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martedì 7 dicembre 2021

L'eccessiva fiducia progressista nell'educazione

Riproduco un post di Fb di un anno fa

FMM 

"Forse è una riflessione già accennata in passato, mi torna spesso, chiedo venia se la ripropongo: credo che uno dei problemi più seri dell'approccio filosofico - politico che genericamente possiamo definire "progressista" sia scommettere eccessivamente sull'"educazione consapevole" come motore trainante del miglioramento delle persone. 

Da questo nodo due problemi, forse due facce del medesimo: 

- stupirsi quasi ingenuamente delle "ricadute" della storia nelle "tenebre" (presunte o reali esse siano), non facendo i conti con il fatto che siamo animali razionali, sociali, forse anche spirituali, ma comunque con un residuo ineliminabile di "animalità", se non anche di "bestialità" (che va per lo più limitata e governata e non certo esaltata, ma è comunque sempre presente)

- illudersi che si possano governare gli istinti degli uomini e delle donne "educando" (governando? controllando? "censurando"?) parole, costrutti razionali espliciti, contenuti culturali e via così dicendo.

Ovviamente non è che si debba cadere in un estremo opposto di sfiducia nell'azione educativa e culturale, ma soprattutto di questi tempi si nota una sorta di rinnovato ardore in senso "politico-didattico" (per esempio verso problematiche  ambientaliste, o di genere, o di memoria storica) che fa temere nuove illusioni, e forse nuovi pesanti errori, da cui trarrebbero paradossale beneficio le forze più reazionarie, autoproclamandosi - come spesso capita - custodi di "autenticità" rimossa.

Stiamo attenti."

lunedì 7 dicembre 2020

L'illusione illuminista

Forse è una riflessione già accennata in passato, mi torna spesso: credo che uno dei problemi più seri dell'approccio filosofico - politico che genericamente possiamo definire "progressista" sia scommettere eccessivamente sull'"educazione consapevole" come motore trainante del miglioramento delle persone. 

Da questo nodo due problemi, forse due facce del medesimo: 

- stupirsi quasi ingenuamente delle "ricadute" della storia nelle "tenebre" (presunte o reali esse siano), non facendo i conti con il fatto che siamo animali razionali, sociali, forse anche spirituali, ma comunque con un residuo ineliminabile di "animalità", se non anche di "bestialità" (che va per lo più limitata e governata e non certo esaltata, ma è comunque sempre presente)

- illudersi che si possano governare gli istinti degli uomini e delle donne "educando" (governando? controllando? "censurando"?) parole, costrutti razionali espliciti, contenuti culturali e via così dicendo.

Ovviamente non è che si debba cadere in un estremo opposto di sfiducia nell'azione educativa e culturale, ma soprattutto di questi tempi si nota una sorta di rinnovato ardore in senso "politico-didattico" (per esempio verso problematiche  ambientaliste, o di genere, o di memoria) che fa temere nuove illusioni, e forse nuovi pesanti errori, da cui trarrebbero paradossale beneficio le forze più reazionarie, autoproclamandosi - come spesso capita - custodi di "autenticità" rimossa. 

domenica 27 agosto 2017

Testi Utili (Barca, Letta, Kissinger, Fischer)

Alcune citazioni da letture sparse; importanti, anche se in alcuni casi datate, per capire errori e difficoltà di oggi. Nella politica economica e sociale del nostro Paese, e nella politica estera (non solo del nostro Paese).

Francesco Maria Mariotti

"(...) Le riforme non sono state scontate nelle aspettative e, quindi, nei comportamenti degli operatori. Al tempo stesso esse appaiono incomplete. (...) La soluzione del paradosso sembra, allora, risiedere nel fatto che alle riforme non si è associata la condivisione su quale ne fosse lo scopo. È mancato, è la tesi, un sistema di convincimenti e di valori condivisi che consentisse di interpretare in maniera sostanzialmente univoca il cambiamento perseguito; un modello condiviso della società italiana, del suo capitalismo, e quindi della finalità delle riforme. L'attuazione, allora, è avvenuta senza unitarietà di intenti e senza consenso culturale e politico. Le condizioni prospettate dalle riforme non si sono in larga misura realizzate; le aspettative non sono in larga misura cambiate. (...) Da un lato, stavano i 《giacobini》, dall'altra, i 《conservatori》.

I giacobini ci raccontavano la visione di un'Italia da normalizzare, fondata sull'idea che esista un modello unico di capitalismo, (...) I conservatori ci narravano la storia di un'Italia anormale, secondo cui il decentramento e la specializzazione del nostro sistema produttivo, la natura profondamente radicata nei territori delle nostre competenze,  la storia e la cultura del paese, richiederebbero forme diffuse di tutela e protezione dagli impulsi concorrenziali e modalità di governo rivolte a questo scopo. (...)

Il combinato disposto delle due visioni ha concorso alla scarsa efficacia del processo istituzionale.  Giacobinismo e conservatorismo si sono combattuti, validandosi reciprocamente.  Il risultato è stato uno solo: togliere al processo di riforma la base di un convincimento condiviso; togliere ai soggetti privati e pubblici che dovevano attuarlo l'incentivo, e poi anche la passione, per dargli corpo. (...) È venuta a mancare la leva delle aspettative anticipatorie ed è, viceversa,  subentrato nei soggetti privati e pubblici un atteggiamento attendista, che ha eroso l'efficacia delle riforme o la loro stessa attuazione. (...)"

Fabrizio Barca, Italia frenata. Paradossi e lezioni della politica per lo sviluppo, Donzelli, 2006, pp.50-54

***

(...) Se l'Italia vuole raggiungere e superare in competitività i suoi partner e concorrenti,  il concetto di comunità deve diventare l'obiettivo e al tempo stesso il metodo. I valori comunitari non sono più, se visti con lo sguardo lungo, quel vincolo alla competitività del sistema che spesso risuona nei toni di chi pensa che basti la politica delle mani libere sempre e comunque per garantire il successo economico del sistema Italia. Non è così. La comunità è condizione decisiva per la competitività di un sistema.

La competitività non è infatti un obiettivo astratto fatto di cifre e performance. Se sono realmente importanti i criteri che abbiamo definito dell'"ambiente favorevole", questi ultimi richiamano tutti un profondo senso della comunità,  fatto di valori condivisi e di forte senso dell'interesse generale. 

Perché questi sentimenti pervadono il sistema, sono necessarie alcune condizioni. Bisogna che ci siano solide istituzioni per rendere possibile la partecipazione e la condivisione delle scelte. Oggi, per essere solide, queste istituzioni devono garantire la coesistenza della rappresentatività e dell'efficacia decisionale. (...)"

Enrico Letta, La comunità competitiva. L'Italia, le libertà economiche e il modello sociale europeo. Donzelli, 2001, pp. 21-22

"(...) Quando si parla di riforme, si evocano immediatamente tempi lunghi e processi a più fasi. Non si può credere  che le riforme consistano solo nello scrivere norme. È l'applicazione dei disegni riformatori il momento più insidioso. Essa richiede costanza e determinazione. Soprattutto, i due momenti, teoria e prassi, hanno protagonisti spesso diversi, a causa dei frequenti cambi di governo che tradizionalmente caratterizzano la vicenda italiana. È allora importante che si crei, su molte riforme fatte o in corso, un clima di continuità che prescinda dalle asprezza dello scontro politico ed eviti il rischio, tipico della storia del nostro Paese, di prassi che svuotano, nei fatti, le leggi. In competizione, come oggi siamo, non possiamo più permetterci simili incoerenze. (...)"

Enrico Letta, La comunità competitiva. L'Italia, le libertà economiche e il modello sociale europeo, 2001, Donzelli,  pp. 18-19

***

(...) Le difficili scelta della decisione politica sono sempre solitarie. Dove, in un mondo di social network onnipresenti, l'individuo può trovare lo spazio per sviluppare la fermezza necessaria per prendere decisioni che, per definizione, non possono essere basate sul consenso? L'adagio secondo il quale i profeti non vengono riconosciuti dai loro contemporanei è vero in quanto essi operano al di là della concezione corrente;  il che è proprio ciò che ne fa dei profeti. Nella nostra epoca potrebbe non esserci più il 《tempo tecnico》per la profezia. La ricerca della trasparenza e della connettività in tutti gli aspetti dell'esistenza,  distruggendo la dimensione privata, inibisce lo sviluppo di personalità dotate della forza di prendere decisioni solitarie. (...)

La portata globale e la velocità della comunicazione minano la distinzione tra sconvolgimenti interni e internazionali, e tra i leader e le richieste immediate dei gruppi più numerosi. (...)

La tentazione di andare incontro alle richieste della moltitudine che si rispecchia nella comunicazione digitale può prevalere sul discernimento necessario per tracciare una rotta complessa, in armonia con gli obiettivi a lungo termine. La distinzione fra informazione, conoscenza e saggezza si indebolisce. (...)

Se la vecchia diplomazia a volte mancava di offrire sostegno a forze politiche moralmente degne, la nuova diplomazia rischia interventi indiscriminati,  privi di connessione con la strategia. Proclama assoluti morali davanti a un pubblico globale prima che sia divenuto possibile valutare le intenzioni a lungo termine dei protagonisti, le loro prospettive di successo o la loro capacità di dar corso a una politica di lungo termine. (...)

L'ordine non dovrebbe avere la precedenza sulla libertà,  ma l'affermazione della libertà dovrebbe essere innalzata dal livello di umore al rango di strategia. (...)"

Henry Kissinger, Ordine mondiale, Oscar Mondadori, 2015, pp. 349 - 355


"(...) L'Europa, che per lungo tempo si è considerata l'attore decisivo sulla scena mondiale,  rischia nel XXI secolo di diventare una potenza che recita soltanto nei teatri di provincia. Presa in sé, questa tendenza non è nulla di cui si possa lamentare. L'ascesa e il declino di grandi potenze non è una vicenda insolita nella storia e la grandezza non è in sé un valore degno di essere perseguito, però questo declino, sostanzialmente auto-prodotto e fondato su una debolezza "colpevole", è destinato ad avere gravi conseguenze per lo status politico ed economico degli europei. Visti dall'esterno, gli europei oggi sono ricchi, vecchi e deboli,  e questa è una combinazione che in un mondo inquieto e crudele di rampanti affamati non promette sicurezza e tranquillità. Se gli europei non dovessero essere in grado di organizzarsi in modo nuovo e di difendere i loro interessi, non passerà molto tempo e le potenze mondiali del XXI secolo tenteranno di trascinare l'Europa nelle loro rispettive sfere di influenza e di interesse. (...)"

Joschka Fischer, Se l'Europa fallisce?, Ledizioni, 2015, p.106

venerdì 13 dicembre 2013

Nessuna Tolleranza

(....) Per quello che riguarda l’ordine pubblico, noi chiediamo al governo di usare tolleranza zero, verso chi si è reso o si renderà responsabile degli atti violenti di cui abbiamo parlato, di identificare e denunciare coloro i quali hanno minacciato i cittadini nei giorni scorsi e ancora in questi, di togliere, senza più porre tempo in mezzo, i blocchi stradali che sono ancora operanti. Di identificare e denunciare chi si sia reso responsabile dell’organizzazione materiale e logistica di una così vasta rete di eventi contemporanei e di trasferimenti di persone. Chiediamo anche un contributo di conoscenza. Noi vogliamo conoscere i nomi e le organizzazioni che sono state dietro questi inaccettabili eventi. Vogliamo sapere chi c’era oltre ai legittimi manifestanti, quali gruppi, sigle, tendenze politiche. Certo la politica deve dare risposte, puntuali, rapide, significative; ma nessun lassismo, nessun attendismo, rispetto ai violenti, cambierà di un millimetro la drammatica crisi sociale che attraversiamo. La soluzione di quei problemi si trova qua dentro, in Parlamento, o non si trova; conosciamo già le scorciatoie violente della storia, e non siamo disponibili a ripeterne gli errori. Nessun ritardo per le risposte politiche dunque, ma nessuna tolleranza per la violenza, i ricatti e le squadracce che hanno messo a soqquadro per il paese.


Da tre giorni le principali città italiane, ma soprattutto Torino, sono ostaggio di una confusa rivolta. Confusa, perché raccoglie un effettivo forte disagio sociale, ma pure un trasversale ribellismo dai molti e anche ambigui colori. Confusa, perché gli obbiettivi o sono così vaghi o sono così irrealistici da apparire puri pretesti.
Pretesti per sfogare una protesta destinata a non avere risultati concreti. Confusa, perché invece di colpire i presunti «nemici del popolo», la classe politica, nazionale e locale, colpisce il popolo. Quello dei pendolari, costretti a raddoppiare la fatica di una già durissima giornata; quello dei commercianti, obbligati dalle minacce dei rivoltosi a rinunciare ai pur magri incassi prenatalizi; quello della gente comune, costretta a complicati e, in alcuni casi, perigliosi pellegrinaggi tra serrande sbarrate. Una rivolta, invece, chiarissima nel dimostrare una realtà ormai emersa in molti casi, ma mai in maniera cosi evidente: l’assenza dello Stato.

mercoledì 11 dicembre 2013

Reagire Con Forza All'Aggressione Reazionaria

Mantenere la calma in queste ore di confusione è doveroso, ma non deve significare sottovalutare cosa sta succedendo. C'è infatti un limite scritto nella sabbia, quindi difficilmente individuabile a priori, fra la tolleranza paziente del forte e la colpevole viltà del debole. 

Io temo che questo limite stiamo rischiando di passare, nel continuare a definire "comprensibili" le ragioni della protesta cosiddetta "dei forconi" e nel non reagire a metodi di protesta sempre più inaccettabili (da notare comunque che contro questi metodi violenti i cittadini comiciano a mobilitarsi, per esempio a Torino).
 
Questo paese, e in particolare le forze progressiste - a furia di gridare "al fascista" per motivi inutili o risibili - sembra aver perso la voce di fronte a quella che appare sempre di più un'aggressione reazionaria alle istituzioni democratiche.
 
Non c'è ragione che tenga, quando si minaccia chi non partecipa allo sciopero, come sta accadendo in varie parti del Paese. Il disordine che sembra segnare l'organizzazione di queste manifestazioni - e che rende più difficile la gestione da parte delle forze dell'ordine - dovrebbe anche far riflettere coloro che attaccano a pie' sospinto i sindacati confederali, che garantiscono con la loro presenza e azione la legalità degli scioperi.
 
E a chi si fa comprensibilmente toccare dai nodi reali - che ci sono, naturalmente, e segnano la vita di molte persone che manifestano - va detto chiaramente che la povertà non è mai stata - nel migliore pensiero sociale di ogni parte politica - giustificazione per ribellismi che non fanno che nuocere a qualsiasi vera ipotesi di riforma di questo Paese.
 
Non c'è molto da dire: lo Stato, il Governo, e anche questo Parlamento sono pienamente legittimati a reagire a un'aggressione grave e senza giustificazioni.  Mantenere la calma si deve e si può: ma se la pazienza rischia di sembrare viltà, non va atteso oltre.

Si sgomberino in tutti i modi possibili - con l'uso legittimo della forza che lo Stato può e deve utilizzare - le strade e le piazze di questo Paese e si ponga fine a queste inutili, dannose e pericolose forme di protesta.
 
Francesco Maria Mariotti
 
***​
 
Vita difficile per i commercianti torinesi che, nonostante le proteste in corso, in questi giorni hanno cercato di tenere aperti i negozi. Minacce, intimidazioni e insulti da parte dei manifestanti, che spesso si sono fatti prendere la mano. Come testimonia il video pubblicato ieri da Repubblica: l'episodio risale al primo pomeriggio di lunedì, nella centralissima via Garibaldi, a poca distanza da piazza Castello. Le immagini parlano da sè, ma l'HuffPost ha raggiunto Alessandro, uno dei due store manager (il ragazzo rasato sulla destra dello schermo) del negozio di abbigliamento.

Come si sono svolti i fatti?
"Quando il corteo si è sciolto, un gruppetto di persone assortite è entrato nel nostro negozio urlando e intimando a tutti di uscire. Ho cercato di calmarli, dicendo che avrei chiuso e chiedendo che mi dessero il tempo di far uscire i clienti. Ho tirato giù mezza serranda per far capire che li avrei accontentati, anche se malvolentieri. Abbiamo messo in sicurezza il personale e fatto uscire la clientela. Il mio collega Luca (è il ragazzo con i pantaloni gialli) è rimasto fuori. Allora ho fatto il giro dal portone del cortile per non lasciarlo da solo.

Si è trattato solo di qualche parola (non si sentono neanche tutte). Il problema è che loro sostenevano dei diritti sacrosanti, le loro motivazioni non le discuto assolutamente, però per difenderle hanno calpestato quello che, secondo me, è un diritto più importante: la libertà di scelta. Il nostro è solo uno dei tanti episodi. Abbiamo negozi anche nei centri commerciali e lì sono avvenuti fatti ancora più gravi di quello che è successo a noi. In alcuni casi hanno addirittura malmenato e minacciato in malo modo le commesse".

Perso il lavoro, una donna di ventotto anni si riorganizza l’esistenza e apre un negozio tutto suo, tra sacrifici e paure di non farcela. Poi arriva la settimana dei forconi e le cedo la parola: «Sono d’accordo con il motivo della protesta, ma non con il modo. Io non posso e non voglio chiudere. E non voglio che qualcuno mi obblighi a pensarla diversamente. Che io sia nel giusto o nel torto, potrò avere il mio pensiero? Oggi sono stata accerchiata da una ventina di uomini davanti al mio negozio: mi hanno spintonata e fatta cadere, mi hanno urlato che dovevo morire: “Ammazzate quella coniglia!” Quando mi sono rialzata e mi hanno detto “chiudi o ti spacchiamo tutto”, ho capito che la mia libertà di scelta era svanita. Le gambe mi tremavano e come una mamma con il suo bambino ho fatto la scelta più sicura. Ho chiuso le serrande. E chi veramente dovrebbe essere il bersaglio della protesta sarà a bere un cappuccino con i soldi pubblici».
Chissà se esiste, per l’umanità evoluta (?) del ventunesimo secolo, la possibilità di esprimere l’esasperazione senza la prevaricazione e la rabbia senza la violenza vigliacca che si accanisce contro i più deboli. L’unica alternativa plausibile l’hanno offerta domenica scorsa i tre milioni di votanti delle primarie democratiche, firmando l’ennesima cambiale in bianco alla classe dirigente. Ma è stata l’ultima. Se i politici non la onoreranno in fretta, prendendo consapevolezza dell’emergenza e rinunciando ai loro riti lenti e bizantini, come sempre nella storia l’ignavia della democrazia avrà prodotto i forconi su cui si isseranno le prossime dittature.

Si apre il terzo giorno della protesta dei Forconi e il prefetto di Torino ha ottenuto rinforzi per contrastare manifestazioni - parole sue - «uniche nel loro genere perché basate su azioni sporadiche e presidii improvvisi in diversi punti». Una città storicamente abituata a convivere con forme radicali di conflitto ieri è parsa alla mercé di manifestanti che potevano interrompere a loro piacimento qualsiasi servizio pubblico e intimidire i commercianti. Il tutto in un vuoto pneumatico, nel quale assenti la politica e le forze sociali, troppo lento nell’agire il ministro dell’Interno, il peso del confronto - persino psicologico - è stato caricato sui poliziotti. Nessuno sottovaluta ampiezza e profondità del malessere che attraversa la società e che mette in difficoltà le frange più deboli del lavoro autonomo, come i camionisti con un solo Tir o gli ambulanti, ma si ha l’impressione che le loro rivendicazioni servano come foglia di fico ai veri capi della rivolta. Sul campo è nato con il logo dei Forconi un attore sociale e politico trasversale, il cui retroterra non è chiaro e che ha aggregato di tutto, persino gli ultrà del calcio.
Un mondo politico costantemente alla ricerca di un copione da recitare non aspettava altro che strumentalizzare la protesta


Chi sono i “forconi”
Il “movimento dei forconi” è molto eterogeneo e difficile da definire con precisione. La componente principale, che ha dato origine all’iniziativa un paio di anni fa nel sud Italia, è costituita dagli autotrasportatori, cui nel tempo si sono aggiunti gruppi più o meno organizzati di agricoltori, operai, venditori dei mercati e perfino ultras delle tifoserie di calcio. La maggior parte fa riferimento a partiti e movimenti politici di estrema destra, a partire da Forza Nuova, che negli ultimi giorni ha dato il proprio sostegno alle iniziative di protesta in giro per l’Italia.

Nel caso di Torino, come racconta oggi sul Corriere della Sera Marco Imarisio, alla protesta si sono aggiunti studenti delle scuole superiori e delle università, alcune organizzazioni sindacali e militanti della sinistra antagonista. I termini e le modalità della protesta in questo caso sono ben distinti, anche se c’è il riconoscimento della capacità dei “forconi” di avere attirato l’attenzione sulla loro protesta.

Che cosa chiedono
La composizione eterogenea del “movimento dei forconi” si riflette anche sulla natura delle richieste rivolte alle istituzioni. I motivi della protesta e ciò che viene chiesto alla politica e alle amministrazioni non è del tutto chiaro. C’è di sicuro un generico “basta” applicato praticamente a tutto: ai politici viene chiesto indistintamente di lasciare i loro incarichi, al governo di dimettersi, alle amministrazioni locali di non pagare più consiglieri e assessori, a Equitalia di non effettuare più riscossioni e allo Stato in generale di non tassare più la popolazione. Manca un interlocutore unico e per questo motivo le istituzioni faticano a organizzare la loro risposta alle proteste, che hanno causato grandi disagi negli ultimi giorni.


Le parole scandite a questo giornale dal segretario del Siulp Felice Romano - "Abbiamo giurato fedeltà alla Repubblica e ai suoi cittadini, non a coloro che rappresentano temporaneamente le istituzioni. Che forse sono troppo affaccendati nelle loro questioni personali per comprendere cosa sta davvero succedendo" - sono inquietantipericolose e mi auguro che vengano quanto prima smentite innanzitutto perché solo nelle vere democrazie i politici si trovano temporaneamente ma legittimamente a rappresentare le istituzioni, altrimenti ci troveremmo in dei regimi.
E' indubbio che le forze dell'ordine di questo Paese stiano pagando, e non da un giorno, un prezzo altissimo alla crisi: uomini e donne in divisa che sono quotidianamente impegnati in contesti sempre più difficili, dall'ordine pubblico alle indagini contro la criminalità organizzata, hanno subito tagli lineari per miliardi di euro e un blocco degli stipendi che li sta impoverendo e mettendo, psicologicamente, a durissima prova.(...)