È la non-Europa il vero bersaglio dei mercati. Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna, Italia e anche Francia sono di volta in volta obiettivi-test per verificarne la coesione che non c'è o, quando fa finta di materializzarsi, lo fa regolarmente sull'orlo del baratro, in ritardo e con il contagocce. In breve con azioni insufficienti per essere davvero convincenti. In questo modo, invece di disarmarli, si invitano a nozze gli speculatori di tutto il mondo. di Adriana Cerretelli - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/X5XoS
"Una simile pace dovrebbe permettere a tutti gli uomini di navigare senza impedimenti oceani e mari." (Carta Atlantica, 14 agosto 1941)
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giovedì 12 aprile 2012
martedì 3 gennaio 2012
Come far piangere gli speculatori (Luigi Spaventa, 2010)
Un articolo di Luigi Spaventa, pubblicato da Repubblica il 10 maggio 2010 e che ho già riproposto in altri momenti, perché molto chiaro e netto e quindi sempre interessante da rileggere. I grassetti sono miei.
Francesco Maria Mariotti
IN CHE COSA consiste la speculazione? In un'imponente concentrazione di mezzi finanziari atta a provocare un esito che, pur se non altrimenti giustificato, fa vincere la scommessa. La speculazione si batte non con le deprecazioni né mandando i marines, ma facendo piangere chi ci ha provato: le lacrime di chi ci ha provato sono i soldi che gli si fanno perdere. Per far perdere i soldi alla speculazione, le autorità devono essere decise e dimenticare per un momento le regole del galateo.
I ribassisti ne fanno di tutte; dispongono dei mezzi tecnici più sofisticati; operano con una leva gigantesca, senza impegnare soldi propri. Se la pressione cresce (otto giorni fa al mercato dei derivati di Chicago si contavano 103.400 contratti al ribasso sull'euro, pari a quattro volte le posizioni lunghe, per un valore di quasi 17 miliardi di dollari) che cosa dovrebbero fare le autorità che tutelano la nostra stabilità? Consultare il manuale di buone maniere di Monsignor della Casa e reagire senza dare prova di maleducazione? Oppure togliersi i guanti e picchiare? Nell'agosto del 1998, in esito alla crisi finanziaria del Sud-Est asiatico, quando finirono al tappeto le economie più dinamiche dell'area, la speculazione prese di mira con pesanti bordate la valuta e il mercato azionario di Hong Kong. Poiché i consueti strumenti di difesa (aumento dei tassi) non bastavano, l'autorità monetaria del territorio buttò alle ortiche l'ortodossia e decise di presentarsi in borsa come compratore di ultima istanza, in contropartita dei venditori a pronti e a termine, e acquistò azioni - azioni, si badi, non casti titoli di Stato - per 15 miliardi di dollari. Questa operazione (battezzata doppio slam, double whammy) inflisse gravissime perdite ai ribassisti, che dovettero abbandonare il terreno con gravi perdite. Vi fu anche un lieto fine: l'autorità monetaria rivendette gradualmente le azioni acquistate lucrando un profitto di 4 miliardi per le casse pubbliche (così come la banca centrale americana sta facendo profitti, rivendendo i titoli acquistati durante la crisi per sostenere le banche).
Non suoni eresia: la sola entità che possiede più mezzi di qualsiasi diabolico speculatore è una banca centrale che abbia il potere di emettere moneta. Solo quella banca centrale può essere compratore di ultima istanza di qualsiasi attività finanziaria che sia oggetto di un attacco speculativo ribassista, a condizione che quella attività sia denominata nella valuta che essa emette (per la Bce un titolo in euro, per la Federal Reserve un titolo in dollari). Naturalmente questo è un rimedio estremo per mali estremi: per metterlo in opera si deve essere convinti che il valore mirato dalla speculazione non sia quello "giusto"; che senza turbolenze si potrebbe raggiungere un valore diverso e mettere in opera procedure più ordinate. Mi pare evidente che queste condizioni ricorrano oggi: (...)
Come far piangere gli speculatori (Luigi Spaventa, la Repubblica, 10 maggio 2010)
Come far piangere gli speculatori (Luigi Spaventa, la Repubblica, 10 maggio 2010)
venerdì 15 luglio 2011
Vie Di Uscita dalla Crisi
Sulle possibili risposte alla crisi finanziaria che si sta facendo sentire in questi giorni, segnalo alcune riflessioni: un articolo apparso sul Sole 24 Ore, un appello firmato tra gli altri da Giuliano Amato e Michel Rocard (su Aspenia online), e alcuni articoli dei siti laVoce.info e nelMerito.com.
Paradossalmente possiamo diventare più forti, come Italia e come Europa, se accettiamo la sfida di questa crisi: la speculazione va duramente combattuta quando necessario (a questo link ripropongo un bell'articolo di Luigi Spaventa dell'anno scorso, sempre molto utile da rileggere), ma al tempo stesso non vanno negate o rimosse le esigenze di mutamento profondo di cui l'Italia ha bisogno.
E l'Europa deve cominciare a muoversi come un corpo politico unitario, magari a partire da un Ministro delle finanze comune, che sia realmente in grado di imporre la sua voce.
Al di là delle soluzioni tecniche, l'importante è comprendere che il rigore non è alternativo a crescita e benessere e che - se decidiamo di muoverci seriamente sul fronte dei conti pubblici - possiamo vincere questa partita senza rinnegare il meglio dello stato sociale europeo.
Francesco Maria Mariotti
Una crisi di fiducia sul terzo debito del mondo non si risolve da un giorno all'altro, né con un rimbalzo della Borsa. Non abbiamo idea della devastazione che potrebbe provocare, forse non c'è neanche una soluzione. Sarebbe l'affondo finale all'euro, la mossa che potrebbe portare allo scacco matto. D'altra parte è una partita che si gioca già da tanto tempo, prima con la Grecia, poi con Irlanda e Portogallo, ora con l'Italia, saltando la Spagna.(...)
Oggi abbiamo una moneta unica e non possiamo più svalutare. La crisi colpisce direttamente il debito e la sua sostenibilità. Il punto critico è capire se sia il caso di seguire una soluzione di "mercato", cioè se si debba fare di tutto per soddisfare i desideri del mercato e ripristinare la fiducia - posto che si sappia cosa il mercato vuole - oppure se bisogna pescare dal cilindro delle soluzioni non ortodosse.(...)
Ecco che privatizzazioni o una tassa patrimoniale ci potrebbero salvare. Ma dobbiamo arrivare a tutto ciò, con i tempi stretti che il mercato ci imporrà, per poi scoprire di essere più poveri senza aver raggiunto il nocciolo della questione?
La crisi italiana è anche, e soprattutto, crisi europea. La soluzione non può che essere europea e possibilmente poco ortodossa. (...)
La riunione dell'Eurogruppo di lunedì scorso è sembrata andare nella direzione giusta, anche se con contorni poco chiari e con il problema dell'Italia ancora indiscusso. Finalmente si apre la possibilità che il fondo di salvataggio europeo Esfs acquisti debito sul mercato secondario o lo faccia acquistare indirettamente dagli stessi governi. Così si può pensare ad una ristrutturazione ordinata fuori mercato che permetta di ripartire le perdite fra le varie parti e alleviare l'onere del debito greco in forma sostenibile. Willem Buiter, capoeconomista di Citigroup, ha fatto notare che, con l'Italia nel mirino dei mercati, l'Esfs dovrebbe portare la sua capacità a 2mila miliardi di euro. Chi mai può dare così tante garanzie se non un finanziamento diretto della Bce e quindi una monetizzazione implicita dei debiti pubblici?
La via più lineare sarebbe riprendere la proposta degli Eurobond, forse nella versione più radicale che abbiamo suggerito sul Sole dello scorso 5 luglio, cioè di convertire tutto il debito dei singoli Stati in debito federale con un trasferimento proporzionato di entrate fiscali che sia in grado di pagare anno per anno gli interessi. A questo punto, si potrebbero costringere i singoli governi a raggiungere il pareggio di bilancio dal momento che sarebbe un pareggio senza spesa per interessi e non soggetto più alla speculazione.
Arrivati a questo stadio della crisi, la soluzione di rafforzare in maniera drastica l'Unione europea è l'unica che non porta al fallimento dell'euro.
Un New Deal per l'EuropaGiuliano Amato and Enrique Baron, Michel Rocard, Jorge Sampaio, Mario Soares e Guy Verhostadt.(...) suggeriamo che la conversione di una quota del debito nazionale verso l'UE non deve essere posta sul mercato. Potrebbe essere detenuta direttamente dall’Unione. Non essendo oggetto di scambio sarebbe esente dalla valutazione delle agenzie di rating. Il suo tasso di interesse potrebbe essere deciso in una misura sostenibile dai ministri delle Finanze dell'eurogruppo. Sarebbe immune dalla speculazione. Governerebbero i governi piuttosto che le agenzie di rating.Suggeriamo anche che bisogna imparare dalle lezioni del New Deal americano degli anni Trenta che hanno ispirato la proposta di Jacques Delors nel 1993 diretta ad accompagnare una valuta comune con obbligazioni europee. L'amministrazione Roosevelt non ebbe bisogno di far finanziare o garantire i bond degli Stati Uniti da parte degli stati dell’Unione, come la California o il Delaware, esigere trasferimenti di bilancio, o acquistare il loro debito. E non ha bisogno di farlo l'Unione Europea per emettere i suoi bond. Le obbligazioni USA sono finanziati con la politica fiscale comune. L'Europa non ne dispone. Ma gli Stati membri la cui quota di debito nazionale è stata convertita in bond UE possono servirlo tramite le entrate fiscali nazionali, senza trasferimenti di bilancio da parte degli altri. L'Europa ha anche un ulteriore non trascurabile vantaggio. La maggior parte degli Stati membri è fortemente indebitata in seguito al salvataggio delle banche. Ma questo non è il caso dell’Unione. Anche considerando l’acquisto di parti del debito nazionale dopo maggio dell’anno scorso, il suo debito è inferiore all’1% del suo PIL. Si tratta di meno di un decimo dell’ammontare delle obbligazioni emesse dagli Stati Uniti per finanziare il New Deal, il cui successo consentì di finanziare il Piano Marshall per la ricostruzione dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale, di cui la Germania fu il principale beneficiario. I bond europei non avrebbero necessariamente bisogno di nuove istituzioni.I bond protetti dai mercati potrebbero essere detenuti dall’European Financial Stability Facility. Bond destinati alla crescita; potrebbero essere emessi dall’EFSF o dall’European Bank Group. Essi potrebbero essere serviti dalle entrate dei progetti co-finanziati così come lo sono le obbligazioni della BEI.La BCE è il guardiano della stabilità dei prezzi, ma la BEI può intervenire a salvaguardia della crescita. I finanziamenti di progetti dalla BEI sono già doppi rispetto a quelli della Banca Mondiale. La quale da 50 anni ha emesso proprie obbligazioni senza garanzie nazionali o trasferimenti fiscali. Nessuno dei principali Stati membri dell'eurozona calcola i finanziamenti della BEI all’interno del debito nazionale.Le obbligazioni non sono moneta stampata. Non sono finanza in deficit. Le emissioni nette di obbligazioni da parte dell'Unione significherebbero flussi di fondi per finanziare la ripresa europea, piuttosto che l'austerità. Ci rivolgiamo all'Ecofin e al Consiglio europeo perché adotti questa linea sia per salvaguardare l’eurozona, sia per sviluppare la coesione economica e sociale attraverso un New Deal per l'Europa. http://www.aspeninstitute.it/ aspenia-online/article/un-new- deal-leuropa
(...)Ma esiste un modo di recuperare la fiducia dei mercati? Poiché l’origine del problema è nella politica fiscale, il modo di recuperarla è sul fronte del fisco: occorre dare segnali forti e coordinati che gli stati deboli dell’area dell’euro sono capaci di “mettere a posto” i propri conti pubblici, accettando un monitoraggio e una disciplina comunitaria molto forte sulle proprie finanze.
Ciò vuol dire limitare significativamente la sovranità fiscale degli stati membri, dopo aver già accettato di delegare quella monetaria alla Bce. Ma occorre andare ben oltre la fragile disciplina del trattato di Maastricht e del patto di stabilità, assoggettando direttamente le leggi di bilancio degli stati membri dell’Unione a limiti comunitari vincolanti e a istituzioni dell’Unione Europea che li facciano valere. Non è affatto cosa di poco conto: difficile da realizzare e politicamente dolorosa, come le dimostrazioni e i morti di Atene dimostrano. I governi e soprattutto i parlamenti nazionali saranno disposti a farlo? Se sì, allora da questa crisi l’Europa riemergerà più forte di prima, e procederà verso il completamento della sua struttura sovranazionale con l’introduzione graduale di istituzioni fiscali federali, ovvero la naturale controparte della Bce.Potrebbe anche essere l’occasione per colmare finalmente il deficit democratico dell’Unione Europea, poiché è naturale che decisioni vincolanti di natura fiscale siano prese da organismi rappresentativi. In tal modo, i limiti alla sovranità fiscale nazionale avrebbero una legittimazione democratica sovranazionale, invece di essere visti come diktat di organismi tecnico-burocratici o di comitati di ministri degli stati membri. Se i paesi dell’euro avranno il coraggio di accettare questa grande sfida, non solo la fiducia tornerà sui mercati, ma questa crisi diventerà l’occasione di una svolta storica nella costruzione europea.
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