un fondo, finanziato dalle banche stesse e non dai contribuenti, che interviene per 'risolvere', come si dice in gergo, le banche fallite. Questa garanzia (backstop) dovrebbe essere fornita dall'Esm, con una linea di credito che fa, appunto, da garante di ultima istanza, cioè nel caso in cui l'Srf si trovi a corto di fondi. La sua esistenza dovrebbe contribuire a scoraggiare attacchi speculativi.

Il backstop, nelle intenzioni originarie, sarebbe dovuto entrare in vigore, entro il primo gennaio 2024; ora dovrebbe entrare in vigore prima, a inizio 2022, avendo le banche fatto progressi sufficienti nella riduzione degli Npl, come vengono detti in gergo i crediti deteriorati. Le banche del Sud Europa, specie in Italia quelle più grandi, hanno in gran parte ripulito i bilanci dalle sofferenze eredità della passata crisi, e ora dovranno caricarsi quelle che verranno prodotte dalla crisi in corso. (...)

LINEE DI CREDITO AGLI STATI - Il Mes ne ha a disposizione di due tipi, le Precautionary Conditioned Credit Lines (Pccl) e le Enhanced Conditions Credit Line (Eccl); la riforma punta a rendere le prime più "efficaci".

Le linee del Pandemic Crisis Support creato nella prima metà del 2020 per aiutare gli Stati a combattere la pandemia di Covid-19, e finora inutilizzate, non fanno parte della riforma.

Le Pccl sono a disposizione di Stati membri dell'area euro con fondamentali economici "solidi", ma che vengono colpiti da choc avversi al di là del loro controllo. La Pccl funziona come una polizza di assicurazione: in pratica, l'assunzione di base è che il fatto stesso che esista sia sufficiente a placare i mercati; in questo modo, non ci dovrebbe essere neanche bisogno di utilizzarla.

In poche parole, le Pccl servono a disinnescare le crisi, impedendo che diventino più gravi  (...)

Chi richiede la Pccl non dovrà firmare un memorandum d'intesa e fare riforme, ma firmerà una lettera di intenti, in cui si impegna a continuare a rispettare tutti i criteri di eligibilità; il rispetto degli stessi verrà valutato ogni sei mesi. Se un Paese membro del Mes non rispetta più i criteri, allora la linea di credito viene interrotta, a meno che il board non decida per consenso di mantenerla.

Il Paese cui viene recisa la linea di credito può comunque chiedere un altro tipo di aiuto dall'Esm. I membri dell'Esm che non rispettano i criteri per la Pccl possono chiedere la Eccl, Enhanced Condition Credit Line; devono comunque avere una situazione economica e finanziaria "solida". Il Paese che richiede una Eccl deve siglare un memorandum d'intesa, con cui si impegna a rispettare le condizioni previste dal memorandum stesso.

Il Paese si impegna ad adottare misure correttive che affrontino le sue debolezze e per evitare problemi futuri per quanto riguarda l'accesso ai mercati. Quando ottiene una Eccl oppure preleva da una Pccl, il Paese è soggetto a sorveglianza aumentata da parte della Commissione Europea, sorveglianza che copre le condizioni finanziarie del Paese e il suo sistema finanziario. Queste regole esistono dal 2012 e rimangono invariate nel trattato che dovrebbe emergere dalla riforma. 

LE CACs - C'è poi il capitolo delle Cacs, le clausole di azione collettiva (Collective Action Clauses, previste nei titoli di Stato: consentono di cambiare le condizioni contrattuali a maggioranza, rendendo i cambiamenti efficaci per tutti i titoli, non solo per quelli detenuti da coloro che hanno acconsentito ad una ristrutturazione.

Le Cacs esistono da anni (vengono previste nei titoli di Stato dell'Eurozona, quindi anche nel nostro debito, fin dal 2013) e non sono un'invenzione della riforma; sono state introdotte per rendere più facili e ordinate le ristrutturazioni dei debiti sovrani.

Le Cacs sono essenzialmente uno strumento per rendere più gestibile, rapida e ordinata, per quanto possibile, la ristrutturazione di un debito, senza che rimanga incagliata per anni per via di cause giudiziarie. Attualmente, le Cac sono 'Double-Limb': prevedono cioè, per cambiare le condizioni contrattuali e rendere le condizioni di ristrutturazione efficaci erga omnes una doppia maggioranza, una al livello di ogni serie di titoli e l'altra a livello di tutte le serie combinate.

Con la riforma verrebbero introdotte le Single-Limb Cacs, che prevedono solo la seconda delle due maggioranze, rendendo così meno probabile la formazione di minoranze di blocco tra i bondholders, minoranze che possono ostacolare la ristrutturazione del debito. Le Single-Limb Cacs verrebbero introdotte a partire dal primo gennaio 2022. Su questa parte della riforma, come su quella relativa alle linee di credito, incidono le tradizionali preoccupazioni dei Paesi nordici, che vedono i rendimenti dei titoli di Stato come un utile freno alle supposte tendenze dei Paesi mediterranei ad allargare i cordoni della borsa. (...)

RUOLO DELLA COMMISSIONE E DEL MES - Tornando alla riforma, il Mes, nell'ambito della ristrutturazione di un debito, può, se richiesto dallo Stato stesso, facilitare il dialogo tra il Paese e gli investitori privati. Nei prossimi programmi di assistenza finanziaria, l'Esm avrà un ruolo maggiore, specie nel delineare la condizionalità politica: ogni memorandum d'intesa verrà firmato sia dalla Commissione che dal direttore dell'Esm.

Commissione e Mes prepareranno insieme le valutazioni necessarie ai nuovi programmi. Nel caso in cui il Mes e la Commissione non concordino sull'analisi di sostenibilità del debito, la seconda sarà responsabile dell'analisi, il primo valuterà la capacità del Paese di rimborsare l'Esm. Il nuovo trattato sull'Esm entrerà in vigore solo dopo la ratifica in tutti i 19 Stati membri, il che comporta il via libera dei Parlamenti nazionali, dopo la firma nel gennaio 2021.

https://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2020/11/30/mes-cos-cosa-prevede-riforma_NLGSSd4RvKQIdhoRtJ5u2K.html?refresh_ce


Mes, cosa prevede la riforma? Le modifiche e il significato per l’Italia (Federico Fubini, Corriere della Sera - Economia)

"(...)  vale la pena vederne almeno i cinque aspetti salienti: tre rilevanti perché sono stati varati dall’Eurogruppo lunedì scorso e due rilevanti proprio perché non fanno parte della riforma (anche se alcuni Paesi avrebbero voluto introdurli). Vediamo dunque prima di tutto cosa c’è nella riforma del Mes e poi cosa non c’è.

1. Il paracadute per le banche

La riscrittura del trattato sul Mes introduce la possibilità di anticipare all’inizio del 2022, cioè di fatto fra un anno, il cosiddetto «backstop» al Fondo unico di risoluzione per le banche. Di che si tratta? Si può pensare al «backstop» come a un paracadute finanziario, le cui risorse proverrebbero dal Mes, da aprire quando una banca in dissesto va smantellata, ma le risorse disponibili per farlo in modo ordinato - cioè mantenendo l’operatività per i clienti - non bastano. (...)


2. Le «clausole di azione collettiva» sul debito

Le CACs, o clausole di azione collettiva sul debito, sono già inserite dal 2013 nei prospetti che fissano i termini contrattuali di tutti i bond emessi da Stati dell’area euro con maturità di un anno e oltre. Sono peraltro ormai pratica molto diffusa a livello internazionale. Queste clausole dicono in pratica una cosa sola: lo Stato emittente può modificare i termini del bond che ha emesso (per esempio, decide di rimborsarlo dopo o di rimborsarlo in parte, in sostanza decide una forma di default) se c’è l’approvazione di una maggioranza qualificata dei suoi creditori. L’iniziativa dev’essere sempre dello Stato in questione e presumibilmente viene presa solo quando quest’ultimo è in profonda crisi finanziaria, schiacciato dal proprio debito e incapace di trovare nuovi prestiti sul mercato per rimborsare regolarmente i vecchi. Le CACs essenzialmente servono a rendere il processo di default più ordinato, prevedibile e senza trattamenti di favore o discriminazioni verso singoli creditori.

Ma quale è la novità nella riforma del Mes? L’esperienza dei default degli Stati mostra che, quando questi avvengono, ci sono sempre fondi speculativi che comprano i bond coinvolti a valori frazionali (per esempio, cinque centesimi quando il valore teorico di rimborso regolare sarebbe un euro) e rifiutano l’offerta ristrutturata di rimborso da parte dei governi in crisi (per esempio, trenta cent invece di un euro). Sono i cosiddetti «holdout» (i «resistenti»), che non di rado fanno appello ai tribunali per ottenere pieni rimborsi anche molti anni più tardi. Per esempio, nel default dell’Argentina del 2005 i fondi speculativi «holdout» dopo dieci anni riuscirono a farsi rimborsare al 100% bond per venti miliardi di dollari (mentre molti piccoli risparmiatori italiani restarono quasi interamente bruciati). E nel default della Grecia del 2012 alcuni degli stessi «holdout» riuscirono a fare lo stesso con 6,5 miliardi di euro di titoli di Atene, mentre i cittadini italiani e europei contribuirono a pagarli tramite costosissimi salvataggi a ripetizione.

Per rendere le ristrutturazioni del debito meno soggette ai raid degli «holdout», la riforma del Mes introduce un meccanismo già raccomandato dal Fondo monetario internazionale: le votazioni singole, le cosiddette «Single-Limb CACs». Di che si tratta? In sostanza, per uno Stato che vuole ristrutturare il debito si introduce la possibilità di mettere la decisione sulla ristrutturazione con un unico voto di tutti i creditori. Non più dunque doppio voto come oggi («Double-Limb CACs») in cui prima votano i detentori di ogni singolo bond e poi votano insieme tutti i detentori di tutti i bond. Questo sistema a doppio voto dà ai fondi speculativi la possibilità di comprare a prezzi di saldo, per esempio, il 40% di un singolo bond e bloccare la decisione di ristrutturarlo, se essa necessita del 70% dei consensi. La mossa successiva degli «holdout» sarà poi andare in tribunale per farsi restituire il 100%. Ma questo significa che tutti gli altri creditori dovranno subire perdite ancora maggiori, proprio perché le risorse di quello Stato in default sono comunque limitate. (...)


3. Le linee di credito precauzionali

Si tratta di linee di credito più leggere a titolo precauzionale se uno Stato minaccia di finire in difficoltà, ma non ha ancora perso l’accesso ai finanziamenti di mercato. Come sempre, la decisione di richiede il prestito del Mes spetta solo e soltanto al governo interessato. In teoria - anche se è poco plausibile - un governo a corto di liquidità per pagare pensioni e stipendi potrebbe anche decidere di chiedere un prestito alla Cina, al Fondo monetario internazionale o di fare default e non onorare i propri impegni finanziari (ma questo gli renderebbe impossibile trovare altri prestiti in futuro). Le linee «precauzionali» (che esistono già da anni) vengono naturalmente molto prima di questi scenari drammatici. (...)


Ma altrettanto importante è sottolineare quello che nella riforma del Mes non c’èO magari poteva esserci ma alla fine non è stato inserito.

4. Nessun «bail-in» del debito pubblico

Non c’è nella riforma del Mes alcun «bail-in» del debito pubblico, come inizialmente richiesto da molti in Germania o in Olanda. L’idea era che, prima di ricevere l’assistenza del Mes, uno Stato fosse obbligato in via preliminare a fare default sui suoi creditori esistenti. Questa proposta non è entrata nella riforma del Mes: si è valutato che avrebbe reso più nervosi gli investitori, alzato gli interessi di mercato sul debito pubblico dei Paesi fragili e reso una crisi più probabile. Ci sarà invece una valutazione preliminare di sostenibilità del debito ad opera della Commissione europea e dello stesso Mes. Ma questo cambia molto poco rispetto alla situazione attuale e alla normale pratica di organismi del genere, per esempio del Fondo monetario internazionale.

5. La Commissione Ue ultimo arbitro

Non c’è nella riforma del Mes un trasferimento dei compiti di sorveglianza di bilancio dalla Commissione europea (organismo comunitario, che decide a maggioranza) al consiglio del Mes (organismo intergovernativo, che decide con diritti di veto di ciascuno degli Stati sulle scelte più importanti). In sostanza Paesi «frugali» come Olanda o Finlandia non potranno divenire arbitri ultimi della misura in cui l’Italia rispetta o non rispetta le regole di bilancio. Lo sarà sempre la Commissione europea, più abituata al negoziato e ai compromessi. Anche questa richiesta era stata avanzata da ambienti dell’Europa del Nord, ma è stata respinta. Il direttore generale del Mes avrà il compito di preparare le decisioni sui singoli Paesi da parte del consiglio dell’ente. Ma questo cambia poco rispetto alla situazione attuale. (...)"


https://www.corriere.it/economia/finanza/20_dicembre_03/mes-cosa-prevede-riforma-modifiche-significato-l-italia-34487b72-34b5-11eb-b1bc-a76a672bf85e.shtml

martedì 1 dicembre 2020

Perché Qe e monetizzazione del debito non sono sinonimi (Tommaso Monacelli, laVoce.info)

"Quantitative easing e monetizzazione del debito sono profondamente diversi per natura e obiettivi. E soprattutto il secondo porterebbe alla perdita di uno dei beni pubblici più importanti dell’Europa di oggi: l’indipendenza della banca centrale.

(...)

Immaginiamo una banca centrale che si impegni oggi ad acquistare ogni nuova emissione di debito dello stato. Così facendo, rinuncia completamente a gestire la quantità di moneta emessa nel sistema economico. Gli agenti capirebbero facilmente che la banca centrale non avrebbe l’autonomia operativa, ad esempio, per contrarre la quantità di moneta in circolazione quando l’economia esibisse spinte inflazionistiche. Quindi, nel regime di finanziamento monetario, non solo la banca centrale alimenterebbe l’effetto inflazionistico di maggiore spesa pubblica, ma quell’effetto verrebbe amplificato dal lievitare delle aspettative di inflazione.

L’indipendenza delle banche centrali

La teoria economica ha compreso molto bene il punto e non è un caso che la conduzione della politica monetaria sia stata negli ultimi decenni svincolata da quella della politica fiscale. L’idea chiave dell’indipendenza della banca centrale ha posto le basi – nei paesi avanzati, ma gradualmente anche in molti paesi in via di sviluppo – per una riduzione permanente del livello di inflazione rispetto agli alti e costosi livelli degli anni Ottanta e Novanta. Una lezione che pare dimenticata.

Oggi è infatti molto diffusa l’idea che le recenti politiche di acquisto di titoli di stato da parte della Banca centrale europea (il cosiddetto Quantitative easing) equivalgano a un finanziamento monetario del debito. Per giunta, si dice, senza che abbia dato alcun segno di incremento dell’inflazione in Europa. Il finanziamento monetario del debito sarebbe dunque possibile senza alcun costo inflazionistico.

In realtà, il Qe è cosa ben diversa dal finanziamento monetario del debito. Mentre il secondo consiste in un impegno permanente ad acquistare i titoli di stato emessi dallo stato (e a tenerli sul proprio bilancio), il primo ha per costruzione una natura temporanea. Nessuna banca centrale che abbia operato con il Qe negli ultimi anni ha mai segnalato, in alcun modo, che i titoli di stato acquistati sarebbero stati mantenuti sul bilancio in via permanente. È un aspetto cruciale, eppure sempre ignorato nel dibattito comune. Non è un caso che la Bce non abbia mai preso alcun vincolo ad acquistare titoli di stato dei paesi europei precludendosi la possibilità di rivenderli (seppur gradualmente) in futuro. In altre parole, la banca centrale utilizza il Qe come strumento non convenzionale di politica monetaria in un quadro di piena autonomia dalla politica fiscale. Autonomia, cioè, di decidere in futuro di rivendere quei titoli per regolare la massa monetaria in circolazione quando l’inflazione dovesse ricominciare a crescere. La stessa cosa vale per il Giappone, spesso indicato come esempio virtuoso in cui la banca centrale sta acquistando quote crescenti del debito pubblico. (...)

La natura e l’obiettivo del Qe sono profondamente diversi da un regime di monetizzazione del debito. Con il Qe l’obiettivo della banca centrale è di raggiungere un rialzo graduale, ma contenuto, dell’inflazione, in linea con il target. Mantenendo l’autonomia di regolare la massa monetaria in futuro quando l’inflazione dovesse ricominciare a crescere. La monetizzazione del debito non porterebbe ad altro, prima o poi, che a una perdita di controllo sull’andamento dell’inflazione (una tassa regressiva che colpisce innanzitutto i più poveri). E soprattutto porterebbe alla perdita di uno dei beni pubblici più importanti che l’Europa possiede oggi: l’indipendenza della banca centrale."

https://www.lavoce.info/archives/71021/perche-qe-e-monetizzazione-del-debito-non-sono-sinonimi/

sabato 7 novembre 2020

Conservatori: un nuovo percorso

Il conservatorismo politico avrebbe moltissimo da dire alle società post-moderne, confuse e alla ricerca di senso, ma per farlo deve liberarsi dalla retorica populista e abbandonare mitologie reazionarie.

Per questo la sconfitta di Trump può essere utile anche "a destra".

Se inizia un percorso di rinnovamento anche su quel versante, è solo un bene per le democrazie liberali e occidentali.

La politica estera di un nuovo presidente USA

Ripropongo spesso questo articolo di Boris Biancheri, per capire che non è il caso di fare troppe previsioni sulla politica estera di un nuovo presidente Usa

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Mr. President e il mondo, BORIS BIANCHERI
PUBBLICATO Il 04 Novembre 2008
ULTIMA Modifica 24 Ottobre 2019 19:10

"(...) Tutte queste considerazioni possono essere più o meno condivise ma sono perfettamente legittime. Sull’ultimo punto, tuttavia - cioè che il successo di Obama darebbe luogo a una politica estera americana più vicina alla nostra visione del mondo - credo sia utile introdurre una nota di cautela. Non certo perché io pensi il contrario, e cioè che siano invece McCain e la sua squadra a concepire i rapporti internazionali in modo più vicino ai nostri interessi, ma per una cautela di carattere più generale.

(...) La realtà è che la politica estera, anche se si tratta di una potenza globale come lo sono gli Stati Uniti, non può essere programmata in anticipo se non in termini tanto generali che non significano quasi più nulla. La guerra al terrorismo e l’intervento militare in Iraq non erano nei programmi di Bush più di quanto la guerra del Kosovo lo fosse in quelli di Bill Clinton. Bush, anzi, iniziò il suo mandato concentrandosi su problemi interni e mantenendo, sul piano internazionale, le iniziative dell’amministrazione precedente. Poi giunse l’11 settembre a sconvolgere gli Stati Uniti e il mondo e a dare della guerra al terrorismo un ruolo centrale condiviso da tutti. Ricordate il «siamo tutti americani» di quei momenti? Da lì nacque l’azione militare in Afghanistan e, dal successo di quella, l’operazione Iraq, fallimentare nella gestione della pace ancor più che della guerra.

Un governo può avere un programma di politica fiscale, di politica sanitaria, di espansione dell’economia o di riduzione della spesa pubblica perché sa di poter perseguire i suoi programmi presentando al proprio Parlamento delle leggi che, se approvate, conducono a questi risultati. Non è in suo potere programmare in termini altrettanto precisi la politica estera che è quasi sempre il frutto di una reazione ad avvenimenti estranei alla volontà di chi governa, di cui non si possono scegliere i tempi né, di solito, prevedere tutte le conseguenze, e di fronte ai quali occorre spesso fare scelte di intuito e improvvisazione.

(...) . Il Presidente degli Stati Uniti ha, in materia di politica estera, una grande autonomia. Il nostro futuro dipenderà più dalle sue doti di carattere che dalla bontà dei suoi programmi, più dal temperamento o dall’equilibrio che dalla forza della ragione, più dal caso che dalla ideologia. Speriamo bene."

https://www.lastampa.it/opinioni/editoriali/2008/11/04/news/mr-president-e-il-mondo-1.37088865