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domenica 12 gennaio 2014

Dublino, Madrid, Lisbona, Atene: le 4 facce della crisi (F.Goria su Linkiesta)

Segnalo un bell'articolo di Fabrizio Goria sui risultati dell'azione della troika in quattro paesi europei. C'è da riflettere su un fattore: forse gli sforzi "maledetti" della troika funzionano - se e quando funzionano (Goria dettaglia bene le ambiguità e le contraddizioni degli interventi) - anche perché - soprattutto perché - la forza della troika è anche quella di un'entità "esterna" ai compromessi dei paesi "in cura". 

Proprio questo però alimenta la percezione di una "non autonomia" dei paesi, e di una lontananza dei processi decisionali nei momenti di crisi, che però sono i momenti in cui sarebbe necessario far percepire maggiormente che "nessuno rimarrà indietro". 

Nella tensione fra queste due facce della "soluzione" della crisi, vediamo lo spazio che potrebbe esserci per una politica comunitaria europea non di "facile spesa risolvi-tutto", ma di coordinamento e di indirizzo per far capire a tutti i cittadini europei che stiamo diventando una comunità. 

Se ci fosse una comunità politica coesa, forse gli sforzi comuni sarebbero stati diversi, e le sofferenze - e la percezione di solitudine, se non anche di diperazione, dei cittadini - avrebbero potuto essere minori.

FMM

La narrativa delle crisi dell’eurozona è mutata. La sua storia pure. Una lieve ripresa economica, seppur disomogenea e assai fragile, è arrivata e sul fronte finanziario le tempeste vissute fra 2010 e 2012 sono un ricordo. Il 2014 inizia con le quattro storie: due di sostanziale successo, due chiaroscurali ma comunque più positive delle aspettative. Irlanda, Spagna, Portogallo e Grecia sono i Paesi che hanno richiesto un programma di salvataggio alla troika composta da Commissione Ue, Banca centrale europea (Bce) e Fondo monetario internazionale (Fmi). I primi due ne sono usciti, il terzo lo sta per fare e il quarto, nonostante le enormi difficoltà, potrebbe farlo prima del previsto. Quattro nazioni che hanno avuto crisi diverse l’una dall’altra, quattro nazioni per le quali il tunnel della peggiore crisi dal Secondo dopoguerra sta terminando, quattro esempi di come la troika ha agito - ora bene, ora male - per fronteggiare l’emergenza.(...)

Il maggior difetto procedurale della troika in questi anni è stato forse il suo dogmatismo. O meglio la credenza, poi mutata in corsa non senza diversi ritardi sulla tabella di marcia, che si potesse applicare lo stesso modello a tutti i Paesi che hanno chiesto un sostegno finanziario. Le autorità europee, nonostante le pungolature del Fmi, hanno compreso tardi l’entità delle singole crisi sovrane, cercando poi di porre una pezza che molto spesso, vedasi il Psi sulla Grecia effettuato senza un Osi, ha fatto più danni che benefici. Il vento però ha cambiato direzione. L’uscita dai piani di salvataggio da parte di Irlanda e Spagna, e i segnali positivi che arrivano da Lisbona, possono aiutare l’intera eurozona a creare, con il supporto della Bce, una nuova normalità. A patto che non ci si dimentichi che il percorso è ancora lungo e che senza riforme (e sforzi) da parte di tutti i membri dell’area euro il rischio di un collasso potrà tornare a galla. Capito, Italia?

domenica 22 dicembre 2013

Unione bancaria, la partita sulla leadership europea e i diktat tedeschi (da HuffingtonPost.it)

(...) Il primo obiettivo, riguardante l'accentramento della vigilanza, è stato raggiunto: è stato, infatti, adottato un regolamento e il sistema sarà pienamente operativo dal prossimo anno. Alla Banca Centrale Europea spetta la vigilanza diretta sulle principali banche (circa 130), mentre resta in capo agli organi nazionali quello sulle altre banche (ferma restando la facoltà della BCE di intervenire per assicurare la coerente applicazione degli standard europei). Nel frattempo è partita l'Asset Quality Review che insieme agli stress test consentiranno alla BCE di avere una radiografia accurata del sistema bancario europeo.

Il secondo obiettivo, discusso in questi giorni, riguardava, invece, la creazione di un meccanismo comune di gestione delle crisi creditizie che possano avere ripercussioni gravissime sul paese di appartenenza e, in ultima analisi sull'intera Eurozona, com'è accaduto per Portogallo, Spagna, Cipro, e come avverrebbe se la situazione italiana dovesse precipitare. La Commissione ha proposto un meccanismo uniforme che però ha incontrato notevoli resistenze soprattutto dalla Germania. Al di là dei pretesti giuridici inizialmente invocati (non c'è una base giuridica nel Trattato, la competenza dovrebbe spettare al Consiglio e non alla Commissione) il vero tema era: chi paga in caso di default di una banca? La preoccupazione sottostante era ancora una volta che i contribuenti tedeschi finissero per pagare per il salvataggio di banche dei paesi del sud Europa.

Di qui una serrata battaglia per assicurarsi che innanzi tutto le crisi gravino, con un ordine di priorità prestabilito, su azionisti, obbligazionisti, creditori e clienti (salvo quelli garantiti per depositi fino a 100.000 Euro). E' poi stata prevista l'istituzione di un fondo comune, alimentato dalle stesse banche, che nell'arco di una decina di anni dovrebbe raccogliere cinquantacinque miliardi. Fin qui tutto bene. Il problema è che succede nel frattempo, in caso di crisi, se questi fondi sono insufficienti. Lo stesso rischio vale a regime dinanzi a crisi di proporzioni simili a quella passata. Su questi temi lo scontro si è fatto pesante e nei giorni scorsi il Ministro Saccomanni ha preso carta e penna per chiarire formalmente la propria posizione, favorevole all'utilizzo anche di fondi pubblici dell'UE. Alla fine il compromesso trovato nella notte sembra prevedere che gli Stati o l'European Stability Mechanism possano erogare finanziamenti ponte, ove necessario.(...)

mercoledì 13 novembre 2013

À La Guerre Comme À La Guerre? (Europa in tensione, Monete in guerra...)

Dunque l'Europa prende posizione "contro" la Germania, con cautela e con precisazioni varie, che vogliono evitare l'esplosione di una tensione che in realtà da tempo è presente nella zona Euro. Il passo potrebbe essere l'inizio di una svolta rispetto alla tendenza "solo-austerity" che ha segnato fin qui il percorso europeo nella crisi, ed è comunque importante come segnale nei confronti di tutta la comunità europea.

E' però lecito dubitare che mettere "sotto accusa" la Germania serva, senza ulteriori passaggi politico-comunitari (anche perché - lo si ricordava qualche giorno fa - il riequilibrio degli squilibri commerciali non è cosa che si possa imporre). L'Italia può giocare forse una partita diversa, appoggiandosi alle scelte odierne, ma proponendo agli stati più affini alla sua situazione - Spagna e Francia - di premere affinché la governance europea sia diversa. E' necessario quindi immaginare un "gioco di squadra" dei paesi del sud Europa (estremizzando irrealisticamente: si potrebbero "forzare" gli eurobond, comunque da soli non risolutivi, se alcuni paesi dicessero "noi li faremo comunque?") - che porti a rideterminare alcune scelte complessive della nostra Comunità.

Parallelamente al tentativo di riequilibrare le dinamiche "interne", si alzano voci sempre più decise contro l'Euro forte. Le preoccupazioni legittime si mescolano così alla tentazione di entrare nell'arena della "guerra delle valute", iniziata da tempo. La BCE in questi anni ha tentato di rimanere fuori da questa battaglia; ora le pressioni si fanno più forti. 

Su questo, ragiono ad alta voce da "inesperto", mi pare si possa dire che - come nelle guerre "vere" - il rischio è di sapere bene perché e come si "entra in battaglia", ma non capire, non sapere, non riuscire a definire come "se ne esce". La guerra monetaria può dare respiro all'Europa? forse, per un breve periodo. Ma il rischio è che le tensioni fra le diverse aree si rendano sempre più acute, vanificando anche i benefici immediati.

Inoltre, giocare con la svalutazione della moneta ( cosa forse oramai necessaria?) rischia di creare l'illusione di una manovra risolutiva, rendendo più difficile, meno urgente, più complicato dal punto di vista politico, il percorso per irrobustire realmente le economie dell'Eurozona.

Forse l'Europa dovrebbe giocare veramente una partita più politica, provando a presentare al mondo un'idea di "governo mondiale" dell'economia, qualcosa che dica ai Grandi Giocatori: "Gli equilibri sono cambiati. Prendiamone atto. Non distruggiamoci reciprocamente, ma creiamo qualcosa di nuovo". Se - e solo se - si fosse capaci di proporre questo, allora varrebbe la pena "entrare in battaglia".

FMM

L'idea è semplice: la Germania deve spendere di più per permettere ai paesi del sud come il Portogallo di allargare il loro mercato e vendere i loro prodotti. L'idea è generosa e si basa su una convinzione: in questo momento i tedeschi approfittano della zona euro. In che modo? Per il semplice motivo che se avessero avuto il marco tedesco al posto dell'euro, la loro valuta si sarebbe apprezzata molto di più e la loro competitività (le loro esportazioni) si sarebbe deteriorata. Inoltre a causa della divisione finanziaria dell'euro le banche tedesche e lo stesso stato sono diventati il rifugio degli investitori internazionali, disposti a pagare caro per avere la sicurezza della più grande economia della moneta unica.
Sì, chiediamo la solidarietà della Germania, tanto più che alcuni paesi come il Portogallo devono fare drastici aggiustamento della loro economica e devono farli rapidamente. Il problema è sapere quello che devono fare i tedeschi per favorire la forza economica europea e un progetto che affermano di voler difendere.
Con il rischio di essere accusato di scarso patriottismo, non penso che la soluzione migliore passi attraverso un aumento delle spese in Germania (...) Viviamo in un'unione monetaria caratterizzata da grandi disparità sul piano finanziario. È qui, a questo livello, che gli europei devono chiedere un altro tipo di solidarietà alla Germania, per bilanciare gli squilibri esterni nella zona euro. Se infatti un deficit del 6 per cento della bilancia delle transazioni correnti è un cattivo risultato, non possiamo neppure rallegrarci di un eccedenza del 6 per cento in un altro paese della stessa zona monetaria. Come correggere questi squilibri?
Per esempio istituendo una vera e propria gestione economica della zona euro in cui la sovranità sia più condivisa e creando una vera e propria unione bancaria che non ha mai visto la luce. È su questi due aspetti che la Commissione europea e i dirigenti dei paesi dell'Europa meridionale devono concentrarsi, invece di perdere tempo a chiedere ai tedeschi di non essere tedeschi.
Se la Germania, nelle ultimi indagini di Bruxelles, non presentava sbilanci particolari, in quest’ultimo report si sottolinea invece come a partire dal 2007 Berlino abbia registrato un surplus superiore alle soglie previste (fissate al 7 per cento). Il fatto che la Commissione europea abbia avviato un'"indagine approfondita" sull'eccessivo surplus della bilancia commerciale tedesca non significa che disapprovi la competitività della Germania. Lo ha chiarito il presidente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso. "E' prematuro - ha aggiunto - anticipare se ci saranno conseguenze per Berlino" al termine dell'indagine, i cui risultati saranno noti la prossima primavera. La Germania è uno dei principali "motori dell'economia europea e "non si sta criticando la sua competitività", che dovrebbe essere un esempio per tutti gli altri Paesi.

(...) Il tasso di cambio dell'euro troppo elevato è disastroso a tutti i livelli: perché è in grado di distruggere in pochi giorni tutti i risultati in materia di competitività costati anni di sforzi; perché costringe le aziende ad abbassare i prezzi e licenziare gli impiegati, per preservare la loro competitività interna ed esterna. Diminuendo i costi delle importazioni, riduce l'inflazione a un livello troppo basso e porta a un eccessivo consumo energetico. Si tratta di un circolo vizioso in cui ogni tentativo di ridurre i deficit di governo tagliando le spese pubbliche porta a un alto tasso di disoccupazione e alimenta la crisi economica. Inoltre, l'euro troppo forte mette i paesi più indebitati nella posizione di non essere più in grado di ripagare il loro debito pubblico senza dissanguare i risparmiatori: Cipro ne è un esempio.(...)
La Germania è ancora ostile all'idea perché diffidente nei confronti di tutto ciò che possa dare l'impressione di una valuta debole e di un ritorno dell'inflazione. Questo non per salvaguardare la democrazia (Hitler, contrariamente a quanto si crede, non salì al potere per domare l'inflazione, ma dopo che questa era già stata domata), ma per i suoi timori in materia demografica: il paese ha bisogno di surplus commerciali e stabilità dei prezzi in modo che il surplus continui a crescere per pagare le pensioni degli attuali lavoratori, considerando che le generazioni future non saranno in grado di finanziarle.
Una volta convinti i responsabili delle decisioni, i ministri delle finanze dovranno solamente ribadire all'unanimità, durante ogni riunione del gruppo dell'euro, che il tasso di cambio dell'euro è troppo forte; a quel punto, la BCE non dovrà fare altro che dichiararsi a favore di un calo del valore dell'euro. Inoltre, se necessario, la BCE potrebbe ulteriormente diminuire il suo tasso ufficiale di riferimento, che è persino più alto di quello della Fed, la banca centrale degli Stati Uniti (0,25 contro lo 0,08%).(...)
Un euro indebolito a un livello ragionevole (un euro per dollaro) rappresenta dunque la scelta migliore; deve diventare una priorità e mettere in gioco tutte le sue forze. La Francia deve rivendicare tutto ciò, insieme a tutti gli altri sforzi per ripristinare la competitività tramite l'innovazione. Più l'euro sarà debole, più la posizione dell'Europa nel mondo sarà forte. E viceversa.

Cosa servirebbe subito per invertire la rotta? 
«L’Europa deve accelerare sull’Unione bancaria, accompagnandola con un’assicurazione europea dei depositi e un meccanismo di Risoluzione comune; abbandonare le politiche di austerità e puntare invece su politiche per favorire la crescita, sfruttando ad esempio i fondi Bei per finanziare le piccole e medie imprese che faticano ad ottenere credito, e investendo su istruzione e innovazione tecnologica; introdurre gli eurobond, così tutti i Paesi possono indebitarsi a tassi negativi».

giovedì 8 agosto 2013

Possiamo Farcela Senza L'FMI (PressEurop - Les Echos)

(...) In realtà l'Fmi è intervenuto nella zona euro (Grecia, Irlanda, Portogallo e Cipro) per tre ragioni principali. La prima è che non era stato previsto nulla per affrontare una situazione di fallimento di uno stato della zona euro, e il Fondo era l'unico strumento finanziario disponibile per aiutare degli stati che avevano delle necessità di finanziamento a brevissimo termine.
La seconda era politica, l'Fmi doveva svolgere il suo ruolo di capro espiatorio, cioè di istituzione che esige delle condizioni impopolari per il risanamento, una cosa che gli stati della zona euro non erano pronti a fare da soli.
Terza e ultima ragione, l'indiscussa esperienza dell'Fmi nel concepire in poche settimane dei programmi economici. Un'esperienza che giustificava un sostegno del genere in una situazione così caotica.(...)
A questo punto non sarebbe il caso che la zona euro dicesse che può fare a meno dell'Fmi? La seconda moneta di riserva al mondo dovrebbe trovare la sua piena sovranità e mostrare che è capace di essere solidale e protettrice nei confronti dei suoi membri. Non ricorrere al Fondo avrebbe una duplice conseguenza. Prima di tutto finanziaria. Bisognerebbe infatti coprire le spese dell'Fmi in Grecia, Portogallo e a Cipro. Ma questi fondi sono adesso disponibili attraverso l'Ems.
In secondo luogo politica, poiché la zona euro sarebbe lasciata a se stessa e alle sue debolezze, soprattutto per quanto riguarda la debole coesione delle economie tra sud e nord. I governi hanno voluto dimostrare che la zona euro non era solo un’unione monetaria, ma anche un atto politico. Di conseguenza un gesto del genere assumerebbe un significato forte: dopo una fase difficile, la zona euro si dimostrerebbe pronta ad affrontare da sola le sue sfide (come per esempio l'annullamento o meno di una parte del debito sovrano della Grecia, questione che è oggeto di discussioni tra Fmi e zona euro).
Tuttavia prima di rinunciare al Fondo potrebbe essere adottata una soluzione intermedia. L'Fmi, come fa già in alcuni paesi, potrebbe firmare con gli stati della zona euro con cui ha concluso un programma di aiuti dei cosiddetti accordi di precauzione, ovviamente di concerto con la zona euro. Si tratta di accordi senza un aiuto finanziario ma sotto forma di firme in bianco sulla condotta della politica economica. Così la zona euro manterrebbe la sua autonomia finanziaria sfruttando al tempo stesso l'esperienza dell'Fmi. Si tratterebbe di una prima fase, perché in ultima analisi la zona dovrà affermarsi politicamente.

venerdì 19 ottobre 2012

L'autorità che serve all'Europa (Franco Bruni, laStampa)

(...) La vigilanza accentrata delle banche è urgente anche per permettere al fondo salva-Stati di intervenire direttamente e autorevolmente nella ricapitalizzazione delle banche spagnole: e la Germania non può disconoscere che ciò è essenziale anche per la stabilità della finanza tedesca.  

Quanto all’integrazione delle politiche di bilancio è noto che le esitazioni tedesche derivano soprattutto dalla paura di dover pagare per l’indisciplina dei Paesi spendaccioni. D’altra parte integrare le politiche significa proprio rendere più efficace la disciplina delle finanze pubbliche. Si è già fatto molto: il nuovo Patto di Stabilità, le procedure di consultazione del «semestre europeo», l’obbligo di pareggio, ancorché flessibile e «intelligente», introdotto nelle leggi costituzionali, dovrebbero evitare per tempo che i bilanci nazionali rimangano su strade insostenibili. Si lavori per far funzionare davvero tutto ciò. Si può anche andare oltre. Merkel ha detto al Bundestag che ci vuole un commissario unico dell’euro in grado di invalidare i bilanci nazionali non in linea con gli obiettivi europei.  

L’idea non è del tutto discosta dalla proposta di bilancio integrato fatta in giugno da Van Rompuy. La quale va però adottata senza stravolgerne lo spirito, senza trasformare una procedura di cooperazione disciplinata in un provvedimento di polizia, con il sapore punitivo che piacerebbe a parte dell’elettorato tedesco. Anche perché le autorità europee non hanno dimostrato gran perspicacia negli scorsi anni: prima sono state disattente e cedevoli, anche nei confronti del bilancio tedesco; poi hanno disegnato percorsi di aggiustamento irrealistico e controproducente, come nel caso greco e portoghese dove l’Europa ha già ammesso che per risistemare le cose con riforme ben fatte e politicamente accettabili occorre più tempo.  

Nel testo di Van Rompuy c’è un concetto chiave da non trascurare: la «condivisione delle decisioni sui bilanci» va «commisurata alla condivisione dei rischi». A fronte dell’accentramento del controllo occorre cioè essere disposti alla solidarietà fiscale che è implicita, per ora, nel fondo salva-Stati appena varato ma che deve svilupparsi nel tempo fino a dar luogo a forme più accentuate di indebitamento comune come gli eurobond. (...)


domenica 10 giugno 2012

I nodi al pettine (dal Sole 24Ore)

L'unico modo per costringere i regolatori bancari nazionali a trasferire tutte le informazioni che hanno sullo stato delle banche è proprio quello di sottoporli all'autorità di controllo dell'Ue o del Fondo monetario nel contesto di un programma di assistenza. In questa luce, la crisi spagnola, prima ancora che una crisi bancaria, è una crisi causata dalla pretesa di sovranità nazionale in Europa. di Carlo Bastasin - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/vL8Hw

giovedì 12 aprile 2012

Il timoniere bendato (Adriana Cerretelli, ilSole24Ore)

È la non-Europa il vero bersaglio dei mercati. Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna, Italia e anche Francia sono di volta in volta obiettivi-test per verificarne la coesione che non c'è o, quando fa finta di materializzarsi, lo fa regolarmente sull'orlo del baratro, in ritardo e con il contagocce. In breve con azioni insufficienti per essere davvero convincenti. In questo modo, invece di disarmarli, si invitano a nozze gli speculatori di tutto il mondo. di Adriana Cerretelli - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/X5XoS

lunedì 9 aprile 2012

Olanda, tanto rigore ma conti fuori posto (dal Sole24Ore)

I più ottimisti possono sperare che - più delle vicende greche, portoghesi o irlandesi - la deriva dell'ex virtuosa Olanda riuscirà a far riflettere sulla necessità, sempre più urgente, di una mutualizzazione dei debiti pubblici e in ultima analisi di un'unione politica. Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/6Hoke