Visualizzazione post con etichetta diritti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta diritti. Mostra tutti i post

sabato 3 agosto 2019

Alcune Riflessioni

Riflessioni su cose successe in questi giorni.


1. Lasciamo le indagini a chi deve fare le indagini.


2. Grave bendare un arrestato e far girare le immagini, ma se - sottolineo se - la cosa è stata limitata a pochi minuti e se non ci sono state ulteriori forme di pressione, forse parlare di "gravissime lesioni dei diritti" o addirittura di "tortura" non appare totalmente congruo, anche se è inevitabile che appaiano timori in questo senso.
2.1. Comunque ottima cosa che l'Arma abbia immediatamente reagito a livello istituzionale per stigmatizzare un comportamento comunque sbagliato. Pessima cosa che il ministro e la forza politica di riferimento abbiano invece sottovalutato apertamente il fatto, e denigrato gli scrupoli garantisti; se da un lato è esagerato forse parlare di tortura, dall'altro è appunto necessario che le istituzioni reagiscano in maniera equilibrata e capace di rassicurare tutti i cittadini.

3. Benvenute tutte le visite dei parlamentari in carcere, nei confronti di chiunque; sarebbe bene che fossero fatte anche più di frequente e non solo nei casi più "eclatanti", con il rischio che appaiano gesti troppo legati a dinamiche politiche contingenti. Sono sicuro che ci sono già parlamentari che operano nel silenzio.
3.1. Tentiamo di parlare con più serenità e rigore delle pene detentive, del modo in cui vengono trattenute le persone anche quando non ancora condannate, e via così dicendo. Tentiamo di farlo tenendo conto dei diritti sacrosanti dei detenuti - in realtà di ognuno di noi -, ma facciamolo sapendo che l'argomento è difficilmente gestibile a livello di opinione pubblica, e per questo va presentato non in modo "spot" e senza soluzioni facili (come amnistie, indulti, etc)

4.Attendiamo esito indagini e processi

5. (a latere) W la prescrizione, che è clausola forse imperfetta, ma che appunto ci tutela anche da una giustizia più che imperfetta e troppo lunga, e che rende evidente anche dal punto di vista simbolico che la nostra giustizia è giustizia umana, non divina.

6. Non amo il giornalismo che sta al seguito dei potenti anche nei momenti quotidiani, credo ci debba essere un momento di "stacco" anche per queste figure (che forse se lo vogliono possono anche trovare luoghi più appartati, per evitare di essere seguiti)
6.1. Sono però inaccettabili le reazioni di ministro e di alcuni uomini al suo seguito (non mi è chiaro se facenti parte delle forze dell'ordine) atte a "bloccare" un giornalista, o a denigrare o addirittura intimidire la stampa.

7. Inaccettabile il linguaggio volgare e razzista in bocca a persone che rappresentano le istituzioni di uno Stato. C'è il gravissimo rischio di legittimare atteggiamenti violenti da parte delle persone, e comunque si crea un clima non sereno e pesante nel Paese. Il "principe" non può provocare disordine, altrimenti viene meno al suo primo dovere, e autodistrugge la sua stessa legittimità.

8. Speriamo di non dover di nuovo vedere "guerra" e "guerriglia" fra noi. Abbiamo già visto momenti terribili in questo paese, è necessario evitare a qualsiasi costo la degenerazione dei rapporti civili e politici.

FMM

mercoledì 12 giugno 2019

Salario minimo europeo? La proposta di Merkel

"Nel corso di una conferenza dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) a Ginevra, Angela Merkel ha invitato l’Unione Europea a studiare un modo per garantire che tutti i paesi abbiano un salario minimo “comparabile”, sostenendo che dovrebbero esistere condizioni di lavoro uguali in tutto il blocco. Secondo Merkel, mentre la Germania e altri membri dell’UE hanno già un salario minimo nazionale, è necessario esaminare “come possiamo avere retribuzioni minime comparabili”, prendendo in considerazione lo standard di vita in luoghi diversi. La Cancelliera, il cui governo ha approvato misure volte a colmare il divario retributivo di genere, si è anche lamentata del fatto che molte aziende mancano ancora di alte dirigenti femminili. “Persino nei paesi industrializzati, l’uguaglianza tra donne e uomini nell’economia lascia molto a desiderare”, ha affermato.

Non è la prima volta che la Cancelliera si pone in prima linea sui temi dell’equità del salario. In particolare, nel 2014, Angela Merkel riuscì, per la prima volta, a imporre un salario minimo comune a tutte le categorie per i lavoratori tedeschi che, fino a quel momento, ne erano stati sprovvisti. A quell’epoca, Angela Merkel andò contro il volere del suo stesso partito, i conservatori della CDU, e in accordo con i Socialisti di SPD avviò un dialogo con le parti sociali per fare sì che finisse il regime retributivo in vigore fino a quel momento. Pose fine al sistema per cui ogni categoria aveva un suo contratto e una sua retribuzione (simile a quello in vigore in Italia), e ne fece partire un altro con una retribuzione minima per tutti di  8,50 euro l’ora (oggi è salito a 9,19 euro e dal 2020 sarà di 9,35 l’ora).(...)"

https://larep.it/2R96ay5

lunedì 10 giugno 2019

Hong Kong contro la legge sull'estradizione (ilPost)

Gli oppositori della legge, tra cui molte organizzazioni per la difesa dei diritti umani, temono che le nuove regole sull’estradizione espongano ancora di più Hong Kong al problematico e illiberale sistema giudiziario cinese, e ridurranno la sua indipendenza. In particolare temono che la legge possa legittimare i rapimenti in città da parte delle autorità cinesi (ci sono stati vari casi negli anni), oppure rendere il governo di Hong Kong più vulnerabile alle richieste di quello di Pechino, anche se dovute a motivi politici. Inoltre un maggior potere della Cina sul sistema giudiziario di Hong Kong potrebbe spingere molte persone a non manifestare le proprie critiche al governo.

https://www.ilpost.it/2019/06/10/proteste-hong-kong-estradizione/

mercoledì 16 marzo 2016

Il bambino non è un oggetto ma un soggetto di diritti (Claudio Magris)

Segnalo un articolo di Claudio Magris; mi sembra utile per riflettere su una questione su cui si è dibattuto molto nei giorni scorsi, con toni a volte eccessivi e con "armi retoriche" spesso discutibili. 
​Buona lettura
Francesco Maria​

​​***

"(...) Diritti e desideri. 

Ogni desiderio, se è forte, chiede, esige di essere appagato, e in questa tensione, qualsiasi sia il desiderio, c’è uno struggimento, una nostalgia dolorosa che sono parte essenziale della nostra persona. Possono tutti essere riconosciuti per legge? Anche l’incesto può essere brutale violenza ma anche passione umana, come ci hanno raccontato tante umanissime storie di vita vissuta e tanta grande letteratura. In Svezia, anni fa, un fratello e una sorella avevano chiesto di sposarsi, cosa che non fu loro concessa e non credo solo per timori eugenetici, che potrebbero comunque venire in vari modi aggirati. Freud — per tali ragioni pure duramente attaccato — ci ha insegnato che con la sublimazione di certi desideri, ad esempio ma non solo quelli edipici, con la loro trasformazione in un’altra forma di amore, ha inizio la civiltà. È una sciagura sublimare troppo, ma lo è anche non sublimare nulla. Si è visto nella famiglia tradizionale un nucleo dell’antropologia civile. La famiglia tradizionale può essere e molte volte è stata anche violenta, soffocante e nemica del libero sviluppo della persona. È ovvio che persone capaci di intelligente e attento amore possano far crescere un bambino meglio di genitori carnali incoscienti e snaturati o anche solo ottusamente incapaci di intelligente amore.

L’amore omosessuale può essere elevato o turpe al pari quello eterosessuale. Basta aver letto Il Grande Sertão di João Guimarães Rosa per sapere e capire che ci si innamora non di un sesso, ma di una persona. Ma gli antichi Greci celebravano l’amore omosessuale proprio per il suo rapporto anche spiritualmente diverso con la generazione, con la radice duale dell’umanità. (...)"


martedì 24 marzo 2015

Costruire Una Base Solida Sulle Unioni Civili (Mara Carfagna)

"(...) E a proposito di pregiudizi ce n’è uno contro questa iniziativa, contro iniziative di questo genere, che viene diffuso ad arte da chi evidentemente impedisce da anni che questo dibattito possa avere uno sbocco legislativo, che viene diffuso ad arte da chi cavalca strumentalmente queste questioni ed è proprio per questo che io voglio immediatamente sgombrare il campo da un equivoco di fondo: qui, oggi, in futuro nelle nostre intenzioni, non c’è nessuna volontà di produrre un attacco alla famiglia naturale fondata sul matrimonio. Non stiamo togliendo qualcosa alla famiglia, per darla alle coppie omosessuali, stiamo parlando di riconoscere diritti, a chi diritti non ne ha. Non stiamo promuovendo un nuovo modello di società , stiamo parlando di riconoscere quei diritti che in altri paesi del mondo , soprattutto in altri paesi europei, sono ampiamente riconosciuti, e che le altre Corti ci invitano a riconoscere senza che questo voglia dire costruire un modello, un’istituzione giuridica alternativa alla famiglia. Quindi che questo sia ben chiaro, e sgombriamo il campo da questo equivoco di fondo che ha ideologizzato ed estremizzato il dibattito in tutti questi anni, e che ci ha impedito di arrivare anche soltanto ad un confronto sereno.

C’è un’altra notizia che ho letto in questi giorni e che mi fa sorridere, se non ci fosse da piangere, per quanto è seria. Perché c’è chi ad esempio sostiene che di fronte all’avanzata dell’Isis, noi abbiamo il dovere di rafforzare la nostra identità e la nostra civiltà. Certo, ovvio, giusto, ma per alcuni rafforzare la nostra identità, significa dire si al matrimonio e no alle unioni omosessuali, senza ricordare che forse per contrastare quel modello che l’Isis propone dobbiamo contrapporci a chi gli omosessuali li butta dalle torri.(...)

Come si fa allora a riconoscere questi diritti fondamentali? Significa ad esempio fornire certezze sulla eredità, significa fornire certezze per quanto riguarda la possibilità di subentrare nel contratto di locazione, significa fornire certezze per quello che riguarda l’assistenza sanitaria, l’assistenza penitenziaria, la pensione di reversibilità, significa fornire certezze per tutto quello che riguarda l’obbligo di assistenza morale e materiale, significa riconoscere diritti a cui corrispondono doveri , responsabilità, il tutto all’interno di una unione omoaffettiva pubblicamente riconosciuta. Questo è il binario all’interno del quale noi abbiamo intenzione di muoverci considerando il nostro, un punto di partenza. Una base x il dialogo che noi non crediamo sia una soluzione minimalista. Quando in ballo ci sono così tante posizioni, così tante sensibilità, bisogna provare a fare un lavoro di sintesi altrimenti succede quello che è successo in questi 15 anni, non si ottiene nulla. Bisogna essere ambiziosi sono d’accordo, ma bisogna ogni tanto provare a costruire una base solida su cui poi provare ad elevare tutto il resto(...)"


martedì 7 ottobre 2014

Diritti Di "Famiglie" Tra Legge e Coscienza: Un Primo Passo Da Fare, Una Riflessione Da Proseguire

Premessa

Comunque la si pensi sulla questione omosessualità, matrimonio omosessuale, genitorialità "allargata" (non solo omosessuale), in Italia c'è libertà di pensiero e di manifestazione, e dunque le Sentinelle In Piedi devono poter manifestare senza problemi. Fare delle contromanifestazioni è naturalmente teoricamente possibile (purché pacifiche), anche se a mio avviso denota più debolezza che non forza dei contromanifestanti; purtroppo però in Italia manifestare e contromanifestare sono stati più il primo passo verso qualcosa di orribile, che non "sana competizione democratica"​; per questo non mi piacciono né le manifestazioni delle Sentinelle (in cui mi pare ci sia un eccesso di preoccupazione per alcuni possibili cambiamenti normativi) né le contromanifestazioni, tanto più se si arriva a estremi poco consoni a un dibattito democratico.

Parte 1: Un Primo Passo Da Fare
Comunque, al di là delle manifestazioni: io credo che a livello politico e giuridico sia necessario legiferare almeno sul riconoscimento delle unioni gay, perché due persone dello stesso sesso che condividano un percorso di vita devono poterlo fare senza impedimenti particolari o ipocrisie: se un uomo è la persona più importante per un altro uomo (o una donna per una donna), deve poter essere riconosciuto come tale in quelle situazioni in cui la presenza del compagno/a è necessaria (in ospedale, in carcere, qualsivoglia altra situazione).

Per questo mi pare che la proposta che fece quasi un paio di anni fa l'avvocato Carlo Rimini, docente alla Statale di Milano, sia ancora attuale e meritevole di considerazione, almeno per cominciare a fare un primo passo non più procrastinabile. Rimini propose infatti (la Stampa del 27/12/2012)  l'approvazione del seguente unico articolo di legge: "Il matrimonio può essere celebrato solo fra persone di sesso diverso. Due persone dello stesso sesso possono contrarre una unione civile. Le condizioni necessarie per contrarre una unione civile sono le medesime indicate dalla legge per il matrimonio. Le persone che hanno celebrato una unione civile hanno gli stessi diritti e i medesimi doveri che derivano dal matrimonio. Alle persone che hanno contratto una unione civile non si applicano le norme relative all'adozione di minorenni".

Con tale approvazione si risolverebbero diversi problemi (pur dovendo precisare - mi pare - come venga "celebrata" l'unione, in termini di "ritualità giuridica"): la proposta ha infatti il merito di segnare un minimo comune denominatore su cui si potrebbe trovare d'accordo anche chi per motivi di fede o filosofici non accetti la piena equiparazione dell'affetto omosessuale rispetto a quello eterosessuale.
Viene però "messo da parte" il problema dell'adozione, ancora troppo divisivo. Su questi temi la riflessione è da proseguire, tentando però di non costruire steccati o costringere le persone a una falsa scelta fra "modernizzatori superlaici" e "omofobi/bigotti".

Io ho svariati dubbi a proposito, e voglio provare a condividerli, perché spero siano uno stimolo alla riflessione, e magari un aiuto a dibattere. Tali dubbi pertengono più al tipo di "retoriche messe in campo" e che a volte capita di dover ascoltare/leggere, e non necessariamente impediscono di valutare positivamente una eventuale deliberazione legislativa, che ha una "ratio" autonoma. 

Parte 2: Una Riflessione da Proseguire
Vediamo se mi riesce di spiegare meglio, andando per punti (naturalmente le opinioni che esprimo sono solo mie, l'eventuale utilizzo di citazioni a supporto non significa coinvolgere gli autori delle citazioni nelle mie convinzioni):

1. quasi a premessa (e un po' mi ripeto): la legge non è una indicazione morale; serve anche a (principalmente a?) regolare rapporti giuridici, spesso "vestendo" di "forma giuridica" rapporti che già si danno nella società (che ha una vita autonoma rispetto allo Stato). Una legge sulle unioni omosessuali ricade in questo ambito, e in questo senso non credo si possano fare obiezioni di altro tipo. Prima ancora che "giusta" o "sbagliata", una legge di questo tipo - lo si diceva poc'anzi - è necessaria per regolare situazioni di fatto già esistenti, tutelare i soggetti più deboli di una coppia, tutelare questi affetti rispetto alle situazioni in cui in qualche modo viene a rilievo la "coppia".

2. è lo stesso per il caso delle adozioni? sì e no, mi pare. Sì, visto che esistono già coppie omosessuali con figli, spesso "ereditati" - diciamo così - da precedenti relazioni. No, se la legge dovesse "aprire" alla possibilità di adozione di figli di altre coppie, abbandonati o simili. Sotto questo aspetto, è comprensibile, mi pare, che si abbia qualche titubanza nell'assimilare la famiglia omosessuale adottiva a una famiglia eterosessuale. E' una titubanza ingiustificata da un punto di vista razionale? può darsi, ma è il caso di andare un po' più a fondo. Provo a fare un passo "di lato":

3. Uomo e donna sono diversi? io credo di sì; mi pare ci sia una differenza ineliminabile fra i sessi, che a volte noi tutti sperimentiamo - anche nel rapporto di coppia eterosessuale - come "incomunicabilità", e a volte "mistero". In questo senso, mi pare che sia difficile, forse impossibile, equiparare totalmente amore omosessuale e amore eterosessuale. In realtà qui opero una semplificazione abnorme, perché forse di "amori" ne esistono tanti quante sono le persone che respirano in questo mondo; purtroppo però per riflettere su cosa succede "al di fuori della nostra coscienza" è inevitabile utilizzare queste "categorie" così generali. Non si discute la sincerità o la bellezza di un amore fra uomo e uomo, o fra donna e donna. Però mi pare "non vera" l'affermazione - che a volte ricorre in alcuni dibattiti - che "tutti gli amori si equivalgono", o "l'importante è il sentimento". Ulteriore precisazione: questo non vuol dire "c'è un amore di serie A e c'è un amore di serie B". Vuol dire solo: non rendiamo tutto uguale, quando uguale non è.

4. Forse qui il punto che per me è di maggiore difficoltà; mi pare cioè che per uno scopo ritenuto giusto (allargare i diritti di famiglia anche alle coppie omosessuali) si "stiracchi" la realtà, si dica qualcosa di non corretto. In questo senso alcune delle perplessità di parte cattolica a me pare non siano da sottovalutare. Anche non condividendo l'impostazione della morale cattolica in ambito sessuale, mi pare che si possa condividere il timore di una "banalizzazione" della questione.

5. Quanto detto - del rischio di una banalizzazione - vale solo per l'adozione omosessuale? A ben vedere, il discorso può essere allargato anche ad altre situazioni di "genitorialità allargata"; penso per esempio alla fecondazione eterologa, anche con coppie eterosessuali. Anche in questo caso mi è capitato spesso di sentire o leggere - da parte di chi difendeva la scelta della fecondazione - frasi del tipo "la famiglia è un prodotto sociale", quasi come a dire "è un'invenzione", "è una costruzione". Il che è giusto e sbagliato assieme. Giustissimo se pensiamo a quanto effettivamente il "modello" di famiglia sia legato alle condizioni sociali e anche politiche di una data comunità. Sbagliato, se pensiamo che il senso della famiglia sia totalmente artificiale

6. Per dirla in breve, nasciamo comunque da un uomo e da una donna. Possiamo non conoscere l'uomo e la donna che ci hanno generati, possiamo non conoscere di chi era il seme, di chi era l'ovulo; possiamo "occultarli" legalmente; possiamo "rinominarli" nell'adozione. Ma la radice rimane quella, mi pare. Da uomo e donna siamo nati, nasciamo. E "famiglia" mi pare sia il più semplice "rispecchiamento" di questa origine nelle figure del padre e della madre, del padre maschio e della madre femmina. Ineliminabili, anche quando non ci sono. Ineliminiabili, anche quando odiosi. Anche nel dolore del vuoto, se c'è vuoto in una delle due presenze, o in ambedue. Vuoto che nessuna altra presenza può sostituire. Non lo diciamo dal punto di vista della serenità della persona del figlio, che grazie a chi lo cresce, e grazie alla sua propria forza, può superare anche dolori o mancanze forti. Lo diciamo dal punto di vista della radice della persona, dal punto di vista della sua origine, che è parte importante del suo modo di essere al mondo.

7. Questo vuol dire che non dovremmo accettare allora nessuna adozione, o nessuna donazione del seme? O insomma, nessun tipo di genitorialità "altra" rispetto a quella "naturale" (e quindi "artificiale" in senso lato)? no, qui non si vuol fare discorsi di questo tipo; tanto più in un momento storico in cui pare crescere l'infertilità maschile, e vari altri fattori - come lo spostamento in avanti dell'età della maternità per le donne che lavorano - rendono forse inevitabile l'utilizzo di tecniche per andare incontro alla genitorialità; in questo senso anche il legislatore deve essere prudente nel non proibire se non quando sia strettamente necessario, e nel lasciare che nella società si creino anche le condizioni per una genitorialità diffusa e consapevole. Non lo dico dunque perché pensi che si debba regolare in un senso piuttosto che in un altro; ma, di nuovo: perché non si dica con troppa facilità che "è tutto la stessa cosa", che "non è importante da chi nasci, ma chi ti educa", che "due genitori uomini sono la stessa cosa di un uomo e di una donna, sono solo famiglie diverse".

8. Aggiungo: nessuna legge può alleviare dal dolore di non avere figli, nessuna legge può "risolvere" l'impossibilità di provare talune esperienze. Certo, la tecnica medica può aiutare a "curare" il problema, quando è di un certo tipo, e in questo senso è la benvenuta. Ma questo non può significare far finta che sia vero ciò che non è: un uomo e un uomo non potranno avere figli attraverso il loro rapporto sessuale; e così la donna e la donna. Questa è un'impossibilità che definirei - con qualche trepidazione - "assoluta", almeno finché il processo di cambiamento naturale in cui siamo sempre immersi non porterà a un altro "tipo" di essere umano. E questa è una impossibilità diversa da quella che la medicina può aiutare a "guarire". L'amore omosessuale "di per sé" non è "generativo". Il che - è il caso di ribadirlo - non significa che non possa essere stupendo, come stupende sono tante storie che ognuno di noi conosce. 

9. E dunque? Adozione sì o adozione no? non riesco a trovare una risposta chiara; e devo dire che alcuni dei dubbi non sono tanto legati all'omosessualità dei genitori, ma al "grado di distanza/finzione" che c'è rispetto alla genitorialità "naturale"; in questo senso le mie perplessità si estendono a tutte quelle situazioni in cui mi pare ci sia il rischio di "eccedere" nella "simulazione". Non conosco abbastanza bene le differenze giuridiche fra adozione ed affido, ma in virtù di quanto ho tentato di dire, mi pare che in generale - anche nel caso di coppie eterosessuali - siano da preferire - e quindi eventualmente incentivare - quelle forme che rendono il rapporto fra figlio e genitori non naturali più "leggero", più chiaro e netto nella differenza rispetto alla "natura". Insomma, che in questi casi il figlio sappia - quando è il momento opportuno - che chi lo sta crescendo non sono il suo vero padre e la sua vera madre. Che il figlio sappia.

10. Ecco, chiuderei proprio andando verso questo figlio, o questa figlia, che ho nominato troppo poco, e i cui diritti troppo poco sono presi in considerazione, spesso anche da chi dice di volerli difendere. Figlio che non può essere oggetto di desiderio o di possesso. Ma che non è neanche leggibile nell'ottica religiosa del "dono". Non più, almeno da quando in qualche modo uomini e donne riescono a controllare le nascite. Retoriche del "dono" e retoriche del "voglio un figlio a tutti i costi" dovrebbero scomparire dai nostri discorsi. Perché non accolgono la persona, la novità che viene al mondo. Persona che ha diritto - questo sì, insopprimibile e forse indiscutibile - di sapere, di conoscere la sua origine. Ecco, su questo vorrei che non si cedesse: sul fatto che il figlio possa conoscere chi è l'uomo e la donna che lo hanno generato. Anche se magari solo in provetta, o per "affidamento" in grembo. Perché senza quel sapere, qualcosa manca, io temo. E questo è un prezzo che un figlio non deve pagare.

***

(presentò bene il problema su questo ultimo punto - anni fa, se non erro nel 2011 - un articolo su ioDonna di Barbara Stefanelli. L'ho ritrovato in un altro sito e ve lo propongo come spunto di riflessione, approfittando anche del fatto che si parla di una situazione ancora diversa da quella di cui ho provato a dire)

È il giorno della festa del papà negli Stati Uniti. Pagina delle opinioni del New York Times.L’autore è Colton Wooten ed è nuovo tra  gli editorialisti: si è diplomato questo mese alla Leesville Road High School, Raleigh, North Carolina.



Il suo intervento è una lettera alle donne che hanno generato figli grazie all’inseminazione artificiale con sconosciuti. Racconta di averlo saputo a cinque anni. All’inizio del 1992 1a madre si rende conto di essere vicina alla sua frontiera biologica, non ha un compagno, vuole un figlio.


Fa i test di fertilità, analizza i profili dei donatori di sperma. In autunno il piccolo Colton nasce. Qui si apre un dibattito che conosciamo: è più forte il diritto alla maternità di una donna sola o quello di un figlio ad avere un padre accanto? È un trionfo di autodeterminazione al femminile o un tonfo verso nuclei familiari squilibrati? E, comunque, i bambini devono poter risalire all’identità dei donatori o vince il principio della riservatezza?

Ciò che sorprende in questa lettera è la semplicità delle argomentazioni. Nessuna ideologia. Solo il disorientamento di un diciottenne che non può chiudere i conti con il proprio “padre biologico”. Un ragazzo che alle medie cerca informazioni. E non troverà risposte.
La madre ricorda solo che il seme era di uno studente, figlio di un’italiana e un irlandese.

Restano le parole di Colton nel giorno della festa dei papà (quelli noti): <<Non ce l’ho con mia madre. Ma a volte mi sento pietrificato da un vuoto di frasi e di emozioni, riesco solo a sentirmi tramortito dal fatto che lui potrebbe essere chiunque>>.

venerdì 13 giugno 2014

Diritto eterologo (di Davide Giacalone)

Molto interessante la riflessione di Davide Gicalone sul diritto alla genitorialità; per riflettere insieme, spero non banalmente; troppe volte in questo periodo storico si è parlato di diritto ad avere figli in un modo che può suscitare perplessità, quasi che non esistessero limiti "naturali" di cui tenere conto. 

Ovviamente non ci sono risposte sicure, soprattutto in una fase di avanzamento delle tecniche e di mutamento della società, che nessuna legge - e quindi nessuna proibizione - può forse governare fino in fondo. Ma è importante essere consapevoli della posta in gioco.

FMM

"(...) 2. La Corte considera la genitorialità (l’avere figli) un diritto. Oltre tutto “incoercibile”. A parte il fatto che è fin qui stato coartato, ove naturalmente impossibile, ma quel diritto è tale nel senso che nessuno può permettersi d’impedirlo. Qui siamo a una cosa diversa, ovvero all’idea che sia comunque realizzabile. Ma un figlio non è un oggetto, non è un bene, è (in potenza) una persona. Il diritto alla genitorialità va considerato come libertà non condizionabile dei due potenziali genitori, non come atto di libertà su un terzo. Riguarda la libertà di mettere in atto le condizioni per averlo (quindi di accoppiarsi) e il non essere da nessuno costretti all’aborto. Se si esce da questo, allora, va a finire che sarà incostituzionale la disoccupazione. Che è una cretinata tante volte ripetuta, con una citazione a cappero del primo articolo. Ma ora avvalorata dalla Consulta.(...)"

giovedì 1 maggio 2014

Sul Caso Aldrovandi

Sul "caso Aldrovandi" mi sembra molto utile un articolo della Stampa che riscostruisce tutti le fasi della vicenda; segnalo inoltre - "rubandole" dalla pagina FB dell'on.Fiano - alcune dichiarazioni - molto importanti - dei segretari del Siap e del Siulp.
Infine una riflessione più complessiva di Gianni Cuperlo.

Al di là del singolo caso, è necessario tenere sempre presente che la difesa dei diritti di tutti - e quindi anche delle persone "fermate" o "arrestate" - è parte sostanziale della dignità della polizia e delle forze dell'ordine tutte

Ed è necessario che in questo paese - dove la domanda di sicurezza è giustamente molto alta - si mantenga una attenzione forte da un lato alle esigenze delle forze di polizia, che troppo spesso diventano una sorta di "parafulmine" delle tensioni sociali, dall'altro alle garanzie dei diritti di tutti, anche di chi trasgredisce le regole, o è sospettato in questo senso. 

Può sembrare banale, ma l'equilibrio perennemente instabile delle democrazie liberali (occhio all'aggettivo!) sta nel tenere conto - insieme - di queste esigenze.

FMM


La causa della morte 
È un tema molto dibattuto nel processo, poiché da esso dipende la responsabilità degli imputati, e ora viene nuovamente sollevato dal Sap. Nelle prime relazioni di servizio, i poliziotti attribuiscono la morte di Aldrovandi alla «assunzione di sostanze stupefacenti». Le sentenze hanno accolto la tesi del professor Gustavo Thiene, anatomopatologo di fama mondiale: morte dovuta ad asfissia da compressione toracica. Secondo i giudici, la pressione esercitata sul tronco di Aldrovandi dagli agenti determinò lo schiacciamento del cuore. I poliziotti obiettano: il consulente era stato nominato dalla famiglia Aldrovandi, dunque è di parte. E propongono una versione alternativa: morte dovuta a «excited delirium sindrome», sindrome da delirio eccitato. Ma secondo la Cassazione la consulenza del professor Thiene è attendibile e adeguatamente motivata (dalle foto risultano due ematomi sul ventricolo sinistro e le dichiarazioni degli operatori del 118 sono convergenti). Inoltre proviene da una riconosciuta autorità scientifica in materia di morti improvvise cardiache. Viceversa, la tesi dei medici nominati dai poliziotti secondo cui Aldrovandi morì da solo perché alterato (excited delirium), è stata smentita nel processo, sia con documenti sia con un confronto tra periti. 

Che altro dovevamo fare? 
Tutti gli imputati hanno lamentato che i giudici, censurando la loro condotta violenta, non ne hanno specificamente indicato una alternativa. Insomma: che altro avrebbero potuto fare gli agenti di fronte a un ragazzo violento e drogato? La Cassazione ribatte che la «condotta alternativa lecita che l’ordinamento si aspettava da funzionari della Polizia di Stato» è stata abbondantemente illustrata nelle sentenze (in tutto, un migliaio di pagine): dialogo, approccio contenitivo e di controllo (se del caso anche con l’uso di manganelli), prime cure sanitarie (la volante era dotata di defibrillatore e un agente aveva seguito un apposito corso di formazione). Invece i manganelli furono usati per colpire (tanto che due si ruppero); i numerosi colpi proseguirono nonostante le richieste di aiuto di Aldrovandi; la colluttazione non si fermò dopo aver reso il ragazzo «inoffensivo»; il 118 fu chiamato solo quando il ragazzo era morto; «il personale sanitario, una volta sopraggiunto, dovette insistere perché Aldrovandi, ormai esanime, ma ancora compresso a terra con il volto sul selciato, venisse liberato dalle manette e girato sul dorso». 


Aldrovandi:Tiani, Siap, polizia non spaccata ma unita e democratica(ANSA) - ROMA, 1 MAG - In merito alle polemiche sulla "polizia spaccata a seguito degli inopportuni applausi ai poliziotti condannati per il caso Aldrovandi riteniamo che la manipolazione politica su un tema cosi' delicato non rende un buon servizio alle istituzioni". Lo afferma in una dichiarazione Giuseppe Tiani, segretario del Siap. "I sindacati su posizioni diverse non vuol dire una polizia spaccata: istituzione e diritto di rappresentanza sono due cose diverse. La polizia e' unita e democratica all'interno della quale le diverse sensibilita' sindacali su temi delicati per i cittadini possono dare l'idea di un corpo lacerato. Ma questo - ha concluso Tiani - e' un errore di valutazione che noi respingiamo con forza e lavoriamo ogni giorno affinche' l'istituzione sia sempre compatta e al servizio del paese" e per questo "abbiamo sempre condannato e preso le distanze dagli eccessi nell'uso della forza che la legge ci concede".


CASO ALDROVANDI: ROMANO (SIULP), RISPETTO VITA IRRINUNCIABILE ='CONDIVIDO PAROLE ALFANO E PANSA, NOI PROFESSIONISTI DELLA GARANZIA DELLA LEGALITA''


Roma, 30 apr. (Adnkronos) - "Condivido le dichiarazioni del ministro Alfano e del capo della polizia, per i poliziotti il rispetto e la sacralita' della vita sono un elemento irrinunciabile per lo svolgimento del nostro lavoro". Felice Romano, segretario generale del Siulp (Sindacato italiano unitario lavoratori polizia), commenta cosi' gli applausi durante l'assemblea del Sap agli agenti condannati per l'omicidio Aldrovandi.

"Per noi la vita e' sacra anche quando ci troviamo di fronte a criminali efferati e persino quelli che hanno procurato stragi nel nostro Paese - spiega all'Adnkronos - Noi non siamo giudici ma poliziotti, professionisti della garanzia della legalita'. E ogni volta che si perde una vita umana vuol dire che tutta la collettivita' ha perso, che abbiamo fallito sia nella missione di educazione alla legalita' sia nel sistema di prevenzione e repressione che ogni democrazia deve avere".

"Per chi ha scelto di essere uomo dello Stato - rimarca il sindacalista - come me e come tutti i poliziotti e' una cosa devastante quando si perde una vita umana perche' c'e' oltre al lutto e al dolore dei familiari che hanno perso quella vita c'e' anche la devastazione di chi deve rispondere, prima ancora che ai familiari della vittima e alla giustizia, alla propria coscienza, ai propri figli e alla propria famiglia". Ecco perche' io voglio tranquillizzare i cittadini e i familiari delle vittime che per noi la sacralita' e il rispetto della vita e' irrinunciabile - prosegue Felice Romano - Cosi' come sono convinto che nei cittadini e' radicato e diffuso il rispetto dei tanti onesti servitori dello Stato che hanno sacrificato la propria vita a garanzia della democrazia, a difesa delle istituzioni e dei diritti umani".

Per noi le sentenze non si discutono, per noi che siamo uomini dello Stato le sentenze si rispettano e basta, anche quando non ci piacciono e nonostante sappiano che non sempre la verita' giudiziaria e' la verita' assoluta alla quale tutti ci dobbiamo attenere. Questo e' il limite - conclude il segretario del Siulp - che distingue lo Stato e i suoi rappresentanti dall'anti Stato e i suoi accoliti".





Bentrovati.


Pensavo di scrivere qualche riga sulla bozza di riforma della pubblica amministrazione presentata ieri dal governo. Magari lo farò più avanti, ma non mi riesce questa mattina (augurando prima di ogni cosa un buon Primo Maggio a tutti voi) di tacere sull'applauso di Rimini.

Credo abbia ragione Luigi Manconi: una parte della Polizia italiana è malata. Poi lo so benissimo anch'io che i tagli alla sicurezza hanno creato fino dentro gli apparati dello Stato sacche di disagio e difficoltà che bisogna affrontare con politiche e risorse. Ma questo non toglie che l'episodio dell'altro ieri parla di un problema diverso e di un potenziale fallimento dello Stato.

Il Sap radunato a Rimini non rappresenta la maggioranza dei lavoratori della polizia. Esistono di fatto due campi sindacali. Da una parte il Siulp, il Siap, il Silp-Cgil e l'Associazione nazionale dei funzionari di Polizia. Come ricorda oggi Carlo Bonini, queste sigle sono le interpreti della tradizione sindacale che prese corpo con la riforma della Polizia nel 1981 e la scelta di smilitarizzare il corpo. Dall'altra parte ci sono il Sap, il Consap e il Coisp: la rappresentanza sindacale di una destra che ha trovato nella politica, a partire dalla tragedia di Genova, una solida sponda.

Dietro c'è la cronaca di questi mesi e di questi anni. La ferita mai rimarginata tra l'attuale ministro degli Interni e gli apparati del Viminale dopo la gestione della vicenda Shalabayeva. Tutto vero.

Altrettanto vero, però, è che quell'applauso non ha solo calpestato il rispetto e la memoria di un ragazzo di diciott'anni, ma ancora una volta è stato il riflesso di una concezione distorta dello Stato di diritto che disprezza le sentenze e ne calpesta la legittimità. 

Pensare che un lavoro difficile, faticoso e prezioso per la comunità, un lavoro malpagato e pericoloso possa tradursi in un aggiramento delle leggi e dei principi stessi di assolvimento del compito sociale a cui poliziotti sono chiamati è un modo di ragionare incompatibile con la democrazia.

E d'altra parte proprio la smilitarizzazione della polizia e la possibilità di dare vita, anche in quel contesto, a sindacati di rappresentanza dei lavoratori è stato un modo per "riconciliare" (lo spiega bene Stefano Rodotà) le forze dell'ordine con i diritti della persona e le regole civili della convivenza.

Siamo davanti a una grande questione di principio, non allo sciagurato comportamento di un gruppo di estremisti. Conviene saperlo.

Buone cose e viva il Primo Maggio.


giovedì 20 febbraio 2014

La Retorica Pericolosa Della Contrapposizione Popolo - Casta

In bocca al lupo a chi sta tentando di formare un governo, in queste ore. Siamo costretti a tifare per lui, perché il "rinculo" di un fallimento potrebbe costare troppo al Paese. 

Però non possiamo tacere le tracce pericolose di una retorica che non vorremmo sentire, soprattutto in un ambito che si vorrebbe progressista. La distinzione fra un'Italia popolare e reale e le élites (vd. intervista di Nardella al Corriere), la contrapposizione forzata fra un popolo puro e generoso, e una "casta" corrotta, o almeno lenta, non è una buona base per le riforme.

Lo si è già scritto: la democrazia dovrebbe riuscire a superare questo tipo di dicotomia; perché da una parte limita e contrasta il naturale formarsi di aggregati di potere, dall'altra perché richiede ai "semplici cittadini" e ai "senza potere" di non "accontentarsi" di accettare come date le dinamiche di potere, ma di costruire - da soli o in comunione con altri individui - le condizioni perché ogni potere venga controllato, limitato, valutato, messo in tensione.

Questo esercizio - quasi quotidiano - è cosa ben lontana dal protestare innocenza e dalla contrapposizione fine a se stessa; è anzi in realtà un'assunzione di responsabilità; è anche un comprendere realisticamente la situazione data, le dinamiche oggettive che si pongono nella storia. Abitare i tempi con scienza e coscienza, mai dismettendo il senso critico.

In questo senso - pur comprendendo le ragioni di chi chiede una "primazia" della politica sull'economia, di chi contesta alcune scelte economiche del passato - è secondo me da guardare con sospetto una certa retorica che accompagna l'operazione che si sta costruendo attorno al governo in formazione, in particolare rispetto alla volontà di "cambiare verso" all'economia italiana, anche attraverso il simbolico "ritorno" di un politico al Ministero dell'Economia (cosa di per sé assolutamente legittima, naturalmente).  

L'Italia ha bisogno di riforme, e forse questo nuovo governo ne farà di importanti; ma è anche importante costruire attorno alle riforme (anche per farle durare al di là di una fortunata contingenza politica) un tessuto di elaborazione e di approfondimento che è cosa molto più complessa della contrapposizione sterile - e alfine reazionaria - popolo vs casta. 

Francesco Maria Mariotti

"(...) E allora faccio notare al direttore che Guerra ha una simpatia notoria per Matteo Renzi. E lui: “Renzi catalizza tutte le aspirazioni alla novità in un paese fermo. Ma questo non basta. E mi è dispiaciuto il modo in cui è stata chiusa la vicenda di Enrico Letta”. Sembra di capire che Renzi non ti sta simpatico, direttore. “Per ora siamo alla sceneggiata dannunziana. Ma in realtà mi auguro che abbia successo. Se Renzi funziona, funziona anche l’Italia. Ma tutto è più complicato di come appare”, dice, mentre sottolinea le pause e i sottintesi. “La scena politica si sta svolgendo come se l’Europa non ci fosse. E Renzi tra un po’ sarà chiamato invece a un bagno di realismo, dovrà confermare il rispetto del vincolo del 3 per cento nel rapporto deficit/pil. Adesso lo spread è basso, tutto è calmo. Ma non è escluso che l’Italia torni a essere un’osservata speciale. Lo slancio e l’impeto giovanile vanno bene. Ma ci vuole anche ponderazione, e il soccorso di uomini che sanno stare in Europa”. Ma l’Italia, un uomo che sapeva stare in Europa l’ha avuto: Monti. E non è andata un granché bene. “La storia gli restituirà molto di quello che la cronaca gli ha sottratto. Dobbiamo a lui se non siamo finiti come la Grecia”. L’Italia lo ha triturato, Monti. Il Foglio qualche tempo fa ha paragonato Monti a Gulliver, un gigante divorato dai Lillipuziani: da Casini e da Riccardi, dalla politica di sacrestia, dalla nera pozza democristiana, quella in cui s’affogano tutti i meriti. “Monti ha sottovalutato le insidie”, dice de Bortoli. E quando parla di Monti, che è stato a lungo editorialista del Corriere, il direttore ammette di parlare di un amico. “L’Italia è strana”, dice. “Ha allergia per tutte le cose serie. E non sopporta nemmeno i governi forti. Da Craxi fino a Berlusconi. Qui da noi c’è un interesse diffuso ad avere un governo debole, ricattabile, di scarsa durata”(...)
(...) Non siete stati ingenerosi con Enrico Letta?

«Letta ha rappresentato bene l’Italia all’estero. Ma non è riuscito a mettere in campo il coraggio indispensabile per rompere quel grumo fatto di burocrazia, corporazioni, poteri costituiti che da anni non permette all’Italia di tirar fuori le sue energie migliori». 
Sta dicendo che l’establishment deve temere l’arrivo di Renzi?
«Esatto. E non mi stupisce che proprio l’establishment italiano in questi giorni si sia espresso più o meno implicitamente contro questo passaggio. Considerano Renzi come un barbaro». 
Un barbaro? 
«Il termine è forte, ma calzante: un barbaro che rompe i rituali e rappresenta un rischio per la conservazione dello statu quo. Come se l’Italia sonnolente, abituata a lucrare sulle posizioni di rendita economica, sociale e culturale, si trovasse improvvisamente e radicalmente messa in pericolo». 
A chi si riferisce? Banche, sindacati, finanza, Rai? 
«Mi riferisco a un insieme di mondi, anche all’apparenza in contrasto tra loro, che sono sopravvissuti in questo clima di lento declino, accontentandosi di mantenere posizioni dominanti, e oggi percepiscono lo stile, i contenuti, il messaggio di Renzi come qualcosa di estraneo. Matteo è un vero leader popolare. Un leader di popolo come da tanti anni non se ne vedono in Italia, e per questo capace di penetrare quella cortina di poteri costituiti, per comunicare direttamente con i cittadini. Renzi è visto come elemento destabilizzante; e dal loro punto di vista lo è. Proprio per questo rappresenta una grande opportunità per l’Italia per vivere un nuovo Rinascimento, se vogliamo usare un termine che appartiene alla storia di Firenze». (...)
Lei è stato il primo a dire che all’Economia ci vuole un politico. Perché? 

«Perché l’era dei “tecnici a prescindere” è ormai alle nostre spalle, e ha dimostrato purtroppo di non aver corrisposto alle attese. L’Italia è uno strano Paese: i politici scaricano sui tecnici le proprie responsabilità. È sbagliato affidare la spending review a un tecnico, per quanto capace. Non esiste scelta più politica che decidere quali voci di spesa pubblica tagliare. E il problema non riguarda solo i ministri, ma i ministeri». 
Si riferisce all’alta burocrazia? 
«Sì. Noi dobbiamo riformare radicalmente la burocrazia dello Stato, a partire dai vertici. Troppe volte nei corridoi si sente dire: “I ministri passano, i tecnici restano”. Dobbiamo aggredire l’iper-regolamentazione e le concentrazioni di potere e di privilegi, stipendi compresi. Basta decreti milleproroghe, specchio di un’Italia che getta sempre la palla in tribuna. Spezziamo la spirale drammatica di una burocrazia che di fronte a un problema, invece di risolverlo, inventa l’ennesima norma». 
Delrio potrebbe fare il ministro dell’Economia? 
«Non ci troverei nulla di strano. Anzi, ritengo che i sindaci oggi siano la migliore espressione della politica italiana; non fosse altro perché conoscono meglio di tutti l’Italia reale, mentre la distanza tra le istituzioni centrali e la società reale continua a crescere». 
Tra queste istituzioni include la Banca d’Italia? 
«Per certi aspetti, sì. La questione ci obbliga a una riflessione più generale dell’Europa. Il problema della distanza tra politica e società civile è ancora più vistoso sullo scenario europeo. Per questo sono preoccupato per le prossime elezioni di maggio». (...)
Il punto però, spiega Macaluso, è che al di là delle trattative tra i partiti è molto difficile oggi trovare candidati di questo tipo, che soddisfino anche il requisito della discontinuità imposto da Renzi. "Da un lato c'è stato un impoverimento culturale nella classe politica, una progressiva incapacità a governare e dall'altro i politici sono stati vittima di una pulizia etnica. Sì etnica. Da un po' di tempo è obbligatorio scegliere i tecnici per quella delegittimazione che ha travolto la politica". Ma perché Renzi ha collezionato tutti questi no?: "Credo che le persone da lui contattate abbiano capito che l'intenzione era di usarle, un po' come figurine, e non abbiamo voluto farsi strumentalizzare solo per riflettere sulla scena un'immagine di novità, discontinuità e tutti gli altri concetti che vanno di moda in questa fase"(...)

venerdì 7 febbraio 2014

I Migranti di Sochi (da BalcaniCaucaso.org)

Lavoratori clandestini, costretti a spezzarsi la schiena per un tozzo di pane, tenuti in condizioni di semi-schiavitù. Sfruttati per costruire gli impianti grazie ai quali gli sportivi e gli appassionati di tutto il mondo potranno celebrare, a partire da oggi e per le prossime due settimane, il mito della fratellanza olimpica. È stata questa la sorte di 123 lavoratori, serbi e serbo bosniaci, che solo recentemente sono riusciti a ritornare a casa dopo aver lavorato nei cantieri edili di Sochi, la città russa dove oggi si aprono i giochi invernali.

A denunciare la situazione dei lavoratori migranti a Sochi ci aveva già pensato un rapporto di Human Rights Watch, pubblicato esattamente un anno fa sotto il titolo di "Corsa verso il basso". “Per preparare i giochi invernali del 2014”, si può leggere nel documento, “la Russia ha dovuto trasformare radicalmente Sochi, una città costiera sul Mar Nero, costruendo impianti sportivi, hotel di lusso, oltre che infrastrutture e sistemi di comunicazione modernissimi”. Per fare ciò, e concludere quest'opera faraonica con il minimo costo, la Russia ha fatto ricorso anche “a 16.000 immigrati provenienti dall'estero”, impiegati spesso in condizioni durissime: gli operai lavorano per “turni di dodici ore, senza aver diritto a giorni di riposo”, e dopo che “sono stati loro confiscati il passaporto e il permesso di lavoro, per fare sì che non si ribellino e per renderne impossibile la fuga”.(...)

“Abbiamo vissuto un'esperienza orrenda”, ha raccontato alla televisione BHRT Radovan Biserčić, uno dei serbo-bosniaci che hanno lavorato a Sochi. “Uno dei nostri colleghi è morto, uno è stato ucciso e un altro, che ha avuto un attacco di cuore, è sparito e non sappiamo tuttora che fine abbia fatto. I nostri ricordi degli ultimi tre mesi sono dolorosissimi”, continua Biserčić, “siamo andati in Russia perché volevamo i soldi, ma invece abbiamo avuto la prigione. Vivevamo in una casa che ci eravamo costruiti noi, con le nostre mani”, ricorda l'uomo. “Il pavimento era di cemento, non c'era spazio sufficiente per dormire, né per andare al bagno o per farsi la doccia”.
I lavoratori serbi e serbo bosniaci sono andati a Sochi convinti di poter sfuggire alla disoccupazione e guadagnare uno stipendio molto più alto di quello che in media viene loro corrisposto a casa.
Darko Glišić, di Višegrad, è arrivato in Russia grazie a un amico di Belgrado, Nikola, che un giorno gli ha presentato Raško Tankošić. Tankošić ha creato una propria agenzia che si occupa di inviare operai edili in Russia, e promette a Glišić un salario che va dai sei agli otto dollari all'ora.
La paga media, in Bosnia Erzegovina, è di 425 € al mese soltanto. La cifra promessa da Tankošić non è faraonica. Ma è una paga onesta, e tanto basta a convincere Darko a partire.
“Lavoravamo duro, ma ogni volta che si finiva un edificio, Raško ci dava al massimo cento euro”, ricorda Glišić a Radio Sarajevo. “Noi eravamo convinti che tutto sarebbe stato pagato alla fine. Le condizioni di vita lì erano orrende, disastrose, venti persone dormivano in un'unica stanza disadorna, senza potersi lavare, in letti senza materassi”.
Poi, un giorno, la polizia russa compie un controllo a sorpresa. Trenta lavoratori vengono arrestati, gli altri in qualche modo riescono a scappare. Ma sono senza documenti e con pochissimi soldi in tasca: “Io sono sfuggito alla prigione russa, per fortuna”, racconta sempre Glišić, “ma sono rimasto praticamente subito senza i pochi soldi che ero riuscito a guadagnare”.(...)

Dopo la scoperta di questo sistema di sfruttamento, poco in realtà è stato fatto per punire i responsabili. Lo stesso 23 gennaio, la polizia serba ha arrestato Dušan Kukić, di Čačak (Serbia), a capo di una delle agenzie responsabili di aver procurato operai alla costruzione di Sochi. Ma secondo Saša Simić, presidente del sindacato serbo per gli operai edili, resta ancora moltissimo lavoro da fare. Questa potrebbe essere soltanto la punta dell'iceberg. “Ci potrebbero essere più di 40.000 serbi che lavorano in Russia oggi; il loro numero esatto purtroppo non è possibile saperlo”, ha dichiarato Simić a Radio Slobodna Evropa.
Secondo Simić, il fenomeno rischia di aggravarsi anche in vista dell'organizzazione della Coppa del mondo di calcio in Russia nel 2018: “I nostri lavoratori sono competenti, e tra i peggio pagati della regione”. Facile quindi pensare che in pochi saranno in grado di resistere alle proposte di partire per la Russia.(...)

domenica 22 dicembre 2013

Il Pericoloso Passo Indietro della Spagna

Era forse inevitabile che la crisi economica trascinasse nella sua spirale, oltre ai diritti sociali (cosa amara, ma in qualche modo comprensibile, in quanto diritti necessariamente "economici"), anche i diritti civili dati come acquisiti. 

La scelta della Spagna - che in un certo senso aveva modernizzato quasi "in eccesso", con la politica di Zapatero che segnava un'avanguardia (forse poco elaborata e condivisa) su questo fronte - di tornare indietro su un tema come l'aborto segna un passaggio pericoloso, per vari motivi che provo a spiegare.

1. Sul merito della questione giova ripetere quanto già detto e documentato migliaia di volte, da più parti: restringere le condizioni dell'aborto legale non servirà a diminuire realmente l'entità del fenomeno e sposterà nella clandestinità l'interruzione di gravidanza. Ci sono fenomeni che attengono alla sfera privata della vita delle persone che non possono essere regolati con troppa severità o minuziosità dallo Stato. Sono materie che è inevitabile lasciare all'autonomia delle persone. 

Non si discute del fatto che l'aborto sia un dramma; e può essere tristemente vero che rendere praticabile l'aborto legalmente rischi di renderlo "più facile" anche per persone inconsapevoli, o in casi che potrebbero essere gestiti diversamente.

Ma non c'è scelta, ed è forse questo che sembra non accettabile, per alcuni: bisogna fidarsi delle donne. L'alternativa è secca e pericolosa, ed è appunto la clandestinità e l'ipocrisia: il valore declamato nella legge, ma rischiosamente (per la salute e la vita delle donne, soprattutto) contraddetto nella pratica silenziosa e sotterranea.

2. Quanto più la politica sembra incapace di regolare le questioni economiche, tanto più si cerca di retrocedere (o avanzare, anche) sul piano di questioni cosiddette "etiche"; quasi a voler rimarcare una "sovranità perduta", lo Stato tenta di regolare la società anche in campi in cui il regolamento rischia di essere più dannoso che positivo

Questo può accadere, in teoria, anche con scelte "progressiste": la sinistra spesso dà l'impressione di maneggiare queste tematiche "a surroga" di una perduta capacità della propria parte di incidere sulle questioni sociali.

Beninteso: le questioni civili hanno una ricaduta, e forte, anche sullo status economico e sociale delle persone, naturalmente. Quindi sulla loro effettiva eguaglianza e libertà. E anche in questo senso il passo indietro della Spagna sembra pericoloso, perché di fatto rende la donna meno libera.

Ciò detto, vale la pena soffermarsi sul fenomeno più generale, e che la svolta della Spagna sembra confermare: una politica impotente nei fatti crudi dell'economia non cerca nuove soluzioni, ma "alza la voce" - e la spada del diritto - su questioni che - in ultimo - non potrà mai pienamente controllare, rendendo banalmente più difficile - e più sofferente - la vita ai cittadini.

3. Rischio "imitazione". L'Italia non è la Spagna, e il lungo processo che ha portato alla legge 194 forse ha creato un buon sostrato culturale, in grado di "assorbire" la tentazione di "revanscismo" su questo fronte. Ma anche in questo caso, una retorica mal dosata - e mal pensata - di "rientriamo nei ranghi" rivolto alle scelte di progresso degli anni '70 (magari collegandole impropriamente a altre scelte non sempre felici di quegli anni) - può essere una pericolosa arma di seduzione per una politica troppo incline agli slogan.

"It's the Economy, stupid", era lo slogan degli anni di Clinton. Prima la politica tornerà a guardare - con concretezza ed umiltà - a ciò che è possibile e realizzabile in quel campo, meno toccheremo con inefficaci regole le vite delle persone; solo così daremo ai cittadini i mezzi per decidere - da soli - della loro vita (e della loro morte) e di come trovare la loro felicità.

domenica 15 dicembre 2013

La Morte di Giuliana Dal Pozzo

(...) Poi l'intuizione nel 1988 del Telefono Rosa, un'associazione di volontarie per le donne vittime della violenza tra le pareti domestiche e sui luoghi di lavoro. Sull'argomento pubblicò anche un libro, Così fragile, così violento (Editori Riuniti) in cui la violenza degli uomini veniva raccontata dalle donne. Era allora, più di oggi, una violenza 'sommersa', di cui non si trovava traccia nei verbali degli operatori sanitari o delle forze dell'ordine. C'erano in una stanza cinque volontarie con un quaderno e una penna ad alternarsi nell'ascolto di donne che chiamavano chiedendo aiuto da tutta Italia. Nasceva così una nuova forma di servizio sociale, prima ancora di promuovere convegni, iniziative, campagne di comunicazione dove oggi lavorano decine di volontarie, avvocate penaliste e civiliste, psicologhe, mediatrici culturali di diversa nazionalità.(...)

domenica 13 ottobre 2013

Dubbi Sull'Amnistia

Segnalo di seguito l'intervento dell'Avv.Luciano Belli Paci di Milano a proposito dell'ipotesi di amnistia che sta suscitando molti dubbi (anche se tale proposta non esaurisce il messaggio di Napolitano sulla giustizia). Anni fa ho fatto attività di volontariato in carcere, per cui ne conosco abbastanza bene gli orrori, e non c'è dubbio che l'emergenza esiste. Ma le risposte devono essere strutturali, non episodiche. Il problema per me non è "educativo"; il problema è che se non si mettono in atto operazioni più profonde (a partire dal non mettere in galera chi è ancora in attesa di giudizio, per esempio) un'amnistia non serve; e rischia di far crescere la paura e il senso di insicurezza dei cittadini.

FMM


Il problema delle condizioni disumane nelle quali vivono gli ospiti delle carceri italiane è drammatico e richiede, da tempo, interventi anche emergenziali.

Molte cose si potrebbero fare: allargare magari temporaneamente i requisiti per l’applicazione delle pene alternative ai detenuti meno pericolosi, adibire a carcere temporaneo qualche ex caserma, depenalizzare alcune
fattispecie (immigrazione clandestina, droghe leggere, reati colposi, violazioni privacy, ecc.) , costruire nuove carceri.  Le ultime due si devono fare in ogni caso e rappresentano le uniche soluzioni “strutturali” al problema, che altrimenti è destinato a ripresentarsi ciclicamente e ad intervalli sempre più brevi.

L’amnistia e l’indulto – così come in altri campi i condoni, le sanatorie, ecc. – sono invece falsi rimedi che producono danni profondi nel tessuto sociale e civile del nostro Paese.

L’Italia non è solo un paese di santi, poeti e navigatori.  Molto più numerosi di questi sono gli evasori fiscali, i truffatori, i mafiosi/camorristi/ndranghetisti, gli autori di abusi edilizi, gli inquinatori, i violentatori, i rapinatori, i corrotti e i corruttori, i ladri, ecc. ecc. ecc.

L’Italia funziona male perché l’illegalità è diffusa, è capillare, non suscita spesso riprovazione, ma trova comprensione, spesso consenso, perfino ammirazione.

L’effetto dei provvedimenti collettivi di clemenza in un paese fatto così sono devastanti.

Il furbo si conferma nell’idea di essere davvero furbo; l’imputato si convince dell’opportunità di affrontare sempre e comunque tutti i gradi di giudizio nella speranza di giovarsi dell’amnistia che verrà; la polizia e la magistratura vedono frustrati sforzi enormi grazie ai quali hanno fatto funzionare una macchina farraginosa che pare costruita apposta per favorire i delinquenti; la vecchietta vede tornare davanti all’ufficio postale il guappo che poco tempo fa le ha scippato la pensione …

A me personalmente che l’amnistia possa giovare a Berlusconi interessa fino a un certo punto.  Quel che mi “frega”, caro Presidente Napolitano, è che produce guasti profondi all’Italia.  Produce un debito di civiltà, non meno opprimente del debito pubblico.

Come è possibile che anche le forze politiche della nostra area non se ne rendano conto ?