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giovedì 16 maggio 2019

Guai economici, conflitti etnici, e spopolamento: la Russia fa più pena, che paura(Massimo Nava su Linkiesta)

Interessante Massimo Nava. Chissà se sul medio lungo periodo questo può portare a un cambio di politica e un avvicinamento alle ragioni "europee"
FMM

"(...) Nonostante l’apparente adesione ai movimenti populisti e xenofobi e a modelli nazionalisti la Russia di oggi vive in modo drammatico le stesse contraddizioni delle società europee che pretenderebbe di condizionare. E le soluzioni non sono molto diverse. Si chiamano welfare e immigrazione se il grande nemico è la demografia con i suoi alleati (stili di vita, emancipazione della donna, crisi economica). In Russia il flusso migratorio è fortemente controllato ma abbastanza incoraggiato per coprire servizi e lavori che i giovani russi non vogliono fare. Soprattutto in taxi, alberghi e ristoranti, basta osservare volti e tratti del personale. Gli abitanti in più della Russia futura saranno ucraini, uzbeki, moldavi e prima o poi cinesi."

martedì 17 giugno 2014

Argentina Chiama Europa? Ancora Rischio Default?

Fra pochissimo l'Argentina potrebbe di nuovo tornare sulle nostre prime pagine come protagonista negativa di una crisi finanziaria. La speranza è che si trovi una soluzione alternativa che riesca a convincere i creditori che non avevano aderito a precedenti soluzioni e che hanno ottenuto da un tribunale americano sentenza favorevole a un pagamento immediato dei debiti (in un articolo del Sole si ipotizzava un accordo extragiudiziario).

Al di là dei passaggi tecnici, di nuovo appare sulla scena il timore di un default per il paese sudamericano.

E per noi? Lo spettro del default - sia pure per dinamiche diverse da quelle argentine - è cosa superata?

Sì e no, mi pare il caso di dire, da inesperto: sì, potremmo dire che un rischio specifico per l'Italia come "sorvegliato speciale" si sia molto ridotto; no, perché in realtà il problema della compatibilità fra gestione del debito pubblico e scenari politici accettabili per le democrazie occidentali, rimane aperto, per noi e per tutta l'Europa.

Ne parla ampiamente il sempre interessante Mario Seminerio in un articolo che propongo alla lettura.

Ritorna il problema di un'azione più incisiva della Banca Centrale Europea? Ma allora è necessario che l'Europa decida di essere qualcosa di diverso

Sarebbe meglio fare passi in avanti prima di arrivare ancora sul ciglio del burrone.

FMM

(...) In Eurozona, oltre al credit crunch bancario, abbiamo un eccesso di debito privato che di fatto non è ancora neppure stato scalfito. Anzi, la profondità della recessione ha messo pressione a questi rapporti di indebitamento. Ad esempio, il debito privato portoghese, in percentuale del Pil, è passato dal 226,4% del 2009 al 220,4% di fine 2013. E’ evidente che, con simili numeri, cercare crescita è puramente velleitario. Non solo: sempre in modalità “è nato prima l’uovo o la gallina?”, l’alto rapporto di indebitamento contribuisce a tenere depressa la crescita, che a sua volta mette pressione al rialzo all’indebitamento medesimo, almeno sin quando non si giunge al punto di rottura e scoppiano i default, personali ed aziendali.

Che a loro volta impattano pesantemente sui conti pubblici. Il tutto viene ulteriormente amplificato dalle pressioni disinflazionistiche/deflazionistiche necessarie al processo di aggiustamento europeo. Secondo Münchau (ed anche secondo il buonsenso), il rischio che si giunga a default per evitare sollevazioni popolari ed esiti elettorali “irrazionali” è destinato a crescere.
Da qui tutte le trasformazioni al quadro istituzionale che stiamo vivendo in Europa, prima fra tutte la nuova “regola del cerino” sulla risoluzione delle banche in dissesto:
«Non sono sicuro che gli investitori comprendano. Né sembrano comprendere le implicazioni della recente legislazione Ue, che stabilisce una nuova gerarchia di chi paga quanto ed in quale ordine quando una banca fallisce. Quando la casa di debito crolla, sono loro [gli investitori], non i contribuenti, ad essere i primi della lista»
Noi aggiungiamo che le banche centrali potranno (anzi, dovranno) sempre più intervenire in modo non convenzionale per evitare cataclismi, e questo finirà col valere anche per la Bce. Con buona pace dell’ortodossia tedesca.

sabato 19 ottobre 2013

Pensioni Dignitose. Il Rischioso Welfare Del Futuro

Accennavo giusto un anno fa al fatto che la rifiorma previdenziale era un "argomento che comunque fra qualche anno probabilmente dovremo riprendere in mano per capire se il valore delle nostre pensioni basterà a garantirci un'esistenza dignitosa". Non ero affatto originale (quasi mai lo sono), e in realtà il problema è come al solito che il dibattito Riforma Fornero-sì/Riforma Fornero-no nascondeva molti aspetti di lunga durata per i quali in ogni caso - come per tutte le vere riforme, che non sono decaloghi intoccabili (neanche il Decalogo "vero" - diciamo così - lo è, d'altro canto...) - si sarebbe dovuto ripensare ancora al meccanismo che tutela le persone in età non più lavorativa. 

Oggi quindi le dichiarazioni del ministro Giovannini non devono stupire, e devono piuttosto obbligarci a iniziare un ripensamento ulteriore su come intendiamo costruire il welfare futuro. Basterà rafforzare la parte privata della previdenza? E' dubbio, anche perché la parte privata si deve finanziare sottraendo soldi oggi a già magri stipendi. Riprendere un rafforzamento pubblico? Dipende da molti fattori, ma il rischio è di ritornare a distorsioni come le abbiamo vissute con il modello retributivo. 

La partita del welfare si gioca perciò anche su "come vogliamo vivere" la nostra vecchiaia, sul fatto che forse in futuro dovremo incentivare l'avvicinamento delle persone, il fatto che facciano rete. La coabitazione fra anziani soli, per esempio, incentivata per ridurre le spese. La creazione di quartieri "ad hoc" con la possibilità di gestire servizi in modo integrato, abbassandone i costi. Cose che già in parte vengono ipotizzate e forse anche sperimentate, ma che ancora faticano a prendere piede come consapevolezza pubblica. 

Richiamo in punta di piedi, perché temo molto la connessione delle cose (ma c'è, questa connessione purtroppo), il fatto che dobbiamo guardare con realismo il terribile problema del costo della sanità, che potrebbe portarci in futuro alla tentazione - grave - di un ripensamento dell'universalità del diritto alla salute, almeno inteso nel senso che debba essere sempre garantita a tutti e a tutte - indipendentemente da età e situazione personale - una cura. La china è molto scivolosa, e dobbiamo lottare perché il diritto alla salute sia sempre garantito, ma non è affatto scontato che possiamo vincere questa partita. 

La battaglia per un welfare per tutti è ancora dunque al centro dell'agenda politica europea e occidentale. Forse - approfittando del fatto che anche nei paesi che si stanno rafforzando economicamente questo tema sta diventando rilevante (vedi i conflitti in Brasile) - sta arrivando il momento di porre la questione al centro dell'agenda - mondo.

Francesco Maria Mariotti

mercoledì 12 dicembre 2012

Albert Otto Hirschman

"(...) Il secondo libro è “Rhetoric of Reaction: Perversity, Futility, Jeopardy”. Uscito nel 1991, rimane una testimonianza critica della narrazione conservatrice degli anni ’80 ben più interessante e acuta di quelle che oggi ormai affollano il dibattito pubblico. È un libro che unisce il pensiero politico (con le riflessioni sulla reazione in una prospettiva di “lunga durata”) e la stessa comunicazione politica, in modo davvero efficace. Il libro nasce dall’approfondimento di un intervento di Dahrendorf al convegno organizzato dalla Ford Foundation nel 1985 su “La crisi del welfare state”. Le tre retoriche, per Hirschman, sono la reazione conservatrice dell’allargamento della dimensione civile, politica e sociale della cittadinanza (le retoriche rivoluzionarie, progressiste e riformiste). Nella tesi della perversità, ogni azione volta a migliorare l’ordine sociale porta a peggiorare la condizione a cui si vuole rimediare. Secondo la futilità, il risultato del cambiamento sarà irrilevante, quindi non vale la pena di proporlo. Secondo l’ultima tesi, i cambiamenti mettono a repentaglio in modo decisivo alcune fondamentali conquiste precedenti. Hirschman interpreta il pensiero politico ottocentesco e del suo tempo (riferendosi, tra gli altri, a Hayek e a un autore ancora vivente e attivo come Charles Murray) con queste categorie. Come scrisse lo stesso Hirschman, la parte più interessante del libro è forse quella in cui mette in discussione i totem della sua parte politica, le “retoriche del progresso”, tra cui la “teoria del pericolo imminente” e la credenza che “la Storia è dalla nostra parte” (...)". 

 
Leggi anche: dal sito Sbilanciamoci

Dal Sole24Ore

lunedì 13 giugno 2011

Cambiamo l'Europa! (un appello su cui riflettere)


Non condivido alcuni contenuti e un certo linguaggio, soprattutto nelle parti in cui parla di "scelte ideologiche" in relazione alle misure richieste ai paesi a rischio default: nel momento in cui non c'è ancora una struttura politica europea con un governo realmente unitario, le misure di razionalizzazione del debito pubblico dei singoli stati sono infatti una prima mossa necessaria e ineludibile. 

Al tempo stesso mi pare che nel testo si rischi una sottovalutazione delle responsabilità del settore pubblico, quasi a contrapporlo "per principio" al settore privato.Le cose non sono così semplici e schematiche: i problemi di sostenibilità del welfare europeo sono purtroppo reali (si pensi alla fondamentale questione demografica, che troppo spesso dimentichiamo); non sono una costruzione ideologica dei cattivi mercati finanziari che speculano su di noi, e l'appello rischia di minimizzare questo fattore.

In ogni caso mi pare importante che si levi una voce con una prospettiva altra rispetto a quella "battaglia persa" che è il continuo dire sì a misure di razionalizzazione senza avere un orizzonte politico. Il problema è infatti dare alla politica europea un "corpo" coeso, che possa poi essere base a soluzioni come quelle che i firmatari propongono (altrimenti gli eurobond o simili percorsi rischiano di non avere senso, come ha detto Mario Draghi recentemente). 

Questo appello può portarci a un momento di riflessione. Si tolga però di mezzo la retorica e si approfondisca il percorso da seguire per avere una politica capace di coniugare rigore di bilancio, solidarietà, coesione politica. Una politica che nasce da un orizzonte comune, integrazione di principi liberali, socialisti, cristiani: il mix su cui si è costruita l'Europa che conosciamo e amiamo.

Francesco Maria Mariotti

"(...) E’ ovvio per noi che assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche è un obiettivo politico essenziale: esse sono uno strumento chiave al servizio di beni comuni quali la coesione sociale o la protezione dell’ambiente. Ed è vero che la crisi che stiamo vivendo ha significativamente deteriorato le finanze pubbliche in Europa. Ma, pur avendo il settore pubblico la sua parte di responsabilità, le cause della crisi sono prima di tutto da ricercarsi nel settore privato: aumento delle disparità salariali, eccessivo indebitamento, e bolle speculative generate da una finanza irresponsabile.(...) Qui si rischia di trasformare la crisi economica attuale in crisi politica.
(...) La zona euro deve difendere la sua moneta comune e sostenere imperativamente i suoi membri in difficoltà, perchè ciò è vitale per l’Europa nel suo insieme.(...) E’ possibile risanare la finanze pubbliche senza annientare lo sviluppo economico e gli investimenti in materia di istruzione, ricerca, energie rinnovabili, e senza alimentare l’ingiustizia sociale e l’esclusione. E’ possibile ritrovare margini di bilancio essendo coraggiosi ed innovatori. Per farlo, occorre innanzi tutto che tutti gli Stati membri contribuiscano a questo sforzo insieme – sia quelli in surplus che quelli in deficit commerciale. In tutti i Paesi, bisogna poi proteggere gli investimenti pubblici produttivi dall’austerità finanziaria, e raccogliere sotto forma di Euro obbligazioni una parte del debito pubblico degli Stati membri per ridurne il costo globale, e creare le basi di una politica fiscale europea comune, garante di entrate giuste, efficaci e sostenibili. Occorre diminuire il carico fiscale sui redditi da lavoro ed aumentare quello sui redditi da capitale, combattere l’evasione fiscale, creare una vera fiscalità ecologica e introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie. I governi europei debbono vegliare affinchè i salari più elevati e i redditi da capitale contribuiscano equamente allo sforzo generale di risanamento, per evitare che siano i salari e redditi medio bassi a pagare per tutti. Noi non auspichiamo soluzioni semplicistiche o irresponsabili, vogliamo un progetto di modernizzazione economica grazie a politiche responsabili, equilibrate, intelligenti e pienamente rispettose dei valori sui quali poggia il progetto europeo. Chiamiamo a raccolta tutti quelli che condividono le nostre convinzioni, affinchè firmino questo appello, per dare all’Europa un’altra politica di uscita dalla crisi, che rafforzi l’Europa stessa, invece di continuare ad indebolirla."