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lunedì 10 giugno 2019

BCE: Draghi oltre Draghi (ilSole24Ore)

"(...) C’è dunque molto Draghi, e molto a lungo, nel dopo-Draghi. La transizione tra il vecchio e il nuovo presidente si preannuncia morbida, per non aumentare le incertezze già tante e «prolungate». Il condizionale resta però d’obbligo: i mercati sanno bene che molto, tutto, dipenderà dalla voglia del nuovo presidente di aprirla, quella cassetta degli attrezzi molto fornita, e del suo gradimento verso questo o quello strumento. (...)"

https://mobile.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2019-06-09/bce-draghi-oltre-draghi-cosa-restera-di-questi-8-anni-a-francoforte/AC5QC6O#Echobox=1560113697

lunedì 26 gennaio 2015

L'Europa (Forse) Sta Cambiando - Rassegna Stampa

Per carattere e per scetticismo innato nelle possibilità della politica, andrei cauto ad entusiasmarmi per la vittoria di Syriza in Grecia, e forse anche per il QE di Draghi; sicuramente sono segnali molto positivi ma tutt'altro che risolutivi. Ritorno alla politica contro la tecnocrazia? difficile crederlo possibile; il braccio della politica in Grecia si è rafforzato, ma per il momento di sole parole e consenso; la tensione con le autorità che devono sorvegliare il debito greco non si risolve né con i comizi né con i voti. E la torsione "di sinistra" di Syriza può sempre rischiare di alimentare prospettive ben più reazionarie (si veda il discreto successo di Alba dorata).

Comunque è stato importantissimo che si siano rese più "visibili" le sofferenze dei cittadini greci, e quindi la necessità urgente di riformulare il percorso di uscita dalla crisi. Se i politici - greci, ma anche nostri per quel che ci riguarda - eviteranno di farsi illusioni, si potrà fare un percorso utile e positivo per tutti. 

Le rivoluzioni annunciate sovente falliscono: meglio calibrare con attenzione obiettivi e reale potere; e forse sarebbe meglio cominciare a costruire una politica europea degna di questo nome. Di seguito alcuni articoli per approfondire la situazione in Grecia e cosa aspettarsi dalle manovre dello Zar Draghi.

Francesco Maria Mariotti

ps: prima di tutto, però, un articolo sul Presidente che verrà...
Vorremmo, poi, un Presidente che sappia servire in maniera privilegiata i più deboli: se è vero, come sostenevano don Loreno Milani e la sua Scuola di Barbiana, che “non c'è niente di più ingiusto che trattare i diseguali da eguali”, il Capo dello Stato dovrà essere attento alle disuguaglianze, vigile nel segnalarle, di stimolo nel superarle, perché cresca la distribuzione dei beni e dei servizi a vantaggio di tutti, e nessuno sia escluso dai diritti di cui da cittadino della Repubblica deve poter godere, da quello alla vita, alla casa e al lavoro, al diritto alla salute, allo studio e alla partecipazione alla vita politica e sociale del Paese.
di Bruno Forte - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/4ejE7Y

***
GRECIA

Eppure, Tsipras non ha mai ricordato che senza l’Ue non sarebbe stato possibile ottenere oltre 240 miliardi di euro. Non ha mai ricordato che senza il supporto della Bce le banche elleniche sarebbero collassate sotto il peso della pressione dei mercati finanziari nella fase più severa della crisi. Ma soprattutto, non ha mai ricordati ai suoi elettori che rinegoziare i patti, o memorandum of understanding, sottoscritti con la troika significa uscire de facto dall’eurozona. Il motivo è semplice. Dato che ogni erogazione finanziaria deve essere il frutto di un patto fra il Paese e il prestatore, se essi vengono meno chi potrà mai finanziare, ai prezzi attuali, la Grecia sui mercati obbligazionari? Nessuno. Perché il concetto di premio per il rischio, quando si parla di bond governativi, è ben ricordato dagli investitori internazionali. Più un Paese è incerto, incapace di avere una prospettiva di lungo periodo e poco credibile, più dovrà pagare per collocare i propri bond. Ed è indubbio che sul mercato obbligazionario il cappello di protezione della troika ha giovato alla Grecia, dato che i rendimenti dei suoi titoli di Stato si sono ridotti in modo significativo dall’inizio della crisi a oggi. Tsipras però questo non lo rammenta di proposito. Quello che è certo è che se ne renderà conto in fretta. Più cresce l’incertezza legata al destino del Paese, più i mercati saranno sotto stress. E l’unica rete di protezione talmente forte da contrastare queste spinte è l’area euro. Ecco perché Tsipras dovrà negoziare con la troika, dopo averla attaccata a lungo. Potranno esserci delle concessioni, ma il pacchetto di misure strutturali da introdurre non muterà.

Alexis Tsipras non cambierà l’Europa. E nemmeno la Grecia. Ne sono convinti tanto i mercati finanziari quanto i policymaker europei. Nonostante gli annunci choc e gli attacchi diretti alle politiche comunitarie, Syriza non potrà far marcia indietro rispetto a quanto sottoscritto dal Paese con la troika composta da Fondo monetario internazionale (Fmi), Banca centrale europea (Bce) e Commissione Ue. Perché se così accade, Atene corre il rischio di ritornare al centro della crisi dell’eurozona. Senza le protezione europee, però.

Quei due milioni, così, non solo agitano lo spettro - a Berlino e in parte anche a Bruxelles - di un nuovo governo che getti a mare le imposizioni della troika e le politiche di austerità dettate, ma vengono già accolti dalla sinistra radicale in tutta Europa come il segno - anzi l’annuncio salvifico - di un cambiamento possibile. E del resto se un messaggio arriva dalla Grecia è quello che di troppa austerità si muore; o almeno muore politicamente chi governa, schiacciato ad esempio dal peso dei 300 mila cittadini che su una popolazione di 11 milioni di persone non possono più permettersi l’energia elettrica.
Germania in arrocco e Grecia in attacco, dunque. E il resto dell’Europa?​

È stato detto che la Grecia è troppo piccola perché la sua uscita dall’eurozona abbia effetti irreparabili sulle sorti dell’euro e dell’Unione Europea. Sarebbe forse vero se l’economia fosse soltanto cifre e la politica un teorema basato su fattori esclusivamente quantitativi. Ma la Grecia è anche altre cose che la buona politica non può ignorare. È una parte essenziale della nostra storia, della nostra cultura e di quella che, con parola abusata ma particolarmente adatta in questo caso, viene definita identità. Se l’Ue vuole essere molto più di una semplice alleanza, non è realistico pensare che i grandi Paesi, dagli Stati Uniti alla Cina, reagirebbero distrattamente all’abbandono di Atene. Penserebbero che l’Europa di Bruxelles e Strasburgo è soltanto una costruzione utilitaria e contingente, priva di qualsiasi motivazione ideale, pronta a sbarazzarsi del più vecchio dei suoi passeggeri se la barca s’imbatte in una tempesta. E da questa constatazione trarrebbero inevitabilmente conclusioni negative sull’autorità e sull’affidabilità del progetto europeo. 



Chi è Alexis Tsipras
Tsipras è nato ad Atene il 28 luglio del 1974, quattro giorni dopo la caduta della dittatura dei Colonnelli: ha una compagna, due figli, vive in periferia e si è laureato nel 2000 in ingegneria all’Università di Atene (il padre era un imprenditore edile vicino al Pasok). Tsipras ha iniziato a fare politica alla fine degli anni Ottanta con il movimento dei Giovani comunisti greci, durante l’università era diventato membro del sindacato degli studenti (riuscendo a vincere contro il governo la battaglia per il ritiro di una controversa riforma scolastica) e, dopo essersi allontanato dal partito comunista, nel 1999 era stato eletto segretario dell’area giovanile del partito della sinistra radicale, Synaspismós.


Un’ultima nota, per tornare da Atene a Roma. La vittoria di Syriza deve servire per costruire un’Europa più plurale, aperta, fondata sul lavoro che genera crescita e su una solidarietà fra popoli che fa di essi un solo popolo federato. Non può, non deve servire, a giustificare la mancanza d’impegno nel rendere sostenibile la finanza pubblica nazionale e nel mettere ordine in situazioni contabili, politiche e di distribuzione delle risorse grandemente sbilanciati e nel medio periodo non più sostenibili. Dobbiamo, insomma, negoziare con i tedeschi per un’Europa più equilibrata come se non ci fossero debolezze errori e lacune nazionali; ma al contempo dobbiamo combattere i disordini, la spesa pubblica inutile e le troppe tasse su chi lavora e produce che servono per mantenerla, le clientele e le corruzioni di casa nostra, come se non fosse l’Europa a chiedercelo, ma la premura per il nostro futuro. Che è poi la verità: ad Atene, come a Roma.

BCE 

Quello della Bce sarà un Qe differente da quelli osservati finora. Prima di tutto, come ha spiegato Goldman Sachs, per via del contesto. “Il Qe della Bce è diverso e non solo a causa della mancanza di unità dell’area euro. Tassi nominali e rendimenti a termine sono già molto più bassi rispetto agli Stati Uniti prima dei suoi programmi di Qe”, spiegano gli analisti della banca americana. Inoltre, “i tassi reali sono molto più bassi che in Giappone prima che iniziasse il passaggio al Qqe (Qualitative quantitative easing, ndr)”. Infine, continua Goldman Sachs, “la Bce si trova ad agire in un contesto con aspettative di mercato sull’inflazione decisamente diminuite in tutto il mondo e rafforzate dal calo del prezzo del petrolio”. Sotto un profilo operativo, conclude Goldman Sachs, il Qe nella versione di Draghi “può fornire un maggiore supporto se è in grado, da un lato, di restringere gli spread del credito sovrano nei Paesi periferici e, dall’altro, di convincere il mercato ad aumentare le aspettative di inflazione più a lungo termine”. Traduzione: deve convincere gli investitori sull’inversione di rotta nella zona euro e sul ripristino del corretto meccanismo di trasmissione della politica monetaria. Un compito non facile.

Sul lato imprese sarà bene ricordare che non veniamo mica da anni in cui sia scarseggiata la liquidità, nei mercati. Anzi, era ed è abbondante. Qui scarseggia il mercato interno (vedi sopra, circa i consumatori) e scarseggia il credito. L’altro programma espansionista, sempre di marca Bce, è il Tltro, finalizzato a fornire liquidi da trasferire alle imprese. Ma da noi rischiano di fermarsi in banca, per debolezza sia delle banche (dal punto di vista patrimoniale) che dei clienti (dal punto di vista dell’affidabilità). Scarseggia anche la certezza del diritto e, tanto per dirne una, dopo mesi di discussioni sulla legislazione del lavoro, ancora oggi un imprenditore non sa in quale regime fiscale e regolamentare assumere. Quindi aspetta. Abbondano, invece, la pressione fiscale e la perversione burocratica. Se non si mette mano a queste cose gli investimenti non ci saranno, o non nella quantità e diffusione tali da lasciare intendere che la ripresa è una realtà, non uno slogan.

Com'è accaduto negli altri Paesi, questa forte iniezione di liquidità indurrà le banche a rivedere la composizione del loro attivo e i capitali privati a spostarsi su investimenti più rischiosi, principalmente azioni e obbligazioni ad alto rischio. In assenza di sorprese dalla Grecia, quindi, la reazione positiva dei mercati azionari dovrebbe continuare, così come la discesa del tasso di cambio. Ciò fa parte degli effetti voluti, e del meccanismo con cui il Qe si trasmette all'economia reale.
di Guido Tabellini - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/tI7Amq

Ma c'è un contesto storico di più ampio respito. Nel lungo percorso verso l'unificazione europea, l'azione di Draghi rappresenta una svolta equiparabile a quella di Alexander Hamilton, primo segretario al Tesoro degli Stati Uniti che elaborò le fondamenta economiche del paese con la sua “triologia” scritta fra il 1790 a il 1793: a) sulla necessità di creare una Banca Centrale (che venne però oltre un secolo dopo); b) sul consolidamento del debito pubblico (dopo i forti indebitamenti per la guerra di Indipendenza dagli inglesi); e c) sulle manifatture, sull'importanza di “proteggerle per rafforzarle”. C'era anche un quarto rapporto, minore, una zecca autonoma.
di Mario Platero - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/Cp8Q8R

L’acquisto da parte della Bce e delle Banche centrali nazionali di titoli di istituzioni europee (Esm ed Eib) e di titoli di stato limitatamente al 20% del totale con solidarietà nel rischio condivisa è stato visto dai più come un vulnus all’unità del Sistema europeo di Banche centrali. Potrebbe però essere letto anche come una premessa per il varo di quegli eurobond senza i quali l’Eurozona non potrà mai fare una politica fiscale, di bilancio e di investimenti (pubblici) che è essenziale per l’integrazione sia politica che dell’economia reale.
di Alberto Quadrio Curzio - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/8Sw4t3

Tutto ciò premesso, ci sono altri effetti collaterali del QE della Bce da analizzare. Il primo è quello tradizionale di operazioni di questo tipo: quando una banca centrale compra debito pubblico domestico, su di esso incassa le cedole. Che accade a queste cedole? Che vanno a contribuire all’utile della banca centrale, che viene poi girato secondo statuto al Tesoro nazionale. Il fatto che la Bce abbia precisato, giovedì pomeriggio, che le cedole non potranno essere corrisposte immediatamente al Tesoro, non cambia la sostanza delle cose. Quell’utile di Banca d’Italia finirà sotto forma di “dividendo” al Tesoro, mediato assieme alle altre determinanti dell’utile della banca centrale. Salvare la forma per offuscare la sostanza. E qui, la considerazione sorge spontanea: confidiamo che la Banca d’Italia non andrà a beneficiare con questo utile da QE anche le banche private sue azioniste: sarebbe un assoluto non senso, oltre che una presa in giro.

Altra perla politica di Draghi è l’aver minimizzato i rischi della ridotta mutualizzazione dell’operazione affermando che, se mai vi fossero default, le singole banche centrali nazionali hanno comunque cuscinetti di capitale più che sufficienti per assorbire le perdite sui titoli di stato da esse acquistati. Ma un programma ben costruito non è necessariamente un programma efficace. Le forze deflazionistiche continuano a soffiare forte; il QE arriva comunque molto tardi; la crescita globale, con l’eccezione (sinora) degli Usa è in rallentamento; il sistema finanziario dell’Eurozona resta fortemente bancocentrico, e ciò attenua l’efficacia delle misure.

lunedì 25 agosto 2014

Mario Draghi e l'Europa irriformabile (da Linkiesta.it)

(...) Nessuno dei quattro grandi paesi che adottano l’euro è davvero a posto, nessuno può alzare il ditino o indossare l’aureola del santo. Ma chi è in grado di convincerli a seguire la retta via? È questo il dilemma che Draghi ha posto indirettamente, ma con chiarezza. E si è scontrato contro un muro, perché nessuno oggi ha il potere di farlo, certo non la Ue che è ridotta sempre più a un club di nazioni chiassose e litigiose, ma nemmeno la Bce che pure è l’unica istituzione federale dotata di veri strumenti d’intervento. I cambiamenti principali finora sono stati compiuti sotto la pressione degli eventi, davanti a rischi drammatici come la crisi bancaria del 2008, il crack della Grecia nel 2010 o il collasso dell’euro nel 2012. E sono comunque rimasti cambiamenti a metà, accettati di mal grado dalla Germania che pure vanta il proprio europeismo federalista.

Draghi ha chiesto un’ulteriore cessione di sovranità e vuole un patto per le riforme da accompagnare al patto fiscale. Se si vuole dare all’euro una intelaiatura più solida è un passaggio inevitabile. Ma oggi non c’è consenso né tra i paesi del sud né in quelli del nord Europa. Dunque, la politica economica europea è in un cul de sac. La Bce alla fine sarà costretta a fare come la Fed se arriverà davvero una nuova tempesta finanziaria. Ma senza dietro un paracadute politico, nessuno può garantire che sia davvero efficace. Draghi lo sa e lo ha detto. Anche la sua diventerà una predica inutile?

Il rischio è ancor più forte se si passa alla riforma delle riforme, quella del sistema finanziario dove è cominciato il grande crack. Qui i passi sono stati ben più timidi di quelli compiuti dalle politiche fiscali dei governi. I grandi protagonisti, le megabanche, i supermarket della moneta, i fondi di investimento, hanno continuato ad assumere rischi come se nulla fosse e poco è cambiato del loro comportamento. Sono migliorati gli strumenti di controllo, anche se non a sufficienza, ma sono sempre interventi ex post, nulla che possa in alcun modo prevenire lo scoppio a catena di nuove bolle e una crisi sistemica. (...)

venerdì 9 maggio 2014

Perché Draghi Aspetta Giugno

Nel corso della conferenza stampa che tradizionalmente segue l'annuncio sui tassi, il presidente della Bce Mario Draghi ha confermato le previsioni già fatte dall'Eurotower sulla ripresa europea, spiegando che i tassi attuali, o eventualmente più bassi, sono destinati a restare per un periodo «prolungato» di tempo. Confermate la previsioni sull'inflazione destinata a restare bassa e a crescere in maniera molto modesta
 
con un'analisi di Riccardo Sorrentino - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/p8NXH
  
Perché aspettare? I rischi geopolitici sono stati ancora una volta citati dalla Bce, insieme all'euro e nello stesso contesto, come un fattore di preoccupazione. Gli effetti di un'escalation della crisi in Ucraina – ma anche, ha detto Draghi, di un peggioramento dell'attività economica in Russia o di un effetto eccessivo delle sanzioni – potrebbero manifestarsi in due modi diversi: attraverso una riduzione della domanda, che potrebbe colpire i paesi di Eurolandia con un ampio interscambio con la Russia e l'Ucraina, o attraverso un aumento dei prezzi
 
analisi di Riccardo Sorrentino - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/1iKoq
 
La politica delle aspettative rappresenta il meccanismo cruciale per governare la trasmissione della politica monetaria, soprattutto in una fase storica come questa, in cui una profonda recessione economica ha seguito una grave crisi finanziaria. Il mix tra crisi finanziaria sistemica e recessione economica - chiamiamola recessione sistemica - è micidiale. Guardando alla storia, le recessioni sistemiche hanno finora colpito in 63 casi Paesi avanzati ed in 37 casi Paesi emergenti. Tra le 35 peggiori recessioni sistemiche, sono già entrate in classifica cinque casi della recente crisi: Grecia, Irlanda, Islanda, Italia e Ucraina. Inoltre, quando la crisi è grave, nel 66% dei casi vi è una ricaduta recessiva. Dunque durante una recessione sistemica - come l'attuale - il meccanismo delle aspettative rischia di essere particolarmente delicato. Sbagliare il messaggio di politica monetaria può essere molto dannoso. L'annuncio di politica monetaria diventa una pallottola d'argento; non va sprecata.
 
di Donato Masciandaro - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/11BLFY

venerdì 4 aprile 2014

Il Quantitative Easing Della BCE


A questo link trovate il testo della conferenza stampa di Mario Draghi


La Bce, per ora, spiega solo che deve pensarci ancora. Eurolandia, ha spiegato Draghi, è un sistema economico molto dipendente dalle banche e questo impone di disegnare bene il suo quantitative easing, che non potrà essere analogo a quello degli Stati Uniti. Negli Usa, gli acquisti di titoli finanziari ha un effetto diretto sull'economia reale perché la maggior parte dei finanziamenti alle imprese passa attraverso il mercato finanziario. Nell'Unione monetaria c'è invece il filtro delle banche, che ha reso utili a metà le maxi iniezioni di liquidità del 2011 e 2012. Non può essere un caso se, rispondendo a una domanda sulle specificità di un quantitative easing Bce, Draghi ha subito fatto riferimento all'Asset quality review, l'esame degli attivi delle banche.
 
di Riccardo Sorrentino - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/DiUe5
 
Le dichiarazioni degli ultimi giorni non devono però far pensare che l'uso del Qe sia imminente. Anzi tutto, il presidente della Bce, Mario Draghi, ha precisato ieri che l'uso della politica monetaria convenzionale, quindi il taglio dei tassi d'interesse, non è esaurito. Il che farebbe pensare che la Bce voglia battere questa strada prima di imbarcarsi in decisioni molto più controverse come il Qe. Non è un caso che alla vigilia del consiglio, due economisti tedeschi ortodossi, Michael Heise di Allianz, e Jörg Kraemer, di Commerzbank, siano intervenuti separatamente per contestare questa opzione. Non c'è dubbio che, nonostante il cambio di atteggiamento della Bundesbank (peraltro con molte condizioni e puntualizzazioni), il Qe resti politicamente esplosivo in Germania.
 
di Alessandro Merli - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/dmjec
 
C'è un'altra opzione: la Bce potrebbe attuare la politica monetaria ultra espansiva acquistando titoli pubblici a massima sicurezza (Tripla A), emessi da Paesi non appartenenti all'Unione monetaria (Australia, Canada, Norvegia, Svezia, Svizzera, Regno Unito). La manovra avrebbe un impatto fiscale nullo sui Paesi dell'Unione, ed in più avrebbe un effetto collaterale da molti gradito: spingere verso il basso il tasso di cambio dell'euro. L'espansione monetaria non avrebbe però l'impatto ravvicinato con le emittenti privati. Le due opzioni - titoli privati o titoli pubblici non Euro - potrebbero peraltro essere complementari, sommando i potenziali vantaggi.
 
di Donato Masciandaro - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/Dya0J

martedì 11 febbraio 2014

Fumo. Soltanto Fumo

Stiamo passando una giornata politica un po' assurda, sull'onda di notizie-scoop che scoop non sono.

Quel 2011 lo ricordiamo in tanti, credo tutti; la "guerra del debito pubblico" era in corso da tempo: si legga un editoriale di Mario Deaglio dell'agosto del 2010 per capire come la preoccupazione per la sostenibilità dell'Italia fosse già palpabile mesi prima. 

Con il mondo in preda alla crisi economica, e con le dinamiche finanziarie che colpivano l'Europa, sarebbe stato assai strano - e veramente colpevole - se il Presidente della Repubblica non si fosse attivato, in presenza di una maggioranza molto fragile, come quella che caratterizzava il governo Berlusconi dell'epoca. Si doveva decidere tutto in poche ore quando tutto fosse crollato? Sarebbe stato quello sì comportamento da irresponsabili. 

E' ridicolo spacciare queste notizie come "rivelazioni" ed è fastidioso, quando si valorizzano queste presunte "rivelazioni" con frasi un po' populiste come "le élites sapevano, la massa no" (ha detto una frase simile Alan Friedman nella puntata di Piazza pulita che sta andando in onda questa sera). 

No, la distinzione élite - massa risparmiamocela. La cittadinanza democratica è un esercizio che può superare queste distinzioni, a cui populisti e reazionari sono affezionati, e in quei mesi la consapevolezza della gravità della crisi era comune, non era "patrimonio nascosto" di qualche élite tecnocratica (mondialista, bolscevica, plutocratica, fate voi). 

Di Monti premier si discuteva da diversi mesi. Si parva licet, nel mio minimo 'spazio pubblico' avevo fatto girare l'ipotesi, come forse qualcuno ricorderà (E - sia detto per inciso - l'azione di Monti risulterà fondamentale per permettere a Mario Draghi di convincere i governi dei paesi dell'euro a muoversi efficacemente a garanzia della moneta comune)

E' assolutamente normale che in situazioni di crisi, i vertici e le istituzioni di un paese prendano in esame tutti gli scenari possibili, e laddove sia necessario, comincino a operare per i dovuti cambiamenti. Accade così anche nella guerra, quella vera, probabilmente. Per la sicurezza dello Stato non puoi attendere che i fatti avvengano; e se il rischio è "totale", ti muovi in anticipo perché devi evitare a tutti i costi che il rischio si avveri.

Per cui, nessuna novità. Nessuno scoop. Come ha detto Napolitano, fumo. Soltanto fumo.

Francesco Maria






(...) L’instabilità o il vuoto politico potrebbero infatti avere rilevanti ripercussioni negative sulla gestione del debito pubblico italiano. Va ricordato che l’Italia è stata per decenni uno dei maggiori «produttori» di debito pubblico, ossia di titoli sovrani acquistabili sui mercati finanziari ma che, con il generale peggioramento dei bilanci pubblici delle economie avanzate, su questo mercato mondiale del debito l’Italia deve competere molto più duramente di prima con molti Paesi, quali Germania, Francia e Gran Bretagna che devono «piazzare» i propri titoli per avere le risorse necessarie a quadrare i propri bilanci.

 
Il debito pubblico italiano è complessivamente gestito bene, senza addensamenti eccessivi di scadenze, il che limita la possibilità di grandi ondate speculative, del tipo di quelle che hanno colpito la Grecia e, in misura minore, il Portogallo. E finora l’Italia ha rigorosamente rispettato gli obblighi di disciplina di bilancio - tra i quali il varo della recente manovra - che si era assunta in sede europea. Alcune aste importanti negli ultimi mesi, specialmente quelle di giugno, sono state superate in maniera molto soddisfacente; 

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tra la fine delle ferie e la fine dell’anno, però, vengono a scadere circa 100-120 miliardi di debito, concentrati soprattutto a settembre e a novembre e dovranno essere rifinanziati, ossia sostituiti con titoli nuovi.
 
Chi li acquisterà? Una parte rilevante - si può stimare un po’ più della metà - sarà sottoscritta da risparmiatori italiani, tradizionalmente attratti da questo prodotto «di casa» (l’impiego di risparmio in debito pubblico è uno dei più importanti comportamenti unificanti dell’Italia di oggi). Il resto dovrà trovare compratori all’estero nelle condizioni concorrenziali e difficili di cui si diceva sopra. 

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Quando devono decidere se - e a che prezzo - acquistare titoli di uno Stato sovrano, i grandi operatori finanziari, tra i quali figurano molte banche centrali, come quella cinese, esaminano a tutto campo la situazione del Paese debitore e in questo esame la stabilità politica e la volontà di rispettare i propri debiti hanno uno spazio molto importante.
 
Quale sarà la reazione del banchiere cinese, del finanziere americano, dell’analista finanziario che lavora per qualche grande banca internazionale di fronte alle «sparate» dei politici di questi giorni? Gli esperti internazionali che si occupano dell’Italia sono in gran parte abituati alle iperboli, al sarcasmo, alle pesanti ironie, alle punte di volgarità del dibattito politico italiano. La possibilità che tutto questo si possa riflettere sul piano istituzionale senza alcun riguardo per la posizione finanziaria del Paese non potrà però non preoccuparli. 

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E potrebbe indurli a chiedere un «premio», ossia un tasso di interesse sensibilmente maggiore di quello applicato ad altri Paesi che si tradurrebbe, come minimo, in qualche migliaio di miliardi in più di spesa per lo Stato italiano, da recuperare poi con nuova austerità e, nella peggiore delle ipotesi, in una più generale «bocciatura finanziaria» dell’Italia.
 
Ai politici che in questi giorni così abbondantemente si esprimono deve quindi essere consentito di rivolgere una sommessa preghiera: tengano presente che quando parlano non hanno di fronte solo il pubblico, spesso non troppo numeroso, dei loro sostenitori politici, o i giornalisti desiderosi di riempire spazi che le festività rendono vuoti. 

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Ad ascoltarli, a pesare le loro parole più di quanto essi stessi si rendano conto, c’è tutta la finanza mondiale. Che deciderà se sottoscrivere i nostri titoli di debito anche sulla base delle loro parole e dei loro programmi.


venerdì 7 febbraio 2014

Sulla BCE Deciderà La Corte Europea

(...) E' la prima volta nella sua storia ultrasessantennale che la Corte di Karlsruhe rimanda un caso alla sede europea. Dopo un anno di lavoro, i giudici hanno espresso un parere secondo cui il piano Omt, che prevede l'acquisto di titoli pubblici di Paesi in difficoltà in cambio dell'adozione di un severo programma di riforme economiche, viola il mandato della Bce, ma non hanno trovato modo di arrivare a una sentenza contraria, nonostante durante le udienze pubbliche avessero manifestato una aperta opposizione, sostenuta dalla testimonianza del presidente della Bundesbank (...)

di Alessandro Merli, con un'analisi di Isabella Bufacchi - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/ZLQPe

(...) Per molti economisti il piano Omt è l'unica vera causa del reflusso della crisi dell'euro. Lo hanno chiamato il "bazooka" di Mario Draghi, a cui erano bastate tre parole ("Credetemi, sarà sufficiente") per cambiare le sorti dell'Europa. La Bce assicurava che avrebbe fatto di tutto per non lasciare nessuno indietro e salvare l'euro. Questo programma di azione, prima ancora di essere testato dai mercati - non è mai stato necessario attuarlo, non è stato speso un euro - viene ora testato dai tribunali. Draghi ha dovuto ribadire a cadenza pressochè quotidiana di agire all'interno del mandato della Bce. Non ha mai convinto la Bundesbank. Da subito il "falco" tedesco Jurgen Stark, ex membro della Bce, ha ribattezzato il piano Omt con le parole "Out of mandate transactions", ovvero "operazioni fuori dal mandato" originario di Eurotower.

Il dossier è stato per mesi sul tavolo della Corte Costituzionale tedesca fino alla decisione di oggi, una "mezza bocciatura" del piano con ricorso alla Corte di Giustizia europea. A giugno scorso, di fronte ai giudici della Consulta tedesca si sono trovati due vecchi compagni di studio: l'accusa affidata al presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, convinto che il piano Omt metta a rischio l'indipendenza della Banca centrale e favorevole anche a rivedere i trattati europei per limitare il raggio d'azione di Eurotower; la difesa, sostenuta dal componente (tedesco) del direttorio della Bce, Joerg Asmussen, rassicurante sulle misure anticrisi "necessarie, efficaci" e sull'operato di Mario Draghi "entro i confini del mandato".
Con il passare dei mesi, la Bundesbank si è trovata sempre più isolata. Anche nel Governo di Berlino le posizioni si sono ammorbidite gradualmente (...)
Proprio dalla "Città del Diritto" della Germania arriva oggi un verdetto contrario al piano di Mario Draghi: si osservano, spiegano i giudici della Consulta, "importanti ragioni per ritenere che il programma vada oltre il mandato della Bce e per questo infranga i poteri degli Stati membri, violando il divieto di finanziare i bilanci pubblici con la leva monetaria". La Corte, nell'annunciare il ricorso alla Corte europea di Giustizia, aggiunge però che "se interpretato in modo restrittivo" il piano Omt può rispettare la legge. Suggerisce in altre parole una via di compromesso: togliere il bazooka a Draghi, ma dotarlo di armamenti più leggeri. Ora la parola passa alla Corte del Lussemburgo che, fattore non secondario, impiega in media oltre un anno per esaminare e chiudere un dossier.
Perché allora le Borse registrano tutte performance positive? Come mai gli spread si riducono, con il differenziale del Btp sul Bund vicino ai 200 punti e il rendimento del Btp decennale sul Bund ai minimi dal 2006? Come mai, ancora, una notizia che solo alcuni mesi fa avrebbe gettato nel panico i mercati oggi viene accolta positivamente? (...)

martedì 17 dicembre 2013

L’effetto farfalla inquieta Draghi (da ilFoglio.it)

La partenza di Jörg Asmussen dalla Banca centrale europea è “un’enorme perdita per il Consiglio esecutivo e per me stesso personalmente. Andavamo molto, molto, molto d’accordo”. Mario Draghi non poteva essere più esplicito, ieri, davanti al Parlamento europeo, sulla decisione di Asmussen di abbandonare Francoforte per tornare a Berlino come sottosegretario al Lavoro in quota socialdemocratici nel governo Merkel III. C’è il pericolo di vedersi piombare nel board della Bce un super-falco tedesco, come l’attuale vicepresidente della Bundesbank Sabine Lautenschläger, favorita della coppia Schäuble-Weidmann per succedere a Asmussen. C’è il rischio di indebolire la posizione europeista della Bce sull’Unione bancaria, nel momento in cui i ministri delle Finanze negoziano gli ultimi dettagli del Meccanismo unico di risoluzione delle banche in crisi. Soprattutto, con il trasloco di Asmussen, Draghi perde un alleato formidabile di fronte all’opinione pubblica tedesca e un canale di comunicazione permanente e influente con Angela Merkel. “I contatti di Asmussen nel governo tedesco mancheranno sicuramente” alla Bce, ha spiegato l’economista di Ing Carsten Brzeski a Bloomberg: “Agiva come contrappeso, difendendo in modo convinto la linea della Bce”.(...)

A differenza di Weidmann, Asmussen non può essere classificato come un falco. Semmai rientra nella categoria sempre più rara di europeista convinto, pronto a utilizzare la creatività pur di preservare la zona euro nel suo insieme. Dopo aver difeso la Long Term Refinancing Operation (l’iniezione di liquidità da mille miliardi del dicembre 2011), Asmussen ha votato a favore dell’Outright Monetary Transactions (il cosiddetto “scudo anti spread” annunciato nel settembre dello scorso anno) e di due precedenti tagli dei tassi. Secondo i ben informati, senza i pranzi del lunedì a Berlino tra Asmussen e la cancelliera, sarebbe stato impossibile forgiare il patto tra Merkel e Draghi che nell’estate dello scorso anno ha permesso di salvare la zona euro con lo scudo anti spread. Non è un caso se era stato Asmussen a difendere davanti alla Corte costituzionale tedesca l’Omt dagli attacchi politico-giuridici-monetari di Weidmann.(...)

venerdì 6 dicembre 2013

Bce, tassi fermi allo 0,25%. Draghi: resteranno su questi livelli o più in basso ancora a lungo (da ilSole24Ore.it)

Incalzato dalle domande, Draghi ha confermato che nella riunione odierna c'è stata una «breve discussione» in merito all'ipotesi di tassi negativi applicati sui depositi che le banche lasciano presso l'Eurotower. Parziale frenata anche sulla prospettiva di nuovi prestiti a lungo termine alle banche (Ltro): «Se oggi dovessimo varare nuove misure del genere, vorremmo essere sicuri che vengano utilizzate per l'economia» reale, ha sottolineato il presidente della Bce. Nel complesso, tuttavia, «il messaggio di oggi è che siamo pronti e capaci di agire», anche se «non si è discusso di uno specifico strumento». 

di Maximilian Cellino - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/HvBEx

mercoledì 13 novembre 2013

À La Guerre Comme À La Guerre? (Europa in tensione, Monete in guerra...)

Dunque l'Europa prende posizione "contro" la Germania, con cautela e con precisazioni varie, che vogliono evitare l'esplosione di una tensione che in realtà da tempo è presente nella zona Euro. Il passo potrebbe essere l'inizio di una svolta rispetto alla tendenza "solo-austerity" che ha segnato fin qui il percorso europeo nella crisi, ed è comunque importante come segnale nei confronti di tutta la comunità europea.

E' però lecito dubitare che mettere "sotto accusa" la Germania serva, senza ulteriori passaggi politico-comunitari (anche perché - lo si ricordava qualche giorno fa - il riequilibrio degli squilibri commerciali non è cosa che si possa imporre). L'Italia può giocare forse una partita diversa, appoggiandosi alle scelte odierne, ma proponendo agli stati più affini alla sua situazione - Spagna e Francia - di premere affinché la governance europea sia diversa. E' necessario quindi immaginare un "gioco di squadra" dei paesi del sud Europa (estremizzando irrealisticamente: si potrebbero "forzare" gli eurobond, comunque da soli non risolutivi, se alcuni paesi dicessero "noi li faremo comunque?") - che porti a rideterminare alcune scelte complessive della nostra Comunità.

Parallelamente al tentativo di riequilibrare le dinamiche "interne", si alzano voci sempre più decise contro l'Euro forte. Le preoccupazioni legittime si mescolano così alla tentazione di entrare nell'arena della "guerra delle valute", iniziata da tempo. La BCE in questi anni ha tentato di rimanere fuori da questa battaglia; ora le pressioni si fanno più forti. 

Su questo, ragiono ad alta voce da "inesperto", mi pare si possa dire che - come nelle guerre "vere" - il rischio è di sapere bene perché e come si "entra in battaglia", ma non capire, non sapere, non riuscire a definire come "se ne esce". La guerra monetaria può dare respiro all'Europa? forse, per un breve periodo. Ma il rischio è che le tensioni fra le diverse aree si rendano sempre più acute, vanificando anche i benefici immediati.

Inoltre, giocare con la svalutazione della moneta ( cosa forse oramai necessaria?) rischia di creare l'illusione di una manovra risolutiva, rendendo più difficile, meno urgente, più complicato dal punto di vista politico, il percorso per irrobustire realmente le economie dell'Eurozona.

Forse l'Europa dovrebbe giocare veramente una partita più politica, provando a presentare al mondo un'idea di "governo mondiale" dell'economia, qualcosa che dica ai Grandi Giocatori: "Gli equilibri sono cambiati. Prendiamone atto. Non distruggiamoci reciprocamente, ma creiamo qualcosa di nuovo". Se - e solo se - si fosse capaci di proporre questo, allora varrebbe la pena "entrare in battaglia".

FMM

L'idea è semplice: la Germania deve spendere di più per permettere ai paesi del sud come il Portogallo di allargare il loro mercato e vendere i loro prodotti. L'idea è generosa e si basa su una convinzione: in questo momento i tedeschi approfittano della zona euro. In che modo? Per il semplice motivo che se avessero avuto il marco tedesco al posto dell'euro, la loro valuta si sarebbe apprezzata molto di più e la loro competitività (le loro esportazioni) si sarebbe deteriorata. Inoltre a causa della divisione finanziaria dell'euro le banche tedesche e lo stesso stato sono diventati il rifugio degli investitori internazionali, disposti a pagare caro per avere la sicurezza della più grande economia della moneta unica.
Sì, chiediamo la solidarietà della Germania, tanto più che alcuni paesi come il Portogallo devono fare drastici aggiustamento della loro economica e devono farli rapidamente. Il problema è sapere quello che devono fare i tedeschi per favorire la forza economica europea e un progetto che affermano di voler difendere.
Con il rischio di essere accusato di scarso patriottismo, non penso che la soluzione migliore passi attraverso un aumento delle spese in Germania (...) Viviamo in un'unione monetaria caratterizzata da grandi disparità sul piano finanziario. È qui, a questo livello, che gli europei devono chiedere un altro tipo di solidarietà alla Germania, per bilanciare gli squilibri esterni nella zona euro. Se infatti un deficit del 6 per cento della bilancia delle transazioni correnti è un cattivo risultato, non possiamo neppure rallegrarci di un eccedenza del 6 per cento in un altro paese della stessa zona monetaria. Come correggere questi squilibri?
Per esempio istituendo una vera e propria gestione economica della zona euro in cui la sovranità sia più condivisa e creando una vera e propria unione bancaria che non ha mai visto la luce. È su questi due aspetti che la Commissione europea e i dirigenti dei paesi dell'Europa meridionale devono concentrarsi, invece di perdere tempo a chiedere ai tedeschi di non essere tedeschi.
Se la Germania, nelle ultimi indagini di Bruxelles, non presentava sbilanci particolari, in quest’ultimo report si sottolinea invece come a partire dal 2007 Berlino abbia registrato un surplus superiore alle soglie previste (fissate al 7 per cento). Il fatto che la Commissione europea abbia avviato un'"indagine approfondita" sull'eccessivo surplus della bilancia commerciale tedesca non significa che disapprovi la competitività della Germania. Lo ha chiarito il presidente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso. "E' prematuro - ha aggiunto - anticipare se ci saranno conseguenze per Berlino" al termine dell'indagine, i cui risultati saranno noti la prossima primavera. La Germania è uno dei principali "motori dell'economia europea e "non si sta criticando la sua competitività", che dovrebbe essere un esempio per tutti gli altri Paesi.

(...) Il tasso di cambio dell'euro troppo elevato è disastroso a tutti i livelli: perché è in grado di distruggere in pochi giorni tutti i risultati in materia di competitività costati anni di sforzi; perché costringe le aziende ad abbassare i prezzi e licenziare gli impiegati, per preservare la loro competitività interna ed esterna. Diminuendo i costi delle importazioni, riduce l'inflazione a un livello troppo basso e porta a un eccessivo consumo energetico. Si tratta di un circolo vizioso in cui ogni tentativo di ridurre i deficit di governo tagliando le spese pubbliche porta a un alto tasso di disoccupazione e alimenta la crisi economica. Inoltre, l'euro troppo forte mette i paesi più indebitati nella posizione di non essere più in grado di ripagare il loro debito pubblico senza dissanguare i risparmiatori: Cipro ne è un esempio.(...)
La Germania è ancora ostile all'idea perché diffidente nei confronti di tutto ciò che possa dare l'impressione di una valuta debole e di un ritorno dell'inflazione. Questo non per salvaguardare la democrazia (Hitler, contrariamente a quanto si crede, non salì al potere per domare l'inflazione, ma dopo che questa era già stata domata), ma per i suoi timori in materia demografica: il paese ha bisogno di surplus commerciali e stabilità dei prezzi in modo che il surplus continui a crescere per pagare le pensioni degli attuali lavoratori, considerando che le generazioni future non saranno in grado di finanziarle.
Una volta convinti i responsabili delle decisioni, i ministri delle finanze dovranno solamente ribadire all'unanimità, durante ogni riunione del gruppo dell'euro, che il tasso di cambio dell'euro è troppo forte; a quel punto, la BCE non dovrà fare altro che dichiararsi a favore di un calo del valore dell'euro. Inoltre, se necessario, la BCE potrebbe ulteriormente diminuire il suo tasso ufficiale di riferimento, che è persino più alto di quello della Fed, la banca centrale degli Stati Uniti (0,25 contro lo 0,08%).(...)
Un euro indebolito a un livello ragionevole (un euro per dollaro) rappresenta dunque la scelta migliore; deve diventare una priorità e mettere in gioco tutte le sue forze. La Francia deve rivendicare tutto ciò, insieme a tutti gli altri sforzi per ripristinare la competitività tramite l'innovazione. Più l'euro sarà debole, più la posizione dell'Europa nel mondo sarà forte. E viceversa.

Cosa servirebbe subito per invertire la rotta? 
«L’Europa deve accelerare sull’Unione bancaria, accompagnandola con un’assicurazione europea dei depositi e un meccanismo di Risoluzione comune; abbandonare le politiche di austerità e puntare invece su politiche per favorire la crescita, sfruttando ad esempio i fondi Bei per finanziare le piccole e medie imprese che faticano ad ottenere credito, e investendo su istruzione e innovazione tecnologica; introdurre gli eurobond, così tutti i Paesi possono indebitarsi a tassi negativi».

venerdì 8 novembre 2013

Difendere Draghi Con i Fatti: Riforme e Disegno Europeo

Attenzione a sottovalutare le critiche della Germania a Draghi. Attenzione anche a reagire in modo sbagliato, rimproverando ai tedeschi - come si sta facendo da tempo - l'eccessiva severità. 

Il modo migliore per "fare quadrato" attorno a Draghi è smentire con i fatti le preoccupazioni tedesche: approfittare delle azioni della BCE per andare avanti in un percorso di riforme coordinato fra i paesi europei, e sfidare la Germania, convincendola che solo con un disegno europeo di una maggiore integrazione politica ed economica si potranno fare i passi giusti per combattere la crisi, che non può essere curata - soprattutto per motivi di urgenza - solo con manovre di austerità. 

La Germania ha approfittato della possibilità di sforare la soglia del 3% a suo tempo, ma ha fatto riforme che ora sembrano funzionare, anche se problemi di eguaglianza e di precariato permanente, per esempio, sembrano esserci anche lì. 

Deve essere preparato un piano complessivo di riforme per tutta l'Eurozona, che convinca i cittadini europei - tedeschi come greci, come italiani - che nello stare insieme si conquista una forza diversa, che può sconfiggere il male terribile che rischia di rovinare definitivamente le nostre comuità.

FMM

La stampa tedesca dà eco alle critiche delle associazioni dei consumatori tedeschi, che vedono minacciati i risparmi di chi mette da parte per la vecchiaia. Il presidente dell'Associazione dei titolari di polizze assicurative, Axel Kleinlein, dichiara al Tagesspiegel che il calo dei tassi di interesse fa svanire le speranze di un'adeguata sicurezza in vecchiaia, poiché «vengono puniti quelli che risparmiano per quando saranno vecchi». Anche il presidente dell'Associazione delle società di assicurazione (Gdv), Joerg von Fuerstenwerth, parla di «segnale fatale per chi in Germania risparmia per la vecchiaia». Rimbalza sui media tedeschi la notizia della Reuters, secondo cui oltre un quarto dei 23 componenti del Consiglio direttivo della Bce, capeggiato dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, si sarebbe opposto alla decisione di abbassare i tassi di interesse. 

articoli di Elysa Fazzino e Rossella Bocciarelli - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/rPBZH

Europa: Austerità, Riforme, Le Mosse della BCE Che Anticipano La Politica

Segnalo l'articolo di Lorenzo Bini Smaghi su Linkiesta, in cui si riprendono alcuni argomenti del suo libro "Morire di austerità", rispondendo alle critiche di Krugman, rivolte contro le politiche di austerità. Il concetto di fondo è semplice: l'austerità si è rivelata l'unica strada possibile per uscire dalla crisi perché non sono state fatte riforme quando era possibile. 

Questa posizione di Bini Smaghi - per molti aspetti condivisibile - forse non basta ad affrontare il quadro attuale, anche perché il fattore tempo, essenziale per vedere pienamente dispiegati gli effetti delle riforme, gioca contro gli stati europei (e soprattutto conro i cittadini, che vedono avvicinarsi la disperazione della povertà), anche per via della loro incapacità di coordinarsi come un'unica entità politica. Da queste considerazioni nasce l'urgenza di una risposta più forte, che passa inevitabilmente per un salto di qualità del progetto europeo, per l'appunto. 

Solo nel momento in cui il governo europeo sarà realmente unitario, e in grado di formulare un patto civico comune (per esempio attraverso un sussidio europeo contro la disoccupazione), si potrà affrontare il dramma di questa crisi; perché allora potrebbero avere senso (anche se non risolutivo) l'emissione di Eurobond, e avrebbe un senso ben diverso da quello attuale il "commissariamento" della Grecia. 

In attesa che ulteriori passi vengano fatti in questa direzione, è ancora Mario Draghi a gestire al meglio la situazione: la BCE si muove con una autonomia oramai acquisita, rispetto agli Stati, ma forse anche rispetto all'ortodossia monetaria di stampo tedesco. Non basta, forse, neanche la saggezza del Governatore; ma certo il pilastro BCE sta dando segnali che la politica europea dovrebbe comprendere, e "seguire".

FMM

La recente crisi dell’Eurozona ha dimostrato che le misure di austerità sono controproducenti: provocano effetti recessivi che, almeno nel breve periodo, tendono a far crescere il debito pubblico, in rapporto al Pil. È una tesi confermata dall’analisi econometrica che mostra come gli aggiustamenti di bilancio siano stati più recessivi del previsto, con moltiplicatori fiscali superiori dell’unità.
(...) Nasce allora una domanda: perché i politici dell’Eurozona continuano a fare lo stesso errore? La risposta implicita di Krugman è che i politici non sono particolarmente intelligenti, o sono stati mal consigliati, e hanno sottostimato gli effetti delle loro politiche. Detto in parole diverse, perseguendo l’austerità i politici europei si dimostrano ignoranti in fatto di economia, o stupidi. Assumere che i politici siano irrazionali o stupidi è una facile via di uscita, specialmente per gli accademici. Un modo alternativo di guardare alla questione è interrogarsi sulla causalità nella correlazione tra austerità e crescita. Krugman ritiene che con le misure di austerità i politici europei mostrino la loro irrazionalità, o stupidità: sono stupidi perché perseguono l’austerità invece di una opzione politica preferibile.

Per parte mia, vorrei sollevare un dubbio: non potrebbe essere il contrario? I politici europei non sono stupidi perché perseguono l’austerità, ma perseguono l’austerità perché sono stupidi, o detto in modo più diplomatico, hanno una visione ristretta, hanno ignorato le altre alternative a disposizione e alla fine si sono ritrovati con una sola opzione, l’austerità. In altre parole, hanno attuato l’austerità perché non erano rimaste altre scelte. (...)
Non è l’austerità che ha causato la bassa crescita, è la bassa crescita che ha causato l’austerità. In altri termini, i paesi che hanno sperimentato una bassa crescita potenziale, a causa di profondi problemi strutturali, nel tentativo di sostenere il loro standard di vita e il loro sistema di welfare hanno accumulato, prima della crisi, un eccesso di debito pubblico e privato, che poi, quando la crisi è scoppiata, si è rivelato insostenibile e ha richiesto un brusco aggiustamento. L’austerità ha certamente prodotto una bassa crescita, ma essa stessa può essere il risultato di una crescita scarsa e squilibrata, a causa della mancanza di riforme strutturali. Il rinvio di riforme che migliorassero il potenziale di crescita ha lasciato i paesi con un’unica soluzione, l’austerità L’austerità è così il risultato dell’incapacità dei politici di prendere decisioni nel momento giusto, in altre parole è il risultato della loro miopia – e della stupidità.
Se la Banca centrale europea fosse libera di agire dovrebbe acquistare azioni delle piccole e medie imprese italiane e spagnole. È lì che si è inceppato il credito ed è lì che si distruggono i posti di lavoro europei. Sarebbe una folle compromissione del sacro mandato della lotta all'inflazione con altre profane priorità, di natura industriale, occupazionale o nazionale? No, è semplicemente quello che sarebbe necessario a riattivare il funzionamento della politica monetaria se non prevalessero considerazioni legate agli interessi diversi dei governi nazionali. In alternativa la Bce dovrebbe lanciare un programma di prestiti a lungo termine per le banche finalizzato al solo credito all'economia. Certo ci sono dubbi tecnici a proposito sia di un taglio dei tassi di riferimento, sia di una maxi-operazione di credito all'economia (Ltro). (...)
di Carlo Bastasin - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/9hEHz

(...) Cosa è successo, in sostanza, ieri? Si è registrato un tentativo estremo, seppure non l’ultimo a disposizione della Bce, per puntellare l’economia del continente attraverso la politica monetaria. Perché nonostante i mercati finanziari siano placidi e i rendimenti sui titoli di stato meno onerosi che in passato, la ripresa del ciclo reale è più lenta del previsto (quest’anno l’Eurozona è in recessione dello 0,4 per cento, l’anno prossimo crescerà solo dell’1,1), il debito pubblico continua a gonfiarsi quasi ovunque, e adesso si materializza anche lo spettro della deflazione, cioè la riduzione generalizzata dei prezzi. (...) Osserva perciò Tony Barber, editorialista del Financial Times ed esperto d’Europa: “La Bce ha mostrato senza dubbi che non è soltanto una Banca centrale vecchio stile, di quelle che combattono solo l’inflazione, ma un’istituzione che prende sul serio la nozione di stabilità dei prezzi che può essere messa in pericolo dalla deflazione tanto quanto dall’inflazione”. Ancora: “Con buone ragioni, la Bce ora può rivendicare di essere indipendente non solo dalle pressioni politiche, ma dalla ossessione post Seconda guerra mondiale con l’nflazione, tipica della Bundesbank”. Inoltre il banchiere italiano, come fanno notare al Foglio ambienti della Bce, ha deciso tutto in meno di 10 giorni; il 31 ottobre l’Eurostat ha pubblicato i dati allarmanti sul calo dei prezzi, e il 7 novembre (cioè ieri) c’è stata la prima contromossa: “Un segnale fortissimo d’autonomia”. Questa volta non si è dovuto ottenere chissà quale via libera da Berlino, come accaduto nel 2012 con l’Omt, il piano di acquisto illimitato di titoli di stato. Draghi ieri ha detto che la decisione è stata presa “a grande maggioranza”, che l’unanimità è mancata perché ci sono “differenze solo sui tempi”, visto che “alcuni membri del Consiglio direttivo avrebbero preferito aspettare” nuove conferme del calo dell’inflazione.
Secondo Pierpaolo Benigno, economista della Luiss, “in Europa la politica monetaria rimane sempre un po’ ‘dietro la curva’. Negli Stati Uniti invece, pur in periodi difficili, l’inflazione è sempre stata attorno al 2 per cento. Oggi una fase di disinflazione, come quella segnalata dalla Bce per il medio periodo, è estremamente pericolosa. Per i paesi che stanno tentando di ridurre i loro debiti, un po’ d’inflazione cancella un po’ di debito. Ora invece, in base al cosiddetto ‘Fisher effect’, i prezzi in calo rendono il debito più difficile da sostenere. Perciò la politica monetaria deve essere ancora più espansiva”. Anche Benigno, però, riconosce che gli ultimi dati economici “hanno rafforzato politicamente la posizione di Draghi e indebolito quella dei più ortodossi”. 

giovedì 3 ottobre 2013

Draghi: pronti a nuove misure straordinarie

La Bce manterrà la sua politica monetaria accomodante «tutto il tempo necessario». Lo ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi, nel corso di una conferenza stampa a Parigi dopo che il direttivo ha lasciato invariati i tassi allo 0,5%. Draghi ha assicurato che la Banca centrale europea è pronta a prendere in considerazione tutti gli strumenti a sua disposizione contro una ancora fragile crescita della zona Euro. «Siamo pronti a prendere in considerazione tutti gli strumenti a nostra disposizione», e la Bce, ha sottolineato, manterrà la sua politica monetaria accomodante «il tempo necessario». Draghi non ha escluso nuovi Ltro