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domenica 27 agosto 2017

Testi Utili (Barca, Letta, Kissinger, Fischer)

Alcune citazioni da letture sparse; importanti, anche se in alcuni casi datate, per capire errori e difficoltà di oggi. Nella politica economica e sociale del nostro Paese, e nella politica estera (non solo del nostro Paese).

Francesco Maria Mariotti

"(...) Le riforme non sono state scontate nelle aspettative e, quindi, nei comportamenti degli operatori. Al tempo stesso esse appaiono incomplete. (...) La soluzione del paradosso sembra, allora, risiedere nel fatto che alle riforme non si è associata la condivisione su quale ne fosse lo scopo. È mancato, è la tesi, un sistema di convincimenti e di valori condivisi che consentisse di interpretare in maniera sostanzialmente univoca il cambiamento perseguito; un modello condiviso della società italiana, del suo capitalismo, e quindi della finalità delle riforme. L'attuazione, allora, è avvenuta senza unitarietà di intenti e senza consenso culturale e politico. Le condizioni prospettate dalle riforme non si sono in larga misura realizzate; le aspettative non sono in larga misura cambiate. (...) Da un lato, stavano i 《giacobini》, dall'altra, i 《conservatori》.

I giacobini ci raccontavano la visione di un'Italia da normalizzare, fondata sull'idea che esista un modello unico di capitalismo, (...) I conservatori ci narravano la storia di un'Italia anormale, secondo cui il decentramento e la specializzazione del nostro sistema produttivo, la natura profondamente radicata nei territori delle nostre competenze,  la storia e la cultura del paese, richiederebbero forme diffuse di tutela e protezione dagli impulsi concorrenziali e modalità di governo rivolte a questo scopo. (...)

Il combinato disposto delle due visioni ha concorso alla scarsa efficacia del processo istituzionale.  Giacobinismo e conservatorismo si sono combattuti, validandosi reciprocamente.  Il risultato è stato uno solo: togliere al processo di riforma la base di un convincimento condiviso; togliere ai soggetti privati e pubblici che dovevano attuarlo l'incentivo, e poi anche la passione, per dargli corpo. (...) È venuta a mancare la leva delle aspettative anticipatorie ed è, viceversa,  subentrato nei soggetti privati e pubblici un atteggiamento attendista, che ha eroso l'efficacia delle riforme o la loro stessa attuazione. (...)"

Fabrizio Barca, Italia frenata. Paradossi e lezioni della politica per lo sviluppo, Donzelli, 2006, pp.50-54

***

(...) Se l'Italia vuole raggiungere e superare in competitività i suoi partner e concorrenti,  il concetto di comunità deve diventare l'obiettivo e al tempo stesso il metodo. I valori comunitari non sono più, se visti con lo sguardo lungo, quel vincolo alla competitività del sistema che spesso risuona nei toni di chi pensa che basti la politica delle mani libere sempre e comunque per garantire il successo economico del sistema Italia. Non è così. La comunità è condizione decisiva per la competitività di un sistema.

La competitività non è infatti un obiettivo astratto fatto di cifre e performance. Se sono realmente importanti i criteri che abbiamo definito dell'"ambiente favorevole", questi ultimi richiamano tutti un profondo senso della comunità,  fatto di valori condivisi e di forte senso dell'interesse generale. 

Perché questi sentimenti pervadono il sistema, sono necessarie alcune condizioni. Bisogna che ci siano solide istituzioni per rendere possibile la partecipazione e la condivisione delle scelte. Oggi, per essere solide, queste istituzioni devono garantire la coesistenza della rappresentatività e dell'efficacia decisionale. (...)"

Enrico Letta, La comunità competitiva. L'Italia, le libertà economiche e il modello sociale europeo. Donzelli, 2001, pp. 21-22

"(...) Quando si parla di riforme, si evocano immediatamente tempi lunghi e processi a più fasi. Non si può credere  che le riforme consistano solo nello scrivere norme. È l'applicazione dei disegni riformatori il momento più insidioso. Essa richiede costanza e determinazione. Soprattutto, i due momenti, teoria e prassi, hanno protagonisti spesso diversi, a causa dei frequenti cambi di governo che tradizionalmente caratterizzano la vicenda italiana. È allora importante che si crei, su molte riforme fatte o in corso, un clima di continuità che prescinda dalle asprezza dello scontro politico ed eviti il rischio, tipico della storia del nostro Paese, di prassi che svuotano, nei fatti, le leggi. In competizione, come oggi siamo, non possiamo più permetterci simili incoerenze. (...)"

Enrico Letta, La comunità competitiva. L'Italia, le libertà economiche e il modello sociale europeo, 2001, Donzelli,  pp. 18-19

***

(...) Le difficili scelta della decisione politica sono sempre solitarie. Dove, in un mondo di social network onnipresenti, l'individuo può trovare lo spazio per sviluppare la fermezza necessaria per prendere decisioni che, per definizione, non possono essere basate sul consenso? L'adagio secondo il quale i profeti non vengono riconosciuti dai loro contemporanei è vero in quanto essi operano al di là della concezione corrente;  il che è proprio ciò che ne fa dei profeti. Nella nostra epoca potrebbe non esserci più il 《tempo tecnico》per la profezia. La ricerca della trasparenza e della connettività in tutti gli aspetti dell'esistenza,  distruggendo la dimensione privata, inibisce lo sviluppo di personalità dotate della forza di prendere decisioni solitarie. (...)

La portata globale e la velocità della comunicazione minano la distinzione tra sconvolgimenti interni e internazionali, e tra i leader e le richieste immediate dei gruppi più numerosi. (...)

La tentazione di andare incontro alle richieste della moltitudine che si rispecchia nella comunicazione digitale può prevalere sul discernimento necessario per tracciare una rotta complessa, in armonia con gli obiettivi a lungo termine. La distinzione fra informazione, conoscenza e saggezza si indebolisce. (...)

Se la vecchia diplomazia a volte mancava di offrire sostegno a forze politiche moralmente degne, la nuova diplomazia rischia interventi indiscriminati,  privi di connessione con la strategia. Proclama assoluti morali davanti a un pubblico globale prima che sia divenuto possibile valutare le intenzioni a lungo termine dei protagonisti, le loro prospettive di successo o la loro capacità di dar corso a una politica di lungo termine. (...)

L'ordine non dovrebbe avere la precedenza sulla libertà,  ma l'affermazione della libertà dovrebbe essere innalzata dal livello di umore al rango di strategia. (...)"

Henry Kissinger, Ordine mondiale, Oscar Mondadori, 2015, pp. 349 - 355


"(...) L'Europa, che per lungo tempo si è considerata l'attore decisivo sulla scena mondiale,  rischia nel XXI secolo di diventare una potenza che recita soltanto nei teatri di provincia. Presa in sé, questa tendenza non è nulla di cui si possa lamentare. L'ascesa e il declino di grandi potenze non è una vicenda insolita nella storia e la grandezza non è in sé un valore degno di essere perseguito, però questo declino, sostanzialmente auto-prodotto e fondato su una debolezza "colpevole", è destinato ad avere gravi conseguenze per lo status politico ed economico degli europei. Visti dall'esterno, gli europei oggi sono ricchi, vecchi e deboli,  e questa è una combinazione che in un mondo inquieto e crudele di rampanti affamati non promette sicurezza e tranquillità. Se gli europei non dovessero essere in grado di organizzarsi in modo nuovo e di difendere i loro interessi, non passerà molto tempo e le potenze mondiali del XXI secolo tenteranno di trascinare l'Europa nelle loro rispettive sfere di influenza e di interesse. (...)"

Joschka Fischer, Se l'Europa fallisce?, Ledizioni, 2015, p.106

domenica 7 settembre 2014

L'Invincibile Debolezza Della Politica

Non so a chi fossero esattamente rivolte le parole del Presidente del Consiglio contro i "tecnici" che sarebbero cresciuti all'ombra della prima Repubblica.​ Ma è il caso di annotarle, insieme alle parole contro le élites che si riuniscono a Cernobbio, e quelle contro i professoroni e le parti sociali.

Forse sono parole di successo; successo facile; ma questo non toglie che possano assumere un significato inquietante, e che denotino più frustrazione che non vera capacità di leadership.

Frustazione che è la frustrazione della politica, italiana e non solo, angosciata - comprensibilmente - dalle difficoltà che incontra nel tentativo di riacquistare un'"autonomia" che non può più avere; questo non perché vi siano Tecnocrati Cattivi che complottano insieme ai Grandi Magnati della Finanza sulle rive di un lago, ma perché il mondo dopo il Muro si è svelato nella sua complessità, e si è reso (più) evidente che non puoi guidare la macchina-Stato senza relazionarti con le altre realtà. E se sbandi, puoi anche avere il 90% dei voti, ma prima o poi le altre vetture ti chiedono di accostare e di far guidare chi è più "competente". 

In quanto al desiderio di "saltare" le mediazioni sociali, c'è chi può giudicarla come la rivendicazione democratica dell'eguaglianza del voto dei cittadini. 
Legittimo pensarlo così, ma  - temo - falso.

La rete delle regole democratiche non vive d'aria, ma si "incarna" in una data società, in un dato tempo, in una data condizione di rapporti sociali, che non vengono "annullati" dal voto; certo, il voto eguale è un elemento essenziale della nostra comunità politica, per fortuna. Ma il giorno dopo il plebiscito, le rappresentanze sociali riprendono il loro "autonomo" (per quel che possibile) significato, e pretendono - inevitabilmente - di essere ascoltate dalla politica.

Dire che si possono "saltare" i corpi sociali, può significare quindi solo immaginare una società politica semplificata, ma falsa. E le rappresentanze sociali sarebbero comunque presenti, magari sotto aspetti peggiori (questo il rischio, per esempio, nella continua denigrazione dei sindacati confederali, certo bisognosi di profonda riforma: che - sconfitti loro - possano apparire al loro posto sindacalismi non regolati e poco inclini alla mediazione; altro che scomparsa del conflitto...).

Conviene accogliere con sano scetticismo, quindi, le "prove di forza verbali" della politica. 

Sarà lungo - e non semplice - il cammino che può portare una politica europea a rifarsi forte e autorevole; e non passerà per i bei discorsi, ma per arricchimento di "competenze" e capacità di costruire relazioni complesse, senza desiderio di abbattere avversari fantasiosi e troppo comodi.

Francesco Maria Mariotti

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lunedì 28 aprile 2014

Le mille leggende sul Fiscal Compact (da Linkiesta)

Articolo molto interessante: è un po' lungo e complesso, ma merita; il concetto centrale è che nel nostro dibattito pubblico si sta parlando in modo molto impreciso del Fiscal compact.

Francesco Maria Mariotti

"(...) Il Fiscal Compact non obbliga affatto al pareggio di bilancio, inteso come deficit zero, e quindi entrate finali della pubblica amministrazione uguali alle uscite finali in ogni anno. Non lo fanno i regolamenti comunitari che costituiscono l’impianto normativo Ue sul coordinamento delle politiche di bilancio[1], né tantomeno lo fa la nostra Costituzione dopo la modifica dell’art.81 avvenuta nel 2012. Né, infine, lo fa l’ultimo tassello normativo, la legge attuativa 243/12.
Basta ad esempio leggere il Trattato (art.3) per comprendere innanzitutto che quello che viene chiamato “pareggio” non è pareggio. Il deficit (dopo vedremo quale) deve essere pari a quello che viene definito Obiettivo di Medio Termine (Mto, nell’acronimo inglese), fissato dal Regolamento UE n.1175/2011. Tale norma fissa il Mto allo 0,5% del Pil per i paesi con un rapporto debito/Pil superiore al 60% e all’1% per i paesi con un debito inferiore a tale soglia. Per l’Italia dunque il vincolo prescrive come limite inferiore un deficit allo 0,5% del Pil, non a zero. Si tratta di una differenza di quasi 8 miliardi di euro, non esattamente un’inezia.(...)"


domenica 19 gennaio 2014

Le Trappole Della Retorica Politica, Le Questioni Realmente Importanti

Oggi sul tavolo della politica - e quindi sul "nostro" tavolo, perché la politica siamo anche noi, ci piaccia o meno - c'è la riforma elettorale. Argomento in realtà non molto importante, soprattutto se non viene accompagnato a riforme che stabilizzino realmente i governi (e che difficilmente si trovano nella legge che regola il voto; penso per esempio a sistemi di sfiducia costruttiva o regole per la formazione dei gruppi parlamentari) o che diano realmente poteri forti al premier e al governo (comunque nulla a che vedere con la "cosmesi" del presidenzialismo, secondo me).

La discussione sulle proposte che stanno girando è inoltre viziata dal fatto che ci siamo incastrati - oserei dire che ci siamo autointrappolati - su una questione mal posta ("permetteteci di scegliere il nostro rappresentante"), che in realtà non è così importante, e che rischia di "obbligarci" a giudicare negativamente scelte che non sono forse così strane (Stefano Ceccanti, costituzionalista, in queste ore sta ricordando come l'anomalia - nello scenario europeo - siano le preferenze, non le liste bloccate, già in uso in altri paesi).

Da questo caso forse si capisce che in politica è necessario agire con cautela anche nei momenti polemici, indirizzando correttamente il cosa e il come della critica (a volte soprattutto il come, evitando sempre toni apocalittici). Troppo spesso una critica mal posta prima (penso per esempio alla critica generalizzata alla Bossi-Fini sull'immigrazione, mescolata - temo impropriamente - alla questione della punibilità penale dell'immigrazione clandestina) rischia di far apparire i compromessi inevitabili del poi tutti inaccettabili.

Forse ho speso troppe parole; andiamo dunque alle questioni veramente importanti: It's the economy, stupid...
E quindi, anche in vista delle prossime scadenze elettorali per l'Europa, mi permetto di segnalare argomenti di riflessione soprattutto economica di cui trovate estratti di seguito:
  1. A proposito di Europa e di retorica della politica: interessante articolo sul Fiscal Compact, che forse non è quella mostruosità draconiana che sembra essere passata nell'immaginario; tema su cui è il caso di tornare in futuro per approfondire ulteriormente.
  2. A proposito di semplificazioni: funzionano le ricette del Fondo Monetario Internazionale? Forse sono troppo astratte? Un bell'articolo di Fabrizio Goria sui paesi che in Europa le hanno adottate e che si stanno riprendendo.
  3. Cosa fare contro la disoccupazioneAlcuni articoli - in particolare un paio del centro studi Nomisma - per tentare di trovare strumenti con cui reagire; sicuramente non basterà la ripresa e non saranno necessariamente utili gli ennesimi correttivi sul piano del diritto del lavoro.
  4. Come leggere il periodo attuale? Ci sarà un ritorno della mano pubblica nell'economiaun articolo molto interessante di Stefano Cingolani per provare a fare un punto della situazione.
  5. In ultimo tento di presentare con il richiamo di un paio di articoli la figura di Stanley Fisher, keynesiano anomalo e pragmatico, che avrà un ruolo importante nella FED, a fianco del nuovo Governatore, Janet Yellen.
Buona lettura

Francesco Maria Mariotti

sabato 7 dicembre 2013

Rischio Italia? Crisi Oltre Il Livello Di Guardia?

Chiusi i seggi delle primarie Pd, che sembrano attrarre attenzione oltre il loro reale valore politico, e indipendentemente da chi vincerà, è urgente per tutti volgere lo sguardo alle tensioni del Paese: si annunciano giorni difficili, sia a livello nazionale che internazionale (vd. articoli che seguono). In un momento in cui l'accordo storico del WTO potrebbe far ben sperare nelle prospettive per la crescita mondiale, l'Italia sembra non essere ancora pronta per rimettersi in piedi.

La combinazione di instabilità politica - dovuta in parte alla ecessiva sopravvalutazione degli effetti della sentenza della Corte costituzionale (è segno innegabile di crisi del pensiero politico, se si dipende troppo dalle regole), in parte al già citato eccesso di attenzone alle primarie del Pd - e proteste contro la crisi economica - su cui paiono volersi innestare movimenti interessati allo sfascio - può essere fatale per la nostra democrazia.

Paradossalmente i momenti di "uscita" da una crisi possono essere i più rischiosi: perché si percepisce il cambiamento, ci si muove disordinatamente per tentare di coglierlo, ma magari si perde l'occasione (o non si è capaci di gestire il momento), e la scossa impressa alla comunità - causa perdita dell'equilbrio - diventa una caduta più rovinosa. E il progresso visto in nuce diventa reazione violenta. Per questo è sempre negativo - e alfine reazionario - predicare una rivoluzione senza avere gli strumenti per porla in essere. 

Non è per amore di stabilità fine a se stessa, che personalmente preferisco per i prossimi mesi questo governo (anche se sono evidenti tutti i suoi limiti), ma perché la partita che vede coinvolto il nostro Paese anche in Europa (si legga Cingolani su Linkiesta, forse un po' troppo sbilanciato sul passato, ma interessante) è di fondamentale importanza. 

In una fase storica in cui l'antieuropeismo sta diventando uno slogan troppo facile, la politica non deve diventare la cassa di risonanza del malumore, ma la guida concreta di un cambiamento di strategia. E questo non avviene a colpi di slogan (tanto il manifestante urlerà sempre più forte del politico di governo), ma con piccoli passi, purché tangibili.

Nei prossimi giorni potranno certo esserci incidenti, anche gravi; ma se Presidenza della Repubblica, Governo (che è nel pieno dei suoi poteri), Parlamento (che non è delegittimato), partiti e rappresentanze sociali responsabili, forze dell'ordine e d'intelligence sapranno coordinarsi pur nella diversità dei ruoli, l'inevitabile tensione potrà essere gestita. 
Abbiamo superato momenti ben peggiori: non prevalga la paura.

Francesco Maria Mariotti

(...) Questo non vuol dire che la storia si ripeta. Rispetto a due anni fa oggi esistono strumenti come il meccanismo salva stati che rappresenta senza dubbio un passo avanti rispetto alla lettera del trattato. Non è gratis, gli aiuti vengono concessi a dure condizioni, ma alla fin fine sono le stesse della lettera inviata dalla Bce il 5 agosto 2011 a Italia e Spagna senza che fosse accompagnata da nessun assegno. Inoltre, oggi la congiuntura migliora, anche se troppo lentamente, come ha ricordato giovedì scorso Mario Draghi. Il presidente della Bce sostiene di avere ancora una intera santabarbara a disposizione per soffocare ogni ulteriore attacco all’euro. Tuttavia ha glissato sulle domande a proposito dell’unione bancaria e delle operazioni per rafforzare le banche (compresa quella italiana). Conosce bene le insidie delle prossime settimane e incrocia le dita perché il consiglio europeo non si chiuda, come sembra probabile, rinviando di altri sei mesi tutte le questioni calde. Se sarà così, allora davvero c’è da aspettarsi che l’area euro torni a ballare. Incombe sempre, del resto, la sentenza dell’alta corte tedesca sulle Omt, le Outright monetary transactions, in sostanza l’acquisto di titoli pubblici sul mercato secondario, un altro strumento per spegnere i fuochi della speculazione. (...)

La parola d’ordine? «Demolire il sistema. Polentoni e terroni, destra e sinistra saranno con noi, in piazza, a partire da domenica notte, e andremo avanti fino a quando questa classe politica fatta di cialtroni e delinquenti non andrà a casa». 
Mariano Ferro é uno dei leader storici del movimento dei «Forconi», che nel 2012 paralizzò la Sicilia. «Tre giorni fa dissi al prefetto di Catania che l’Italia stava per diventare una nuova Grecia. E il prefetto mi rispose: “Lo so”. Vedrete quello che succederá...». Minaccioso come lo può essere l’Etna di questi giorni con le sue eruzioni, il leader dei Forconi disegna scenari apocalittici a partire dalle prossime ore. A partire da domani notte, con presidi e blocchi di strade, autostrade, ferrovie e porti in tutto il Paese, dalla Sicilia al Nord, da Torino a Verona a Modica e Pozzallo. (...)

Una protesta capillare che rischia di degenerare. È questo il timore degli analisti del Viminale alla vigilia della manifestazione organizzata dagli autotrasportatori e dal «movimento dei forconi», alla quale potrebbero aderire pure i Cobas. Sono oltre trenta i presidi già pianificati da domani sera nelle strade e nelle piazze di tutta Italia. Ma il vero pericolo riguarda i blocchi stradali e ferroviari per paralizzare completamente la circolazione in alcune regioni, prima fra tutte la Sicilia, proprio come accaduto lo scorso anno. Perché i segnali captati negli ultimi giorni parlano di possibili infiltrazioni dei gruppi di estrema destra, determinati a compiere «azioni di resistenza passiva». Ma anche di una mobilitazione «non governata dalle principali sigle sindacali di categoria che dunque potrebbe gravi conseguenze». (...)


giovedì 21 novembre 2013

Bilancio Europeo: Luci e Ombre

L'Aula di Strasburgo ha dato il via libera al maxi bilancio europeo che finanzierà le politiche dell'Unione per i prossimi sette anni.
Un accordo segnato da luci e ombre che, ancora una volta, riflettono la crisi e l'incertezza di questi anni.
L'ombra più lunga sono i numeri assoluti: le risorse messe in gioco per finanziare l'ambizioso programma Europa2020, per un`Europa della crescita intelligente sostenibile e inclusiva, si fermano a 959 miliardi di euro, contro i 1045 che chiedevano Commissione e Parlamento.
Il problema non è solo la riduzione: è soprattutto il fatto che, per la prima volta, i finanziamenti complessivi per la coesione, l`agricoltura, la ricerca, sono ridotte anziché aumentate. 
La ragione è semplice: gli Stati membri hanno bilanci in sofferenza e stentano a finanziare il bilancio europeo che, a oggi, dipende ancora integralmente da quelli dei singoli Paesi membri.
Gli aspetti positivi del maxi bilancio pero, sono molti.
Prima di tutto saranno subito disponibili quasi due miliardi e mezzo di euro per sostenere l`occupazione, dei giovani e la ricerca e per rafforzare il nuovo programma Erasmus per tutti.
Risorse importantissime in questo momento, soprattutto per i Paesi più in difficoltà.
Altri aspetti positivi riguardano i meccanismi di spesa dei finanziamenti: se le risorse non aumentano, sarà comunque decisamente ridotto il rischio di "perderle".
Le somme non utilizzate, infatti, costituiranno una sorta di "salvadanaio" che potrà essere usato negli anni futuri.
Suona, infine, un campanello di allarme per i Paesi, come il nostro, sotto sforzo per rimanere nei parametri europei: si chiama "condizionalità macroeconomica".
In pratica, i finanziamenti europei sono collegati alla corretta gestione economica di un Paese e, in caso di mancato rispetto degli impegni, possono essere sospesi.
E' chiaro che questa regola mira a rafforzare una buona gestione dei conti ma, nei fatti, rischia di penalizzare uno Stato membro già in difficoltà, svuotando di significato il senso della politica di coesione.
Tagliare i finanziamenti ai Paesi che sono in crisi, produce solo una crisi peggiore.
Purtroppo nonostante la posizione contraria di una parte consistente del Parlamento questo principio apre un capitolo di incertezza su una parte importante del bilancio europeo per molti Paesi.


Non è ancora stato possibile dotare l'Unione di risorse proprie, gli eurobond (e qualsiasi delle diverse ipotesi e opzioni di messa in comune dei debiti sovrani) sono duramente osteggiati, di tassa sulle transazioni finanziarie come risorsa propria dell´Unione non si parla più e le risorse ordinarie sono state robustamente ridotte. Le conseguenze sono immediate: ci sono meno fondi per le politiche di coesione proprio quando le rotture sociali tra i territori e nei territori aumentano per effetto dell´indebolimento del welfare; cala la dotazione del fondo sociale in concomitanza con l´aumento della disoccupazione; anche uno strumento come la "garanzia giovani" (che non crea certo nuovi posti di lavoro ma protegge come fanno in genere gli ammortizzatori sociali le fasce giovanili più deboli) ha a disposizione una quantità modestissima di finanziamenti e per questo diviene un simboli sostanzialmente inefficace.
La schizofrenia insita nel definire l´obiettivo ambizioso e non creare poi le condizioni per realizzarlo cade pesantemente sulle condizioni materiali della vita delle persone che finiscono per non credere più agli impegni che la politica e le Istituzioni prendono con loro. Le perplessità nascono dallo scarto crescente tra il dire e il fare, non è determinato da ostilità ideologiche verso l'Europa o da strumentali calcoli politici; per questo scetticismo si consolida è più difficile da rimuovere. Ne deriva un contributo forte alla contrarietà dei cittadini alle Istituzioni europee. Il tema riguarda tutti, progressisti e conservatori, e viene prima delle proposte di merito relative alla politica economica e sociale.
Contrastare questa deriva negativa e pericolosa è possibile, ma richiede una scelta netta di metodo e di coerenza politica. È indispensabile usare sempre il linguaggio della verità e non accreditare mai ipotesi che si sa non realizzabili. Ciò vuol dire non solo rifuggire dalla demagogia, cosa che si dovrebbe sempre fare, ma avere il coraggio di affrontare i temi più difficili anche mettendo in conto di avere difficoltà nel costruire consenso tra i propri rappresentanti.

mercoledì 20 novembre 2013

La Germania Visionaria (da ilSole24Ore.it)

(...) Tre false illusioni sono responsabili della crescente avversione dell’opinione pubblica tedesca nei confronti dell’integrazione europea - e della mancata comprensione da parte di molti tedeschi del fatto che sia la Germania ad avere maggiormente da perdere dal crollo dell’euro. (...)

Certo, i tedeschi non hanno del tutto torto; la crisi nella periferia dell’Europa indebolisce le prospettive di crescita economica della Germania. Ma si dovrebbero ricordare che, solo un decennio fa, era la Germania la malata d’Europa, e che la forte crescita ed il dinamismo di altre aree europee hanno contribuito sostanzialmente alla sua ripresa. E devono riconoscere che gli europei sono tutti sulla stessa barca; ciò che è bene per l’Europa è un bene per la Germania, e viceversa.(...)

In questo contesto, il terzo governo della Cancelliera Angela Merkel, una volta costituito, deve liberare il paese delle illusioni che gli impediscono di giocare un ruolo dinamico e costruttivo nel garantire che l’Europa funzioni come un’unione. Tale impegno richiede, soprattutto, il ripristino della fiducia tra i paesi europei. Sebbene ciò sarà senza dubbio difficile da raggiungere, è la sola vera opzione per la Germania - e una speranza reale per l’Europa.

martedì 19 novembre 2013

Spd, Merkel, Europa (da laStampa.it)

(...) Con quali argomenti si può criticare questo atteggiamento, senza disconoscerne gli aspetti di verità? Con un solo argomento: ricordando che l’Europa è stata costruita e funziona sulla interdipendenza tra i membri che non può essere automaticamente determinata dai mercati o affidata a norme consensualmente stabilite in congiunture molto diverse, norme che ora si rivelano inadeguate allo scopo. Non mi risulta che gli uffici studi della Spd abbiano prodotto o quanto meno dato rilevanza pubblica e pubblicistica ad analisi che sviluppano questa tesi. (Salvo qualche generica evocazione di un nuovo piano Marshall non meglio precisato).

In breve non mi pare che i socialdemocratici tedeschi posseggano una solida visione politica ed economica europea, che sia non dico alternativa ma significativamente autonoma rispetto a quella merkeliana. Una visione che tenga conto anche delle considerazioni fatte da analisti e commentatori internazionali, senza alcun pregiudizio anti- tedesco, che spiegano come e perché la situazione di interdipendenza oggettiva tra le economie europee ha subito in questi ultimi anni distorsioni che hanno favorito l’economia tedesca a svantaggio di altre. No, non è questione di «arroganza» o «egemonia» teutonica. Si tratta di prendere sul serio il fatto che l’interdipendenza delle economie e dei loro meccanismi, su cui è stata costruita l’Europa, esige oggi di essere governata in modo diverso. Non senza o addirittura contro i tedeschi, ma insieme a loro.(...)

domenica 10 novembre 2013

Incubo Deflazione?

(...) Ad occhio, l’idea di un sistema economico dove, mese dopo mese, i prezzi continuano a diminuire, sembra ideale. Ma non è così. Durante lunghi periodi di deflazione non sono solo i prezzi di quello che compriamo a calare, sono anche i prezzi dei servizi, dei trasporti e quindi, con il tempo, anche gli stipendi. C’è una cosa che però rimarrà probabilmente a un valore stabile: gli interessi sui debiti. Quindi, mentre gli stipendi calano e in generale il reddito nazionale diminuisce, diventa in proporzione sempre più difficile pagare gli interessi sul proprio mutuo o sul proprio debito pubblico.
Il secondo principale effetto della deflazione è che rende poco conveniente spendere i propri soldi. Se ad esempio qualcuno volesse comprare un televisore in un periodo di deflazione, avrebbe la tendenza a rimandare ancora un po’ l’acquisto, aspettandosi che il suo prezzo scenda. Questa tendenza non è solo dei privati: anche un’azienda potrebbe decidere di rimandare un investimento produttivo in attesa di trovare un prezzo più conveniente. Soprattutto in una situazione come quella attuale, il meccanismo può far sparire anche i timidi segni di ripresa economica a cui stiamo assistendo.
Quando il PIL non cresce può accadere un’altra cosa a paesi con un altissimo debito pubblico come l’Italia: il rapporto debito/PIL è formato da un numeratore, il valore del debito, e un denominatore, il PIL. Più è alta l’inflazione più il denominatore sale, anche in assenza di crescita “reale”, per il solo fatto che i prezzi aumentano. Nella stessa situazione, con il PIL reale fermo o in crescita molto bassa, se non c’è inflazione, o addirittura con deflazione, il PIL nominale cala, rendendo il rapporto debito/PIL sempre più elevato e potenzialmente ingestibile.(...)


Servirebbe probabilmente qualcosa di simile alle operazioni non convenzionali attuate dalle altre maggiori banche centrali del mondo ma, come noto, ciò è precluso alla Bce dalla intransigenza tedesca, la cui fobia inflazionistica trova nuova linfa nella tendenza al rialzo dei prezzi immobiliari in alcune aree del paese. A ciò si aggiunge che i tedeschi si oppongono alla revisione della metodologia proposta dalla Commissione europea per calcolare il deficit strutturale di bilancio, cioè quello calcolato rispetto al Pil potenziale. Secondo la prima versione di tale metodologia gran parte del deficit pubblico dei paesi più deboli sarebbe strutturale e non ciclico. Cioè persisterebbe anche in caso di ripresa, rendendo l’austerità necessaria. Come sempre, il diavolo si nasconde nei particolari, soprattutto in quelli più esoterici per il grande pubblico.

venerdì 8 novembre 2013

Difendere Draghi Con i Fatti: Riforme e Disegno Europeo

Attenzione a sottovalutare le critiche della Germania a Draghi. Attenzione anche a reagire in modo sbagliato, rimproverando ai tedeschi - come si sta facendo da tempo - l'eccessiva severità. 

Il modo migliore per "fare quadrato" attorno a Draghi è smentire con i fatti le preoccupazioni tedesche: approfittare delle azioni della BCE per andare avanti in un percorso di riforme coordinato fra i paesi europei, e sfidare la Germania, convincendola che solo con un disegno europeo di una maggiore integrazione politica ed economica si potranno fare i passi giusti per combattere la crisi, che non può essere curata - soprattutto per motivi di urgenza - solo con manovre di austerità. 

La Germania ha approfittato della possibilità di sforare la soglia del 3% a suo tempo, ma ha fatto riforme che ora sembrano funzionare, anche se problemi di eguaglianza e di precariato permanente, per esempio, sembrano esserci anche lì. 

Deve essere preparato un piano complessivo di riforme per tutta l'Eurozona, che convinca i cittadini europei - tedeschi come greci, come italiani - che nello stare insieme si conquista una forza diversa, che può sconfiggere il male terribile che rischia di rovinare definitivamente le nostre comuità.

FMM

La stampa tedesca dà eco alle critiche delle associazioni dei consumatori tedeschi, che vedono minacciati i risparmi di chi mette da parte per la vecchiaia. Il presidente dell'Associazione dei titolari di polizze assicurative, Axel Kleinlein, dichiara al Tagesspiegel che il calo dei tassi di interesse fa svanire le speranze di un'adeguata sicurezza in vecchiaia, poiché «vengono puniti quelli che risparmiano per quando saranno vecchi». Anche il presidente dell'Associazione delle società di assicurazione (Gdv), Joerg von Fuerstenwerth, parla di «segnale fatale per chi in Germania risparmia per la vecchiaia». Rimbalza sui media tedeschi la notizia della Reuters, secondo cui oltre un quarto dei 23 componenti del Consiglio direttivo della Bce, capeggiato dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, si sarebbe opposto alla decisione di abbassare i tassi di interesse. 

articoli di Elysa Fazzino e Rossella Bocciarelli - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/rPBZH

Europa: Austerità, Riforme, Le Mosse della BCE Che Anticipano La Politica

Segnalo l'articolo di Lorenzo Bini Smaghi su Linkiesta, in cui si riprendono alcuni argomenti del suo libro "Morire di austerità", rispondendo alle critiche di Krugman, rivolte contro le politiche di austerità. Il concetto di fondo è semplice: l'austerità si è rivelata l'unica strada possibile per uscire dalla crisi perché non sono state fatte riforme quando era possibile. 

Questa posizione di Bini Smaghi - per molti aspetti condivisibile - forse non basta ad affrontare il quadro attuale, anche perché il fattore tempo, essenziale per vedere pienamente dispiegati gli effetti delle riforme, gioca contro gli stati europei (e soprattutto conro i cittadini, che vedono avvicinarsi la disperazione della povertà), anche per via della loro incapacità di coordinarsi come un'unica entità politica. Da queste considerazioni nasce l'urgenza di una risposta più forte, che passa inevitabilmente per un salto di qualità del progetto europeo, per l'appunto. 

Solo nel momento in cui il governo europeo sarà realmente unitario, e in grado di formulare un patto civico comune (per esempio attraverso un sussidio europeo contro la disoccupazione), si potrà affrontare il dramma di questa crisi; perché allora potrebbero avere senso (anche se non risolutivo) l'emissione di Eurobond, e avrebbe un senso ben diverso da quello attuale il "commissariamento" della Grecia. 

In attesa che ulteriori passi vengano fatti in questa direzione, è ancora Mario Draghi a gestire al meglio la situazione: la BCE si muove con una autonomia oramai acquisita, rispetto agli Stati, ma forse anche rispetto all'ortodossia monetaria di stampo tedesco. Non basta, forse, neanche la saggezza del Governatore; ma certo il pilastro BCE sta dando segnali che la politica europea dovrebbe comprendere, e "seguire".

FMM

La recente crisi dell’Eurozona ha dimostrato che le misure di austerità sono controproducenti: provocano effetti recessivi che, almeno nel breve periodo, tendono a far crescere il debito pubblico, in rapporto al Pil. È una tesi confermata dall’analisi econometrica che mostra come gli aggiustamenti di bilancio siano stati più recessivi del previsto, con moltiplicatori fiscali superiori dell’unità.
(...) Nasce allora una domanda: perché i politici dell’Eurozona continuano a fare lo stesso errore? La risposta implicita di Krugman è che i politici non sono particolarmente intelligenti, o sono stati mal consigliati, e hanno sottostimato gli effetti delle loro politiche. Detto in parole diverse, perseguendo l’austerità i politici europei si dimostrano ignoranti in fatto di economia, o stupidi. Assumere che i politici siano irrazionali o stupidi è una facile via di uscita, specialmente per gli accademici. Un modo alternativo di guardare alla questione è interrogarsi sulla causalità nella correlazione tra austerità e crescita. Krugman ritiene che con le misure di austerità i politici europei mostrino la loro irrazionalità, o stupidità: sono stupidi perché perseguono l’austerità invece di una opzione politica preferibile.

Per parte mia, vorrei sollevare un dubbio: non potrebbe essere il contrario? I politici europei non sono stupidi perché perseguono l’austerità, ma perseguono l’austerità perché sono stupidi, o detto in modo più diplomatico, hanno una visione ristretta, hanno ignorato le altre alternative a disposizione e alla fine si sono ritrovati con una sola opzione, l’austerità. In altre parole, hanno attuato l’austerità perché non erano rimaste altre scelte. (...)
Non è l’austerità che ha causato la bassa crescita, è la bassa crescita che ha causato l’austerità. In altri termini, i paesi che hanno sperimentato una bassa crescita potenziale, a causa di profondi problemi strutturali, nel tentativo di sostenere il loro standard di vita e il loro sistema di welfare hanno accumulato, prima della crisi, un eccesso di debito pubblico e privato, che poi, quando la crisi è scoppiata, si è rivelato insostenibile e ha richiesto un brusco aggiustamento. L’austerità ha certamente prodotto una bassa crescita, ma essa stessa può essere il risultato di una crescita scarsa e squilibrata, a causa della mancanza di riforme strutturali. Il rinvio di riforme che migliorassero il potenziale di crescita ha lasciato i paesi con un’unica soluzione, l’austerità L’austerità è così il risultato dell’incapacità dei politici di prendere decisioni nel momento giusto, in altre parole è il risultato della loro miopia – e della stupidità.
Se la Banca centrale europea fosse libera di agire dovrebbe acquistare azioni delle piccole e medie imprese italiane e spagnole. È lì che si è inceppato il credito ed è lì che si distruggono i posti di lavoro europei. Sarebbe una folle compromissione del sacro mandato della lotta all'inflazione con altre profane priorità, di natura industriale, occupazionale o nazionale? No, è semplicemente quello che sarebbe necessario a riattivare il funzionamento della politica monetaria se non prevalessero considerazioni legate agli interessi diversi dei governi nazionali. In alternativa la Bce dovrebbe lanciare un programma di prestiti a lungo termine per le banche finalizzato al solo credito all'economia. Certo ci sono dubbi tecnici a proposito sia di un taglio dei tassi di riferimento, sia di una maxi-operazione di credito all'economia (Ltro). (...)
di Carlo Bastasin - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/9hEHz

(...) Cosa è successo, in sostanza, ieri? Si è registrato un tentativo estremo, seppure non l’ultimo a disposizione della Bce, per puntellare l’economia del continente attraverso la politica monetaria. Perché nonostante i mercati finanziari siano placidi e i rendimenti sui titoli di stato meno onerosi che in passato, la ripresa del ciclo reale è più lenta del previsto (quest’anno l’Eurozona è in recessione dello 0,4 per cento, l’anno prossimo crescerà solo dell’1,1), il debito pubblico continua a gonfiarsi quasi ovunque, e adesso si materializza anche lo spettro della deflazione, cioè la riduzione generalizzata dei prezzi. (...) Osserva perciò Tony Barber, editorialista del Financial Times ed esperto d’Europa: “La Bce ha mostrato senza dubbi che non è soltanto una Banca centrale vecchio stile, di quelle che combattono solo l’inflazione, ma un’istituzione che prende sul serio la nozione di stabilità dei prezzi che può essere messa in pericolo dalla deflazione tanto quanto dall’inflazione”. Ancora: “Con buone ragioni, la Bce ora può rivendicare di essere indipendente non solo dalle pressioni politiche, ma dalla ossessione post Seconda guerra mondiale con l’nflazione, tipica della Bundesbank”. Inoltre il banchiere italiano, come fanno notare al Foglio ambienti della Bce, ha deciso tutto in meno di 10 giorni; il 31 ottobre l’Eurostat ha pubblicato i dati allarmanti sul calo dei prezzi, e il 7 novembre (cioè ieri) c’è stata la prima contromossa: “Un segnale fortissimo d’autonomia”. Questa volta non si è dovuto ottenere chissà quale via libera da Berlino, come accaduto nel 2012 con l’Omt, il piano di acquisto illimitato di titoli di stato. Draghi ieri ha detto che la decisione è stata presa “a grande maggioranza”, che l’unanimità è mancata perché ci sono “differenze solo sui tempi”, visto che “alcuni membri del Consiglio direttivo avrebbero preferito aspettare” nuove conferme del calo dell’inflazione.
Secondo Pierpaolo Benigno, economista della Luiss, “in Europa la politica monetaria rimane sempre un po’ ‘dietro la curva’. Negli Stati Uniti invece, pur in periodi difficili, l’inflazione è sempre stata attorno al 2 per cento. Oggi una fase di disinflazione, come quella segnalata dalla Bce per il medio periodo, è estremamente pericolosa. Per i paesi che stanno tentando di ridurre i loro debiti, un po’ d’inflazione cancella un po’ di debito. Ora invece, in base al cosiddetto ‘Fisher effect’, i prezzi in calo rendono il debito più difficile da sostenere. Perciò la politica monetaria deve essere ancora più espansiva”. Anche Benigno, però, riconosce che gli ultimi dati economici “hanno rafforzato politicamente la posizione di Draghi e indebolito quella dei più ortodossi”. 

sabato 19 ottobre 2013

Pensioni Dignitose. Il Rischioso Welfare Del Futuro

Accennavo giusto un anno fa al fatto che la rifiorma previdenziale era un "argomento che comunque fra qualche anno probabilmente dovremo riprendere in mano per capire se il valore delle nostre pensioni basterà a garantirci un'esistenza dignitosa". Non ero affatto originale (quasi mai lo sono), e in realtà il problema è come al solito che il dibattito Riforma Fornero-sì/Riforma Fornero-no nascondeva molti aspetti di lunga durata per i quali in ogni caso - come per tutte le vere riforme, che non sono decaloghi intoccabili (neanche il Decalogo "vero" - diciamo così - lo è, d'altro canto...) - si sarebbe dovuto ripensare ancora al meccanismo che tutela le persone in età non più lavorativa. 

Oggi quindi le dichiarazioni del ministro Giovannini non devono stupire, e devono piuttosto obbligarci a iniziare un ripensamento ulteriore su come intendiamo costruire il welfare futuro. Basterà rafforzare la parte privata della previdenza? E' dubbio, anche perché la parte privata si deve finanziare sottraendo soldi oggi a già magri stipendi. Riprendere un rafforzamento pubblico? Dipende da molti fattori, ma il rischio è di ritornare a distorsioni come le abbiamo vissute con il modello retributivo. 

La partita del welfare si gioca perciò anche su "come vogliamo vivere" la nostra vecchiaia, sul fatto che forse in futuro dovremo incentivare l'avvicinamento delle persone, il fatto che facciano rete. La coabitazione fra anziani soli, per esempio, incentivata per ridurre le spese. La creazione di quartieri "ad hoc" con la possibilità di gestire servizi in modo integrato, abbassandone i costi. Cose che già in parte vengono ipotizzate e forse anche sperimentate, ma che ancora faticano a prendere piede come consapevolezza pubblica. 

Richiamo in punta di piedi, perché temo molto la connessione delle cose (ma c'è, questa connessione purtroppo), il fatto che dobbiamo guardare con realismo il terribile problema del costo della sanità, che potrebbe portarci in futuro alla tentazione - grave - di un ripensamento dell'universalità del diritto alla salute, almeno inteso nel senso che debba essere sempre garantita a tutti e a tutte - indipendentemente da età e situazione personale - una cura. La china è molto scivolosa, e dobbiamo lottare perché il diritto alla salute sia sempre garantito, ma non è affatto scontato che possiamo vincere questa partita. 

La battaglia per un welfare per tutti è ancora dunque al centro dell'agenda politica europea e occidentale. Forse - approfittando del fatto che anche nei paesi che si stanno rafforzando economicamente questo tema sta diventando rilevante (vedi i conflitti in Brasile) - sta arrivando il momento di porre la questione al centro dell'agenda - mondo.

Francesco Maria Mariotti

giovedì 3 ottobre 2013

Saper Cogliere l'Attimo (Il Discorso di Enrico Letta Al Senato)

Signor Presidente, onorevoli senatori, nella vita delle Nazioni l’errore di non saper cogliere l’attimo può essere irreparabile. Sono le parole di Luigi Einaudi quelle che richiamo qui oggi: le richiamo qui in Parlamento, davanti al Paese, davanti a tutti voi, per venire subito al cuore della questione. L’Italia corre un rischio che potrebbe essere fatale, irrimediabile. Sventare questo rischio, cogliere o non cogliere l’attimo, dipende da noi, dipende dalle scelte che assumeremo in quest’Aula, dipende da un sì o da un no.
C’è un monito, un monito più recente, ugualmente solenne, che voglio qui ricordare. Poco più di cinque mesi fa il Presidente, cui va una volta ancora la mia, la nostra, profonda gratitudine, per quanto ha fatto e sta facendo per l’Italia, il presidente Giorgio Napolitano invitava le Camere riunite ad offrire una testimonianza di consapevolezza e di coesione nazionale, di volontà di dare risposte vere ai problemi del Paese. Invitava tutti coloro che lo avevano appena eletto una seconda volta alla Presidenza della Repubblica – fatto unico nella nostra storia – a uno scatto di dignità, di attaccamento alle istituzioni, di amore per l’Italia.
Quel monito fu accolto, anche allora, da un appassionato plauso della maggioranza dei presenti di queste Aule. Quel monito ha avuto come seguito nei mesi successivi l’impegno, con tutte le forze e la massima determinazione possibile, del Governo per costruire soluzioni tangibili ai problemi veri delle persone, per provare ad alimentare una rinnovata fiducia nella politica, nella sua capacità di riformare l’Italia e anche, problema più serio, di riformare se stessa, per restituire al mondo l’immagine di un Paese giovane, dinamico, affidabile.(...)

domenica 29 settembre 2013

Saccomanni al Sole 24 Ore: «Conti a posto, i mercati lo sanno»

«Grazie ai nostri sforzi i conti pubblici dell'Italia sono a posto - spiega il ministro dell'Economia, a poche ore dall'annuncio delle dimissioni dei ministri del Pdl - Siamo in linea con gli obiettivi e con gli impegni europei. Abbiamo uno 0,1% di Pil da dover correggere, ma nel decreto che abbiamo portato venerdì in Consiglio dei ministri quella correzione già era stata individuata e c'è ancora tutto il tempo per approvarla prima della fine dell'anno». 

Il problema è che dalle prossime ore rischia di non esserci più il governo. E non c'è da fare solo quella correzione. C'è da approvare la legge fondamentale del nostro bilancio, quella legge di stabilità che in base alla nuova governance europea dovrà essere approvata anche a Bruxelles. «La legge di stabilità – sottolinea Saccomani – è un atto obbligatorio. Non ci si può esimere da questo. Un governo la farà. Aspettiamo di vedere l'evolversi del quadro politico, ma non c'è nessuna ragione per cui non la possa fare questo governo, anche – eventualmente – da dimissionario». 

di Fabrizio Forquet con un articolo di Isabella Bufacchi - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/uTcnX

Il Momento Peggiore (F.Forquet, Sole24Ore)

Sono tutti passaggi essenziali per provare ad agganciare i flebili segnali di ripresa internazionale di fine anno. Passaggi ai quali l'Italia rischia ora di arrivare senza un governo. Laddove non solo servirebbe un governo, ma servirebbe anche un governo credibile. Perché è chiaro che a nulla servirà un Esecutivo che dalla prossima settimana dovesse ricominciare a ballare sull'Imu, dopo lo spettacolo indecoroso sull'Iva cui abbiamo assistito fino alla tarda serata di ieri.

di Fabrizio Forquet - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/Ro2Wl

Ora basta, pensate al Paese (Mario Calabresi su laStampa.it)


"(...) È quasi inutile mettersi a ricordare la situazione nella quale siamo: la mancanza di lavoro, di speranze, di prospettive; il coraggio che moltissimi devono mettere in campo ogni giorno per andare avanti; la disperazione di chi deve abbassare una saracinesca per sempre o di chi ha ricevuto la lettera di licenziamento. Inutile anche gridarlo di fronte a chi è sordo ai problemi di tutti. 

Nei Paesi normali, quelli noiosi in cui le elezioni si tengono a scadenze fisse, i cambi di governo sono considerati traumatici perché ogni volta bisogna rimettere in moto la macchina con guidatori nuovi. Noi ci permettiamo il lusso - suicida - di farlo per la seconda volta nello stesso anno. Con un disprezzo totale della vita dei cittadini e dei loro problemi. 

In Francia è appena stata varata una commissione che dovrà stilare un rapporto per immaginare come sarà il Paese tra dieci anni, per programmare politiche capaci di interpretare e guidare i cambiamenti. Il nostro orizzonte invece si è ridotto ad una manciata di ore. Non abbiamo nemmeno più la vista breve, sembriamo condannati alla cecità. (...)

Tra quindici giorni andrà presentata la legge di stabilità, il passaggio chiave per chi come noi ha i conti pubblici a rischio; il 15 novembre arriveranno le pagelle europee; il nostro debito è risalito pericolosamente; il Fondo Monetario proprio due giorni fa è tornato a parlare di Italia a rischio: E noi, che avremmo un disperato bisogno di uno scudo di protezione e di credibilità, ci presentiamo al giudizio nudi e disarmati. 
Questa settimana Letta era a parlare a Wall Street, per rassicurare sulla nostra stabilità, pensate allo sconcerto o alle risate (a seconda che ci amino o no) che si stanno facendo in giro per il mondo. 
Avremmo bisogno di alzare la testa, dare spazio all’energia e alla razionalità e provare a immaginare e costruire, partendo dai problemi reali, un’altra Italia. (...)

Gli italiani meritano rispetto. È tempo di chiarezza, di passaggi netti, definitivi. 
Sappiamo con certezza che la maggioranza dei politici del Pdl non approva questa decisione. Sarebbe ora che trovassero la dignità e la forza di non scambiare l’affetto, la fedeltà e la riconoscenza per il Capo con l’adesione a un gesto che fa del male a tutto il Paese. 
E sarebbe il tempo in cui tutti quelli che pensano di appartenere ad una comunità fatta di sessanta milioni di persone e non ad una parte, avessero il coraggio di dire: «Questa volta viene prima l’Italia»"


venerdì 7 dicembre 2012

L'Italia Torna Instabile: Intervenga Draghi

Forse qualcuno credeva che "il ritorno della politica" sarebbe stato tutto all'insegna del "voto popolare e festoso" delle primarie o dinamiche simili. 

In realtà la giornata di ieri rappresenta un segnale amaro, ma certo non inaspettato: la politica ha bisogno di semplificazioni e di strappi, soprattutto in periodo elettorale.

Se anche è possibile che le elezioni vengano vinte da una forza politica responsabile, lo scenario complessivo si preannuncia instabile, con il rischio che prevalga in molte forze una retorica antieuropeista.

Per questo ritorna purtroppo attuale quanto già scritto in agosto e in ottobre: contro il rischio di vanificare in poche settimane i sacrifici che in questo anno gli italiani hanno fatto, è necessario che il governo Monti si assuma la responsabilità di concordare con la BCE un piano di aiuti che serva a tenere sotto controllo lo spread anche nel periodo elettorale, e garantisca cittadini e investitori su quanto succederà dopo il voto, quale che sia il risultato.

Le forze politiche devono trovare un percorso definito e non discutibile dopo il voto, pur con la necessaria libertà di manovra su alcuni punti.
Non è limitazione della sovranità: è garantirci un futuro di fronte a una quasi certa instabilità.


Francesco Maria Mariotti


martedì 30 ottobre 2012

Chiediamo l'Aiuto BCE, Prima Che Lo Imponga l'Europa

Viste le recenti novità politiche del nostro Paese - le dichiarazioni "anti-Monti" e "anti-tedesche" di Berlusconi e i risultati delle elezioni in Sicilia - è necessario capire quali potranno essere gli sviluppi in termini di situazione finanziaria del Paese, nel suo difficile rapporto con i mercati internazionali.

Con i recenti sviluppi l'Italia rischia di tornare nella scomoda posizione - nonostante gli sforzi fatti - di "Paese a rischio": considerazione ingiustificata dai fondamentali, come ha ben detto Mario Monti, ma "comprensibile" guardando alle difficoltà di un'ipotesi di scenario post-voto quanto mai incerto, sia per scadenza che per esiti.

Non è elegante citarsi, ma temo possa essere utile ripetere quanto detto in passato, in agosto (pur sperando in un diverso scenario): "(...) L'impasse però c'è e deriva dal timore che i passi avanti di questo periodo vengano dilapidati da due fattori: campagna elettorale confusa e/o inutilmente conflittuale, ed elezioni non risolutive. Da questo punto di vista l'unica possibilità di rassicurare i cittadini e i mercati che gli sforzi di questi mesi non siano vanificati da poche settimane di impazzimento politico passa per una strada molto stretta: la richiesta di aiuto alla BCE e la firma del relativo "memorandum".(...)"

Temo che non ci sia molto altro da dire, se non ribadire che l'alternativa non è più (se lo è mai stata) fra chiedere l'aiuto e non chiederlo, ma fra chiederlo noi autonomamente -  a breve, prima delle elezioni, gestendo (in qualche modo "autogestendo" con la BCE, in realtà) il relativo memorandum - e vedercelo imporre  (magari non subito, magari dopo le elezioni), sicuramente con condizioni molto più gravi e pesanti.

Cosa scegliamo?

Francesco Maria Mariotti

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