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domenica 27 agosto 2017

Testi Utili (Barca, Letta, Kissinger, Fischer)

Alcune citazioni da letture sparse; importanti, anche se in alcuni casi datate, per capire errori e difficoltà di oggi. Nella politica economica e sociale del nostro Paese, e nella politica estera (non solo del nostro Paese).

Francesco Maria Mariotti

"(...) Le riforme non sono state scontate nelle aspettative e, quindi, nei comportamenti degli operatori. Al tempo stesso esse appaiono incomplete. (...) La soluzione del paradosso sembra, allora, risiedere nel fatto che alle riforme non si è associata la condivisione su quale ne fosse lo scopo. È mancato, è la tesi, un sistema di convincimenti e di valori condivisi che consentisse di interpretare in maniera sostanzialmente univoca il cambiamento perseguito; un modello condiviso della società italiana, del suo capitalismo, e quindi della finalità delle riforme. L'attuazione, allora, è avvenuta senza unitarietà di intenti e senza consenso culturale e politico. Le condizioni prospettate dalle riforme non si sono in larga misura realizzate; le aspettative non sono in larga misura cambiate. (...) Da un lato, stavano i 《giacobini》, dall'altra, i 《conservatori》.

I giacobini ci raccontavano la visione di un'Italia da normalizzare, fondata sull'idea che esista un modello unico di capitalismo, (...) I conservatori ci narravano la storia di un'Italia anormale, secondo cui il decentramento e la specializzazione del nostro sistema produttivo, la natura profondamente radicata nei territori delle nostre competenze,  la storia e la cultura del paese, richiederebbero forme diffuse di tutela e protezione dagli impulsi concorrenziali e modalità di governo rivolte a questo scopo. (...)

Il combinato disposto delle due visioni ha concorso alla scarsa efficacia del processo istituzionale.  Giacobinismo e conservatorismo si sono combattuti, validandosi reciprocamente.  Il risultato è stato uno solo: togliere al processo di riforma la base di un convincimento condiviso; togliere ai soggetti privati e pubblici che dovevano attuarlo l'incentivo, e poi anche la passione, per dargli corpo. (...) È venuta a mancare la leva delle aspettative anticipatorie ed è, viceversa,  subentrato nei soggetti privati e pubblici un atteggiamento attendista, che ha eroso l'efficacia delle riforme o la loro stessa attuazione. (...)"

Fabrizio Barca, Italia frenata. Paradossi e lezioni della politica per lo sviluppo, Donzelli, 2006, pp.50-54

***

(...) Se l'Italia vuole raggiungere e superare in competitività i suoi partner e concorrenti,  il concetto di comunità deve diventare l'obiettivo e al tempo stesso il metodo. I valori comunitari non sono più, se visti con lo sguardo lungo, quel vincolo alla competitività del sistema che spesso risuona nei toni di chi pensa che basti la politica delle mani libere sempre e comunque per garantire il successo economico del sistema Italia. Non è così. La comunità è condizione decisiva per la competitività di un sistema.

La competitività non è infatti un obiettivo astratto fatto di cifre e performance. Se sono realmente importanti i criteri che abbiamo definito dell'"ambiente favorevole", questi ultimi richiamano tutti un profondo senso della comunità,  fatto di valori condivisi e di forte senso dell'interesse generale. 

Perché questi sentimenti pervadono il sistema, sono necessarie alcune condizioni. Bisogna che ci siano solide istituzioni per rendere possibile la partecipazione e la condivisione delle scelte. Oggi, per essere solide, queste istituzioni devono garantire la coesistenza della rappresentatività e dell'efficacia decisionale. (...)"

Enrico Letta, La comunità competitiva. L'Italia, le libertà economiche e il modello sociale europeo. Donzelli, 2001, pp. 21-22

"(...) Quando si parla di riforme, si evocano immediatamente tempi lunghi e processi a più fasi. Non si può credere  che le riforme consistano solo nello scrivere norme. È l'applicazione dei disegni riformatori il momento più insidioso. Essa richiede costanza e determinazione. Soprattutto, i due momenti, teoria e prassi, hanno protagonisti spesso diversi, a causa dei frequenti cambi di governo che tradizionalmente caratterizzano la vicenda italiana. È allora importante che si crei, su molte riforme fatte o in corso, un clima di continuità che prescinda dalle asprezza dello scontro politico ed eviti il rischio, tipico della storia del nostro Paese, di prassi che svuotano, nei fatti, le leggi. In competizione, come oggi siamo, non possiamo più permetterci simili incoerenze. (...)"

Enrico Letta, La comunità competitiva. L'Italia, le libertà economiche e il modello sociale europeo, 2001, Donzelli,  pp. 18-19

***

(...) Le difficili scelta della decisione politica sono sempre solitarie. Dove, in un mondo di social network onnipresenti, l'individuo può trovare lo spazio per sviluppare la fermezza necessaria per prendere decisioni che, per definizione, non possono essere basate sul consenso? L'adagio secondo il quale i profeti non vengono riconosciuti dai loro contemporanei è vero in quanto essi operano al di là della concezione corrente;  il che è proprio ciò che ne fa dei profeti. Nella nostra epoca potrebbe non esserci più il 《tempo tecnico》per la profezia. La ricerca della trasparenza e della connettività in tutti gli aspetti dell'esistenza,  distruggendo la dimensione privata, inibisce lo sviluppo di personalità dotate della forza di prendere decisioni solitarie. (...)

La portata globale e la velocità della comunicazione minano la distinzione tra sconvolgimenti interni e internazionali, e tra i leader e le richieste immediate dei gruppi più numerosi. (...)

La tentazione di andare incontro alle richieste della moltitudine che si rispecchia nella comunicazione digitale può prevalere sul discernimento necessario per tracciare una rotta complessa, in armonia con gli obiettivi a lungo termine. La distinzione fra informazione, conoscenza e saggezza si indebolisce. (...)

Se la vecchia diplomazia a volte mancava di offrire sostegno a forze politiche moralmente degne, la nuova diplomazia rischia interventi indiscriminati,  privi di connessione con la strategia. Proclama assoluti morali davanti a un pubblico globale prima che sia divenuto possibile valutare le intenzioni a lungo termine dei protagonisti, le loro prospettive di successo o la loro capacità di dar corso a una politica di lungo termine. (...)

L'ordine non dovrebbe avere la precedenza sulla libertà,  ma l'affermazione della libertà dovrebbe essere innalzata dal livello di umore al rango di strategia. (...)"

Henry Kissinger, Ordine mondiale, Oscar Mondadori, 2015, pp. 349 - 355


"(...) L'Europa, che per lungo tempo si è considerata l'attore decisivo sulla scena mondiale,  rischia nel XXI secolo di diventare una potenza che recita soltanto nei teatri di provincia. Presa in sé, questa tendenza non è nulla di cui si possa lamentare. L'ascesa e il declino di grandi potenze non è una vicenda insolita nella storia e la grandezza non è in sé un valore degno di essere perseguito, però questo declino, sostanzialmente auto-prodotto e fondato su una debolezza "colpevole", è destinato ad avere gravi conseguenze per lo status politico ed economico degli europei. Visti dall'esterno, gli europei oggi sono ricchi, vecchi e deboli,  e questa è una combinazione che in un mondo inquieto e crudele di rampanti affamati non promette sicurezza e tranquillità. Se gli europei non dovessero essere in grado di organizzarsi in modo nuovo e di difendere i loro interessi, non passerà molto tempo e le potenze mondiali del XXI secolo tenteranno di trascinare l'Europa nelle loro rispettive sfere di influenza e di interesse. (...)"

Joschka Fischer, Se l'Europa fallisce?, Ledizioni, 2015, p.106

venerdì 13 giugno 2014

Prepotenza, Solo Piccola e Sciocca, E Pericolosa, Prepotenza

Un po' di tempo fa ho scritto: "(...) Forse nella figura "leaderistica" - e un po' populista - di questo Presidente del Consiglio l'italia ritrova la periodica tentazione di credere nel "seducente" obiettivo del "primato della politica". Tale espressione - che affascina perché sembra voler riportare "ordine" nelle dinamiche sregolate dell'economia - purtroppo il più delle volte è semplice copertura di poche idee e poca concretezza, surrogate da "volontarismo" e "velocità". 
L'uscita dalla crisi non può avvenire per improvvisazioni. Il cammino sarà lungo, e le scorciatoie e le furbizie (correre alle elezioni dicendo che questo Parlamento non lo lascia lavorare, per esempio?) non funzioneranno, o faranno danni.(...)" (http://mondiepolitiche.blogspot.it/2014/02/inizio-preoccupante.html)
Di seguito qualche riflessione su quanto sta succedendo, in questi giorni, e che temo confermi quello che poteva sembrare un mio eccesso di pessimismo.

FMM

Senza dubbio c'è del vero in questo ragionamento. Come è noto, anche l'inglese Gladstone ai suoi tempi sosteneva che «tra la propria coscienza e il proprio partito si deve scegliere il secondo». Tuttavia è singolare che il Pd renziano stia riscoprendo oggi una forma di «centralismo democratico» che riporta a una tradizione politica alla quale egli è estraneo. Ma c'è dell'altro. Nel momento in cui s'intende riformare il Senato, è pericoloso dare l'impressione di voler soffocare il dibattito e zittire le voci fuori dal coro: specie quando si tratta di abolire o trasformare radicalmente un'assemblea legislativa. Sotto questo aspetto, il caso Mineo diventa il paradigma di un errore politico.
 
di Stefano Folli - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/FSjQNY
 
Chiti e Mineo fuori dalla commissione Istituzionale. Come definirebbe questa operazione del Pd?
«Una decisione di Renzi, eseguita da Zanda, perché oggi lo stesso premier l’ha rivendicata dalla Cina. A volte queste cose venivano dalla Bulgaria, ma evidentemente siamo ancora più esotici. È una scelta molto grave dal punto di vista dei rapporti interni del partito e del gruppo. In secondo luogo è un errore politico perché la sostituzione dei due senatori non impedisce che le contraddizioni si manifestino poi in aula, cioè quando si andrà davvero a votare la riforma del Senato. Il testo Boschi passerebbe in commissione, ma non in aula, dove le perplessità riemergerebbero, a maggior ragione dopo l’umiliazione costituzionale di mercoledì. E allora la mia domanda è: “Non è che questa sostituzione di Mineo nasconda le difficoltà di tenuta dell’accordo con Berlusconi? Avrebbe una grande maggioranza con Forza Italia per votare le riforme, quindi perché tanta prepotenza?»
 
Tredici senatori vicini alle sue idee si sono autosospesi dal partito. L’onorevole Corsini ha definito la vicenda «un’epurazione». Casson parla di «metodi militari».Qualcun altro dice che questo è il «renzismo».
«Non userei questi toni. Semplicemente è un momento di superficialità e di prepotenza di chi interpreta questa nuova fase. Un atteggiamento molto grave nella consuetudine e nella conversazione democratica. Ricordo quando i dissidenti erano i renziani. Noi stavamo votando tra mille incertezze il presidente della Repubblica, loro addirittura votavano un loro candidato: Sergio Chiamparino. Martedì Giachetti, il furbo renziano, in aula ha dichiarato di votare con le destre sulla responsabilità civile dei magistrati. E fa il vicepresidente della Camera, non fa il dissidente per conto Pd. Mi sorprende che dal “dissenso strategico” che lo ha portato a scalzare un intero gruppo dirigente del Pd, ora Renzi sia passato ad una logica di ortodossia vecchio stile e molto pesante».
 
Potrei chiedere come fa il governo a sapere che quei dodici milioni di italiani hanno votato specificamente per la riforma Renzi sul Senato. Potrei chiedere di quali elettori si parla. Perché se si parla di quelli che hanno eletto l'attuale Parlamento, allora il Premier attuale non è stato votato e Mineo sì. Se invece parla del voto per le Europee andrebbe ricordato che il pur immenso consenso non è comunque consenso politico diretto.
In ogni caso gli eletti, come abbiamo ricordato di recente in merito alla ondate di espulsioni dal M5S, hanno diritto alla libertà di opinione. Come del resto i militanti di partito - in questo caso, se parliamo al segretario del Pd, mi pare che andrebbe ricordato che in quel partito si è lavorato una vita (del Pd stesso e di varie generazioni di militanti) per affermare il diritto al dissenso interno, con conseguente richiesta di affrontare questo dissenso con pratiche il più possibile lontane dallo stalinismo.
Questi sono naturalmente dettagli. Si sa che i renziani credono che il potere che hanno in mano vada gestito in maniera decisionista. Chi dissente è palude, lo sappiamo.
Tuttavia, visto che la convivenza civile è fondata sulla salvaguardia - che nel suo piccolo riguarda la salvaguardia delle regole - non posso che segnalare che brandire l'investitura popolare come legittimazione ad agire forzando le regole costituisce una tentazione autoritaria. Non farò a Renzi il torto di accostarlo a Berlusconi, perché sappiamo che ha ambizioni e riferimenti storici molto più alti.
Nelle sue idee il paragone è Blair, o Obama. Peccato che anche la traiettoria di questi leader dimostri che il vasto consenso popolare non fornisce un passaporto con il destino. Blair è alla fine caduto nella trappola delle sue forzature (ricordate l'Iraq? In queste ore qualcosa di molto drammatico ce lo ricorda) e Obama in quelle della sua inefficacia.

Il Pd è, con merito, il partito italiano a più alto grado di democrazia interna. Non si capisce perché voglia compromettere questo primato, conquistato anche grazie all’insofferenza autoritaria per il dissenso interno degli altri due partiti maggiori, con un banale ma sintomatico gesto di prepotenza nervosa nei confronti di senatori contrari al progetto di riforma del Senato disegnato nell’incontro al Nazareno tra Renzi e Berlusconi. Il Pd è sembrato sin qui coltivare anche un peculiare senso delle istituzioni. Non si capisce allora perché abbia superficialmente scambiato una commissione parlamentare per una sede di partito, estromettendone i senatori come se fossero militanti tenuti a una disciplina interna e non a esponenti delle istituzioni che non devono rispondere a un segretario di partito ma ai cittadini nel loro complesso. Ecco perché Matteo Renzi e i dirigenti del Pd a lui più vicini hanno commesso un duplice errore «epurando» i senatori Mineo e Chiti dalla commissione Affari Costituzionali facendo così in modo che si aggregasse una pattuglia di 14 «dissidenti» che si sono autosospesi in segno di solidarietà con i loro colleghi messi fuori d’imperio. (...)
Stupisce perciò che proprio Renzi, protagonista di una battaglia democratica nel Pd che lo ha portato ai vertici del partito e del governo, e dal 25 maggio anche con un formidabile consenso elettorale, si mostri così irritato dal manifestarsi di una minoritaria «fronda» contraria a un progetto di riforma del Senato peraltro ancora vago nei dettagli. Stupisce, dopo aver ingaggiato una furiosa polemica con Grillo, che non voglia tener minimamente conto dell’imperativo costituzionale che non pone nessun vincolo di mandato ai parlamentari, e meno che mai un vincolo alle decisioni della segreteria di un partito. Se c’è un problema irrisolto tra una segreteria plebiscitata e un corpo parlamentare eletto quando gli equilibri nel Pd erano altri, la soluzione non può che essere politica, senza scorciatoie disciplinari, messe al bando e bavagli preventivi. La pratica punitiva della messa ai margini può dare l’impressione di un ostacolo rimosso, di un impedimento messo in condizione di non nuocere. Ma non fa un favore al Pd perché produce una confusione tra ammirevole rapidità «decisionista», capacità di convincere e cancellazione per decreto di ogni dissenso.

Ma certo mi stupisce che anche i più strenui difensori del valore dibattimentale a un certo punto crollino. Da ultimo leggevo l’articolo di poche ore fa di Roberto Giacchetti, che ieri da garantista ero molto contento che avesse guidato una fronda interna al PD per fare votare a favore della responsabilità dei giudici (seppure in un decreto omnibus molto arrangiato ma sic). Ecco che invece oggi molla l’idea che ci possa essere una discussione nel merito sulla riforma del Senato. “E innumerevoli volte Renzi ha affermato che il voto sulla sua persona sarebbe stato anche una formale approvazione del suo programma nel quale appunto c’era questa specifica proposta di riforma costituzionale.” O con Renzi o contro di Renzi, qualunque cosa questo significhi.
Ora, uno con un minimo di coscienza democratica, uno con il desiderio di confrontarsi come dire, uno ancora non fulminato sulla via di Rignano sull’Arno, può farmi capire qual è il valore politico in sé di una battaglia contro le minoranze? Qual è il valore politico di una mancata discussione sulla riforma del Senato che coinvolga anche voci dissenzienti come Mineo, Chiti o sì anche Mauro di Per l’Italia? (...)
Essere sul carro del vincitore, credo, generi uno strano effetto galvanizzante. Si va avanti spediti, come alla guida di una macchina di un videogioco automobilistico, o Grand Theft Auto. Intorno i pedoni, gli altri autisti, la gente che incrociamo, che attraversa le strisce, persino quelli che ci stanno a guardare sugli spalti… possiamo spazzare via tutto, senza nemmeno usare troppo il volante, investirli semplicemente spingendo ancora il piede sul pedale. Vogliamo dire che stiamo guidando il Paese avanti, rapidi, sicuri, perché ce ne freghiamo di qualunque cosa che ci passi vicino?


mercoledì 28 maggio 2014

Vittoria Netta, Ma Il Voto Non Decide Tutto (da Talpa Democratica)

Segnalo che su Talpa Democratica è stato gentilmente pubblicata una mia riflessione sul voto europeo, schematizzata per punti.
Buona lettura

Francesco Maria

***

Fattori “oggettivi”, e in linea di massima positivi:

1. Vittoria netta. Renzi si conferma campione dal punto di vista elettorale
2. E’ stato arginato Grillo.
3. C’è qualche speranza di incidere in Europa, per proporre cambiamenti sulle politiche della crescita (...)

Fattori “critici”:
1. Sembra “scomparire” una opposizione organizzata; a destra è in atto una grave crisi, che può indurre un atteggiamento non costruttivo sulle riforme
2. La situazione europea è a rischio instabilità: per dire uno dei tanti possibili problemi, come si dichiareranno gli euroscettici nel caso la crisi russo-ucraina peggiorasse (come sta già avvenendo)?(...)

Fattori per cui la valutazione non cambia e non può cambiare, quale che sia la percentuale di consenso:

1. Le coperture degli 80 euro sono molto discutibili, oggi e soprattutto negli anni futuri; permane la sensazione che si sia voluto “imporre” l’obiettivo politico al di là delle compatibilità economiche.
1bis. Sui problemi di bilancio non si ammettono improvvisazioni per l’Italia, né “pagherò” leggeri. Le coperture e il processo di risanamento devono essere chiari soprattutto per gli investitori esteri, ma non solo per loro.
2. La riforma del Senato e la proposta di riforma elettorale rimangono grandemente imperfette (è un eufemismo; sarebbe meglio buttarle nel cestino e rifarle da zero)(...)

giovedì 28 novembre 2013

Dubbi Democratici - Il Populismo Che Non Governi

C'è un dato positivo, uno solo a mio avviso, nel percorso elettorale di Renzi. E cioè il tentativo - più o meno esplicito - del sindaco di Firenze di "catturare politicamente" il malcontento dei cittadini, un misto di malumore, rabbia, e a tratti disperazione che si è creato nel nostro paese con solide ragioni e che per il momento ha trovato pochi sbocchi politici, spesso non utili a un reale miglioramento delle cose. Tutta la retorica antipolitica (o meglio "anticasta") - dalla "rottamazione" in poi - avrebbe un senso, se fosse capace di sottrarre voti alla pura protesta per incanalarli verso obiettivi più concreti.

Detto ciò, però il problema dello "stile" politico che accompagna la campagna di Renzi, che oramai dura molti mesi, a me pare sia pesante; perché in realtà questione non solo di stile; ma problema di una campagna che in qualche modo si fa facilmente "populista" (mi perdonino gli amici renziani, non mi viene una parola migliore...) e che rischia di non sortire gli effetti positivi che al momento ci si aspetta.

Dal caso Ablyazov alla legge di stabilità, dal no (anche comprensibile, ma mal presentato) a grazia e indulto al caso Cancellieri, Renzi sembra voler dire di continuo: "io sono in sintonia con il paese reale, io saprò fare meglio; contro tutto ilvecchio (in cui vengono accomunati Berlusconi, Letta, e - sia pure in modo meno appariscente, ma comunque con forza - lo stesso Napolitano) io saprò vincere in nome di tutti voi, che non ne potete più di loro".

Renzi per fortuna non è solo un populista; e sicuramente alcuni contenuti (oggi Michele Emiliano a Omnibus annunciava alcune idee in tema di giustizia) possono essere interessanti.

Ma quando inizi a cavalcare la demagogia, o hai la forza di governarla (ma devi essere veramente molto bravo) o il rischio è che tu venga disarcionato, senza tanti complimenti. Magari anche senza cadute apparenti o plateali; perché forse rimarrai formalmente capo, ma la tua politica sarà sempre "sotto ricatto", sotto il ricatto della delusione, e della reazione del disincanto, che spesso colpisce gli innamoramenti politici...

Per dirla in breve, i rischi che mi sembra corra Renzi, ma con lui - purtroppo - tutti noi, sono due:

1. una volta che si critica così ripetutamente il governo (teoricamente amico) e si alzano le pretese, quando arriva il proprio turno non ci si può abbassare a nessun compromesso: si è criticato Letta su Ablyazov? Cosa succederà quando ci sarà un qualsiasi incidente di questo tipo in un futuro governo Renzi? Si volevano le dimissioni di Cancellieri? Alla prima telefonata sospetta di uno dei suoi ministri, sarà lecito scatenare la guerra... Si critica la legge di stabilità? L'anno prossimo - se ci sarà un governo Renzi (io spero ci sia ancora Letta) - si dovrà saper fare molto meglio ( e l'anno prossimo il Fiscal Compact - se non vado errato - inizia a chiedere il rientro del debito). Insomma; come ha detto lo stesso sindaco di Firenze: "non ci saranno più alibi". Ottimo, teoricamente. Ma se non si è in grado di soddisfare tutte le pretese che si sono volute alimentare facendo polemica contro il vecchio, il rischio di un "rinculo" è molto alto. 

Sono tanti gli uomini forti che hanno tentato di cambiare l'Italia con energia, promettendo Grandi Riforme o addirittura Rivoluzioni (liberali...); non pare ci siano riusciti. Perché? Qui veniamo al secondo punto, che è forse l'altra faccia del primo

2. L'idea  di politica che Renzi esprime è semplice; anche se alla fine del suo ultimo discorso alla Leopoda è sembrato voler porre un freno ("guardate che non basto io"), tutta la dinamica di questi giorni è fatalmente (anche per ragioni di competizione) focalizzata su di lui, sulla sua personale capacità, sulla forza che il capo potrà mettere nel portare avanti le sue idee. Ma questo non basta, in Italia. Per gli stessi motivi per cui sarebbe fallimentare una riforma presidenzialista, una politica dell'uomo forte può forse funzionare per qualche mese, ma va poi fatalmente a scontrarsi con il fatto che un uomo solo al comando non può gestire un paese complesso e stratificato come il nostro. 

L'impatto delle riforme - se fatte - crea inevitabilmente malcontento e lacera quella "facile alleanza" che - dietro al capo - si crea in fase elettorale, quando le promesse non vengono verificate, e non si guarda con attenzione alle conseguenze delle parole. 

L'uomo solo al comando rischia così di rimanere intrappolato nelle dinamiche parlamentari, che sempre ci saranno, e che magari prendono avvio da questioni concrete. Il capo che diceva di non voler occuparsi della bassa e volgare politica (quella che facevano i vecchi) rischia così di dover venire a compromessi molto tattici e di poco respiro (vi ricorda qualcuno? Anche Berlusconi si presentò - ed era, in un certo senso - uomo forte e nuovo)...

Non basta più - se mai è bastato - cambiare il "vertice" del paese. Una vera politica di riforme è fatta anche di "accompagnamento nel quotidiano": troppe volte belle riforme progressiste sono diventate pesanti - e vissute come negative - per la mancanza di attenzione alle quotidiane conseguenze che portavano, per la mancanza di ascolto dei cittadini coinvolti (si pensi a come è stato tradito l'art.18 dello Statuto dei lavoratori, che troppi cittadini e troppe aziende oggi vivono come nodo di privilegio, e non garanzia di diritti, come dovrebbe essere).
Ad accompagnare le riforme, forse, servirebbero buoni partiti, infatti.

Ho già scritto troppo. Solo un'ultima annotazione: poche ore fa è decaduto Berlusconi, come anni fa Craxi fu sconfitto, non proprio politicamente. Dopo la "caduta" di Craxi, non vinse la parte progressista. Anni dopo, Veltroni vinse le primarie, e cominciò a fare "pungolo" al governo Prodi, naturalmente con le migliori intenzioni. Alle successive elezioni, non vinse la parte progressista. 

Oggi pungolo al governo amico e caduta non-politica dell'avversario si fanno vicini. 

Non si fa altrettano prossima, temo, neanche questa volta, la vittoria di un'idea d'Italia laica, liberale e realmente progressista.

Francesco Maria Mariotti

giovedì 3 ottobre 2013

Saper Cogliere l'Attimo (Il Discorso di Enrico Letta Al Senato)

Signor Presidente, onorevoli senatori, nella vita delle Nazioni l’errore di non saper cogliere l’attimo può essere irreparabile. Sono le parole di Luigi Einaudi quelle che richiamo qui oggi: le richiamo qui in Parlamento, davanti al Paese, davanti a tutti voi, per venire subito al cuore della questione. L’Italia corre un rischio che potrebbe essere fatale, irrimediabile. Sventare questo rischio, cogliere o non cogliere l’attimo, dipende da noi, dipende dalle scelte che assumeremo in quest’Aula, dipende da un sì o da un no.
C’è un monito, un monito più recente, ugualmente solenne, che voglio qui ricordare. Poco più di cinque mesi fa il Presidente, cui va una volta ancora la mia, la nostra, profonda gratitudine, per quanto ha fatto e sta facendo per l’Italia, il presidente Giorgio Napolitano invitava le Camere riunite ad offrire una testimonianza di consapevolezza e di coesione nazionale, di volontà di dare risposte vere ai problemi del Paese. Invitava tutti coloro che lo avevano appena eletto una seconda volta alla Presidenza della Repubblica – fatto unico nella nostra storia – a uno scatto di dignità, di attaccamento alle istituzioni, di amore per l’Italia.
Quel monito fu accolto, anche allora, da un appassionato plauso della maggioranza dei presenti di queste Aule. Quel monito ha avuto come seguito nei mesi successivi l’impegno, con tutte le forze e la massima determinazione possibile, del Governo per costruire soluzioni tangibili ai problemi veri delle persone, per provare ad alimentare una rinnovata fiducia nella politica, nella sua capacità di riformare l’Italia e anche, problema più serio, di riformare se stessa, per restituire al mondo l’immagine di un Paese giovane, dinamico, affidabile.(...)

mercoledì 14 novembre 2012

Cambiare E Rassicurare (Bersani)


Questo è un paese che ha voglia di farsi trascinare in un cambiamento o siamo davvero così conservatori come sembriamo?
È una domanda con cui mi sono trovato a confrontarmi molto spesso. Sono stato sovente impegnato in esperienze di governo e, ogni volta che ho iniziato a gestire una responsabilità, mi sono chiesto: «Quale cambiamento posso produrre in questo mio nuovo ruolo?». Perché si sa che si deve cambiare, il mondo gira e non sta fermo. Bisogna però pensare a come promuovere questo cambiamento. il dilemma, infatti, è se il cambiamento bisogna annunciarlo o se, invece, non sia più efficace produrlo e poi spiegarlo a cose fatte. in questo paese non puoi conservare, devi cambiare, ma è anche vero che non puoi mettere per principio in agitazione la gente annunciando un cambiamento fine a se stesso. Questo è un paese che ha una storia antichissima e buone ragioni per conservare dei meccanismi che spesso hanno delle radici: radici familiari, localistiche, di mestiere, che possono prendere aspetti corporativi, difensivi, e quindi conservativi, con cui però devi fare i conti. Sono radici vere, antiche, solide. Allora, pronunciare vacuamente la parola «cambiamento» non funziona in un paese come questo. Devi farti avanti con un cambiamento e con una rassicurazione: chi ha interpretato benissimo questo ruolo è stato papa Giovanni.

venerdì 30 marzo 2012

Questa nuova fase non è una "parentesi" (lettera di Monti al Corriere)

(...)  La percezione errata è quella che porta ad attribuire essenzialmente al governo («tecnico») il merito dei rapidi cambiamenti in corso. Il forte dubbio discende da quella percezione: è il dubbio che il nuovo corso possa essere abbandonato quando, dopo le elezioni parlamentari, torneranno governi «politici».
Finché la percezione errata e il dubbio non saranno dissipati, la fase attuale verrà considerata come una interessante «parentesi», degna forse di qualche investimento finanziario a breve termine. Ma le imprese straniere, come del resto quelle italiane, saranno riluttanti a considerare l'Italia un luogo conveniente nel quale investire e creare occupazione.
Non è facile modificare le opinioni su questi due punti. Ma credo sia dovere del presidente del Consiglio cercare di farlo con ogni interlocutore. Gli argomenti che ho utilizzato a Tokyo, riportati correttamente dai corrispondenti italiani presenti, ma «letti» in Italia fuori contesto, sono stati i seguenti.
Se da qualche mese l'Italia ha imboccato risolutamente la via delle riforme, lo si deve in parte al governo, ma in larga parte al senso di responsabilità delle forze politiche che, pure caratterizzate da forti divergenze programmatiche, hanno saputo dare priorità, in una fase di emergenza, all'interesse generale del Paese.
E lo si deve anche alla grande maturità degli italiani,che hanno mostrato di comprendere che vale la pena di sopportare sacrifici rilevanti, purché distribuiti con equità, per evitare il declino dell'Italia o, peggio, una sorte simile a quella della Grecia.
E dopo le elezioni? Certo, torneranno governi «politici», come è naturale (perfino in Giappone, ho dichiarato che il sottoscritto sparirà e che il «montismo» non esiste!). Ma ritengo che ciò non debba essere visto come un rischio.
Le forze politiche sono impegnate in una profonda riflessione al loro interno e, in dialogo tra loro, lavorano a importanti riforme per rendere il sistema politico e istituzionale meno pesante e più funzionale.(...)


L'integrale della lettera di Monti sul sito del Corriere della Sera

mercoledì 21 dicembre 2011

Per Crescere Non Bisogna Arroccarsi (da LaStampa)


L'editoriale di Stefano Lepri apparso oggi mi pare svolga considerazioni ampiamente condivisibili: il grassetto (mio) sottolinea alcuni punti che dovremmo tenere in conto nella discussione - partita malissimo - su riforma del lavoro e articolo 18. Aggiungo altri due link: le riflessioni di Cesare Damiano sul modello danese, e una video-intervista a Pietro Ichino.

Francesco Maria 

(...) Occorrono cambiamenti profondi. Gli imprenditori dovrebbero riconoscere che una buona parte del ristagno di produttività, dopo anni di moderazione salariale, dipende da loro; oltretutto i licenziamenti, secondo l’indice Epl dell’Ocse, non sono da noi più difficili che in Germania o in Francia. I sindacati dovrebbero ammettere di non saper proporre nulla di valido per i giovani. Davvero, nella Cisl come nella Cgil, si pensa che i precari possano essere sedotti dallo slogan «un’ora di lavoro a termine pagata quanto un’ora di lavoro fisso»?


Da una parte occorre affrontare il problema dei giovani: e i sindacati devono spiegare per quali esatti motivi non gradiscono il contratto di lavoro unico che il governo Monti sta studiando, e che a molti giovani appare attraente. Per incentivarli alla sincerità, la questione dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori andrebbe momentaneamente separata. La tutela contro i licenziamenti nelle aziende sopra i 15 addetti non costituisce né un freno alla produttività né un freno alla crescita dimensionale delle imprese (lo provano i dati Istat, scrutinati a fondo dalla Banca d’Italia: nessun anomalo affollamento di imprese sotto quella soglia).


Se la materia licenziamenti va rivista, è casomai per un altro motivo. L’economia italiana deve affrontare una massiccia ristrutturazione dei processi produttivi. Sarà purtroppo necessario ridurre l’occupazione in molte aziende; un gran numero di persone dovrà spostarsi da un lavoro a un altro. Innanzitutto servirà una indennità di disoccupazione robusta ed estesa a tutti, ed è da qui che la discussione deve cominciare. Inoltre occorre dare credibili speranze che l’economia si rimetta in moto, generando posti di lavoro altrove per sostituire quelli distrutti: un pacchetto massiccio di liberalizzazioni in ogni settore darebbe il contributo migliore.(...)


Vedi anche: 


lunedì 7 novembre 2011

"Per l'Italia un lavoro solidale di tutte le parti sociali" (Bernabè sul Corriere)


L'intervista che Franco Bernabè ha rilasciato oggi al Corriere è molto interessante, per due motivi:

1. si segnala ancora una volta la necessità di un ripensamento in tempi strettissimi del ruolo della BCE, ormai punto necessario di un "rottura" dell'ordinamento costituzionale europeo, che costringa i governi europei a dare una soluzione politica alla crisi finanziaria: una Banca, una Europa.

2. è motivo di riflessione la difesa del metodo della concertazione: sono necessarie riforme radicali dell'ordinamento economico e politico italiano, ma questo paese deve costruirle con un percorso il più possibile unitario; non è possibile aprire in questo momento una fase di conflitto. La politica deve saper ridefinire un nuovo patto sociale; un patto, comunque; quindi non la vittoria di una parte del paese contro l'altra, non il prevalere di una generazione contro l'altra. I veri riformatori non gridano contro parti della società, ma costruiscono.

Soprattutto su questo punto è il caso di riflettere, in un momento in cui ogni cittadino rischia di convivere con la paura: è necessario che la politica ritrovi la capacità di raccontare il senso del nostro stare assieme. 

Può sembrare paradossale, ma oggi i tecnici e i grand commis sembrano più consapevoli dei politici della necessità di dire parole di unione e non di divisione. 

Francesco Maria


(...) «La crescita non viene da ricette miracolose. Non dalla vendita delle caserme, dalla patrimoniale o dalla soppressione dell`articolo 18. C`è una domanda interna da salvaguardare. E la ripresa non verrà nemmeno dalla ricerca di una contrapposizione tra sedicenti riformisti e presunti conservatori. Verrà da un vasto numero di riforme strutturali, dal duro lavoro giorno per giorno, e dalla condivisione di questa fatica tra le persone e ì ceti sociali che il governo deve favorire dando anzitutto esempi di serietà e poi costruendo l`unità del Paese. Giusto per capirci in Telecom gli accordi li ho fatti anche con la Cgil. E sono buoni accordi: riduzione dei costi e difesa del potere d`acquisto delle persone»



Meglio la concertazione di Ciampi delle sfide di Marchionne? 
«Ciampi ha salvato l`Italia e l`ha portata nell`euro. L`Italia non ha bisogno di contrapposizioni ideologiche ma di un lavoro solidale di tutte le forze sociali» (...)

Come mai il Giappone, che un debito pari al doppio del Pii e una crescita inferiore a quella italiana, vive sereno? 
«Perché il risparmio giapponese, elevatissimo, è investito nei titoli del proprio Paese e tutti sanno che, ove occorresse, la Bank of Japan stamperà tanti yen quanti servono a battere la speculazione. Lo stesso possono fare la Federal Reserve e la Bank of England. La Bce no».

I Trattati lo impediscono.
«È così, ma Roosevelt diceva che quando la casa del vicino brucia non gli chiedi un deposito cauzionale sull`idrante ma corri a spegnere l`incendio se non vuoi che bruci anche la tua. I Trattati andranno interpretati in attesa di aggiornarli»


Facile a dirsi. Ma che fare? 
«Ci vuole un governo credibile almeno sul medio periodo, perché la crescita avrà bisogno di tempo, e capace di negoziare autorevolmente con gli altri Paesi per convincere la Germania che è necessario avere un vero prestatore di ultima istanza che assicuri la necessaria liquidità ai debiti pubblici» (...)