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martedì 16 luglio 2019

Chi è Ursula von der Leyen (ISPIOnLine)

"(...)"Il mio obiettivo sono gli Stati Uniti d’Europa” ha dichiarato Von der Leyen in un’intervista del 2011, citando come esempi Stati federali come la Svizzera, gli Stati Uniti o la Germania. “Immagino l’Europa dei miei figli e nipoti come un’unione che non sia debole e in preda agli interessi nazionali”. Coerente con tale visione di una UE forte e integrata, Von der Leyen nel suo discorso di candidatura al Parlamento europeo ha proposto varie riforme ambiziose: ha proposto un “Green Deal” per l’Unione europea, ha rinnovato l’appello a concludere l’integrazione del mercato dei capitali e ha promesso di lavorare per l’introduzione di un salario minimo e un programma europeo di lotta alla disoccupazione; inoltre, la candidata si è detta a favore di una riforma del regolamento di Dublino e più in generale della governance europea nel campo dell’immigrazione, così come di un nuovo meccanismo per la salvaguardia dello stato di diritto nell’UE e della costruzione di una capacità militare congiunta tra gli Stati membri."

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/chi-e-ursula-von-der-leyen-23507

mercoledì 12 giugno 2019

Salario minimo europeo? La proposta di Merkel

"Nel corso di una conferenza dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) a Ginevra, Angela Merkel ha invitato l’Unione Europea a studiare un modo per garantire che tutti i paesi abbiano un salario minimo “comparabile”, sostenendo che dovrebbero esistere condizioni di lavoro uguali in tutto il blocco. Secondo Merkel, mentre la Germania e altri membri dell’UE hanno già un salario minimo nazionale, è necessario esaminare “come possiamo avere retribuzioni minime comparabili”, prendendo in considerazione lo standard di vita in luoghi diversi. La Cancelliera, il cui governo ha approvato misure volte a colmare il divario retributivo di genere, si è anche lamentata del fatto che molte aziende mancano ancora di alte dirigenti femminili. “Persino nei paesi industrializzati, l’uguaglianza tra donne e uomini nell’economia lascia molto a desiderare”, ha affermato.

Non è la prima volta che la Cancelliera si pone in prima linea sui temi dell’equità del salario. In particolare, nel 2014, Angela Merkel riuscì, per la prima volta, a imporre un salario minimo comune a tutte le categorie per i lavoratori tedeschi che, fino a quel momento, ne erano stati sprovvisti. A quell’epoca, Angela Merkel andò contro il volere del suo stesso partito, i conservatori della CDU, e in accordo con i Socialisti di SPD avviò un dialogo con le parti sociali per fare sì che finisse il regime retributivo in vigore fino a quel momento. Pose fine al sistema per cui ogni categoria aveva un suo contratto e una sua retribuzione (simile a quello in vigore in Italia), e ne fece partire un altro con una retribuzione minima per tutti di  8,50 euro l’ora (oggi è salito a 9,19 euro e dal 2020 sarà di 9,35 l’ora).(...)"

https://larep.it/2R96ay5

mercoledì 29 agosto 2018

Europa Terra Di Pace

(Con riferimento alle polemiche di queste ore)


Se proprio dovessimo schierarci, mi verrebbe da dire "con Merkel e con la Germania"; ma sarebbe meglio dire con l'Europa come economia sociale di mercato. 

No ai nazionalismi, ma no anche ai leaderismi che alla fine aprono anche involontariamente la strada ai populismi.

Europa terrà di libertà e solidarietà, non di sfide fra stati e leader politici.

Europa terra di pace.

Francesco Maria Mariotti

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vd. anche i post riguardanti in modo più o meno diretto l'economia sociale di mercato e in particolare quello su Ludwig Erhard e l'Economia Sociale di Mercato

mercoledì 16 marzo 2016

Dalla guerra all'Isis alle fusioni delle Borse (Francoforte e Londra), passando per il voto tedesco

Segnalo alcuni articoli che possono essere utili per riflettere sul presente e sul futuro. Verrebbe da dire che la notizia più importante è forse l'ultima (anche se rischia si passare un po' inosservata), quasi in controtendenza rispetto alla possibile "Brexit". 

Buona lettura

Francesco Maria

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Stiamo battendo l'ISIS?

A quasi due anni dalla sua proclamazione il Califfato in Siria e Iraq sembra finalmente costretto al declino e, anche se non è ancora possibile prevedere quando, alla sconfitta. Dopo aver retto per mesi all'offensiva congiunta della coalizione guidata dagli Usa, dell’esercito iracheno e delle milizie sciite, dei curdi siriani e iracheni, dell’esercito lealista di Assad (supportato da corpi scelti iraniani e dall’Hezbollah libanese) e della Russia, lo Stato islamico sembra ora avviato verso un inarrestabile sfaldamento. 
I territori sotto il suo controllo - già mutilati l’anno scorso dall'avanzata dei curdi siriani nel nord del Paese, dei curdi iracheni nell'area circostante Mosul e dell’esercito iracheno a Ramadi, Tikrit e nelle aree limitrofe (v. cartina 1) – sono ora insediati da offensive, cunei e teste di ponte nemiche in quasi tutti i settori strategicamente più importanti.(...)

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Inizia la spartizione della Siria?

Le autorità curde del Rojava, il Kurdistan siriano, hanno annunciato il passaggio a “entità federale” della nuova Siria dei tre cantoni sotto il loro controllo. Il passaggio avverrà su decisione di una assemblea che riunirà le diverse rappresentanze politiche ed etniche della regione, in particolare curdi e arabi. La nascita della prima entità federale può essere il preludio di una nuova Siria, divisa fra curdi, alawiti e sunniti. (...)

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Intervista a Mario Monti su voto tedesco e Europa

(...) Sta dicendo che il solco fra Europa del Nord e del Sud si potrebbe allargare ancora, è così?  
«Le faccio un esempio: la posizione dell’Austria sull'immigrazione è pericolosissima, e per fortuna è avversata da Germania e Italia insieme. Ma di fronte a evoluzioni pericolose, come un ulteriore rafforzamento dell’AfD, nell'Europa centro-settentrionale si potrebbe far largo l’idea di considerare l’Europa del Sud come una “quasi Europa” più che come parte integrante dell’Europa vera. Dobbiamo essere attenti a restare in ogni istante, con le parole e con i fatti, in una posizione di leadership credibile e rispettata. A non dare il minimo alibi a chi ha pregiudizi verso di noi».  
 Lei preferirebbe un asse Italia-Germania piuttosto che Italia-Francia. Non è così?  
«Non sono mai stato un sostenitore degli assi a 360 gradi. L’Italia, che dalla primavera 2013 è l’unico Paese dell’Europa del Sud (inclusa la Francia) a non essere sotto procedura per deficit eccessivo, ha tutto l’interesse a stare al fianco della Germania nell'esortare la Francia a una maggior disciplina di bilancio e alle riforme. Allo stesso tempo deve spingere la Germania ad avere una visione più ampia della sua politica economica, riducendo l’enorme surplus commerciale».

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La nuova destra tedesca

(...) Eppure, secondo l'AfD i migranti in arrivo sarebbero troppi per quelle che sono le capacità tedesche di medio-lungo termine, sia in termini finanziari, sia in termini di tenuta sociale: da un lato l'accoglienza costa e rischia di determinare un ridimensionamento del welfare state per i cittadini tedeschi, dall'altro la sospensione temporanea del sistema di Dublino impedisce un'identificazione dei migranti al di fuori dal territorio tedesco.
Questi messaggi, semplici ed efficaci, non sono condivisi da minoranze violente e ai margini della società. L'elettorato dell'AfD non corrisponde a quello del partito nazionaldemocratico (NPD). Se così fosse, i numeri dell'Alternative sarebbero probabilmente molto più contenuti. Al contrario, come dimostrano i dati sui flussi diramati dalla tv pubblica tedesca, l'AfD è un partito populista che ha tutte le carte in regola per diventare popolare. A sostenerla ci sono tedeschi di estrazione borghese e liberale, ex elettori di CDU/CSU ed FDP, ma anche cittadini che, ad Est, hanno sempre votato a sinistra. Si tratta in buona sostanza di conservatori che temono quello che l'ex-Presidente del Senato, Marcello Pera, ideatore nel 2006 del manifesto “Per l'Occidente”, avrebbe chiamato il “meticciato culturale” prodotto dall'immigrazione, in particolar modo di matrice musulmana.
In questo senso, l'AfD è l'ennesimo prodotto della German Angst, la paura tedesca per l'ignoto e per ciò che non può essere adeguatamente programmato o controllato. Ma l'AfD è anche l'unico partito in grado di intercettare un diffuso malcontento, quello che in Germania si usa chiamare Politikverdrossenheit, nei confronti dell'establishment, in particolar modo verso la classe politica dei due grandi partiti popolari al governo, sentimento niente affatto circoscritto alla realtà italiana, bensì comune a tutto il mondo occidentale. In Renania-Palatinato il 62%, e in Sassonia-Anhalt il 64% degli elettori dell'AfD hanno scelto l'Alternative non per convinzione, ma per delusione nei confronti dei partiti tradizionali, in Baden-Württemberg addirittura il 70%. Fino al 2012-2013 erano i Piraten la forza chiamata a colmare parzialmente questo vuoto (...)

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Accordo fra la Borsa di Francoforte e la Borsa di Londra

È cosa fatta l’accordo fra la Borsa di Francoforte e la Borsa di Londra per una fusione quasi alla pari. Gli attuali azionisti del London Stock Exchange, riporta Bloomberg, avranno circa il 45,6% del nuovo gruppo mentre quelli di Deutsche Borse circa il 54,4%. Borsa Italiana rientra o nell'operazione in quanto parte del gruppo Lseg. La nuova società manterrà le sue sedi a Londra e Francoforte. I due soggetti rimarranno soggetti alle imposte dei rispettivi Paesi di costituzione. Le sinergie di costo sono previste in 450 milioni di euro per anno, e saranno completate in tre anni. (...)

giovedì 29 maggio 2014

La Golden Rule dei sogni (da Phastidio.net)

Pare che il premier Matteo Renzi proverà nuovamente, in sede europea, a chiedere l’esclusione degli investimenti pubblici dal computo del rapporto deficit-Pil. Si tratta di una antica aspirazione dei politici italiani, sinora sistematicamente frustrata perché più che altro rimasta nel libro dei sogni, essendo stata sempre ignorata a livello comunutario. Cambierà qualcosa, oggi?
L’idea di Renzi sarebbe quella di escludere dal calcolo gli investimenti pubblici, inclusi quelli per scuola e ricerca. Inoltre, il premier italiano vorrebbe escludere dal calcolo del deficit-Pil anche il cofinanziamento nazionale ai fondi strutturali europei. Questi ultimi si svolgono in regime di matching funds, cioè per ogni euro erogato dalla Ue vi è un euro di spesa pubblica da parte del paese destinatario. All’Italia arriveranno, tra il 2014 ed il 2020, fondi comunitari pari a 43 miliardi di euro, ed altrettanti dovranno essere messi dal nostro governo. Metterli a deficit potrebbe dare un aiutino, ma solo se tali fondi avranno impatto elevato in termini di efficacia di sistema sulla crescita.
Il problema di queste iniziative politiche è sempre quello: la definizione di ciò che è “investimento”, ed i relativi margini per giochetti contabili nazionali. L’occasione fa il governo ladro (letteralmente), e ci vuole davvero poco per camuffare spesa corrente in spesa per investimenti. Quindi, ammesso e non concesso che il paese sia in grado di spendere in modo efficace ed efficiente i fondi comunitari (la vera rivoluzione di cui avremmo bisogno), servirebbe comunque una supervisione molto stretta da parte della Ue, ad evitare abusi e frodi contabili. Per ottenere ciò si potrebbe pensare quindi a mettere in campo lo strumento degli accordi di partnership bilaterale, già vagheggiato dalla Merkel.
Solo che la declinazione tedesca di questi accordi era quella di una camicia di forza e di una sorta di “nuovo memorandum”, per niente light, per paesi che non sono in assistenza della Troika, mentre Renzi non si spinge a dettagliare le modalità di controllo ma vuole solo ottenere “flessibilità contro riforme”. (...)

mercoledì 19 febbraio 2014

Internet Europeo? (da laStampa)

Come già accennato, infatti, per motivi che sono quasi sempre banalmente economici - ovvero, di minimizzazione dei costi - il traffico Internet tra due destinazioni europee passa non infrequentemente per l’estero, e in particolare passa per gli Stati Uniti che, anche per aver inventato e sviluppato Internet, hanno una infrastruttura di trasmissione dati molto competitiva. Tenere il più possibile in Europa i flussi dati intra-europei è un obiettivo ampiamente condivisibile. Paesi come Usa, Cina e Russia sono probabilmente da sempre attenti alle traiettorie fisiche dei propri dati web, ed è un bene che anche l’Europa si ponga finalmente il problema. L’effettiva implementazione, però, non sarà semplice. Da una parte, infatti, bisognerà mettere da parte il dogma che la mano invisibile del mercato sia la risposta, sempre e comunque, a qualsiasi problema. Dall’altra, bisognerà accuratamente evitare di «balcanizzare» la Rete, ovvero, di spezzare l’attuale Rete globale in sotto-reti nazionali o macro-regionali. A mio avviso è possibile farlo adottando un appropriato mix di «moral suasion», incentivi e regole, ma, ripeto, non sarà semplice: occorrerà molta accortezza, anche tecnica, e un acuto senso per le possibili conseguenze inattese di scelte in apparenza innocue.

martedì 17 dicembre 2013

L’effetto farfalla inquieta Draghi (da ilFoglio.it)

La partenza di Jörg Asmussen dalla Banca centrale europea è “un’enorme perdita per il Consiglio esecutivo e per me stesso personalmente. Andavamo molto, molto, molto d’accordo”. Mario Draghi non poteva essere più esplicito, ieri, davanti al Parlamento europeo, sulla decisione di Asmussen di abbandonare Francoforte per tornare a Berlino come sottosegretario al Lavoro in quota socialdemocratici nel governo Merkel III. C’è il pericolo di vedersi piombare nel board della Bce un super-falco tedesco, come l’attuale vicepresidente della Bundesbank Sabine Lautenschläger, favorita della coppia Schäuble-Weidmann per succedere a Asmussen. C’è il rischio di indebolire la posizione europeista della Bce sull’Unione bancaria, nel momento in cui i ministri delle Finanze negoziano gli ultimi dettagli del Meccanismo unico di risoluzione delle banche in crisi. Soprattutto, con il trasloco di Asmussen, Draghi perde un alleato formidabile di fronte all’opinione pubblica tedesca e un canale di comunicazione permanente e influente con Angela Merkel. “I contatti di Asmussen nel governo tedesco mancheranno sicuramente” alla Bce, ha spiegato l’economista di Ing Carsten Brzeski a Bloomberg: “Agiva come contrappeso, difendendo in modo convinto la linea della Bce”.(...)

A differenza di Weidmann, Asmussen non può essere classificato come un falco. Semmai rientra nella categoria sempre più rara di europeista convinto, pronto a utilizzare la creatività pur di preservare la zona euro nel suo insieme. Dopo aver difeso la Long Term Refinancing Operation (l’iniezione di liquidità da mille miliardi del dicembre 2011), Asmussen ha votato a favore dell’Outright Monetary Transactions (il cosiddetto “scudo anti spread” annunciato nel settembre dello scorso anno) e di due precedenti tagli dei tassi. Secondo i ben informati, senza i pranzi del lunedì a Berlino tra Asmussen e la cancelliera, sarebbe stato impossibile forgiare il patto tra Merkel e Draghi che nell’estate dello scorso anno ha permesso di salvare la zona euro con lo scudo anti spread. Non è un caso se era stato Asmussen a difendere davanti alla Corte costituzionale tedesca l’Omt dagli attacchi politico-giuridici-monetari di Weidmann.(...)

domenica 1 dicembre 2013

Rischio Ucraina: L'Europa Batta Un Colpo

Ci sono momenti in cui le comprensibili attenzioni diplomatiche devono far posto a posizioni nette, e in questo senso l'Unione Europea dovrebbe dare segno di "accorgersi" di quanto sta succedendo in Ucraina.

Sia chiaro: come in tutte le contrapposizioni di questo tipo, è facile che all'interno delle manifestazioni filo-UE  non tutti i gruppi di attivisti siano presentabili; e può darsi che sia giusto tentare una mediazione. 

Epperò c'è il rischio che a furia di troppa diplomazia, l'Unione europea si incastri nelle sue paure e appaia troppo prudente.

La sfida ucraina forse è da prendere in altro modo, perché quando i paesi della nostra Comunità riusciranno a dire qualcosa di univoco e forte sulla politica, oltre che sull'economia, anche buona parte della percezione della crisi potrebbe essere sconfitta. 

Il mondo deve sapere che Europa non significa solo "ordine economico", ma soprattutto libertà. Ed è per quella libertà - di pensiero, di azione, di fede - che si tenta di fare "ordine" nell'economia. 

In un momento in cui gli USA forse stanno diventando troppo timidi, anche senza l'uso delle armi si può mostrare che esistono alternative ai soffocanti "liberi mercati" russo e cinese.

Speriamo di non perdere l'occasione.

FMM

Il presidente ucraino, Viktor Ianukovich, ha detto che farà tutto il possibile per avvicinare il Paese all’Unione europea. Ma la protesta non si ferma. A Kiev e in altre città dell’Ucraina migliaia di persone stanno protestando da dieci giorni contro la decisione del governo di congelare la firma di un accordo di associazione con l’Ue. E oggi almeno 20 mila sono scesi in piazza a Kiev: manifestazioni e scontri con la polizia davanti al palazzo dell’amministrazione presidenziale ucraina: lo riferisce la tv pubblica ucraina, citata da Itar-Tass. Uditi anche colpi d’arma da fuoco dalla vicina via Bankovskaya, l’area è avvolta dal fumo dei lacrimogeni. Secondo la Reuters, i manifestanti pro Ue hanno usato un trattore per sfondare le linee di polizia. Sono intervenuti i Berkut, le teste di cuoio, per sgomberare le migliaia di manifestanti che presidiavano via Bankovskaya, dove si trova la sede presidenziale: cariche e manganellate per tutti, compresi alcuni giornalisti, ai quali sono state distrutte le telecamere. (...)


Più di 100.000 manifestanti ucraini favorevoli all’Unione europea in piazza a Kiev, sfidando il divieto del governo che ha proibito i cortei in centro. Gli attivisti del partito nazionalista di opposizione hanno occupato il municipio di Kiev e contemporaneamente hanno proclamato lo sciopero generale. In mattinata gli attivisti si sono radunati nel parco Taras Shevchenk e poi hanno marciato verso Piazza dell’Indipendenza, dove hanno abbattuto le transenne erette attorno a un albero di Natale per scoraggiare gli assembramenti.



“La firma degli accordi di Vilnius rappresenta per noi quello che la caduta del muro ha rappresentato per la Germania 24 anni fa” ha dichiarato l’ambasciatore ucraino presso l’Unione europea (Ue) Konstantyn Yelisieiev, chiarendo però che l’accordo non intende rappresentare un pericolo per gli interessi commerciali di Mosca.



Questi toni europeistici assunti dalla dirigenza ucraina cominciano però ad attenuarsi e, stando alle dichiarazioni del primo ministro Mychola Azarov: la priorità sarebbe la normalizzazione delle relazioni commerciali con Mosca. Un passo indietro è stato fatto anche dal presidente Viktor Yanukovich che ha citato delle stime per cui l’adeguamento agli standard europei costerebbe all’Ucraina tra i 9 e i 45 miliardi di euro. Ora il paese non può permetterseli.

In un primo momento anche Bruxelles ha tentennato, lasciando trasparire la disponibilità ad aspettare il 2014, quando Yanukovich sarà alle prese con le imminenti elezioni presidenziali.

Al contrario Varsavia, è rimasta il grande sponsor della svolta europea di Kiev, invitando il presidente ucraino a firmare subito l’accordo perché se da un lato rischia di perdere il treno degli investimenti provenienti dalla Russia, dall’altro può salire al volo su quello europeo.

Tuttavia recentemente, l’Ue ha fatto capire di puntare a concludere l’atteso accordo di associazione. Lo dimostrano le dichiarazioni della cancelliera tedesca Angela Merkel che ha ventilato la prospettiva di “concrete opportunità e reale solidarietà” per il governo di Kiev. A farle eco quelle del ministro Emma Bonino che ha ribadito la disponibilità dell’Unione perfino alla “convocazione di un Consiglio affari esteri alla vigilia del vertice di Vilnius”. 




giovedì 28 novembre 2013

Il "Contratto" Tedesco

​La riluttanza dei socialdemocratici dopo l'esperienza di Grande Coalizione del 2005-2009 dalla quale uscirono con il peggior risultato elettorale della loro storia è stata superata grazie a generose concessioni su lavoro e pensioni e una parziale retromarcia rispetto alla flessibilità contrattuale introdotta negli anni 90 dalle riforme Hartz. Il programma di coalizione prevede un aumento della spesa di 23 miliardi di euro, la metà delle inziali richieste della Spd che ha dovuto anche rinunciare a un aumento delle aliqtuote fiscali per i redditi più alti. Le due linee rosse della cancelleria sono infatti state "nessun incremento delle tasse né del debito".

di Roberta Miraglia - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/KJp0F

mercoledì 20 novembre 2013

Salario minimo, contratti e democrazia (da Phastidio.net)

(...) La Spd ha due punti programmatici che paiono non negoziabili. Un salario minimo su base nazionale, fissato a 8,50 euro l’ora, e la doppia cittadinanza per le persone di origine straniera ma nate in Germania. Tra le altre richieste socialdemocratiche figurano un aumento della spesa per investimenti pubblici infrastrutturali, le quote rosa nei consigli di amministrazione ed un aumento delle pensioni.

Riguardo il salario minimo, il timore degli osservatori è che il livello possa essere tale da escludere dal mercato del lavoro un elevato numero di soggetti non qualificati (unskilled). Alcune stime fissano la quota di lavoratori che percepisce meno di 8,50 euro orari al 15% all’Ovest ed al 25% nei Laender dell’Est. Secondo l’Economist Intelligence Unit, a 8,50 euro orari il salario minimo tedesco sarebbe il sesto più alto in Unione europea (dove è adottato da 21 paesi su 28). Tuttavia, rapportandolo al salario mediano a tempo pieno, una grandezza rappresentativa del “salario medio di mercato”, la Germania salirebbe al secondo posto, dietro solo allaFrancia. Il nuovo salario minimo tedesco risulterebbe, secondo un istituto di ricerca legato ai sindacati, pari al 58% della retribuzione mediana a tempo pieno nell’Ovest, e a ben il 70% di quella dell’Est del paese.
Preso singolarmente, questo livello di salario minimo dovrebbe essere gestibile dall’economia tedesca, ma non si deve dimenticare che la sua introduzione segnerebbe anche il forte ridimensionamento del ricorso a impieghi temporanei e di breve termine, che sinora hanno rappresentato una importante fonte di flessibilità per le imprese tedesche. Né si deve dimenticare che la fissazione di un salario minimo rappresenta, per i partiti di sinistra, un’arma per rispondere al processo di desindacalizzazione in corso da molti anni.(...)

La Germania Visionaria (da ilSole24Ore.it)

(...) Tre false illusioni sono responsabili della crescente avversione dell’opinione pubblica tedesca nei confronti dell’integrazione europea - e della mancata comprensione da parte di molti tedeschi del fatto che sia la Germania ad avere maggiormente da perdere dal crollo dell’euro. (...)

Certo, i tedeschi non hanno del tutto torto; la crisi nella periferia dell’Europa indebolisce le prospettive di crescita economica della Germania. Ma si dovrebbero ricordare che, solo un decennio fa, era la Germania la malata d’Europa, e che la forte crescita ed il dinamismo di altre aree europee hanno contribuito sostanzialmente alla sua ripresa. E devono riconoscere che gli europei sono tutti sulla stessa barca; ciò che è bene per l’Europa è un bene per la Germania, e viceversa.(...)

In questo contesto, il terzo governo della Cancelliera Angela Merkel, una volta costituito, deve liberare il paese delle illusioni che gli impediscono di giocare un ruolo dinamico e costruttivo nel garantire che l’Europa funzioni come un’unione. Tale impegno richiede, soprattutto, il ripristino della fiducia tra i paesi europei. Sebbene ciò sarà senza dubbio difficile da raggiungere, è la sola vera opzione per la Germania - e una speranza reale per l’Europa.

martedì 19 novembre 2013

Spd, Merkel, Europa (da laStampa.it)

(...) Con quali argomenti si può criticare questo atteggiamento, senza disconoscerne gli aspetti di verità? Con un solo argomento: ricordando che l’Europa è stata costruita e funziona sulla interdipendenza tra i membri che non può essere automaticamente determinata dai mercati o affidata a norme consensualmente stabilite in congiunture molto diverse, norme che ora si rivelano inadeguate allo scopo. Non mi risulta che gli uffici studi della Spd abbiano prodotto o quanto meno dato rilevanza pubblica e pubblicistica ad analisi che sviluppano questa tesi. (Salvo qualche generica evocazione di un nuovo piano Marshall non meglio precisato).

In breve non mi pare che i socialdemocratici tedeschi posseggano una solida visione politica ed economica europea, che sia non dico alternativa ma significativamente autonoma rispetto a quella merkeliana. Una visione che tenga conto anche delle considerazioni fatte da analisti e commentatori internazionali, senza alcun pregiudizio anti- tedesco, che spiegano come e perché la situazione di interdipendenza oggettiva tra le economie europee ha subito in questi ultimi anni distorsioni che hanno favorito l’economia tedesca a svantaggio di altre. No, non è questione di «arroganza» o «egemonia» teutonica. Si tratta di prendere sul serio il fatto che l’interdipendenza delle economie e dei loro meccanismi, su cui è stata costruita l’Europa, esige oggi di essere governata in modo diverso. Non senza o addirittura contro i tedeschi, ma insieme a loro.(...)

Perché Obama ha scelto questo momento per bacchettare Berlino (da ilFoglio.it)

(...) Nella Ue, appare chiaro chi sia il beneficiario principale del crescente attivismo della Commissione in Cina: la Germania. La sua strategia è da tempo protesa a rafforzare i legami con le economie più dinamiche anche per compensare, ed eventualmente sganciarsi, dalla dipendenza commerciale con l’Eurozona. Nella misura in cui la Germania riducesse il peso delle sue esportazioni nei mercati dell’Eurozona, oggi pari all’incirca al 40 per cento delle sue esportazioni complessive, rafforzerebbe la sua capacità di imporre scelte e misure alle altre economie dell’area euro, senza doverne subire interamente i costi, in termini di minori esportazioni. Allo stesso tempo, la possibilità – da qualche anno – di finanziarsi a costi particolarmente bassi rispetto ai competitori nel resto dell’Eurozona, consente alle imprese tedesche di investire nell’ampliamento della propria capacità produttiva per far fronte alla domanda proveniente da nuovi mercati. In tal modo, un costo del capitale particolarmente basso e le accresciute economie di scala che derivano dall’accesso a tali mercati si combinano e producono un ulteriore rafforzamento della capacità competitiva del settore manifatturiero tedesco.

Mentre la Cina offre più di una sponda alle politiche neomercantiliste della Germania, le politiche commerciali tedesche, celate ora sotto il manto comunitario della Commissione, vengono seguite con maggiore attenzione a Washington da quando sono stati avviati i negoziati per l’area transatlantica di libero scambio. La preoccupazione della Casa Bianca è di concludere un accordo con l’Europa in cui le sue economie meridionali hanno perso vitalità in seguito all’interazione tra bassa competitività e politiche di compressione della domanda; mentre quelle settentrionali, assai più dinamiche, presentano sistematici avanzi di conto corrente che le rendono strutturalmente esportatrici nette.

Per l’anno in corso, il Fondo monetario internazionale prevede che la Germania conseguirà un avanzo corrente che, in rapporto al pil, sarà del 6 per cento, più del doppio del valore previsto per la Cina. Non si tratta di un valore isolato ma rappresenta una tendenza di fondo che si è rafforzata dopo l’introduzione della moneta unica. Di qui la comprensibile preoccupazione a Pennsylvania Avenue che, qualora si concludesse un accordo di grande respiro con la Ue, come nelle reali intenzioni del presidente, si finirebbe col facilitare l’accesso all’economia americana di un’economia mercantilista senza apprezzabili contropartite. Del resto, il presidente Obama aveva apertamente esplicitato tale preoccupazione nel colloquio bilaterale che aveva avuto con la cancelliera Angela Merkel all’indomani dell’ultimo summit del G8 pochi mesi fa. Da ciò discende la decisione di intensificare la pressione decidendo di sollevare la questione nel rapporto altamente politicizzato che il Tesoro americano redige periodicamente per il Congresso. In tale rapporto si è messa per la prima volta in rilievo la nota propensione strutturale dell’economia tedesca a essere esportatrice netta, profittando della moneta comune il cui tasso di cambio, in quanto media ponderata fra le economie dei paesi membri, non si muove al punto da neutralizzare gli squilibri nelle partite correnti di una sua economia, per quanto rilevante. Per questo a Washington esiste anche la tentazione di elaborare un piano B, cioè una versione minimalista dell’accordo, tanto per salvare la faccia qualora Berlino non si mostrasse ricettiva alle istanze dell’alleato. Se così fosse, il piano B avrebbe l’indesiderato effetto di spingere Obama a investire tutto il suo capitale politico nell’area transpacifica, proprio ciò che molti europei preferirebbero contenere.

lunedì 3 dicembre 2012

La Grecia Si Sta Salvando?

Segnali di distensione sulla crisi di Atene che tiene banco da tre anni. La Grecia ha lanciato un piano di riacquisto volontario di titoli di stato da 10 miliardi di euro, a prezzo molto scontato. Si tratta di una delle condizioni imposte al Paese per ricevere i fondi dall'Unione europea e dal Fmi. L'agenzia nazionale del debito ha fatto sapere che i detentori di titoli dovranno presentare le loro obbligazioni entro venerdì per ricevere in cambio un pagamento tra il 32,2 e il 40,1% del valore nominale. Gli investitori devono dichiarare il proprio interesse a vendere tra il 7 e il 17 dicembre. 


(...)L'accordo raggiunto in questi giorni è stato quello di un ammorbidimento del processo di controllo del debito pubblico greco.

La Grecia e il resto d'Europa avevano l'obiettivo di tenere Atene nell'euro per evitare sia una crisi maggiore in Grecia sia un possibile effetto domino negli altri Stati europei. Il costo del salvataggio della Grecia è elevato, ma è una goccia in confronto a quanto costerebbe una crisi che, alla fine, dopo la Spagna, lambisse prima l'Italia e poi addirittura la Francia. La conclusione del ragionamento era che, se i politici e i banchieri centrali fossero stati “avversi al rischio” (vale a dire: meglio una grossa perdita oggi che una possibile enorme perdita domani), avrebbero salvato la Grecia. E così è stato.

Il debito pubblico greco quest'anno è stato ristrutturato due volte. La prima volta è stato ristrutturato il debito detenuto dai privati, la seconda - ed è la novità di questi giorni - quello detenuto dalle autorità (Banca centrale europea, Fondo salva-Stati). La ristrutturazione per le autorità in sostanza consiste: 1) nell'allungare le scadenze del debito, ossia nel farlo scadere soprattutto quando la Grecia starà meglio; 2) nel ridurre il costo del debito per il Tesoro, ossia nel ridurre le cedole correnti e nel “regalare” al Tesoro greco le cedole accumulate. Insieme a queste misure si allungano i tempi richiesti per il rientro dei conti deficitari dello Stato. Un elevato obiettivo di surplus di bilancio è rimandato, in modo che la “strizzatura” dell'economia sia meno forte. I particolari sono qui. (...)



lunedì 29 ottobre 2012

La prossima missione di Draghi (Stefano Lepri, laStampa)

Toccando ferro, perché altri - specie i politici - possono ancora commettere errori, Mario Draghi ha salvato l’euro. Di questo potrà farsi merito in silenzio giovedì, quando festeggerà il suo primo anno alla guida della Banca centrale europea.

(...) Nell’inverno il sostegno alle banche con prestiti triennali, l’estate scorsa l’impegno ad appoggiare gli Stati in difficoltà; anzi i dodici mesi Draghi li ha già festeggiati ieri con un’altra iniziativa. Il messaggio dell’intervista a Der Spiegel è che solo con più Europa, non con una difesa retrograda dei poteri degli Stati nazionali, le democrazie dell’euro possono riconquistare sovranità sul non democratico potere dei mercati finanziari. 

Resteranno sorpresi quelli che dall’estrema sinistra o dall’estrema destra accusano i dirigenti della Bce, «non eletti dal popolo», di voler imporre una crudele e iniqua sudditanza ai mercati. Tutto il contrario. Le parole di Draghi richiamano il caloroso manifesto europeista pubblicato qualche settimana fa da due politici molto diversi per collocazione, il liberale belga Guy Verhofstadt e il Verde Daniel Cohn-Bendit, ex leader del ’68 francese. (...)

Pur nel rispetto dei confini legali tra tecnica e politica, le responsabilità si intrecciano. Già da subito altre prove attendono la Bce, specie per compiere il grande passo avanti su cui al contrario Berlino frena, la cosiddetta unione bancaria. Dal 2014 non dovrebbe più accadere che organismi nazionali vietino a una banca di spostare i fondi in eccesso che detiene in un Paese dell’euro verso un altro Paese dove le imprese hanno fame di crediti (è accaduto); né che in uno Stato si chiuda un occhio sui cattivi affari di certe banche per non turbare equilibri di potere interni.  

Quando, ingrandita e potenziata, la Bce vigilerà sulle banche, dovrà essere ancor più capace di opporsi a pressioni politiche. Perché ci riesca è essenziale che conservi e rafforzi la fiducia della collettività. Una delle prossime mosse di Draghi potrebbe essere di rendere più trasparenti i dibattiti che si svolgono all’interno. 

venerdì 19 ottobre 2012

L'autorità che serve all'Europa (Franco Bruni, laStampa)

(...) La vigilanza accentrata delle banche è urgente anche per permettere al fondo salva-Stati di intervenire direttamente e autorevolmente nella ricapitalizzazione delle banche spagnole: e la Germania non può disconoscere che ciò è essenziale anche per la stabilità della finanza tedesca.  

Quanto all’integrazione delle politiche di bilancio è noto che le esitazioni tedesche derivano soprattutto dalla paura di dover pagare per l’indisciplina dei Paesi spendaccioni. D’altra parte integrare le politiche significa proprio rendere più efficace la disciplina delle finanze pubbliche. Si è già fatto molto: il nuovo Patto di Stabilità, le procedure di consultazione del «semestre europeo», l’obbligo di pareggio, ancorché flessibile e «intelligente», introdotto nelle leggi costituzionali, dovrebbero evitare per tempo che i bilanci nazionali rimangano su strade insostenibili. Si lavori per far funzionare davvero tutto ciò. Si può anche andare oltre. Merkel ha detto al Bundestag che ci vuole un commissario unico dell’euro in grado di invalidare i bilanci nazionali non in linea con gli obiettivi europei.  

L’idea non è del tutto discosta dalla proposta di bilancio integrato fatta in giugno da Van Rompuy. La quale va però adottata senza stravolgerne lo spirito, senza trasformare una procedura di cooperazione disciplinata in un provvedimento di polizia, con il sapore punitivo che piacerebbe a parte dell’elettorato tedesco. Anche perché le autorità europee non hanno dimostrato gran perspicacia negli scorsi anni: prima sono state disattente e cedevoli, anche nei confronti del bilancio tedesco; poi hanno disegnato percorsi di aggiustamento irrealistico e controproducente, come nel caso greco e portoghese dove l’Europa ha già ammesso che per risistemare le cose con riforme ben fatte e politicamente accettabili occorre più tempo.  

Nel testo di Van Rompuy c’è un concetto chiave da non trascurare: la «condivisione delle decisioni sui bilanci» va «commisurata alla condivisione dei rischi». A fronte dell’accentramento del controllo occorre cioè essere disposti alla solidarietà fiscale che è implicita, per ora, nel fondo salva-Stati appena varato ma che deve svilupparsi nel tempo fino a dar luogo a forme più accentuate di indebitamento comune come gli eurobond. (...)


giovedì 23 agosto 2012

Se Berlino torna alla realpolitik (dal Sole24Ore)

Però il dibattito tedesco si sta facendo più articolato. Soprattutto Angela Merkel pare essersi convinta che, per lei e la sua riconferma alla Cancelleria, sarà meglio presentarsi alle elezioni del settembre 2013 con in tasca l'euro piuttosto che senza. Il collasso della moneta unica provocherebbe infatti uno shock dai costi enormi e, soprattutto, dalle conseguenze imprevedibili in Europa e fuori. di Adriana Cerretelli - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/ZKTEm 

venerdì 6 luglio 2012

La Strategia di Draghi (da laVoce.info)


In primavera, con la conferenza stampa che Mario Draghi ha tenuto dopo il consiglio della Bce di aprile a Barcellona, è avvenuto un cambio di rotta della strategia della Banca centrale europea. In quell'occasione Draghi affermò che l’Europa avrebbe dovuto smettere di considerare come orizzonte temporale solo la settimana successiva e iniziare piuttosto a chiedersi dove avrebbe voluto essere tra dieci anni. E come lavorare per arrivarci.
Non è chiaro se la spinta al cambiamento sia venuta da Draghi, che avrebbe convinto Angela Merkel, oppure il contrario. Ma è più probabilmente il risultato di un dialogo tra i due·
Per la Banca centrale europea è stato come dire: abbiamo fatto la nostra parte, abbiamo salvato l’euro con le operazioni straordinarie di rifinanziamento, ma non lo faremo di nuovo, perché non sarà un’iniezione di liquidità a salvare l’Europa. Il concetto è stato ribadito nella conferenza stampa di questa settimana: “Non avrebbe senso rischiare di distruggere la reputazione della Bce se comunque questo non fosse sufficiente a salvare l’euro”. (...)

lunedì 2 luglio 2012

Perché la vincitrice è Angela Merkel (dal Sole24Ore)


Il summit di Bruxelles è stato unanimemente considerato come una vittoria del buon senso europeo sulla protervia e l' ottusità tedesche. In realtà, la Merkel ha concesso qualcosa, ma ha ottenuto molto di più di quanto non appaia. Questa donna sottovalutata, senza pretese intellettuali, che con molto snobismo centinaia di commentatori italiani ritengono un politico insignificante e "senza visione", è la vera vincitrice del summit. di Roberto Perotti - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/vAiQY 

sabato 30 giugno 2012

Il Successo Di Monti, la Strada Ancora Da Percorrere

Per chi ha "tifato" Monti dall'inizio del suo mandato, (e anche prima dell'inizio), le notizie di venerdì mattina sono state l'ottima conferma di una scommessa giusta. Lo spiega bene Mario Calabresi sulla Stampa di oggi: "Ogni passo, ogni frase, ogni decisione di Mario Monti negli ultimi sette mesi ha trovato finalmente il suo senso nella lunga notte del vertice europeo."

Ma è comunque bene non lasciarsi andare a eccessivi entusiasmi: le scelte fatte sul rifinanziamento delle banche - staccando i problemi degli istituti di credito da quello dei debiti degli Stati - e il meccanismo di "controllo" degli "spread" hanno necessità di un'implementazione chiara e ancora da verificare nei fatti.

In ogni caso è fondamentale che sia stato mandato il segnale giusto ai mercati: il progetto europeo non deve farsi condizionare dall'altalena delle valutazioni finanziarie, che sono necessarie ma fallibili, sono uno stimolo positivo il più delle volte, ma a condizione che la struttura politica dell'Europa non venga messa in crisi.

Per questo i passi ancora da fare sono tanti: la tensione mercati - politica rimarrà (è necessaria e positiva, per certi aspetti) e l'Italia non deve illudersi che il percorso di risanamento possa essere "facilitato" (anzi, dobbiamo mostrare ancora più serietà).
Ma l'inizio, come si era percepito nei giorni scorsi, sembra andare nella direzione giusta.
Francesco Maria Mariotti

[segue breve rassegna stampa]