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giovedì 17 marzo 2022

Rischio sul fianco Sud (Formiche.net)

"Il rischio è quello di una grande operazione distrazione. Mentre la guerra russa in Ucraina scuote l’Europa sul fianco Est, i riflettori del mondo si spengono sul fianco Sud. E invece anche a Sud, nel Mediterraneo allargato, il bacino strategico che va da Gibilterra all’Iran, l’onda lunga della guerra si fa sentire. A suonare un campanello d’allarme è il generale Claudio Graziano, presidente del Comitato militare europeo (...)"

 https://formiche.net/2022/03/ucraina-minaccia-sud-graziano/

sabato 12 marzo 2022

le linee rosse

Due rischi, che possono anche essere "linee rosse" che se oltrepassate da Putin possono indurre NATO e UE a superare la posizione attuale e passare a scelte ancora più impegnative, se non a un vero e proprio "ingresso in guerra":

- utilizzo armi chimiche nel conflitto

- maggiore intensità degli attacchi, che porti di fatto a pressione abnorme di profughi verso i paesi occidentali.

venerdì 11 marzo 2022

Chiarezza sul nucleare nella guerra in corso

Indipendentemente da come la si pensi sull'utilizzo dell'energia nucleare, è benvenuto un approfondimento che tenta di rispondere alle paure di questi giorni 

"(...) Riteniamo opportuno, in questi tempi incerti e in cui le notizie si rincorrono molto velocemente su tutti i mezzi di informazione, chiarire alcuni dubbi, ricostruire le dinamiche degli eventi alla luce dei bollettini rilasciati dagli organismi internazionali, e dare una risposta razionale alle paure che si stanno diffondendo tra i cittadini. (...)
 https://nucleareeragione.org/2022/03/10/situazione-in-ucraina-facciamo-chiarezza/

lunedì 7 marzo 2022

Molte guerre, molti compromessi

Forse possiamo evitare di dividerci tra "interventisti" e "pacifisti". Ci sono molti modi di intervenire / fare la guerra, ci sono molte possibilità di "compromesso". Ci sarà probabilmente un mix delle due cose. È bene anche per noi che l'Ucraina resista più che può, ma noi dobbiamo muoverci contemporaneamente su più fronti. Fermare Putin è prioritario, i modi e i prezzi da pagare, e i compromessi accettabili possono essere diversi. Probabilmente un passo in più dentro questa guerra prima o poi dovremo farlo, ma senza ardore, senza inutile retorica. Facciamo ciò che è realmente necessario.

lunedì 28 febbraio 2022

Via d'Uscita

la relazione annuale del Dis (Formiche.net)

"(...) L’infrastruttura metanifera italiana permette però di attutire l’impatto, almeno nel breve periodo, di eventuali shock della supply chain come quello che si profila nelle prossime settimane dopo le sanzioni a Mosca. “Il sistema infrastrutturale italiano rispetta la cd. formula N-1, ossia la capacità di soddisfare, grazie alla ridondanza, livelli di domanda molto elevati anche in caso di interruzione della principale infrastruttura di importazione, ossia del gasdotto che trasporta i flussi in arrivo dalla Russia fino al punto di ingresso di Tarvisio e che, nel 2021, ha veicolato il 38% del fabbisogno nazionale”.(...)"

https://formiche.net/2022/02/007-rapporto-relazione-dis/

sabato 26 febbraio 2022

Putin ha preteso troppo?

Guido Olimpio su Fb:

"Putin è salito sull'albero, puntando al ramo più alto. Può restarci, può cadere. Magari sarebbe utile anche pensare di trovare una scala per "aiutarlo" a scendere. Una via d'uscita che però deve pagare. Nulla è gratis dopo quello che ha fatto. Ammesso che capisca. 
ps: il volume di informazioni divulgato da intelligence Usa in queste settimane e confermato dai fatti è la prova che hanno buone fonti nel potere russo. E probabilmente aldilà dei numeri di tank o divisioni hanno ben di più.
La mia è una semplice ipotesi."

https://www.facebook.com/100000597164309/posts/5479721495391035/

Leggi anche:
"(...) In un simile quadro, la guerra in Ucraina potrebbe trasformarsi in un boomerang per la Russia e colpire il Cremlino due volte. Dal basso, con l’insoddisfazione di un popolo costretto ad altri e più gravi sacrifici e, magari, anche ad accogliere le bare di tanti giovani soldati. Ma anche dall’alto.(...)"

https://www.osservatoriorussia.com/2022/02/25/la-guerra-e-realta-ma-a-mosca-son-tutti-daccordo/

"(...) Arrivati a questo punto, però, la sua eredità geopolitica (anche tralasciando i giudizi morali) potrebbe essere ben peggiore di quella paventata: l’isolamento totale della Russia, il tracollo di una semi-ideologia e un impoverimento che annulla i successi economici del primo decennio putiniano. E la NATO che forse esce dalla porta (Ucraina) ma rientra dalla finestra baltica (Svezia e Finlandia sempre più tentate di entrare). Ne valeva la pena? Ai posteri l’ardua sentenza, ma scommettiamo che non sarà clemente. (...)"

https://www.osservatoriorussia.com/2022/02/25/una-guerra-che-la-russia-non-puo-davvero-vincere/



 

mercoledì 23 febbraio 2022

A Margine Ma Non Troppo

A margine, ma non troppo, della discussione su Russia e Ucraina.

Lo stato di guerra non è necessariamente legato a carri armati, bombe e simili. Si è in stato di guerra quando la sfida è "esistenziale", e l'avversario si dà come "nemico totale". Spesso la situazione è ambigua, e si può tentare di non trasformare in guerra ciò che è solo "conflitto territoriale" (o economico, o comunque "settoriale"); il problema è che se il "nemico" è tale, non ci sarà mossa dilatoria che tenga, prima o poi il conflitto si farà "esistenziale". 

Detto ciò, "prima" o "poi" può fare la differenza, e non da poco, e anche qui non è semplice stabilirlo. Combattere prima può servire a bloccare la minaccia nascente, ma al tempo stesso i prezzi richiesti da una guerra fatta troppo presto possono apparire ingiustificati all'opinione pubblica. Combattere troppo tardi può "servire", perché si rende più evidente la necessità del sacrificio, ma appunto può essere molto più oneroso, e naturalmente maggiormente rischioso. 

Ogni "tensione" fa storia a sé, e per questo non valgono i richiami storici troppo facili: non sempre vale la troppo facile dicotomia Chamberlain contro Churchill, sia perché ci sono tanti modi di cercare un accordo, e tanti modi di fare una guerra, ma anche perché, per quanto detto prima, Churchill (e la sua durezza) forse fu accettato anche perché si tentò fino in fondo di trovare un accordo, e poi di fronte all'ineluttabile si accettò il conflitto. 

Ultima nota, nel caso specifico è essenziale tenere conto che c'è una sfida anche "interna" alle democrazie occidentali: Putin (se è solo lui a decidere, se è in grado di decidere, se è "compos sui", ma comunque: "lui e la sua cerchia") probabilmente aspira anche a essere punto di riferimento per forze occidentali, e vuole sconfiggere un'idea di democrazia liberale, che è innervata - pur con forti contraddizioni - nella storia dell'Unione Europea e della NATO. Su questo appare capace di "influenzare" pesantemente anche parti dell'opinione pubblica occidentale, mettendo a rischio la stabilità delle democrazie.

Anche e forse soprattutto per questo la sfida rischia di diventare - al di là delle mosse diplomatiche e tattiche - "esistenziale".

#Ucraina #Russia #USA #UE #NATO

(post originariamente pubblicato su Fb) 

domenica 13 febbraio 2022

Sulla crisi Ucraina - Russia e la possibile guerra

Da "pseudo analista dilettante da weekend" qualche considerazione:

Al momento Putin pare aver fallito il suo obiettivo principale, spaccare Nato e Unione europea. Poi magari potrebbe proprio per questo tentare di andare oltre e invadere anche con esercito regolare l'Ucraina, ma si spera prevalga calcolo "realista".

(Certo, esistono poi anche i mezzi "non convenzionali" con cui Russia da tempo gestisce la sua influenza su aree diverse del mondo, lo ricordava ieri Marta Ottaviani al tg3).

Sullo sfondo: Russia - Cina - USA, rapporto a tre non banale e con vicinanze e dialettica non scontate, al di là delle apparenze. Pechino ora forse "vicina" a Mosca, ma con freno tirato, senza entusiasmo. E Washington forse lo sa. 

E l'Europa forse, finalmente, comincia a "svegliarsi". Anche se il percorso è molto lungo. 

venerdì 19 luglio 2019

Von der Leyen: “L'Europa dialoghi con la Russia ma da una posizione di forza” (laStampa)

Mi sembra intervista interessante, da molti punti di vista.

FMM

"(...) Dalla necessità di un “nuovo inizio” sul tema delle migrazioni alla volontà di «sfruttare meglio i margini offerti dalla flessibilità» per ciò che riguarda i criteri del patto di stabilità e di crescita, la presidente von der Leyen si annuncia come un’interlocutrice attenta alle preoccupazioni italiane. Non solo si oppone a qualsiasi forma di Ital-Exit, ma riconosce che «le differenze tra Sud e Nord dell’Europa, così come quelle tra Est e Ovest, vanno ricomposte evitando un’eccessiva emotività nel dibattito, che possa far sentire esclusi o respinti alcuni degli Stati membri».  Anche sul caso che ha contrapposto il vicepremier italiano Matteo Salvini a Carola Rackete si è mostrata attenta a pesare le parole: «In tutto il mondo il dovere è salvare le persone dall’angoscia di trovarsi in alto mare, ma questo non significa che tutti debbano venire in Europa».

Pur riconoscendo che su alcuni dossier non è ancora in grado di offrire soluzioni e proposte – prima su tutte la questione catalana, che «intende approfondire in tutti i suoi dettagli» – von der Leyen ha assicurato che ascolterà molto e cercherà un approccio comprensivo nella soluzione dei problemi. Vale anche per Brexit: «L’accordo non è morto, se ci sono buone ragioni che il governo britannico vuole offrire all’Ue per un’estensione dei suoi termini, sono pronta ad ascoltarle». Le maggiori cautele le ha espresse a proposito della Russia di Vladimir Putin: «La Russia è nostra vicina e resterà la nostra vicina – ha detto - ma l’esperienza degli ultimi anni ci dice che il Cremlino non perdona alcuna debolezza, quindi l’Europa deve essere disponibile al dialogo da una posizione di forza». Trasparenza e contrasto alle fake-news: «Questa è la forza dei paesi liberi con la stampa libera».

La versione integrale dell’intervista concessa dalla Presidente Ursula von der Leyen alla Stampa e ad altri quotidiani europei (The Guardian, Le Monde, Sueddeutsche Zeitung e La Vanguardia) sarà disponibile nell’edizione di domani, 20 luglio."

https://www.lastampa.it/esteri/2019/07/18/news/von-der-leyen-l-europa-dialoghi-con-la-russia-ma-da-una-posizione-di-forza-1.37105568

domenica 14 luglio 2019

Se il sovranismo ci lascia indifesi (ilGiornale, A.Sallusti)

Non seguo molto Sallusti e ilGiornale, e quel poco che ho letto di suo - se ben ricordo - non mi è mai piaciuto. Finora. Mi sembra un interessante "segno dei tempi" che oggi mi trovi a condividere un suo articolo; perché il pericolo che corriamo in questo periodo è qui ben detto, in modo chiaro e sintetico. E non è una questione di corruzione (tutta da dimostrare, ed è questione che va lasciata alla magistratura e alle indagini), ma di una più evidente debolezza politica, a cui di fatto il cosddetto "sovranismo" rischia di condannarci. 

Indipendentemente da cosa si pensi di altre questioni politiche e dai diversi posizionamenti partitico-ideali, questa debolezza deve preoccuparci. 

Tutti.

FMM

"(...) Penso che stiamo sperimentando - ma è solo l'inizio - quanto sia pericoloso e stupido il sovranismo, per di più all'amatriciana come non può che essere quello italiano. Un Paese che non appartiene a nessuna alleanza, che non ha amici e avversari chiari, è destinato inevitabilmente a essere in balia degli interessi di tutti. Un gioco sporco e senza scrupoli, fatto di ricatti, misteri e intrighi che alla lunga non potranno che logorarci e tenerci costantemente in una sorta di limbo a tutto vantaggio dei vicini di casa. Con Putin ma anche con il suo rivale Trump; con Trump ma anche con la sua acerrima nemica Cina, alla quale abbiamo aperto la Via della seta; contro l'Europa ma anche con l'Europa quando si tratta di spartire le poltrone. (...)"

domenica 9 giugno 2019

Riprendere in mano il dossier libico

"(...) Di Libia occorre tornare ad occuparsene, a rendere l’argomento nuovamente tra le priorità dell’agenda italiana. “Sono tanti i motivi per farlo – sottolinea Michela Mercuri – Il momento attuale impone un’iniziativa da parte nostra in grado di poter dare un impulso decisivo alla risoluzione della vicenda. In primo luogo c’è un’impasse da parte di tutti i principali attori internazionali, a partire dall’inviato Onu Ghassan Salamé, che nei mesi scorsi punta tutto sulla conferenza nazionale poi saltata per via della guerra”.

“L’Italia dovrebbe riprendere i contatti con le varie diplomazie – prosegue poi la docente – dalla Russia con cui abbiamo un buon rapporto e che sostiene Haftar, fino agli stessi Stati Uniti i quali formalmente appoggiano il governo di Al Sarraj ma dialogano con Haftar e sono partner dei sostenitori del generale. Noi, mancando un’azione comune di Nazioni Unite ed Europa, potremmo tornare ad essere promotori di un’iniziativa internazionale anche con il coinvolgimento francese. O si fa così oppure continuiamo ad aspettare alla finestra, ma questo non possiamo permettercelo”.

E poi c’è anche la questione, anche questa finita nel dimenticatoio, del consolato di Bengasi: “Lo chiedono gli stessi cittadini della Cirenaica – prosegue Michela Mercuri – Dovremmo aprire una sede diplomatica anche nell’est del paese, il consolato doveva essere operativo già ad aprile ma poi è saltato tutto ed ora non si sa molto sulle iniziative future. L’Italia è già presente nell’ovest della Libia, con una sede diretta dal bravo ambasciatore Giuseppe Buccino Grimaldi ed è l’unica occidentale a Tripoli. Adesso dobbiamo fare la stessa iniziativa anche a Bengasi, è fondamentale per il nostro ruolo in Libia”.(...)"

https://it.insideover.com/politica/litalia-riprenda-in-mano-il-dossier-libico-il-nostro-paese-rischia-grosso.html

domenica 26 maggio 2019

L’intelligence deve monitorare il disagio sociale

Interessante, anche per relativizzare (senza cancellare) i timori sulle fake news

"(...) Monitorare il disagio sociale secondo me è fondamentale per l’intelligence e le forze di polizia, perché da questione di ordine pubblico potrebbe presto sfociare in problema di sicurezza nazionale. L’anno scorso un quinto dei nostri connazionali si è indebitato per acquistare le medicine, la stabilità economica viene conseguita in media a 44 anni, pletore di laureati si spostano in altri Paesi definitivamente, centinaia di migliaia di giovani non studiano e non lavorano, la distanza tra Nord e Sud si allarga, la presenza della criminalità nell’economia è alta, sopratutto in alcuni settori come l’edilizia e i lavori pubblici. A questo si aggiunga che il reddito di tante famiglie è integrato dalle pensioni dei nonni. E sullo sfondo, non tanto lontano, l’intelligenza artificiale ridurrà un numero imprecisato di posti di lavoro – sopratutto nella prima fase di transizione – e il potere di acquisto per i cittadini delle società occidentali sarà destinato a diminuire. Pertanto, nella mia opinione, il disagio sociale è inevitabilmente destinato ad aumentare, per cui sarebbe necessario adottare soluzioni strutturali e non a breve termine. Partire da questa consapevolezza significa porre le reali premesse per valorizzare le straordinarie risorse di un grande paese industriale che è anche la prima potenza culturale del pianeta.(...)"

https://formiche.net/2019/05/disagio-sociale-fake-news-elezioni-europee-sfida-politica-intelligence-caligiuri/

venerdì 24 maggio 2019

Manca poco alla conquista di Tripoli da parte di Haftar?

Manca poco alla conquista di Tripoli da parte di Haftar? O sono colpi di "creazione stato di fatto ante-accordi"? Comunque un'eventuale "pace" sarebbe fragilissima. Prepararci al peggio, sperando che l'Europa che viene in qualche modo sia più protagonista (ma dobbiamo esserlo noi, innanzitutto)

FMM

Haftar a Parigi
https://specialelibia.it/2019/05/23/haftar-a-parigi-e-lingresso-delllna-a-tripoli-potrebbe-essere-questione-di-ore/

Il bombardamento di poche ore fa
http://www.ansa.it/amp/sito/notizie/mondo/2019/05/24/libia-raid-aereo-di-haftar-su-parlamento-dellest-_ddcc3598-ea55-4519-9768-d4942a30dddb.html

domenica 19 maggio 2019

Haftar a Roma rilancia le opzioni italiane nella crisi libica (AnalisiDifesa)

"(...) “La situazione è complessa, confidiamo nella via politica come unica soluzione” ha detto Conte ai cronisti senza sbilanciarsi su quanto espresso da Haftar. Anche se il generale non ha offerto spazio all’ipotesi di tregua (esclusa il 13 maggio dal ministro degli Esteri di Tobruk, Abdulhadi Ibrahim Iahweej) la sua visita a Roma  conferma che il successo militare non è attualmente un’opzione credibile. Benché il suo Esercito Nazionale Libico abbia aperto un nuovo fronte vicino a Sirte con l’obiettivo di deviare da Tripoli alcune brigate di Misurata oggi schierate a difesa della capitale, è evidente che il blitz contro Tripoli scatenato a inizio aprile è fallito e la guerra di logoramento in atto ora non sembra risolvibile sul piano militare.Sembrano essersene accorti anche gli sponsor principali di Haftar. La Russia, fin da subito scettica circa le possibilità di successo dell’attacco a Tripoli, sostiene con Roma la necessità di cercare soluzioni politiche mentre anche Egitto e soprattutto Emirati Arabi Uniti sembrano voler assumere un profilo più defilato. Proprio gli emirati, con le forniture di armi e munizioni e probabilmente anche con il sospetto impiego dei loro droni di costruzione cinese schierati in Cirenaica e impiegati per colpire di notte a Tripoli le postazioni delle milizie fedeli ad al-Sarraj, hanno offerto un contributo determinante all’attacco alla capitale. Il generale ha dimostrato di tenere inconsiderazione il ruolo dell’Italia, confermatasi partner indispensabile per tutti i protagonisti della crisi libica al punto che secondo alcune fonti Conte avrebbe fatto notare al suo interlocutore che il sostegno di molti Paesi stranieri potrebbe non essere eterno. Non a caso lo stesso giorno in cui Conte ha visto Haftar l’ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Buccino ha incontrato a Tripoli il ministro dell’Interno del GNA, Fathi Bashaga. Buccino, a cui, ha espresso l’appoggio dell’Italia al governo di Accordo nazionale. Il 14 maggio il ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, ha dichiarato che il presidente Emmanuel Macron vuole incontrare il maresciallo Khalifa Haftar per premere verso un cessate-il-fuoco e riprendere i colloqui di pace in Libia. (...)"

sabato 18 maggio 2019

Haftar e Italia

"(...) “L ‘Italia prosegue nella sua strada di mediazione tra le parti” afferma l’editorialista e analista Michela Mercuri, docente di Storia Contemporanea dei Paesi mediterranei ed esperta di Libia.
Cambio di alleanze in vista in Libia?
L’Italia guarda da un lato a Tripoli, area in cui ha i suoi interessi energetici e quelli legati al flussi migratori, dall’altro lato le nostre intelligence hanno da tempo un canale aperto con Haftar. Fare valere la nostra posizione nel l’ovest, con l’Ambasciata a Tripoli, e i rapporti con Misurata dove abbiamo un ospedale da campo, potrebbe essere la carta per agganciare di più Haftar e suoi alleati.
Strategia in atto?
Non seguire pedissequamente gli americani come fatto nel 2011 ma “contrattare ” con gli alleati di Haftar facendo valere questo nostro ” valore aggiunto”, aprendo ai russi e soprattutto agli attori del golfo che sponsorizzano le fazioni sul terreno
Haftar al posto di Serrraj?
Non credo ci sia un accordo fra Roma e Haftar che preveda la esclusione degli attori dell’ovest. Vista la posizione sul terreno di Haftar è più logico credere che potrebbe, suo malgrado, accettare un accordo che gli salvi la faccia trovando un minimo intesa con i misuratini
Perché finora il Feldmaresciallo non ha sfondato sul fronte di Tripoli?
Non ha il consenso della popolazione di Tripoli e dei misuratini che si sono dimostrati molto più decisivi di quanto lui stesso potesse immaginare. Forse è stato mal consigliato dai suoi alleati sauditi ed Emirati, che gli avevano garantito una avanzata più “agile”. Da più di un mese è in una fase di stallo. Le vittime aumentano e con esse l’astio dei tripolini. In queste condizioni conquistare Tripoli è assai improbabile.(...) "

Poche ore per Haftar?

"(...) Gli scenari, quindi, sono due. O una recrudescenza delle ostilità, con un incremento consistente di attacchi dell’LNA a sud di Tripoli; oppure una situazione “congelata”, come si sta verificando da alcuni giorni, in cui le truppe di Haftar e quelle di Sarraj si combattono moderatamente. Qualche segnale su cosa accadrebbe, peraltro, arriva dalle forze di Bengasi. Un portavoce del contingente ha fatto sapere che è stata completata circa il 70% della fase due dell’operazione e che adesso si sta lavorando per “raccogliere informazioni”. Tradotto, gli assetti sono fermi fino a nuovo ordine. Con il Generale, però, non si può mai sapere. L’uomo forte della Cirenaica, infatti, adora i coup de theatre. Perciò, non si può escludere nemmeno un’improvvisa accelerazione delle manovre a sorpresa."

giovedì 16 maggio 2019

Guai economici, conflitti etnici, e spopolamento: la Russia fa più pena, che paura(Massimo Nava su Linkiesta)

Interessante Massimo Nava. Chissà se sul medio lungo periodo questo può portare a un cambio di politica e un avvicinamento alle ragioni "europee"
FMM

"(...) Nonostante l’apparente adesione ai movimenti populisti e xenofobi e a modelli nazionalisti la Russia di oggi vive in modo drammatico le stesse contraddizioni delle società europee che pretenderebbe di condizionare. E le soluzioni non sono molto diverse. Si chiamano welfare e immigrazione se il grande nemico è la demografia con i suoi alleati (stili di vita, emancipazione della donna, crisi economica). In Russia il flusso migratorio è fortemente controllato ma abbastanza incoraggiato per coprire servizi e lavori che i giovani russi non vogliono fare. Soprattutto in taxi, alberghi e ristoranti, basta osservare volti e tratti del personale. Gli abitanti in più della Russia futura saranno ucraini, uzbeki, moldavi e prima o poi cinesi."

sabato 13 aprile 2019

Libia: Cosa Fa Il Figlio Di Gheddafi?

"(...) Secondogenito di Muhammar, erede designato o quasi del padre, più volte Saif viene indicato come colui che appare destinato a continuare a portare avanti il nome dei Gheddafi nel mondo politico libico. Non si vede in pubblico dal giorno della cattura nel sud della Libia nel 2011, condannato a morte e poi graziato, Saif negli ultimi mesi fa sentire la sua voce solo tramite emissari. Da quando è però iniziata la battaglia per la presa di Tripoli, il suo silenzio è diventato ancora più forte e, per questo, anche più rumoroso. (...) "

mercoledì 11 aprile 2018

Facebook e la guerra di potere (C.Blengino, ilPost)

In attesa che la tensione internazionale attorno alla Siria si concretizzi (forse già nelle prossime ore?) in una qualche azione dai contorni probabilmente "ambigui" (come sempre più spesso avviene nelle guerre, si inizia, non si sa come si continua, si fa qualcosa per non stare fermi, si osa ma non fino all'inverosimile; in questo senso queste crisi mettono sempre più in evidenza una sorta di "impotenza generalizzata" che confina, nella pratica, con una ricerca di "non-vittoria" per nessuna delle parti, di cui già in passato abbiamo avuto segni), si può guardare a un'altra partita, per certi aspetti più "vicina" e forse non mano importante.

Segnalo in questo senso una riflessione, apparsa sul Post, che mi pare centrare meglio di altre  - sia pure in termini che naturalmente possono e devono essere discussi - la questione sottostante la battaglia attorno agli scandali su Facebook e social network in generale.

Buona lettura

Francesco Maria Mariotti

***

"Parto da lontano, da un articolo apparso su The Foreign Affairs oltre 30 anni fa a firma George P. Shultz, all’epoca Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America.
L’articolo dal titolo Shaping American Foreign Policy: New Realities and New Ways of Thinking è del 1985: c’era Reagan e la guerra fredda e il termine social network era probabilmente relegato in qualche libro di sociologia; non c’era il web e dunque non c’era ciò che oggi i più identificano con internet, ma internet c’era e c’erano i computer.

Nella parte finale dello scritto (la parte V) Shultz lega le politiche neoliberiste della presidenza Reagan a quello che appariva, in America, come l’onda impetuosa della società dell’informazione: la rivoluzione digitale e il neoliberismo della “reaganomics” sarebbero diventate la più temibile arma di espansione degli Stati Uniti nel mondo.(....)

Nel 1985 (in realtà sin dagli anni ‘60) in America avevano ben chiaro che la rivoluzione digitale sarebbe stata una questione non solo tecnologica, di efficienza e di mercato, ma soprattutto una questione di potere. Avevano chiaro che con internet, disporre e controllare grandi quantità di dati e possedere capacità di calcolo sarebbe diventata un’arma globale in grado di erodere e modificare i centri del potere, economico e statuale.

La scelta di delegare questo potere alle proprie imprese commerciali liberando e sfruttando il loro potenziale grazie all’architettura aperta della rete è stata una scelta politica, lucida e consapevole. E vincente.
Non ci si può stupire oggi del ruolo che Facebook, Google ed in generale delle tech company americane esercitano in Europa e non solo. Capire il valore delle tecnologie digitali voleva dire sin dall’origine cogliere se non l’esistenza di un nuovo potere, certamente intuire la profonda mutazione nell’esercizio del potere, tanto economico quanto sociale. I nostri politici temo non l’abbiano capito neanche oggi, mentre starnazzano contro Facebook.

Buona parte del manifesto di Shultz si è realizzata.

L’Europa ha commesso esattamente l’errore preconizzato nell’articolo: negli ultimi trent’anni, per ragioni astrattamente condivisibili, dalla tutela della proprietà intellettuale alla (parziale e inefficace) protezione dei dati personali sino alle politiche fiscali, si è da subito tentato di governare e regolamentare il flusso di dati e contenuti, e nel far ciò si è ottenuto un unico risultato: deprimere e comprimere le imprese europee che operano sul web avvantaggiando le imprese statunitensi. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.

La colonizzazione di quel territorio globale che è l’infosfera si è realizzata come pianificato e quella “sfida al concetto stesso di sovranità nazionale ed al ruolo dei governi nella società” preconizzata da Shultz oltre 30 anni fa emerge evidente nello schizofrenico dibattito su fakenews e propaganda, sui giganti del web, su Facebook nel caso Cambridge Analytica ed in generale sul ruolo dei social network e dei BigData.

Dove Shultz ha sbagliato è nell’ottimistica previsione del “dilemma del dittatore”, nella visione di internet come salvifico veicolo di democrazia.

Gli stati autoritari, liberi da vincoli costituzionali, hanno infatti colto meglio e prima di altri le opportunità di propaganda e controllo di massa offerti dalla rete e dalla digitalizzazione, sfruttando efficacemente il potere dei dati per consolidare i loro regimi. Non è un caso se sul tema della disinformazione aleggia sempre, a torto o a ragione, lo spettro di Putin.

Gli stati democratici si stanno organizzando, ma soffrono inevitabilmente di maggiori vincoli. 

Il potere conferito dalla rivoluzione digitale, ben chiaro a Shultz, è saldamente nelle mani (rectius, nei server e nelle macchine) delle imprese commerciali (prevalentemente statunitensi) ed è un potere ben superiore a quanto ipotizzabile nel 1985, prima che il web, gli smartphone e l’internet delle cose producessero la capillare digitalizzazione delle nostre vite e la capacità di calcolo raggiungesse l’attuale potenza.

Oggi la stessa delega di potere scientemente conferita dal governo degli Stati Uniti alle proprie imprese vacilla.
L’immagine dei rappresentanti di Facebook, Twitter e Google in piedi che giurano davanti alla Commissione del Senato USA nel 2017 per il Russiagate ne è forse la rappresentazione più evidente: anche negli USA qualcosa sta cambiando.

E il fatto che la guerra alle grandi piattaforme sia esplosa, anche in America, sul tema artefatto e strumentale delle fakenews la dice lunga.

Stiamo assistendo da tempo, e in questi giorni con toni parossistici nei confronti di Facebook, ad una guerra di potere che temo abbia poco o nulla a che fare con la difesa dei diritti fondamentali dei cittadini.
Gli Stati stanno solo tentando di controllare e sfruttare i medesimi dati abilmente generati e “lavorati” dalle tech company per fini commerciali e di recuperare un divario di potere che loro stessi, più o meno consciamente, hanno generato.(...)"