domenica 23 giugno 2019

"Andrà tutto bene"? (Le elezioni a Istanbul)

"A Istanbul l’opposizione vola: è iniziata la lunga notte che porterà alla proclamazione del nuovo sindaco della megalopoli sul Bosforo dopo che le elezioni dello scorso 31 marzo sono state annullate per presunte irregolarità. Particolarmente alta l’affluenza alle urne, che ha superato l’80%.
Secondo le prime proiezioni diffuse dall’agenzia di stato, Anadolu Haber Ajansi, con il 95% delle urne aperte, il candidato dell’opposizione, Ekrem Imamoglu è in testa con il 53,6% dei voti rispetto al 45,4% di Binali Yildirim, ex primo ministro e uomo di fiducia del Presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan. L’ex premier ha ammesso la sconfitta ancora prima che uscissero i risultati. Poco dopo il nuovo sindaco ha esultato: «Oggi ha vinto la democrazia. Hanno vinto i 16 milioni di abitanti di Istanbul» (...)"


"Imamoglu, 49enne candidato del Partito repubblicano del popolo (CHP), fino a pochi mesi fa era un politico semisconosciuto:  era infatti sindaco di Beylikduzu, una circoscrizione di Istanbul abitata da classi medio-borghesi. Originario di Trabzon, città sulla costa turca del Mar Nero, caratterizzato da componenti nazionaliste e religiose, Imamoglu, fin dall'inizio della sua campagna ha tracciato un profilo di uomo moderato, deciso a dialogare con tutti i settori della composita società turca. l risultato delle amministrative del 31 marzo scorso, che aveva consegnato la poltrona di primo cittadino a Imamoglu, era  stato annullato lo scorso 6 maggio dal Consiglio elettorale superiore (Ysk) per presunte irregolarità. Yildirim, candidato dell'Akp, il partito di governo, e del nazionalista Mhp, alleato di Erdogan, era stato sconfitto da Imamoglu, che aveva ottenuto il 48,80% dei voti a fronte del 48,55% raccolto dal suo oppositore. Imamoglu aveva ricevuto il suo mandato di sindaco lo scorso 17 aprile, ma l'incarico era durato appena due settimane perché l'Akp aveva presentato ricorso al Consiglio, chiedendo di annullare il risultato. Il Consiglio ha quindi ritirato il mandato di Imamoglu, stabilendo che i residenti di Istanbul sarebbero tornati a votare per eleggere - una seconda volta - il sindaco della metropoli. Imamoglu: "Si apra una nuova pagina" "E' il momento di aprire una nuova pagina". Sono queste le prime parole di Ekrem Imamoglu, rieletto con il 54% dei voti sindaco di Istanbul. Un'affermazione senza discussioni, dopo la risicata, contestata e poi annullata elezione dello scorso 31 marzo. "E' finito il tempo delle divisioni, di questo risultato voglio che siano tutti felici", ha dichiarato un esausto Imamoglu, dopo aver snocciolato una lista chilometrica di ringraziamenti, in primis ai volontari che hanno prestato servizio ai seggi, controllando le operazioni di scrutinio."Questa non è la mia vittoria, ma la vittoria della democrazia. Voi siete stati protagonisti di un momento di una delle pagine più belle della storia di questo Paese", ha detto Imamoglu, che ha prevalso con 4.698.782 voti sullo sfidante Binali Yildirim, che di voti 777.581 in meno. "Sarò il sindaco di 16 milioni di persone, nessuno sarà escluso, è finito il tempo di pregiudizi, divisioni, conflitti, voglio una città in cui tutti, nelle loro diversità, si abbraccino", ha aggiunto Imamoglu.Il neo sindaco repubblicano, riporta al Chp il governo della più grande città della Turchia dopo 25 anni, quando a sottrarla ai repubblicani fu l'attuale presidente, Recep Tayyip Erdogan, cui Imamoglu lancia anche messaggio."Chiedo al presidente di lavorare insieme a noi. Questo e' il nostro desiderio. C'e' tanto da fare e siamo stanchi delle faide politiche". Appena prima del neo sindaco aveva parlato Binali Yilieim, che si e' limitato a riconoscere la sconfitta."Ekrem Imamoglu e' nettamente avanti, gli auguro di lavorare con successo per il bene della citta'. Noi siamo sempre pronti a collaborare", ha dichiarato Yildirim. (...)"


"(...) Imamoglu, politico semisconosciuto fino a qualche mese prima, è stato capace di strappare la metropoli turca ai conservatori-islamisti che la amministrano da 25 anni. Una sorpresa per molti, incluso lo stesso Akp. Quarantanove anni, laureato in Economia, il candidato del Partito repubblicano del popolo (Chp) era infatti noto solo come sindaco di Beylikduzu, una circoscrizione di Istanbul abitata da classi medio-borghesi. Originario di Trabzon, città sulla costa turca del Mar Nero, caratterizzata da componenti nazionaliste e fondamentaliste, Imamoglu, fin dall`inizio della sua candidatura a sindaco di Istanbul, si è presentato come moderato, deciso a dialogare con tutti i settori della composita società turca, anche con le minoranze religiose non musulmane.

In tanti già lo indicano come futuro candidato al governo della Turchia in funzione anti-Erdogan. Il presidente turco aveva iniziato la sua ascesa politica proprio come sindaco di Istanbul, nel lontano 1994. Il motto del candidato Chp "Andrà tutto bene", è diventato virale sui social media (hashtag #HerSeyCokGuzelOlacak)."

venerdì 21 giugno 2019

Trump non vuole la guerra?

*Iran, Trump diposto a parlare con Rohani o Khamenei Intervista alla Nbc: nessuna precondizione al dialogo Roma, 21 giu. (askanews) - Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è detto pronto a parlare con l'omologo iraniano Hassan Rohani o con la Guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, senza alcuna precondizione. In un'intervista concessa alla rete televisiva statunitense Nbc Trump ha inoltre ribadito di aver revocato l'ordine per delle incursioni aeree mirate in territorio iraniano come rappresaglia per l'abbattimento di un drone, a causa delle possibili perdite umane. Mgi 20190621T201802Z

Dal profilo Fb di Germano Dottori

https://www.facebook.com/100009991966741/posts/911018339241223/

Iran: Trump chiama erede saudita

*Iran: Trump chiama erede saudita, vostro ruolo cruciale per stabilita'*  9010E1314  (POL) Iran: Trump chiama erede saudita, vostro ruolo cruciale per stabilita'
(Il Sole 24 Ore Radiocor Plus) - New York, 21 giu - Il 
presidente americano, Donald Trump, oggi ha parlato con il 
principe erede al trono saudita Mohammad bin Salman Al Saud. 
Lo ha annunciato la Casa Bianca, sostenendo che "i due leader 
hanno discusso del ruolo cruciale dell'Arabia Saudita nel 
garantire la stabilita' nel Medio Oriente e nel mercato 
petrolifero globale (in quanto leader di fatto dell'Opec, 
ndr). Hanno anche discusso della minaccia posta dal 
comportamento sempre piu' grave del regime iraniano". La nota 
partita dal civico 1600 di Pennsylvania Avenue a Washington 
e' giunta all'indomani dell'abbattimento di un drone 
americano da parte dell'Iran vicino allo stretto di Hormuz, 
nel Golfo Persico. Oggi Trump ha detto di aver bloccato, 10 
minuti che avvenisse, il lancio di missili che avrebbero 
colpito tre target iraniani, sostenendo che sarebbero morte 
150 persone, bilancio "sproporzionata" rispetto 
all'abbattimento di un drone senza pilota. L'Arabia Saudita 
e' storico rivale dell'Iran negli equilibri geopolitici della 
regione.
    A24-Spa 
(RADIOCOR) 21-06-19 19:17:42 (0533) 5 NNNN

Tratto da profilo Fb di Germano Dottori
https://www.facebook.com/100009991966741/posts/911000472576343/

Il non-attacco di Trump

"(...) Non è chiaro ancora a cosa sia legato effettivamente il dietrofront: se il presidente ha cambiato decisione ascoltando tutte le reticenze che dimostra da settimane (o meglio, da sempre rispetto agli impegni militari, che considera un costoso impegno economico), oppure la scelta è stata legata a necessità logistiche, tattiche o strategiche. Ancora non è comunque esclusa una risposta militare. Secondo quanto riportano i media americani, che hanno seguito gli sviluppi delle riunioni alla Casa Bianca tramite i corrispondenti (e sono gli unici realmente informati dei fatti), durante una riunione serrata iniziata alle nove di sera è andata avanti per più di un’ora e mezzo, s’è creata una spaccatura tra gli apparati statunitensi. Da una parte il segretario di Stato, Mike Pompeo, il consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton, e la direttrice della Cia, Gina Haspel, che consigliavano l’attacco per punizione e deterrenza nei confronti di Teheran, che da settimane reagisce aggressivamente all’altrettanto politica aggressiva della “massima pressione” scelta da Washington contro la Repubblica islamica: e un conto sono operazioni asimmetriche plausibilmente negabili come i sabotaggi alle petroliere, un conto è l’abbattimento di un velivolo senza pilota della marina statunitense; questo va punito severamente, dicono i falchi.

FALCHI E COLOMBE

Dalla parte di chi non voleva colpire c’era Trump e i vertici del Pentagono (che è senza un segretario di fatto ed è in fase di transizione tra due facenti funzione): i militari temono un’escalation incontrollabile se dovessero essere colpiti obiettivi in Iran. Il presidente è a un anno dalle elezioni di riconferma e sa che ai suoi elettori e ai suoi finanziatori sarebbe complicato giustificare come America First un attacco contro l’Iran. In mezzo, per così dire, il Congresso: a quanto sembra i leader di Democratici e Repubblicani avrebbero chiesto al presidente di partecipare alle decisioni, ossia di approvare in aula eventuali operazioni militari contro Teheran che comunque dovevano essere “misurate” (secondo una dichiarazione fatta dai congressisti repubblicani). (...)"

https://formiche.net/2019/06/trump-iran-attacco-drone/

"L'Iran ha fatto un errore molto grosso!"

"Oggi le Guardie della rivoluzione islamica dell’Iran hanno annunciato l’abbattimento di un drone americano avvenuto alle quattro del mattino nello Stretto di Hormuz – poco lontano dalla zona dove quattro petroliere erano state attaccate giovedì scorso – e poche ore dopo il Pentagono ha confermato. L’attacco potrebbe avere conseguenze molto serie perché martedì il generale americano Paul Selva aveva avvertito con parole specifiche che l’America non sarebbe intervenuta da sola per proteggere le navi in transito nello Stretto – quindi l’attacco alle petroliere straniere non è considerato un motivo sufficiente per un intervento militare – ma “se gli iraniani prendono di mira cittadini americani, proprietà americane o le Forze armate americane, allora ci riserviamo il diritto di rispondere con un’azione militare”. Il presidente americano, Donald Trump, oggi ha scritto su Twitter: “L’Iran ha fatto un errore molto grosso!”. Potrebbe ordinare un bombardamento di rappresaglia su obiettivi militari dell’Iran, in particolare sulla costa che affaccia sullo Stretto. (...)

Gli iraniani dicono che il drone aveva violato il loro spazio aereo, gli americani dicono che invece si trovava in acque internazionali. È un punto cruciale della vicenda perché potrebbe portare a un’azione di rappresaglia, ma le due versioni sono contrastanti. Gli esperti dicono che fare entrare il Global Hawk nello spazio aereo dell’Iran non avrebbe senso: è un drone che resta in altissima quota per raccogliere informazioni, quindi non è costretto ad avvicinarsi a quello che deve vedere, ed è un bersaglio lento e goffo, quindi incapace di sfuggire alla reazione eventuale dei nemici. La sua protezione era rimanere al di fuori dello spazio aereo dell’Iran. Un singolo esemplare di Global Hawk costa 123 milioni di dollari – più dei costosissimi caccia F-35 che costano circa 89 milioni di dollari – e fin da subito è partita la caccia ai rottami, che contengono tecnologia all’avanguardia e sono molto desiderati dagli iraniani, dai russi e dai cinesi.

È possibile che il drone americano stesse volando sopra quella zona del Golfo per sorvegliare eventuali manovre attorno alle petroliere, dopo gli attacchi avvenuti il 12 maggio e il 13 giugno. Proprio il 13 giugno i Guardiani della rivoluzione islamica a bordo di una barca veloce avevano tentato di abbattere con un missile portatile un drone americano – un più modesto Reaper da quindici milioni di dollari – che li stava seguendo poco prima degli attacchi alle petroliere, ma non ci sono riusciti. Il 6 giugno le milizie houthi che combattono in Yemen con l’appoggio dell’Iran sono riuscite ad abbattere un altro drone Reaper con un missile terra aria e la notizia è stata confermata da entrambe le parti. Il capo dei Guardiani della rivoluzione islamica, Hossein Salami, ha detto che l’abbattimento di oggi è un messaggio: “Non vogliamo una guerra, ma siamo pronti, e questo è quello che succede a chi vìola i nostri confini”."

Pubblicato sul Foglio di venerdì 21 giugno: https://www.ilfoglio.it/esteri/2019/06/20/news/liran-abbatte-il-drone-gioiello-degli-americani-nello-stretto-di-hormuz-261520/?paywall_canRead=true

Riprodotto su Fb al link https://www.facebook.com/172477746626388/posts/490314891509337/

domenica 16 giugno 2019

Libia: Conferenza nazionale?

"«Una grande conferenza nazionale aperta a tutti coloro che si riconoscono in maniera inequivocabile nello stato di diritto». È questo l’annuncio che il presidente libico Fayez al-Sarraj, è atteso fare tra poche ore nel corso di una conferenza stampa internazionale che si terrà a Tripoli. E’ quanto riferiscono fonti informate a La Stampa, secondo cui Sarraj punta a rafforzare il ruolo del Governo di accordo nazionale. L’iniziativa, tuttavia, parte su iniziativa individuale del presidente e non dell’esecutivo libico appoggiato dalla comunità internazionale. Un tentativo da parte del presidente di rilanciare la sua immagine appannata da due mesi e mezzi di conflitto, iniziato il 4 aprile con la marcia su Tripoli delle forze fedeli a Khalifa Haftar.


La situazione militare in Libia è di fatto stazionaria sebbene riveli un vantaggio delle forze del governo. Il Gna è ottimista nel dire che costringerà il generale alla resa, questa però non è l’opinione degli osservatori secondo cui alla fine potrebbero essere così ma ci vorrà ancora del tempo, settimane se non mesi. Ecco allora il tentativo del numero uno del Consiglio presidenziale di rilanciare il dialogo politico all’interno della Libia laddove si era interrotto all’inizio di aprile a pochi giorni dalla Conferenza nazionale che si sarebbe dovuta tenere a Ghadames. Rimane l’interrogativo di Haftar: «in teoria l’iniziativa è aperta allo stesso generale se accettasse in maniera inequivocabile i principi dello stato di diritto e la soluzione pacifica delle controversie, questo vuol dire che dovrebbe accettare il ritiro incondizionato».(...)"

https://www.lastampa.it/2019/06/16/esteri/libia-sarraj-convoca-una-conferenza-nazionale-per-uscire-dalle-sabbie-mobili-della-guerra-hCzeKopD80KwMX0URQ5YKL/pagina.html

sabato 15 giugno 2019

Le strategie parallele intorno al Golfo dell'Oman

"(...)  “Primo, stanno succedendo certi eventi in maniera continua, succedono a poca distanza di tempo gli uni dagli altri, e sono tutte situazioni di conflitto asimmetrico. C’è questo elemento di ambiguità strategica, che è effettivamente tipico delle Guardie rivoluzionarie (le forze armate teocratiche iraniane note anche come IRGC, ndr) che va sotto il nome tecnico di Plausible deniability, che però non possiamo considerarlo appannaggio esclusivo delle IRGC”, spiega l’analista della Gulf State Analytics (che si occupa di fare consulenza strategica per grandi aziende che vogliono muoversi nel Golfo) e Phd Candidate all’Università di Exeter.

E poi? “La seconda cosa che possiamo dire con certezza è che chi sta compiendo questi atti va identificato tra coloro che a tutti i costi vogliono un’escalation della situazione. E di questo genere di posizioni ce ne sono da entrambe le parti del Golfo. Dobbiamo considerare che questo genere di operazioni potrebbe essere anche condotto in modo parallelo all’autorità centrale, perché parliamo di paesi, come l’Iran stesso, dove vivono diversi attori che hanno agende quasi indipendenti, gli hardliner per esempio sono in netto contrasto con i riformisti. Una struttura interna dicotomica che ritroviamo anche in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi”, che sono i due Paesi nemici della Repubblica islamica iraniana nel Golfo Persico.

“Sia ad Abu Dhabi che a Riad – continua Bianco – ci sono diversi elementi che vedrebbero crescere la propria influenza in caso di scontro, ma tanti altri che vorrebbero utilizzare il clima di pressione/tensione soltanto per costringere gli iraniani a sedersi a un tavolo negoziale da una posizione di debolezza. Cosa che Teheran non vuole assolutamente, come è chiaro”.

Un altro aspetto che l’analista italiana sottolinea riguarda una previsione fatta da diversi esperti di Iran: “In tanti prevedevano che si sarebbe rafforzata la parte dei falchi dopo il ritiro americano dal Jcpoa (l’accordo sul nucleare stretto nel 2015, ndr) e che sarebbe stato possibile che coloro che pensavano che la diplomazia non fosse la strada giusta per Teheran avrebbero spinto verso lo scontro”. E sembra quello che sta succedendo. Ma a Riad e ad Abu Dhabi qual è l’interpretazione della situazione? “Dall’altra parte del Golfo sia emiratini che sauditi pensano che in Iran il punto di vista predominante sia che l’escalation non conviene, perché provocare gli Stati Uniti, una grande potenza globale, non viene vista come un’opzione possibile per Teheran, e per questo credono che prima o poi gli iraniani si siederanno di nuovo, indeboliti, al tavolo dei negoziati”.(...)"

https://formiche.net/2019/06/golfo-iran-arabia-saudita-azioni-asimmetriche/

venerdì 14 giugno 2019

Attacco al largo dell'Oman: cosa succede nel Golfo? (ISPIOnLine)

"(...) Il ruolo del Giappone
Nelle ore in cui è avvenuto l’attacco era in corso la visita di Stato a Teheran del premier giapponese Shinzo Abe, la prima da parte di un primo ministro del Giappone dalla rivoluzione iraniana del 1979. Non si trattava però della prima volta di Abe a Teheran: suo padre Shintaro Abe compì una missione analoga nel 1983 nelle vesti di ministro degli Esteri, cercando di mediare tra Iran e Iraq nella guerra che per otto anni ha opposto i due paesi, e il giovane Shinzo, allora segretario del padre, viaggiò al suo seguito.

Il Giappone, del resto, è uno dei paesi che più importa(va) petrolio da Teheran, tanto da essere stato tra gli otto paesi che lo scorso anno avevano ricevuto le esenzioni per poter continuare ad acquistare greggio iraniano. Da questo maggio, però, per volontà dell’amministrazione Trump, anche Tokyo ha dovuto cessare le importazioni da Teheran e aumentare così i rifornimenti da altri paesi della regione, in particolar modo da Arabia Saudita e Emirati. Se Abe è intervenuto a mediare è proprio perché il Giappone ha un interesse fondamentale nella sicurezza e nella stabilità della regione mediorientale, e perché gode di buoni rapporti tanto con Washington (Abe è uno dei leader che più ha saputo dialogare con Trump) quanto con Teheran. Significativo poi che questo tentativo di mediazione sia portato avanti da una potenza occidentale, alleata degli USA, ma che non ha preso parte al negoziato sul nucleare iraniano che ha portato alla firma del JCPOA. L’Unione Europea, del resto, ha visto fallire tutti i tentativi fatti finora a questo scopo, e sembra concentrata oltre che sull’imminente passaggio di consegne presso il Servizio di azione esterna, sul tentativo di rendere operativo INSTEX, lo strumento per il commercio con Teheran, che però potrebbe non essere sufficiente a stabilizzare una situazione che nell’ultimo mese è precipitata. La missione di Abe di queste ore sembra dunque essere stata quella di mediare un accordo di “congelamento” della situazione. Trump dovrebbe quindi permettere all’Iran di riprendere in parte le proprie esportazioni di petrolio, e in cambio l’Iran non riprenderebbe le proprie attività nucleari, come ha invece minacciato di fare a partire da luglio. Solamente una volta contenuta l’emergenza si potrà cercare una mediazione più ampia su altri aspetti del contenzioso tra Washington e Teheran.

Quali scenari?
Se non è possibile stabilire con certezza le responsabilità dell’accaduto, altrettanto difficile è tratteggiare degli scenari certi. Molto dipenderà da come la crisi evolverà nelle prossime ore, ovvero se le parti in causa cercheranno di abbassare la tensione, oppure se al contrario si alzeranno i toni e si formalizzeranno accuse ufficiali. Analizzando il precedente dell’attacco dello scorso mese, a un repentino innalzamento della tensione hanno fatto seguito dichiarazioni  di apertura – sia da parte dell’Iran che da parte degli Stati Uniti – che hanno scongiurato il rischio di un’escalation, ma che non hanno risolto la situazione. Il livello di tensione attuale nella regione è infatti talmente elevato da rendere estremamente difficile la de-escalation, quantomeno perché qualsiasi strategia trovata dovrà permettere a entrambi i paesi di “salvare la faccia”: se è chiaro che nessuno dei due vuole un conflitto, e che entrambi hanno l’interesse a dialogare, è vero anche che per entrambi è difficile tornare sui propri passi. Trump dovrebbe ammettere che la sua strategia della “massima pressione” non solo non ha funzionato, ma ha prodotto conseguenze che hanno ulteriormente destabilizzato la regione, rivelandosi negative per gli stessi Stati Uniti. Dal canto suo, l’Iran dovrebbe giustificare che ha bisogno di riprendere il negoziato nonostante gli USA non abbiano tolto le sanzioni. La possibile via di uscita dall’impasse rimane però quella della diplomazia. Non è un caso che il Giappone abbia dichiarato che la situazione verrà discussa nel corso del G20 di Osaka, il 28 e 29 giugno prossimo, quando Paesi molto diversi tra loro – ma uniti dalla volontà di preservare la sicurezza e la stabilità di una delle aree più strategiche del globo – potranno discutere con gli USA e cercare una possibile mediazione. Qualunque sarà il risultato di questa mediazione, però, è difficile immaginare che Washington possa uscire dall’impasse, se non tornando sui propri passi sul tema delle sanzioni, in particolare quelle sul petrolio. Questo però equivarrebbe a ridefinire l’attuale strategia statunitense verso il Medio Oriente: una decisione difficile, ma sono sempre più numerosi i segnali che questa possa presto rivelarsi necessaria."

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/attacco-al-largo-delloman-cosa-succede-nel-golfo-23312

Nove risposte sull'incidente nel Golfo dell'Oman (il Post)

"(...) 5. Perché è pericoloso quello che è successo?
L’attacco di giovedì non è il primo di questo tipo nel Golfo dell’Oman. Il 12 maggio scorso c’era stato un attacco simile contro quattro petroliere al largo degli Emirati Arabi Uniti, anche questo secondo gli Stati Uniti compiuto dall’Iran, storico rivale regionale degli Emirati e dell’Arabia Saudita. Un mese prima il governo iraniano aveva detto che se gli Stati Uniti avessero bloccato tutte le esportazioni iraniane, l’Iran avrebbe interrotto il flusso di petrolio nello stretto di Hormuz: aveva minacciato insomma di fare quello proprio quello che è successo giovedì, ha detto il segretario di Stato americano Mike Pompeo.

Il rischio ora è che si alzi ulteriormente la tensione, che potrebbe avere diverse conseguenze: un aumento significativo del prezzo del petrolio a livello mondiale, per esempio, o l’inizio di un conflitto tra potenze nemiche evitato di un soffio per mesi.

6. Chi è contro chi?
Semplificando un po’, gli schieramenti sono due: da una parte ci sono gli Stati Uniti e la maggior parte delle monarchie del Golfo Persico ricche di petrolio, soprattutto Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti; dall’altra c’è l’Iran appoggiato da alcuni alleati, tra cui i ribelli houthi dello Yemen e in parte il Qatar, che si trova in una posizione un po’ complicata. Lo scontro principale – e che va avanti da decenni, con momenti migliori e altri peggiori – è quello tra Iran e Arabia Saudita, che però non si è ancora combattuto direttamente e ha ramificazioni in molti altri paesi: per esempio in Yemen, dove i ribelli houthi appoggiati dagli iraniani combattono contro il governo dell’ex presidente yemenita appoggiato dai sauditi; o in Qatar, dove da due anni sauditi e alleati impongono un embargo quasi totale per punire il regime qatariota del suo semi appoggio a Teheran.

La rivalità Arabia Saudita-Iran è pericolosa anche perché si estende molto al di fuori dei rispettivi confini nazionali: se le tensioni diventano guerra in un posto, nessuno sa dire con certezza cosa accadrà negli altri posti.(...)"

https://www.ilpost.it/2019/06/14/faq-attacco-petroliere-golfo-oman-iran/

mercoledì 12 giugno 2019

Salario minimo europeo? La proposta di Merkel

"Nel corso di una conferenza dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) a Ginevra, Angela Merkel ha invitato l’Unione Europea a studiare un modo per garantire che tutti i paesi abbiano un salario minimo “comparabile”, sostenendo che dovrebbero esistere condizioni di lavoro uguali in tutto il blocco. Secondo Merkel, mentre la Germania e altri membri dell’UE hanno già un salario minimo nazionale, è necessario esaminare “come possiamo avere retribuzioni minime comparabili”, prendendo in considerazione lo standard di vita in luoghi diversi. La Cancelliera, il cui governo ha approvato misure volte a colmare il divario retributivo di genere, si è anche lamentata del fatto che molte aziende mancano ancora di alte dirigenti femminili. “Persino nei paesi industrializzati, l’uguaglianza tra donne e uomini nell’economia lascia molto a desiderare”, ha affermato.

Non è la prima volta che la Cancelliera si pone in prima linea sui temi dell’equità del salario. In particolare, nel 2014, Angela Merkel riuscì, per la prima volta, a imporre un salario minimo comune a tutte le categorie per i lavoratori tedeschi che, fino a quel momento, ne erano stati sprovvisti. A quell’epoca, Angela Merkel andò contro il volere del suo stesso partito, i conservatori della CDU, e in accordo con i Socialisti di SPD avviò un dialogo con le parti sociali per fare sì che finisse il regime retributivo in vigore fino a quel momento. Pose fine al sistema per cui ogni categoria aveva un suo contratto e una sua retribuzione (simile a quello in vigore in Italia), e ne fece partire un altro con una retribuzione minima per tutti di  8,50 euro l’ora (oggi è salito a 9,19 euro e dal 2020 sarà di 9,35 l’ora).(...)"

https://larep.it/2R96ay5

lunedì 10 giugno 2019

Hong Kong contro la legge sull'estradizione (ilPost)

Gli oppositori della legge, tra cui molte organizzazioni per la difesa dei diritti umani, temono che le nuove regole sull’estradizione espongano ancora di più Hong Kong al problematico e illiberale sistema giudiziario cinese, e ridurranno la sua indipendenza. In particolare temono che la legge possa legittimare i rapimenti in città da parte delle autorità cinesi (ci sono stati vari casi negli anni), oppure rendere il governo di Hong Kong più vulnerabile alle richieste di quello di Pechino, anche se dovute a motivi politici. Inoltre un maggior potere della Cina sul sistema giudiziario di Hong Kong potrebbe spingere molte persone a non manifestare le proprie critiche al governo.

https://www.ilpost.it/2019/06/10/proteste-hong-kong-estradizione/

BCE: Draghi oltre Draghi (ilSole24Ore)

"(...) C’è dunque molto Draghi, e molto a lungo, nel dopo-Draghi. La transizione tra il vecchio e il nuovo presidente si preannuncia morbida, per non aumentare le incertezze già tante e «prolungate». Il condizionale resta però d’obbligo: i mercati sanno bene che molto, tutto, dipenderà dalla voglia del nuovo presidente di aprirla, quella cassetta degli attrezzi molto fornita, e del suo gradimento verso questo o quello strumento. (...)"

https://mobile.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2019-06-09/bce-draghi-oltre-draghi-cosa-restera-di-questi-8-anni-a-francoforte/AC5QC6O#Echobox=1560113697

domenica 9 giugno 2019

Riprendere in mano il dossier libico

"(...) Di Libia occorre tornare ad occuparsene, a rendere l’argomento nuovamente tra le priorità dell’agenda italiana. “Sono tanti i motivi per farlo – sottolinea Michela Mercuri – Il momento attuale impone un’iniziativa da parte nostra in grado di poter dare un impulso decisivo alla risoluzione della vicenda. In primo luogo c’è un’impasse da parte di tutti i principali attori internazionali, a partire dall’inviato Onu Ghassan Salamé, che nei mesi scorsi punta tutto sulla conferenza nazionale poi saltata per via della guerra”.

“L’Italia dovrebbe riprendere i contatti con le varie diplomazie – prosegue poi la docente – dalla Russia con cui abbiamo un buon rapporto e che sostiene Haftar, fino agli stessi Stati Uniti i quali formalmente appoggiano il governo di Al Sarraj ma dialogano con Haftar e sono partner dei sostenitori del generale. Noi, mancando un’azione comune di Nazioni Unite ed Europa, potremmo tornare ad essere promotori di un’iniziativa internazionale anche con il coinvolgimento francese. O si fa così oppure continuiamo ad aspettare alla finestra, ma questo non possiamo permettercelo”.

E poi c’è anche la questione, anche questa finita nel dimenticatoio, del consolato di Bengasi: “Lo chiedono gli stessi cittadini della Cirenaica – prosegue Michela Mercuri – Dovremmo aprire una sede diplomatica anche nell’est del paese, il consolato doveva essere operativo già ad aprile ma poi è saltato tutto ed ora non si sa molto sulle iniziative future. L’Italia è già presente nell’ovest della Libia, con una sede diretta dal bravo ambasciatore Giuseppe Buccino Grimaldi ed è l’unica occidentale a Tripoli. Adesso dobbiamo fare la stessa iniziativa anche a Bengasi, è fondamentale per il nostro ruolo in Libia”.(...)"

https://it.insideover.com/politica/litalia-riprenda-in-mano-il-dossier-libico-il-nostro-paese-rischia-grosso.html

domenica 2 giugno 2019

Festa della Repubblica: il discorso di Mattarella

Buona festa della Repubblica, di seguito un estratto del discorso di ieri del Presidente Mattarella.

"(...) Abbiamo appena celebrato in ventotto Paesi d’Europa un grande esercizio di democrazia: la elezione dei deputati al Parlamento Europeo, a conferma delle radici solide di una esperienza che stiamo, gradualmente, costruendo da ormai sessantadue anni. In realtà sessantotto dal momento dell’avvio del primo organismo comunitario, la Comunità del carbone e dell’acciaio.

L’Italia è stata guidata, in questo percorso, dalle indicazioni della sua Costituzione; dalla consapevolezza di una sempre più accentuata interdipendenza tra i popoli; dalla amara lezione dei sanguinosi conflitti del ventesimo secolo. Soltanto la via della collaborazione e del dialogo permette di superare i contrasti e di promuovere il mutuo interesse nella comunità internazionale.

La Repubblica italiana, con l'assunzione di responsabilità nel contesto globale, ha contribuito, per la sua parte, alla definizione di modelli multilaterali e di equilibri diretti a garantire universalmente pace, sviluppo, promozione dei diritti umani.

Anche per questo non possiamo sottovalutare le tensioni che si sono manifestate, e si manifestano, provocando conflitti e mettendo pesantemente a rischio la pace in tanti luoghi del mondo.

Va ricordato che – in ogni ambito - libertà e democrazia non sono compatibili con chi alimenta i conflitti, con chi punta a creare opposizioni dissennate fra le identità, con chi fomenta scontri, con la continua ricerca di un nemico da individuare, con chi limita il pluralismo.

I valori delle civiltà e delle culture di ogni popolo contrastano in modo radicale con quella deriva e fanno, invece, appello a salde fondamenta di umanità, per confidare nel progresso. (...)"

https://www.quirinale.it/elementi/30111