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domenica 16 febbraio 2014

L'AutoSfiducia Pd: Analisi Di Un Grave Errore

Ho provato a spiegare perché secondo me la scelta fatta dal Pd è un errore, temo grave. 

Inevitabilmente il discorso risente di valutazioni personali, e forse di semplificazioni di chi vive la cosa fra "esterno" e "interno" (non sono iscritto, ma seguo abbastanza da vicino le vicende), e questo può non aiutare.

Inevitabilmente il giudizio è anche probabilmente troppo generalizzato, nei confronti della dirigenza del Pd. Sicuramente questa è un po' un'ingiustizia, e mi scuso con chi magari potrebbe sentire un eccesso di severità.

Spero comunque che la riflessione - un po' lunga - possa aiutare a farsi un'idea.

Buona domenica e buon tutto

Francesco Maria

***

Sgomberiamo il campo da moralismi: la partita per il potere è sempre cosa dura e poco raffinata. Un amico che è in politica - quando discutiamo di queste cose - cita l'eterno Rino Formica: "la politica è sangue e merda"; se non sopporti la vista del primo o l'odore della seconda è meglio che cambi mestiere. Giusto, o quasi.

Comunque, dico questo solo per precisare che il problema che si è aperto in questi giorni con l'autosfiducia Pd (la chiamerei così, per far capire il paradosso cui sembriamo assistere; paragoni con tradizioni politiche di altri paesi mi sembrano fuori luogo) votata dalla Direzione nazionale non è un problema di "buone maniere", ma politico; certo,anche di stile; ma in questo caso lo stile non è un orpello inutile, ma più banalmente il modo in cui gestisci il rapporto con gli elettori, con i cittadini, e con le istituzioni (che non sono casa tua, anche se sei un partito glorioso).

Sgomberiamo il campo anche da altri possibili fraintendimenti: a tutti noi può essere capitato di "tradire" un principio a cui si era legati, votati, verso cui si era giurata fedeltà; la carne è debole, diceva un Tizio abbastanza più saggio di molti di noi; ma soprattutto a volte la vita ti pone di fronte a dinamiche che non puoi controllare totalmente e a conflitti di valore, o a situazioni nelle quali sei comunque costretto a scegliere. 

Secondo molti si diventa "adulti" così, quando si sceglie intimamente - prima ancora che esternamente - cosa sia più importante per noi, di fronte a opzioni radicalmente alternative ed escludentesi; ci si trasforma proprio perché si "taglia" una parte di noi, la si tradisce appunto; si comprende che la realtà richiede un sacrificio, e lo si interiorizza.

Quindi è giusto, a volte, "tradire" se stessi. Ma era questo il caso? E se sì (cosa di cui è lecito dubitare), è stato il comportamento del Pd - e dei suoi dirigenti, almeno della maggior parte (purtroppo in questa sede è inevitabile generalizzare) - consono a questa scelta che non è mai affatto semplice? Così non è parso: per velocità (direi fretta) e difficoltà di spiegare.

Qui non è in questione il fatto che la scelta politica sia l'ennesima conferma dell'ambizione dell'attuale segretario del partito (per chi come me non l'ha quasi mai avuto in simpatia non sarebbe una novità; ma di per sé questo non sarebbe un problema); qui è in questione che una scelta politica non è stata portata davanti al Paese con l'adeguata attenzione - anche umana - che una decisione così lacerante avrebbe meritato.

Tanto per citare un piccolo segno (non ho purtroppo avuto possibilità di verificare i particolari, prendetelo veramente come un segno "di costume", nulla di più), poco dopo la Direzione alcuni dirigenti avrebbero festeggiato le decisioni prese con un aperitivo, non proprio un comportamento da "scelta dura e dolorosa, ma necessaria". 

Qui preciso ancora: chi scrive non è un "democratico sempre e comunque"; credo che a volte nella gestione delle cose di Stato, colui che è chiamato a responsabilità di governo debba assumersi l'onere anche di mentire, se necessario per il bene della comunità. Ma una cosa è farlo per il bene della comunità, altro è farlo per il proprio tornaconto personale. 

E se per caso - ma è veramente questo il caso? - tornaconto personale e bene della comunità si avvicinano troppo (a volte può avvenire) non c'è da stare allegri; anche per il (preteso) leader è dunque il caso di aumentare l'autosorveglianza, non al contrario "sbracare" ed eccedere (a questa sorveglianza, teoricamente, servirebbero gli organismi dirigenti di una forza politica).

Perché la politica in democrazia è bestia strana: è vero, occorre a volte furbizia, ma mai troppa; occorre anche spregiudicatezza, ma da dosare con equilibrio. Perché comunque in democrazia c'è un "sentimento pubblico" di cui devi tenere conto, c'è una "fiducia complessiva" che regge il sistema e che può essere "zittita", "messa in sordina", "messa in tensione", ma fino a un certo punto. 

Perché se poi - per qualche sfortunata combinazione di fattori (che temo si sia verificata, in questo caso) - si supera il limite invisibile e impalpabile che separa la "tragica ma necessaria menzogna di governo" dalla "recita (un po' ridicola) del politicante", la rottura della fiducia rischia di essere totale, ingenerosa, e diffusa; e forse irreparabile. Temo che sia questo il caso, anche al di là della volontà dei singoli dirigenti.

Forse la troppa fretta, le poche spiegazioni, un combinato disposto di contraddizioni sia della maggioranza che dell'opposizione interne al partito; un approccio totalmente sbagliato nei confronti della persona di Enrico Letta; un approccio troppo visibilmente "eccitato" della persona del segretario del partito; una gestione approssimativa della partita delle riforme, che ora sembrano essere state accantonate (se si vuole durare fino al 2018), dopo aver promesso la velocità, la speditezza, la conclusione di tutto in pochi mesi.

Tragica contraddizione o ridicola messa in scena? Ahinoi, sembra prevalere la seconda.

Ora siamo costretti a "tifare" un governo, perché l'alternativa rischia di essere il disastro collettivo; ma proprio per evitare questi ricatti, esiste la politica; proprio per gestire queste dinamiche e "diminuire" l'azzardo - non esaltarlo - dovrebbero esistere le forze democratiche, i partiti.

Ultime considerazioni riassuntive:

1. Il guaio principale di questa dinamica, per il Pd, è che la "colpa" del leader è stata condivisa dalla quasi totalità della Direzione nazionale. Anche qui la cosa è ben strana: anche solo per furbizia tattica, si sarebbe potuto far vedere che c'era una dialettica. Lo spettacolo di giovedì è stato come vedere un esercito che si muove tutto e troppo velocemente verso un obiettivo che è poco definito, quasi un miraggio. E vien da dire: chi cura le retrovie? una qualsiasi forza organizzata sa che deve "spargersi", non muoversi tutta verso l'indefinito. Sa che deve gestire lo strappo, non esaltarlo. Perché poi se le retrovie sono sguarnite, l'avversario ha spazio per circondarti.

2. Il problema ulteriore - e qui ritorno a qualcosa di già detto in altri ragionamenti - è che le promesse fatte prima probabilmente erano troppo audaci, ma sarebbe meglio dire quasi assurde: "saremo diversi", "serietà è dire ciò che si fa e fare ciò che si dice", "noi non siamo come loro", "i vecchi riti della politica non ci appartengono". E via così dicendo. Ma appunto è quello forse il vero errore, o una sua componente essenziale: fingere che la politica - che è sempre anche"tattica", "mezze bugie", "complotto di palazzo" - non esista, che il Grande Leader di turno possa neutralizzare le dinamiche che - mi verrebbe da dire "in natura" - esistono e che non puoi evitare. Se si fosse stati meno "nuovisti", forse la sensazione di delusione non sarebbe stata così forte.

3. La logica complessiva che segna l'itinerario dell'attuale segretario del Pd sembra seguire le tracce di Craxi, le stesse seguite da Berlusconi e anche un po' da D'Alema. "Questo paese  è ingovernabile, e ci vuole una Grande Riforma"; il Grande Alibi che fu del leader socialista e che è diventato l'alibi di tutta una classe dirigente: non riusciamo a fare le cose perché non siamo "presidenzialisti", non siamo 'Stato forte', non siamo la Francia. La Francia intanto è in forte crisi, anche se lo "nasconde" bene. E la più "banale" Germania ha spiccato il volo con partiti 'classici' senza mutare il suo quadro costituzionale. L'Italia è un paese complesso. Forse sarebbe meglio imitare la Germania. Dobbiamo governare, non 'comandare'

4. Ecco, forse in questo "comandare" - verbo che indica il voler evitare la fatica di costruire un percorso, e la difficoltà di una condivisione - troviamo la tentazione ultima che è segno di questi tempi, e di questa politica. E' tragicamente vero che la velocità delle decisioni oggi è tale che a volte è necessario assumersi una responsabilità solitaria; ma è un attimo, un passo di troppo, una disattenzione - anche umana - che si fa strada; e la decisione diventa prepotente, troppo forte, incapace di essere sorretta. E il Paese non capisce, resiste. Frena. E non c'è "gaullismo all'amatriciana" che tenga. La politica anche più coraggiosa fallisce. 

E' inevitabile che avvengano gli scandali; e forse è bene che ci sia questo "scandalo"; perché in qualche modo la verità della politica poi torna a galla.

Oggi i cittadini sofferenti non hanno bisogno di facili slogan, ma di verità. Anche magari condita da qualche forzatura, da qualche compromesso, da qualche bugia. Ma - proprio perché ci aspettano scelte difficili - la verità del percorso difficile e lungo di qualsiasi politica non può essere nascosta.

Francesco Maria Mariotti

mercoledì 30 ottobre 2013

Fuga Sbagliata

Scelta sbagliatissima, arrendersi alla proposta di voto palese sulla decadenza di Berlusconi.


Questa fuga dalla responsabilità politica mi ricorda - con angoscia - le dimissioni repentine e frettolose dei ministri PDS dal governo Ciampi, dopo che Craxi era stato salvato da un voto parlamentare. Fu l'illusione di apparire distanti, altri, puri. Un'illusione che è quasi sempre fallace, e pericolosa, in politica. 

Chissà se si ripeterà lo scenario di allora. 

Mi consola leggere che molti altri - da quel che si legge nei social network - percepiscono la gravità dell'errore. Forse un giorno capiremo meglio che questi sono stati tempi confusi, in cui la sinistra e la destra si sono mescolate in una nebbia di incapacità e debolezza, di quasi totale mancanza di leadership, se proprio vogliamo chiamarla così. 

Non sarà però un nuovo leader - giovane o bello che sia - a risollevare il tono complessivo del Paese. Sarà uno sforzo comune, non la mossa geniale di un trascinatore. Sarà un percorso lento e contraddittorio. 

Perché è così la democrazia, anche quella che decide. Lenta e un po' assurda. 
Ma la talpa scava, e sconfigge la confusione. Che questi siano gli ultimi colpi della notte...

Francesco Maria Mariotti

domenica 29 settembre 2013

Per l'Italia

Sono un "governista" non pentito, anche se fin dai primi giorni del governo Letta ho sentito la mancanza della squadra di Monti
A mio avviso l'errore di fondo era credere che "la politica" potesse riprendere in mano la situazione, e - come ha detto Stefano Menichini oggi a Omnibus - che si potesse "restituire" agli elettori ciò che era stato "tolto" dal governo Monti, mentre il Paese non era e non è ancora pronto a dichiarare superata l'emergenza (consiglio caldamente questo articolo di Cerretelli).

La cosa più importante oggi la dice Saccomanni al Sole24Ore: i conti sono a posto, e i mercati lo sanno. Si tratta di farlo capire al mondo, anche "scenograficamente", facendo rimanere salda la cabina di regia del paese.
La politica deve saper ritrovare - decidano con quali trucchi, se con astensioni programmate o con nuovi gruppi parlamentari, poco importa - lo spazio di manovra che nelle emergenze siamo sempre stati capaci di sfruttare.

Letta dimissionario ad oltranza, Letta bis, Bernabè, Saccomanni stesso: nomi possibili per un eventuale - ma non strettamente necessario - nuovo governo che dia anche la "scusa" ai poco responsabili per fingere un po' di responsabilità. Il tempo di fare almeno una legge elettorale che dia sicurezza per future maggioranze (oppure ci penserà la Corte Costituzionale di Amato e Mattarella, come ipotizzava oggi Bordin a Omnibus, con qualche sentenza "originale"?), magari l'inserimento della "sfiducia costruttiva" per evitare continue fibrillazioni, legge di stabilità. 

Il meglio sarebbe continuare anche nel semestre europeo, ma sarà difficile.
Comunque non è possibile illuderci con parole d'ordine facili come "il ritorno della politica" o simili. 

E in ogni caso: Il governo Letta anche dimissionario è in carica fino a che non ne nasce uno nuovo. I tempi possono essere inaspettatamente lunghi e Napolitano sa quali sono i nostri interessi. 

Buon lavoro, e manteniamo la calma.

FMM

Saccomanni al Sole 24 Ore: «Conti a posto, i mercati lo sanno»

«Grazie ai nostri sforzi i conti pubblici dell'Italia sono a posto - spiega il ministro dell'Economia, a poche ore dall'annuncio delle dimissioni dei ministri del Pdl - Siamo in linea con gli obiettivi e con gli impegni europei. Abbiamo uno 0,1% di Pil da dover correggere, ma nel decreto che abbiamo portato venerdì in Consiglio dei ministri quella correzione già era stata individuata e c'è ancora tutto il tempo per approvarla prima della fine dell'anno». 

Il problema è che dalle prossime ore rischia di non esserci più il governo. E non c'è da fare solo quella correzione. C'è da approvare la legge fondamentale del nostro bilancio, quella legge di stabilità che in base alla nuova governance europea dovrà essere approvata anche a Bruxelles. «La legge di stabilità – sottolinea Saccomani – è un atto obbligatorio. Non ci si può esimere da questo. Un governo la farà. Aspettiamo di vedere l'evolversi del quadro politico, ma non c'è nessuna ragione per cui non la possa fare questo governo, anche – eventualmente – da dimissionario». 

di Fabrizio Forquet con un articolo di Isabella Bufacchi - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/uTcnX

Il Momento Peggiore (F.Forquet, Sole24Ore)

Sono tutti passaggi essenziali per provare ad agganciare i flebili segnali di ripresa internazionale di fine anno. Passaggi ai quali l'Italia rischia ora di arrivare senza un governo. Laddove non solo servirebbe un governo, ma servirebbe anche un governo credibile. Perché è chiaro che a nulla servirà un Esecutivo che dalla prossima settimana dovesse ricominciare a ballare sull'Imu, dopo lo spettacolo indecoroso sull'Iva cui abbiamo assistito fino alla tarda serata di ieri.

di Fabrizio Forquet - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/Ro2Wl

Ora basta, pensate al Paese (Mario Calabresi su laStampa.it)


"(...) È quasi inutile mettersi a ricordare la situazione nella quale siamo: la mancanza di lavoro, di speranze, di prospettive; il coraggio che moltissimi devono mettere in campo ogni giorno per andare avanti; la disperazione di chi deve abbassare una saracinesca per sempre o di chi ha ricevuto la lettera di licenziamento. Inutile anche gridarlo di fronte a chi è sordo ai problemi di tutti. 

Nei Paesi normali, quelli noiosi in cui le elezioni si tengono a scadenze fisse, i cambi di governo sono considerati traumatici perché ogni volta bisogna rimettere in moto la macchina con guidatori nuovi. Noi ci permettiamo il lusso - suicida - di farlo per la seconda volta nello stesso anno. Con un disprezzo totale della vita dei cittadini e dei loro problemi. 

In Francia è appena stata varata una commissione che dovrà stilare un rapporto per immaginare come sarà il Paese tra dieci anni, per programmare politiche capaci di interpretare e guidare i cambiamenti. Il nostro orizzonte invece si è ridotto ad una manciata di ore. Non abbiamo nemmeno più la vista breve, sembriamo condannati alla cecità. (...)

Tra quindici giorni andrà presentata la legge di stabilità, il passaggio chiave per chi come noi ha i conti pubblici a rischio; il 15 novembre arriveranno le pagelle europee; il nostro debito è risalito pericolosamente; il Fondo Monetario proprio due giorni fa è tornato a parlare di Italia a rischio: E noi, che avremmo un disperato bisogno di uno scudo di protezione e di credibilità, ci presentiamo al giudizio nudi e disarmati. 
Questa settimana Letta era a parlare a Wall Street, per rassicurare sulla nostra stabilità, pensate allo sconcerto o alle risate (a seconda che ci amino o no) che si stanno facendo in giro per il mondo. 
Avremmo bisogno di alzare la testa, dare spazio all’energia e alla razionalità e provare a immaginare e costruire, partendo dai problemi reali, un’altra Italia. (...)

Gli italiani meritano rispetto. È tempo di chiarezza, di passaggi netti, definitivi. 
Sappiamo con certezza che la maggioranza dei politici del Pdl non approva questa decisione. Sarebbe ora che trovassero la dignità e la forza di non scambiare l’affetto, la fedeltà e la riconoscenza per il Capo con l’adesione a un gesto che fa del male a tutto il Paese. 
E sarebbe il tempo in cui tutti quelli che pensano di appartenere ad una comunità fatta di sessanta milioni di persone e non ad una parte, avessero il coraggio di dire: «Questa volta viene prima l’Italia»"


sabato 5 novembre 2011

Il punto di non ritorno (Mario Calabresi - la Stampa)


In altri tempi Silvio Berlusconi tornando dalla Costa Azzurra si sarebbe fermato a Genova, in altri tempi avrebbe speso un poco del suo tempo per mostrare attenzione verso una regione in cui le acque hanno ucciso 16 persone in meno di una settimana. Il nostro premier ogni giorno di più mostra di aver perso il contatto non solo con l’Italia ma anche con la realtà.(...) Se la barriera costruita intorno alle nostre emissioni ancora regge è solo grazie ai continui acquisti della Banca centrale europea guidata da Mario Draghi. Ma se i nostri partner, a partire da Francia e Germania, lanciassero il segnale che non si possono continuare a spendere i denari di tutti per tenere a galla l’Italia allora il disastro sarebbe assicurato.(...) Per questo è diventato obbligatorio chiedersi come Berlusconi speri di salvarsi e di salvarci, cosa possa ancora fare per cercare di far cambiare rotta agli eventi. Siamo vicini al punto di non ritorno, al momento in cui il cambio di governo sarà dettato da eventi esterni, possono essere questi i mercati o i partner europei, oppure da una drammatica votazione parlamentare su provvedimenti economici. Nessuno si merita una situazione e un finale di questo tipo, non l’Italia e nemmeno Berlusconi.E’ ancora in condizione di scegliere lui i tempi e i modi per un passo indietro, sarebbe un gesto sensato verso il Paese, verso la sua maggioranza e i suoi elettori. Per farlo però dovrebbe aprire gli occhi e guardare a quanto è cambiato lo scenario che lo circonda, scoprirebbe che la crisi stringe l’Italia e l’Europa, che gli italiani hanno bisogno di normalità e tranquillità e sono sfiniti dalle prove di forza, dai giochi di Palazzo e dalle battute.