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domenica 9 giugno 2019

Riprendere in mano il dossier libico

"(...) Di Libia occorre tornare ad occuparsene, a rendere l’argomento nuovamente tra le priorità dell’agenda italiana. “Sono tanti i motivi per farlo – sottolinea Michela Mercuri – Il momento attuale impone un’iniziativa da parte nostra in grado di poter dare un impulso decisivo alla risoluzione della vicenda. In primo luogo c’è un’impasse da parte di tutti i principali attori internazionali, a partire dall’inviato Onu Ghassan Salamé, che nei mesi scorsi punta tutto sulla conferenza nazionale poi saltata per via della guerra”.

“L’Italia dovrebbe riprendere i contatti con le varie diplomazie – prosegue poi la docente – dalla Russia con cui abbiamo un buon rapporto e che sostiene Haftar, fino agli stessi Stati Uniti i quali formalmente appoggiano il governo di Al Sarraj ma dialogano con Haftar e sono partner dei sostenitori del generale. Noi, mancando un’azione comune di Nazioni Unite ed Europa, potremmo tornare ad essere promotori di un’iniziativa internazionale anche con il coinvolgimento francese. O si fa così oppure continuiamo ad aspettare alla finestra, ma questo non possiamo permettercelo”.

E poi c’è anche la questione, anche questa finita nel dimenticatoio, del consolato di Bengasi: “Lo chiedono gli stessi cittadini della Cirenaica – prosegue Michela Mercuri – Dovremmo aprire una sede diplomatica anche nell’est del paese, il consolato doveva essere operativo già ad aprile ma poi è saltato tutto ed ora non si sa molto sulle iniziative future. L’Italia è già presente nell’ovest della Libia, con una sede diretta dal bravo ambasciatore Giuseppe Buccino Grimaldi ed è l’unica occidentale a Tripoli. Adesso dobbiamo fare la stessa iniziativa anche a Bengasi, è fondamentale per il nostro ruolo in Libia”.(...)"

https://it.insideover.com/politica/litalia-riprenda-in-mano-il-dossier-libico-il-nostro-paese-rischia-grosso.html

lunedì 28 gennaio 2019

Migranti: le guerre lampo che non funzionano, l'opposizione che non convince

Ho raccolto alcuni articoli reperiti su varie fonti; mi sembra riassumano bene la difficoltà politica di questa fase, fra azioni governative poco utili (se non addirittura dannose per la sicurezza e gli interessi italiani) e un'opposizione poco convincente, che affronta la questione migrazione con argomenti e toni che rischiano di sembrare solo "moralistici", a tratti contraddittori, e - temo - alla fine controproducenti. 

Sullo sfondo, principe tra le altre cose, la questione libica, mai in pace dopo la guerra senza orizzonte del 2011, con una strada diplomatica sempre più difficile, con il dubbio - per quel poco che comprendo - che il coinvolgimento del nostro paese debba passare prima o poi attraverso nuovi interventi militari, o - forse più probabile - attraverso la delega ad altri (il generale Haftar? il figlio di Gheddafi?) che possano "unificare" il paese (se ancora possibile). 

Qui trovate estratti degli articoli; ovviamente è consigliato leggere i testi integrali.
Spero possano essere d'aiuto.

Francesco Mariotti

"(...) La forza di Salvini sta dunque qui, nello strappo «barbarico» che lo spinge dove la sinistra non osa. Come con l’azzardo estremo della chiusura (nominale) dei porti, che ha svelato tanta ipocrisia europea e che però si sta riproponendo in queste ore con la nuova odissea di una nave Sea Watch e 47 profughi, così il vicepremier leghista strappa sui Cara. Solo che da qui cominciano i problemi. Perché chiudere Castelnuovo di botto, con un blitzkrieg, è un’avventura sciagurata in quanto, oltre a colpire diritti soggettivi, mette per strada almeno un quinto degli ospiti. La pattuglia degli Invisibili si ingrossa ulteriormente e le cose andranno peggio nei prossimi mesi con la cacciata progressiva dai centri di chi non ha più la protezione umanitaria ma non può essere rimpatriato in mancanza di accordi coi Paesi d’origine: a migliaia (130 mila in due anni secondo l’Ispi) finiranno nel limbo dei né espulsi e né accolti, in mano alla criminalità.

Dunque la forza di Salvini è anche la sua debolezza, la filosofia della guerra lampo lo imprigiona. Temendo di essere raggiunto da problemi insolubili prima di incassare il dividendo elettorale promesso dai sondaggi, il vicepremier procede per strattoni e fughe in avanti. Si tratta invece di cambiare paradigma: un problema che non riguarda solo lui o il suo governo ma noi europei nell'insieme. Lungimiranti come gattini ciechi, ci siamo ridotti in 500 milioni a litigare su chi apre o chiude i porti a qualche centinaio di profughi sulle navi Ong, mentre l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati, ci spiegava che in tutto il pianeta 68,5 milioni di persone nel solo 2017 sono state in fuga da guerre e persecuzioni. La zona più critica di questo disordine mondiale è l’Africa: sono 29 gli Stati coinvolti in guerre o guerriglie e 259 le milizie dal Burkina-Faso al Sudan, dalla Nigeria al Congo alla Somalia e, ovviamente, alla Libia che, al momento, non è neppure più uno Stato (dunque non si capisce in base a quale finzione possa essere titolare di una zona Sars, Search and Rescue, dove infatti non si viene salvati ma condotti a morte). Il summit di Ouagadougou ha previsto che nel 2030, causa desertificazione, saranno 135 milioni i «profughi climatici» e di essi 60 milioni saliranno dall’Africa sub sahariana al Nord Africa e (infine) all’Europa. Di fronte a questi dati enormi appaiono assai miopi due visioni.

La prima, della destra sovranista, riduce migrazioni bibliche a epifenomeno di un fenomeno criminale: il traffico di esseri umani degli scafisti con la «complicità» di alcune Ong. Sostenere che fermate le Ong si fermino i viaggi è contraddetto dalla realtà (arrivano tuttora boat people a Lampedusa): l’unico risultato è tornare a prima del 2013 e di Mare Nostrum, con più naufragi e morti. La seconda visione, tuttavia, è altrettanto fuorviante, ed è quella irenica della sinistra altermondista: mentre accogliamo tutti basta aprire relazioni amichevoli, insegnare mestieri sul posto e sarà fatta, gli africani si riscatteranno da soli. Non è così. E non solo perché, ovviamente, non possiamo accogliere tutti, pena conflitti sociali ingestibili. Il primo passo, perché questo sogno di riscatto sia reale, è garantire dalle varie Boko Haram, Ansar al-Shari’a e milizie criminali assortite i nostri tecnici, maestri, medici: significa essere disposti a combattere. Il secondo passo è evitare che gli investimenti umanitari finiscano nei conti offshore dei mille dittatorelli locali. Per questo le liti con i tedeschi sulla missione Sophia o coi francesi sul loro presunto neocolonialismo sono nocive per tutti: il piano Marshall africano di cui parla Antonio Tajani ha senso solo se siamo in grado di seguire e proteggere quei miliardi di euro; un esercito comune europeo, domani, ci sarebbe necessario almeno quanto una vera unione bancaria.

Nell'immediato i soccorsi sono doverosi. Ma più doveroso ancora, per governi europei degni di questo nome, sarebbe mettere adesso le premesse perché, domani, 375 milioni di giovani africani, che nei prossimi 15 anni saranno in età per lavorare, possano farlo senza scappare. (...)"


"La paura ci rende pazzi, come ha detto papa Francesco, ma ci porta anche all’insonnia della ragione. Per ogni migrante espulso, cacciato da un centro di accoglienza, a causa dell’abrogazione della protezione umanitaria, che lascia per strada chi aveva un permesso di soggiorno in scadenza o scaduto. La paura rende pazzi, ma c’è un ma. Chi per anni ha studiato le sbagliate o mancate politiche di accoglienza, fatte alla rinfusa, perché c’erano esseri umani da salvare e il resto veniva dopo, sempre dopo, ora, davanti al putiferio scatenato dal piano di chiusura dei grossi centri di accoglienza, storce un po’ il naso. Sono anni che organizzazioni autorevoli della società civile, Asgi (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) in primis, denunciano le falle di un sistema di accoglienza fatto di maxi centri per migranti. A discapito di un modello alternativo di accoglienza diffusa, in cui la distribuzione dei richiedenti asilo sui territori permette di non intaccare i fragili equilibri sociali e di garantire un’integrazione concreta e mirata.

Giusto opporsi alle norme che frenano quella parziale integrazione realizzata. Restare umani è un imperativo.

Ma in molti di quei centri che dovranno essere chiusi, che non dovevano essere creati, 6 mila persone nei Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) e i nei Cas (137 mila persone), c’era già la manovalanza per le mafie locali e straniere. Ascolto da anni i racconti dei volontari, pazzi anche loro ma di rabbia, perché vedono la mala gestione di molti centri, dove si chiudono gli occhi davanti alla tratta delle nigeriane, al racket dell’elemosina e allo spaccio di stupefacenti. (...)"


"(...) Tre giorni fa, per cominciare, Salvini ha detto che Sophia, la missione europea di contrasto al traffico di esseri umani nel Mediterraneo, può concludersi in qualsiasi momento, avendo “come ragione di vita che tutti gli immigrati soccorsi vengano fatti sbarcare solo in Italia”. Salvini forse non lo sa, ma come è stato ricordato bene ieri da Repubblica il mandato di Sophia non prevede il salvataggio dei migranti bensì unicamente la lotta a scafisti e trafficanti d’armi e l’addestramento della Guardia costiera libica, indispensabile per fare quello a cui Salvini tra un mojito e un altro non sembra essere interessato: occuparsi di come aiutare Serraj a governare i flussi che partono dalla Libia. Colpire Sophia, dunque, non significa colpire l’Europa ma significa colpire l’Italia.
E lo stesso atteggiamento autolesionista Salvini lo ha messo in campo quando il governo del cambiamento si è occupato di altri dossier. Uno su tutti: la modifica del trattato di Dublino. Il trattato di Dublino, come sapete, prevede che il primo stato membro in cui viene registrata una richiesta di asilo è responsabile della richiesta d’asilo del rifugiato e nel contratto di governo Salvini e Di Maio hanno promesso di voler portare avanti “la revisione del Regolamento di Dublino e l’equa ripartizione dei migranti tra tutti i paesi dell’Ue”. Anche qui, l’atteggiamento avuto finora dal governo è stato controproducente. I campioni del sovranismo tendono a non ricordarlo, ma lo scorso anno il Parlamento europeo ha approvato una legge – non votata dal Movimento 5 stelle e addirittura bocciata dalla Lega – che cancella il criterio che il primo paese di accesso debba essere quello in cui il migrante presenta la richiesta d’asilo. Il problema è che alla fine di giugno il primo Consiglio europeo a cui ha partecipato il presidente Conte ha creato le condizioni per non modificare mai più quel trattato, accettando il principio imposto dai paesi di Visegrád che ogni modifica del trattato di Dublino debba essere decisa all’unanimità dei paesi dell’Unione europea (è sufficiente dunque che uno dei paesi europei amici di Salvini ponga il veto alla modifica del trattato per non modificarlo più). (...)"

lunedì 19 maggio 2014

Andiamo A Prendere Il Petrolio (la proposta di Romano Prodi)


L'importante articolo di Romano Prodi sulla possibilità di estrarre petrolio, in particolare in giacimenti di mare.

Di fronte alla persistente precarietà energetica a cui ci condannano le crisi internazionali, la proposta di Prodi appare importante, assolutamente da discutere in tempi molto brevi.

FMM


Come i governi precedenti anche l’attuale governo non sa dove trovare i soldi per fare fronte ai suoi molteplici impegni. Eppure una parte modesta ma non trascurabile di questi soldi la può semplicemente trovare scavando - non scherzo - sotto terra. Ci troviamo infatti in una situazione curiosa, per non dire paradossale, che vede il nostro Paese al primo posto per riserve di petrolio in Europa, esclusi i grandi produttori del Mare del Nord (Norvegia e UK). Nel gas ci attestiamo in quarta posizione per riserve e solo in sesta per produzione. Abbiamo quindi risorse non sfruttate, unicamente come conseguenza della decisione di non utilizzarle. In poche parole: vogliamo continuare a farci del male.

Nonostante l’attività di esplorazione delle nuove riserve sia ormai bloccata da un decennio, con un numero di metri perforati inferiori a un decimo di quelli del dopoguerra, l'Italia potrebbe - sulla base dei progetti già individuati - almeno raddoppiare la sua produzione di idrocarburi (petrolio e metano) a circa 22 milioni di tonnellate equivalenti petrolio entro il 2020. Solo con questo significherebbe alleggerire la nostra bilancia dei pagamenti di circa 5 miliardi di euro ed aumentare le entrate fiscali dello Stato di 2,5 miliardi ogni anno. Si attiverebbero inoltre investimenti per oltre 15 miliardi, dando lavoro alle decine di nostre imprese che operano in ogni angolo del mondo ma sono impossibilitate a farlo nel loro Paese.(...)



(...) Ha rotto un Tabù , Professore …
Beh insomma, non mi ero riproposto questo! Semplicemente, quando ho letto le dichiarazioni del Ministro degli Esteri della Croazia ho deciso di documentarmi. La conclusione che ho tratto dalla lettura è che se i dati dei Croati sono veri – e la controparte italiana mi ha confermato che lo sono - siamo davanti a un caso classico, quello di un bicchiere con una sola cannuccia. Meglio averne due di cannucce, non le pare? I dati ci dicono che ci sono altre situazioni in sviluppo nel Mediterraneo su cui si appuntano interessi per la estrazione. Mi sono dunque limitato ad analizzare il perché e a dire che, pur usando tutte le possibile precauzioni, non ci possiamo permettere di lasciare lo sfruttamento della nostra energia in mano altrui.
Nel dire questo lei però mette insieme una triade Prodi- Petrolio- Mediterraneo, cioè l’incrocio fra sinistra e trivellazioni su territorio italiano, che è stato un vero e proprio tabù negli ultimi decenni, una innominabile discussione.
Io dico l’ovvio. Quel giacimento di cui parliamo verrà sfruttato. I Croati sono pronti ad acquisirne i diritti e sono pronti industrialmente all’operazione. Se lo facciamo metà noi e metà gli altri è meglio , no? Ovviamente la sicurezza e la protezione dell’ambiente sono per tutti una priorità, il “principio di precauzione” ha la precedenza su tutto, ma la risposta ai rischi industriali non è il non fare, ma la capacità di governarli. Usando la testa, possiamo raggiungere livelli che ci danno sicurezza. (...)
La strategia. Quello che succede a sud è lo specchio di quello che avviene anche nel Nord dell’Adriatico. Mentre le concessioni italiane rimangono al palo, frenate da complicati iter procedurali e da una cascata di autorizzazioni (comprese quelle della Regione Veneto) per iniziare solo a pensare di installare una piattaforma, la Croazia ha messo il turbo ai suoi progetti di sfruttamento, in modo da anticipare Roma e accaparrarsi i migliori giacimenti nel mare comune.

domenica 3 novembre 2013

Dalle esercitazioni alla politica (da HuffingtonPost.it)

Per assicurare il mantenimento di un'adeguata prontezza operativa e il costante addestramento dei quadri e delle strutture di comando, la NATO effettua su base routinaria una serie di esercitazioni fra le quali una delle più importanti è quella, annuale, che si sta giocando in questi giorni, per la 'certificazione' dei comandi che, a rotazione, costituiscono la struttura portante della NRF, la forza di reazione rapida, che deve essere in grado di intervenire con un brevissimo preavviso in caso di necessità di qualsiasi tipo.
Questa esercitazione, di tipo 'per posti di comando' e quindi senza truppe sul terreno, per parecchi anni è stata effettuata su un tipico scenario di peace-keeping, creando un ambito geografico ricalcato sul Corno d'Africa, con qualche variazione orografica, su cui insistono paesi di fantasia, cui vengono dati nomi pittoreschi e ai quali vengono attribuiti sistemi politici e atteggiamenti utili rendere realistica l'esercitazione stessa. (...)
Ci troviamo quindi nella NATO, pur con diverse sfumature, sostanzialmente con due aree ben differenziate: coloro che con la dissoluzione dell'URSS considerano definitivamente tramontata l'ipotesi di una minaccia dei tipo classico proveniente da est e quelli che invece continuano a ritenere ancora incombente il rischio che Mosca si faccia prendere dalla tentazione di riguadagnare, anche con la forza, gli ambiti geografici perduti negli anni '90. Per questi ultimi paesi il valore principe dell'Alleanza rimane la garanzia di una piena solidarietà in caso di aggressione, come stabilito nel ben noto articolo 5 del Trattato, garanzia che non deve essere annacquata da quelle che, a loro avviso, sono illusioni circa le reali intenzioni dell'ingombrante vicino.
Proprio in base a queste considerazioni, nel recente passato a Bruxelles si è ampiamente dibattuto sull'opportunità di cambiare radicalmente lo scenario esercitativo descritto all'inizio, e alla fine si è presa la decisione di costruire un nuovo scenario, basato sul Baltico e sulla Scandinavia, di tipo classico, in modo da poter creare le condizioni per un'esercitazione di reazione ad un'aggressione convenzionale ed un impiego delle forze secondo schemi tradizionali: invasione, contenimento, ripristino. (...) 

Perché se è vero che qualcuno ne trae rassicurazioni circa la concreta solidarietà dell'Alleanza, pronta ad intervenire per la difesa del proprio territorio, all'esterno si può dare la sensazione che per la NATO la contrapposizione Est-Ovest sia ancora il punto focale delle proprie attività, con ciò alimentando una permanente atmosfera di sospetto.

Tutto ciò non agevola un franco confronto e contribuisce a vanificare gli sforzi di chi vede, in prospettiva, in una aperta cooperazione con Mosca una concreta possibilità di dare vita ad una governance globale efficace, in grado di attenuare le turbolenze che travagliano una parte importante del mondo. Ma la voce del Nord è molto forte, molto ascoltata a Washington, e per contrastarla, valorizzando gli interessi vitali connessi con la situazione del Mediterraneo, serve un'azione autorevole, continua, sottolineata fino alla noia da parte dei Paesi che vi insistono: in primis il nostro.