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venerdì 4 aprile 2014

Il Quantitative Easing Della BCE


A questo link trovate il testo della conferenza stampa di Mario Draghi


La Bce, per ora, spiega solo che deve pensarci ancora. Eurolandia, ha spiegato Draghi, è un sistema economico molto dipendente dalle banche e questo impone di disegnare bene il suo quantitative easing, che non potrà essere analogo a quello degli Stati Uniti. Negli Usa, gli acquisti di titoli finanziari ha un effetto diretto sull'economia reale perché la maggior parte dei finanziamenti alle imprese passa attraverso il mercato finanziario. Nell'Unione monetaria c'è invece il filtro delle banche, che ha reso utili a metà le maxi iniezioni di liquidità del 2011 e 2012. Non può essere un caso se, rispondendo a una domanda sulle specificità di un quantitative easing Bce, Draghi ha subito fatto riferimento all'Asset quality review, l'esame degli attivi delle banche.
 
di Riccardo Sorrentino - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/DiUe5
 
Le dichiarazioni degli ultimi giorni non devono però far pensare che l'uso del Qe sia imminente. Anzi tutto, il presidente della Bce, Mario Draghi, ha precisato ieri che l'uso della politica monetaria convenzionale, quindi il taglio dei tassi d'interesse, non è esaurito. Il che farebbe pensare che la Bce voglia battere questa strada prima di imbarcarsi in decisioni molto più controverse come il Qe. Non è un caso che alla vigilia del consiglio, due economisti tedeschi ortodossi, Michael Heise di Allianz, e Jörg Kraemer, di Commerzbank, siano intervenuti separatamente per contestare questa opzione. Non c'è dubbio che, nonostante il cambio di atteggiamento della Bundesbank (peraltro con molte condizioni e puntualizzazioni), il Qe resti politicamente esplosivo in Germania.
 
di Alessandro Merli - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/dmjec
 
C'è un'altra opzione: la Bce potrebbe attuare la politica monetaria ultra espansiva acquistando titoli pubblici a massima sicurezza (Tripla A), emessi da Paesi non appartenenti all'Unione monetaria (Australia, Canada, Norvegia, Svezia, Svizzera, Regno Unito). La manovra avrebbe un impatto fiscale nullo sui Paesi dell'Unione, ed in più avrebbe un effetto collaterale da molti gradito: spingere verso il basso il tasso di cambio dell'euro. L'espansione monetaria non avrebbe però l'impatto ravvicinato con le emittenti privati. Le due opzioni - titoli privati o titoli pubblici non Euro - potrebbero peraltro essere complementari, sommando i potenziali vantaggi.
 
di Donato Masciandaro - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/Dya0J

domenica 22 dicembre 2013

Unione bancaria, la partita sulla leadership europea e i diktat tedeschi (da HuffingtonPost.it)

(...) Il primo obiettivo, riguardante l'accentramento della vigilanza, è stato raggiunto: è stato, infatti, adottato un regolamento e il sistema sarà pienamente operativo dal prossimo anno. Alla Banca Centrale Europea spetta la vigilanza diretta sulle principali banche (circa 130), mentre resta in capo agli organi nazionali quello sulle altre banche (ferma restando la facoltà della BCE di intervenire per assicurare la coerente applicazione degli standard europei). Nel frattempo è partita l'Asset Quality Review che insieme agli stress test consentiranno alla BCE di avere una radiografia accurata del sistema bancario europeo.

Il secondo obiettivo, discusso in questi giorni, riguardava, invece, la creazione di un meccanismo comune di gestione delle crisi creditizie che possano avere ripercussioni gravissime sul paese di appartenenza e, in ultima analisi sull'intera Eurozona, com'è accaduto per Portogallo, Spagna, Cipro, e come avverrebbe se la situazione italiana dovesse precipitare. La Commissione ha proposto un meccanismo uniforme che però ha incontrato notevoli resistenze soprattutto dalla Germania. Al di là dei pretesti giuridici inizialmente invocati (non c'è una base giuridica nel Trattato, la competenza dovrebbe spettare al Consiglio e non alla Commissione) il vero tema era: chi paga in caso di default di una banca? La preoccupazione sottostante era ancora una volta che i contribuenti tedeschi finissero per pagare per il salvataggio di banche dei paesi del sud Europa.

Di qui una serrata battaglia per assicurarsi che innanzi tutto le crisi gravino, con un ordine di priorità prestabilito, su azionisti, obbligazionisti, creditori e clienti (salvo quelli garantiti per depositi fino a 100.000 Euro). E' poi stata prevista l'istituzione di un fondo comune, alimentato dalle stesse banche, che nell'arco di una decina di anni dovrebbe raccogliere cinquantacinque miliardi. Fin qui tutto bene. Il problema è che succede nel frattempo, in caso di crisi, se questi fondi sono insufficienti. Lo stesso rischio vale a regime dinanzi a crisi di proporzioni simili a quella passata. Su questi temi lo scontro si è fatto pesante e nei giorni scorsi il Ministro Saccomanni ha preso carta e penna per chiarire formalmente la propria posizione, favorevole all'utilizzo anche di fondi pubblici dell'UE. Alla fine il compromesso trovato nella notte sembra prevedere che gli Stati o l'European Stability Mechanism possano erogare finanziamenti ponte, ove necessario.(...)

lunedì 16 dicembre 2013

Dove va l'Irlanda? (da ilPost)

Domenica 15 dicembre l’Irlanda è uscita dal programma di aiuti europei (il cosiddetto “bailout”) cominciato tre anni fa in seguito allo scoppio della crisi finanziaria. Da allora, l’Irlanda aveva ricevuto una serie di prestiti pari in tutto a 85 miliardi di euro. Questi prestiti sono stati concessi in cambio di alcune misure fiscali, un esempio della cosiddetta “austerity” che ha riguardato diversi altri paesi europei.

Da adesso, l’Irlanda tornerà a fare affidamento sul mercato per finanziare la propria spesa pubblica. Il paese sta attraversando un momento di ripresa economica, ma, come fanno notare quasi tutti gli osservatori, si tratta di una ripresa ancora fragile. Nonostante questo, il governo ha già promesso che dall’anno prossimo le tasse, alzate fino a raggiungere il record storico durante la crisi, saranno abbassate.

L’uscita dal programma di aiuti ha fatto tornare attuale una discussione che divide da molto tempo gli economisti, i commentatori e la stessa Commissione europea: l’Irlanda è davvero la dimostrazione che austerity più riforme incisive possono salvare un paese dalla crisi e riportare la crescita economica?

La crisi dell’Irlanda
Il Financial Times ha scritto che l’uscita dell’Irlanda dal programma di aiuti è un segno dell’importanza di rimuovere i legami tra lo stato e le banche. Nel 2010, infatti, il bilancio dell’Irlanda era in una situazione ancora gestibile, ma le sue banche si trovavano in una profonda crisi. Il governo intervenne per aiutarle in una maniera che si rivelò poi disastrosa.
La soluzione scelta per salvare il sistema finanziario dal governo dell’epoca – legato ai dirigenti e ai proprietari di diversi istituti bancari – fu di garantire completamente i debiti di sei banche. Questa garanzia si rivelò immensamente più costosa di quanto il governo aveva immaginato. In sostanza, il debito delle banche divenne debito dello stato, che passò in pochi anni dal 25 per cento del PIL all’attuale 124 per cento. A causa di questa situazione, alla fine del 2010 l’Irlanda chiese l’aiuto dell’Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale e cominciò ad adottare una lunga serie di misure di austerità. (...)

sabato 7 dicembre 2013

Rischio Italia? Crisi Oltre Il Livello Di Guardia?

Chiusi i seggi delle primarie Pd, che sembrano attrarre attenzione oltre il loro reale valore politico, e indipendentemente da chi vincerà, è urgente per tutti volgere lo sguardo alle tensioni del Paese: si annunciano giorni difficili, sia a livello nazionale che internazionale (vd. articoli che seguono). In un momento in cui l'accordo storico del WTO potrebbe far ben sperare nelle prospettive per la crescita mondiale, l'Italia sembra non essere ancora pronta per rimettersi in piedi.

La combinazione di instabilità politica - dovuta in parte alla ecessiva sopravvalutazione degli effetti della sentenza della Corte costituzionale (è segno innegabile di crisi del pensiero politico, se si dipende troppo dalle regole), in parte al già citato eccesso di attenzone alle primarie del Pd - e proteste contro la crisi economica - su cui paiono volersi innestare movimenti interessati allo sfascio - può essere fatale per la nostra democrazia.

Paradossalmente i momenti di "uscita" da una crisi possono essere i più rischiosi: perché si percepisce il cambiamento, ci si muove disordinatamente per tentare di coglierlo, ma magari si perde l'occasione (o non si è capaci di gestire il momento), e la scossa impressa alla comunità - causa perdita dell'equilbrio - diventa una caduta più rovinosa. E il progresso visto in nuce diventa reazione violenta. Per questo è sempre negativo - e alfine reazionario - predicare una rivoluzione senza avere gli strumenti per porla in essere. 

Non è per amore di stabilità fine a se stessa, che personalmente preferisco per i prossimi mesi questo governo (anche se sono evidenti tutti i suoi limiti), ma perché la partita che vede coinvolto il nostro Paese anche in Europa (si legga Cingolani su Linkiesta, forse un po' troppo sbilanciato sul passato, ma interessante) è di fondamentale importanza. 

In una fase storica in cui l'antieuropeismo sta diventando uno slogan troppo facile, la politica non deve diventare la cassa di risonanza del malumore, ma la guida concreta di un cambiamento di strategia. E questo non avviene a colpi di slogan (tanto il manifestante urlerà sempre più forte del politico di governo), ma con piccoli passi, purché tangibili.

Nei prossimi giorni potranno certo esserci incidenti, anche gravi; ma se Presidenza della Repubblica, Governo (che è nel pieno dei suoi poteri), Parlamento (che non è delegittimato), partiti e rappresentanze sociali responsabili, forze dell'ordine e d'intelligence sapranno coordinarsi pur nella diversità dei ruoli, l'inevitabile tensione potrà essere gestita. 
Abbiamo superato momenti ben peggiori: non prevalga la paura.

Francesco Maria Mariotti

(...) Questo non vuol dire che la storia si ripeta. Rispetto a due anni fa oggi esistono strumenti come il meccanismo salva stati che rappresenta senza dubbio un passo avanti rispetto alla lettera del trattato. Non è gratis, gli aiuti vengono concessi a dure condizioni, ma alla fin fine sono le stesse della lettera inviata dalla Bce il 5 agosto 2011 a Italia e Spagna senza che fosse accompagnata da nessun assegno. Inoltre, oggi la congiuntura migliora, anche se troppo lentamente, come ha ricordato giovedì scorso Mario Draghi. Il presidente della Bce sostiene di avere ancora una intera santabarbara a disposizione per soffocare ogni ulteriore attacco all’euro. Tuttavia ha glissato sulle domande a proposito dell’unione bancaria e delle operazioni per rafforzare le banche (compresa quella italiana). Conosce bene le insidie delle prossime settimane e incrocia le dita perché il consiglio europeo non si chiuda, come sembra probabile, rinviando di altri sei mesi tutte le questioni calde. Se sarà così, allora davvero c’è da aspettarsi che l’area euro torni a ballare. Incombe sempre, del resto, la sentenza dell’alta corte tedesca sulle Omt, le Outright monetary transactions, in sostanza l’acquisto di titoli pubblici sul mercato secondario, un altro strumento per spegnere i fuochi della speculazione. (...)

La parola d’ordine? «Demolire il sistema. Polentoni e terroni, destra e sinistra saranno con noi, in piazza, a partire da domenica notte, e andremo avanti fino a quando questa classe politica fatta di cialtroni e delinquenti non andrà a casa». 
Mariano Ferro é uno dei leader storici del movimento dei «Forconi», che nel 2012 paralizzò la Sicilia. «Tre giorni fa dissi al prefetto di Catania che l’Italia stava per diventare una nuova Grecia. E il prefetto mi rispose: “Lo so”. Vedrete quello che succederá...». Minaccioso come lo può essere l’Etna di questi giorni con le sue eruzioni, il leader dei Forconi disegna scenari apocalittici a partire dalle prossime ore. A partire da domani notte, con presidi e blocchi di strade, autostrade, ferrovie e porti in tutto il Paese, dalla Sicilia al Nord, da Torino a Verona a Modica e Pozzallo. (...)

Una protesta capillare che rischia di degenerare. È questo il timore degli analisti del Viminale alla vigilia della manifestazione organizzata dagli autotrasportatori e dal «movimento dei forconi», alla quale potrebbero aderire pure i Cobas. Sono oltre trenta i presidi già pianificati da domani sera nelle strade e nelle piazze di tutta Italia. Ma il vero pericolo riguarda i blocchi stradali e ferroviari per paralizzare completamente la circolazione in alcune regioni, prima fra tutte la Sicilia, proprio come accaduto lo scorso anno. Perché i segnali captati negli ultimi giorni parlano di possibili infiltrazioni dei gruppi di estrema destra, determinati a compiere «azioni di resistenza passiva». Ma anche di una mobilitazione «non governata dalle principali sigle sindacali di categoria che dunque potrebbe gravi conseguenze». (...)


martedì 19 novembre 2013

Spd, Merkel, Europa (da laStampa.it)

(...) Con quali argomenti si può criticare questo atteggiamento, senza disconoscerne gli aspetti di verità? Con un solo argomento: ricordando che l’Europa è stata costruita e funziona sulla interdipendenza tra i membri che non può essere automaticamente determinata dai mercati o affidata a norme consensualmente stabilite in congiunture molto diverse, norme che ora si rivelano inadeguate allo scopo. Non mi risulta che gli uffici studi della Spd abbiano prodotto o quanto meno dato rilevanza pubblica e pubblicistica ad analisi che sviluppano questa tesi. (Salvo qualche generica evocazione di un nuovo piano Marshall non meglio precisato).

In breve non mi pare che i socialdemocratici tedeschi posseggano una solida visione politica ed economica europea, che sia non dico alternativa ma significativamente autonoma rispetto a quella merkeliana. Una visione che tenga conto anche delle considerazioni fatte da analisti e commentatori internazionali, senza alcun pregiudizio anti- tedesco, che spiegano come e perché la situazione di interdipendenza oggettiva tra le economie europee ha subito in questi ultimi anni distorsioni che hanno favorito l’economia tedesca a svantaggio di altre. No, non è questione di «arroganza» o «egemonia» teutonica. Si tratta di prendere sul serio il fatto che l’interdipendenza delle economie e dei loro meccanismi, su cui è stata costruita l’Europa, esige oggi di essere governata in modo diverso. Non senza o addirittura contro i tedeschi, ma insieme a loro.(...)

venerdì 8 novembre 2013

Europa: Austerità, Riforme, Le Mosse della BCE Che Anticipano La Politica

Segnalo l'articolo di Lorenzo Bini Smaghi su Linkiesta, in cui si riprendono alcuni argomenti del suo libro "Morire di austerità", rispondendo alle critiche di Krugman, rivolte contro le politiche di austerità. Il concetto di fondo è semplice: l'austerità si è rivelata l'unica strada possibile per uscire dalla crisi perché non sono state fatte riforme quando era possibile. 

Questa posizione di Bini Smaghi - per molti aspetti condivisibile - forse non basta ad affrontare il quadro attuale, anche perché il fattore tempo, essenziale per vedere pienamente dispiegati gli effetti delle riforme, gioca contro gli stati europei (e soprattutto conro i cittadini, che vedono avvicinarsi la disperazione della povertà), anche per via della loro incapacità di coordinarsi come un'unica entità politica. Da queste considerazioni nasce l'urgenza di una risposta più forte, che passa inevitabilmente per un salto di qualità del progetto europeo, per l'appunto. 

Solo nel momento in cui il governo europeo sarà realmente unitario, e in grado di formulare un patto civico comune (per esempio attraverso un sussidio europeo contro la disoccupazione), si potrà affrontare il dramma di questa crisi; perché allora potrebbero avere senso (anche se non risolutivo) l'emissione di Eurobond, e avrebbe un senso ben diverso da quello attuale il "commissariamento" della Grecia. 

In attesa che ulteriori passi vengano fatti in questa direzione, è ancora Mario Draghi a gestire al meglio la situazione: la BCE si muove con una autonomia oramai acquisita, rispetto agli Stati, ma forse anche rispetto all'ortodossia monetaria di stampo tedesco. Non basta, forse, neanche la saggezza del Governatore; ma certo il pilastro BCE sta dando segnali che la politica europea dovrebbe comprendere, e "seguire".

FMM

La recente crisi dell’Eurozona ha dimostrato che le misure di austerità sono controproducenti: provocano effetti recessivi che, almeno nel breve periodo, tendono a far crescere il debito pubblico, in rapporto al Pil. È una tesi confermata dall’analisi econometrica che mostra come gli aggiustamenti di bilancio siano stati più recessivi del previsto, con moltiplicatori fiscali superiori dell’unità.
(...) Nasce allora una domanda: perché i politici dell’Eurozona continuano a fare lo stesso errore? La risposta implicita di Krugman è che i politici non sono particolarmente intelligenti, o sono stati mal consigliati, e hanno sottostimato gli effetti delle loro politiche. Detto in parole diverse, perseguendo l’austerità i politici europei si dimostrano ignoranti in fatto di economia, o stupidi. Assumere che i politici siano irrazionali o stupidi è una facile via di uscita, specialmente per gli accademici. Un modo alternativo di guardare alla questione è interrogarsi sulla causalità nella correlazione tra austerità e crescita. Krugman ritiene che con le misure di austerità i politici europei mostrino la loro irrazionalità, o stupidità: sono stupidi perché perseguono l’austerità invece di una opzione politica preferibile.

Per parte mia, vorrei sollevare un dubbio: non potrebbe essere il contrario? I politici europei non sono stupidi perché perseguono l’austerità, ma perseguono l’austerità perché sono stupidi, o detto in modo più diplomatico, hanno una visione ristretta, hanno ignorato le altre alternative a disposizione e alla fine si sono ritrovati con una sola opzione, l’austerità. In altre parole, hanno attuato l’austerità perché non erano rimaste altre scelte. (...)
Non è l’austerità che ha causato la bassa crescita, è la bassa crescita che ha causato l’austerità. In altri termini, i paesi che hanno sperimentato una bassa crescita potenziale, a causa di profondi problemi strutturali, nel tentativo di sostenere il loro standard di vita e il loro sistema di welfare hanno accumulato, prima della crisi, un eccesso di debito pubblico e privato, che poi, quando la crisi è scoppiata, si è rivelato insostenibile e ha richiesto un brusco aggiustamento. L’austerità ha certamente prodotto una bassa crescita, ma essa stessa può essere il risultato di una crescita scarsa e squilibrata, a causa della mancanza di riforme strutturali. Il rinvio di riforme che migliorassero il potenziale di crescita ha lasciato i paesi con un’unica soluzione, l’austerità L’austerità è così il risultato dell’incapacità dei politici di prendere decisioni nel momento giusto, in altre parole è il risultato della loro miopia – e della stupidità.
Se la Banca centrale europea fosse libera di agire dovrebbe acquistare azioni delle piccole e medie imprese italiane e spagnole. È lì che si è inceppato il credito ed è lì che si distruggono i posti di lavoro europei. Sarebbe una folle compromissione del sacro mandato della lotta all'inflazione con altre profane priorità, di natura industriale, occupazionale o nazionale? No, è semplicemente quello che sarebbe necessario a riattivare il funzionamento della politica monetaria se non prevalessero considerazioni legate agli interessi diversi dei governi nazionali. In alternativa la Bce dovrebbe lanciare un programma di prestiti a lungo termine per le banche finalizzato al solo credito all'economia. Certo ci sono dubbi tecnici a proposito sia di un taglio dei tassi di riferimento, sia di una maxi-operazione di credito all'economia (Ltro). (...)
di Carlo Bastasin - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/9hEHz

(...) Cosa è successo, in sostanza, ieri? Si è registrato un tentativo estremo, seppure non l’ultimo a disposizione della Bce, per puntellare l’economia del continente attraverso la politica monetaria. Perché nonostante i mercati finanziari siano placidi e i rendimenti sui titoli di stato meno onerosi che in passato, la ripresa del ciclo reale è più lenta del previsto (quest’anno l’Eurozona è in recessione dello 0,4 per cento, l’anno prossimo crescerà solo dell’1,1), il debito pubblico continua a gonfiarsi quasi ovunque, e adesso si materializza anche lo spettro della deflazione, cioè la riduzione generalizzata dei prezzi. (...) Osserva perciò Tony Barber, editorialista del Financial Times ed esperto d’Europa: “La Bce ha mostrato senza dubbi che non è soltanto una Banca centrale vecchio stile, di quelle che combattono solo l’inflazione, ma un’istituzione che prende sul serio la nozione di stabilità dei prezzi che può essere messa in pericolo dalla deflazione tanto quanto dall’inflazione”. Ancora: “Con buone ragioni, la Bce ora può rivendicare di essere indipendente non solo dalle pressioni politiche, ma dalla ossessione post Seconda guerra mondiale con l’nflazione, tipica della Bundesbank”. Inoltre il banchiere italiano, come fanno notare al Foglio ambienti della Bce, ha deciso tutto in meno di 10 giorni; il 31 ottobre l’Eurostat ha pubblicato i dati allarmanti sul calo dei prezzi, e il 7 novembre (cioè ieri) c’è stata la prima contromossa: “Un segnale fortissimo d’autonomia”. Questa volta non si è dovuto ottenere chissà quale via libera da Berlino, come accaduto nel 2012 con l’Omt, il piano di acquisto illimitato di titoli di stato. Draghi ieri ha detto che la decisione è stata presa “a grande maggioranza”, che l’unanimità è mancata perché ci sono “differenze solo sui tempi”, visto che “alcuni membri del Consiglio direttivo avrebbero preferito aspettare” nuove conferme del calo dell’inflazione.
Secondo Pierpaolo Benigno, economista della Luiss, “in Europa la politica monetaria rimane sempre un po’ ‘dietro la curva’. Negli Stati Uniti invece, pur in periodi difficili, l’inflazione è sempre stata attorno al 2 per cento. Oggi una fase di disinflazione, come quella segnalata dalla Bce per il medio periodo, è estremamente pericolosa. Per i paesi che stanno tentando di ridurre i loro debiti, un po’ d’inflazione cancella un po’ di debito. Ora invece, in base al cosiddetto ‘Fisher effect’, i prezzi in calo rendono il debito più difficile da sostenere. Perciò la politica monetaria deve essere ancora più espansiva”. Anche Benigno, però, riconosce che gli ultimi dati economici “hanno rafforzato politicamente la posizione di Draghi e indebolito quella dei più ortodossi”. 

giovedì 31 ottobre 2013

Spagna, la ripresa assai poco umana (Phastidio.net)

(...) Su base destagionalizzata, infatti, il totale degli occupati è calato dello 0,4% trimestrale, per il ventiduesimo trimestre consecutivo. Secondo l’Istituto Nazionale di Statistica (INE), l’occupazione totale spagnola è cresciuta negli ultimi sei mesi di 186.000 unità su base destagionalizzata, ma questo incremento è quasi interamente imputabile a fattori stagionali associati all’industria turistica. Vi facciamo grazia dei dati non destagionalizzati, ad evitare polemiche metodologiche, ma sono contrazioni piuttosto pesanti.

Commento, quindi? Che attendiamo fiduciosi che il boom dell’export spagnolo si rifletta in corrispondente aumento di occupazione, per poter portare un minimo di beneficio anche ai consumi interni ed al gettito fiscale e contributivo. Restando tuttavia consapevoli che esiste una probabilità non trascurabile che il violento recupero di produttività non produca occupazione, nel breve-medio termine, ma possa anzi proseguire a distruggerne. E, poiché siamo anche malfidenti per natura, aspettiamo anche di leggere i dati di settembre, mese in cui la destagionalizzazione è meno problematica che in agosto.(...)

domenica 13 ottobre 2013

Chi E' Janet Yellen?

Janet Yellen differisce in molti aspetti dallo stereotipo del banchiere centrale. Innanzitutto, nelle apparenze. Non da duro banchiere con il sigaro, ma da nonna dolce che prepara la torta di mele per i nipotini. Ma la sua apparenza non deve trarre in inganno. Cresciuta professionalmente in un mondo tradizionalmente maschile (e un po' maschilista) come quello degli economisti, Yellen è una lady di ferro che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. Un mio collega – tra i più aggressivi in un'università famosa per la sua aggressività - mi ha confessato di essere stato umiliato intellettualmente da Janet Yellen in una conversazione sulla disoccupazione. Lei ne sapeva molto più di lui e, con gentilezza ma determinazione, gli ha spiegato come le sue conclusioni erano sbagliate perché non era abbastanza al corrente dei fatti.
 
Questa fiducia nelle proprie capacità intellettuali, unita ad una apertura a idee diverse, sarà cruciale nei mesi a venire. La Fed deve sottrarre l'enorme liquidità che ha immesso nel sistema durante e dopo la crisi. Deve farlo abbastanza lentamente da non interrompere la fragile espansione americana, ma non così lentamente da creare pressioni inflazionistiche. Una manovra di queste proporzioni non ha precedenti e quindi esempi a cui rifarsi. Le pressioni da entrambi i lati saranno fortissime. Da qui l'importanza di un leader sicuro di sé, ma non arrogante, che riesca a creare un consenso all'interno della Fed e del Paese, senza lasciarsi traviare dalle varie pressioni. C'è bisogno di un leader che proietti al Paese e al mondo un'immagine di competenza e sicurezza. Penso che Janet Yellen possa essere questo leader.
 
Janet Yellen differisce dallo stereotipo dei banchieri centrali anche nella sostanza: non solo ha un cervello, ma anche un cuore. Per lei il tasso di disoccupazione non è solo un'altra statistica, è una tragedia umana. Per questo sul fronte inflazionistico è sempre stata considerata una colomba. E in un certo senso questo è vero. Se deve errare in una direzione nell'uscire dal quantitative easing, Yellen errerà nella direzione di un'uscita troppo lenta, non una troppo veloce. Ma sarebbe sbagliato considerarla alla pari di Krugman una sostenitrice di una politica monetaria ultra accomodante. Nel 1996 si scontrò con l'allora presidente della Fed Allan Greenspan perché sosteneva un rialzo dei tassi di interesse per controbattere pressioni inflazionistiche. Greenspan non la ascoltò, favorendo così la bolla internet.
 
di Luigi Zingales - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/5Du3b
 
(...) La Yellen, fino a ieri vice presidente della banca centrale americana, è sposata con il premio Nobel George Akerlof e ha un figlio che fa il professore di economia. Da quando Bernanke aveva fatto intendere che era pronto a lasciare l’incarico, e Obama non aveva fatto nulla per trattenerlo, lei era naturalmente entrata nella “short list” dei candidati. Le voci di corridoio, però, dicevano che il capo della Casa Bianca era più incline a scegliere Larry Summers, il suo ex consigliere economico, ex ministro del Tesoro nell’amministrazione Clinton, ed ex presidente dell’università di Harvard. Summers dava più sicurezza ad Obama, insieme alla garanzia di essere un falco, incline ad interrompere progressivamente gli stimoli all’economia varati da Bernanke per fare fronte alla crisi iniziata nel 2008.
Intorno al nome di Summers, però, si era costruita in fretta una coalizione di oppositori, che andava da un folto gruppo di senatori come la rappresentante del Massachusetts Elizabeth Warren, fino al premio Nobel per l’economia Stiglitz. Il motivo era che queste persone dell’ala liberal democratica consideravano Summers troppo vicino alle banche e al mondo della finanza, che dopo la crisi aveva aiutato, invece di far pagare loro il prezzo degli errori commessi. Con Larry, invece, si era schierato tutto il clan Clinton, incluso l’ex segretario al Tesoro Rubin.
La pressione degli oppositori è cresciuta, fino a quando tre senatori della Commissione che avrebbe dovuto approvare la nomina hanno annunciato che avrebbero votato contro. A quel punto Summers si è arreso, aprendo la strada alla Yellen. (...)


La nomina alla guida della Federal Reserve fa di Janet Yellen, 67 anni, attuale numero due di Ben Bernanke, la donna più potente del pianeta. La svolta è epocale: è la prima volta nei cento anni di storia della Banca centrale americana (il compleanno cade nel 2014) che si affida tanto potere nelle mani di una donna. Perché il presidente della Federal Reserve, con le sue decisioni di politica monetaria, è il faro che guida l’economia e i mercati non solo americani ma di tutto il mondo. L’ investitura di Yellen provoca anche un’altra circostanza eccezionale: la guida e la sorveglianza dei mercati Usa dal prossimo febbraio sarà declinata tutta al femminile, visto che anche il numero uno della Sec, l’autorità di controllo dei mercati americani, è una donna, Mary Jo White, 65 anni.

Pronti a un pizzico di ottimismo in Borsa? Oggi è possibile perché almeno un tormentone si è chiuso a Washington: sarà Janet Jellen, 67 anni, la numero due di Ben Bernanke. la nuova guida della Federal Reserve, la Banca Centrale americana. Barack Obama darà l'annuncio formale questa sera ora italiana, ma la decisione finale dopo mille tergiversazioni e un'epica battaglia con Larry Summers è presa. di Mario Platero con un commento di Luigi Zingales - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/SB24O

Janet L. Yellen took office as Vice Chair of the Board of Governors of the Federal Reserve System on October 4, 2010, for a four-year term ending October 4, 2014. Dr. Yellen simultaneously began a 14-year term as a member of the Board that will expire January 31, 2024.

lunedì 17 dicembre 2012

La Vigilanza Di Draghi

I nuovi poteri di vigilanza della Banca centrale europea aiuteranno a ripristinare la fiducia nel settore e di conseguenza gli istituti torneranno a prestarsi denaro tra loro sul mercato interbancario. E’ questo secondo Mario Draghi uno degli effetti dei maggiori poteri di vigilanza e supervisione conferiti dai leader europei la settimana scorsa all’istituto centrale, che potrà esercitarli pienamente a partire dal 2014. “Il meccanismo di supervisione unica – ha detto oggi Draghi di fronte alla Commissione Finanze del Parlamento europeo – contribuirà a riportare la fiducia nel settore bancario e a rianimare i prestiti sul mercato interbancario e quello del credito con effetti tangibili sull’economia reale”. (...)


venerdì 14 dicembre 2012

Accordo Storico? (l'Europa e le Banche)

L’eurozona approva la sorveglianza bancaria. E in questo caso le notizie sono tre. Da un lato il mantenimento di una promessa fatta durante il Consiglio europeo di ottobre, in cui si era previsto un accordo entro la fine dell’anno. Dall’altro c’è il rischio di un ulteriore ritardo nell’entrata effettiva in vigore del nuovo Single supervisory mechanism (Ssm), ennesimo acronimo che rappresenta proprio la nuova vigilanza bancaria centralizzata, che sarà data in seno alla Banca centrale europea (Bce). Infine, la terza notizia, forse quella più importante: sotto il cappello della Bce finiranno solo le banche con asset complessivi superiori a 30 miliardi di euro. Escluse quindi le Landesbank tedesche, ma anche le casse di risparmio francesi.

Una vittoria a metà per l’Europa, una vittoria totale per Francia e Germania. Doveva arrivare un accordo entro la fine dell’anno. E così è stato. Dopo un Ecofin durato fino a tarda mattina, è stato dato il via libera al Ssm, che darà pieni poteri di vigilanza alla Banca centrale europea su tutti gli istituti bancari della zona euro (con possibile estensione su base Ue, ndr) con un attivo superiore a 30 miliardi di euro. Una soluzione che va bene a Berlino, che non voleva la creazione di distorsioni di potere in seno alla Bce, ma che va bene anche a Parigi, che voleva che la Bce fosse autonoma nella scelta delle banche da seguire. «Controllare 6.000 banche non è possibile», dicevano i tedeschi, desiderosi di mantenere l’indipendenza sulla sorveglianza delle Landesbank.
La soluzione che si è trovata è quindi a metà perché, in ogni caso, l’ultima parola sulla vigilanza di uno o di un altro istituto bancario spetta alla Bce.


venerdì 19 ottobre 2012

L'autorità che serve all'Europa (Franco Bruni, laStampa)

(...) La vigilanza accentrata delle banche è urgente anche per permettere al fondo salva-Stati di intervenire direttamente e autorevolmente nella ricapitalizzazione delle banche spagnole: e la Germania non può disconoscere che ciò è essenziale anche per la stabilità della finanza tedesca.  

Quanto all’integrazione delle politiche di bilancio è noto che le esitazioni tedesche derivano soprattutto dalla paura di dover pagare per l’indisciplina dei Paesi spendaccioni. D’altra parte integrare le politiche significa proprio rendere più efficace la disciplina delle finanze pubbliche. Si è già fatto molto: il nuovo Patto di Stabilità, le procedure di consultazione del «semestre europeo», l’obbligo di pareggio, ancorché flessibile e «intelligente», introdotto nelle leggi costituzionali, dovrebbero evitare per tempo che i bilanci nazionali rimangano su strade insostenibili. Si lavori per far funzionare davvero tutto ciò. Si può anche andare oltre. Merkel ha detto al Bundestag che ci vuole un commissario unico dell’euro in grado di invalidare i bilanci nazionali non in linea con gli obiettivi europei.  

L’idea non è del tutto discosta dalla proposta di bilancio integrato fatta in giugno da Van Rompuy. La quale va però adottata senza stravolgerne lo spirito, senza trasformare una procedura di cooperazione disciplinata in un provvedimento di polizia, con il sapore punitivo che piacerebbe a parte dell’elettorato tedesco. Anche perché le autorità europee non hanno dimostrato gran perspicacia negli scorsi anni: prima sono state disattente e cedevoli, anche nei confronti del bilancio tedesco; poi hanno disegnato percorsi di aggiustamento irrealistico e controproducente, come nel caso greco e portoghese dove l’Europa ha già ammesso che per risistemare le cose con riforme ben fatte e politicamente accettabili occorre più tempo.  

Nel testo di Van Rompuy c’è un concetto chiave da non trascurare: la «condivisione delle decisioni sui bilanci» va «commisurata alla condivisione dei rischi». A fronte dell’accentramento del controllo occorre cioè essere disposti alla solidarietà fiscale che è implicita, per ora, nel fondo salva-Stati appena varato ma che deve svilupparsi nel tempo fino a dar luogo a forme più accentuate di indebitamento comune come gli eurobond. (...)


venerdì 31 agosto 2012

Il nodo "doppia vigilanza" (ilSole24Ore)

Tutto questo dimostra che l'integrazione delle funzioni di supervisione era necessaria, ma aiuta anche a capire che gli ostacoli da superare sono molti e ardui. Il primo problema, fondamentale, è che avendo troppo aspettato, finiremo per avere non uno, ma due livelli di supervisione bancaria: la neonata Eba per l'intera Unione europea e la Bce per i 17 paesi dell'area dell'euro. È una scelta quasi obbligata, vista la specificità della crisi attuale dell'euro, che - per i motivi già discussi su queste colonne - sconsiglia di spostare a Francoforte solo i poteri per le grandi banche sistematicamente rilevanti. Comunque, non si tratterà di una convivenza facile e richiederà un coordinamento ferreo per evitare che i vantaggi competitivi si spostino a Londra o altrove. Il compito di redigere il Single rule book, cioè istruzioni di vigilanza omogenee, su cui l'Eba sta oggi lavorando, deve essere confermato e anzi accelerato. di Marco Onado - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/3R70j