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martedì 8 marzo 2022

in origine la donna era veramente il sole (Laura Imai Messina)

Dalla pagina Facebook di Laura Imai Messina 
https://www.facebook.com/lauraimaimessina.writer

***

”In origine la donna era veramente il sole. Una persona autentica. Adesso la donna è luna. Luna dal volto deperito, di malata, brilla di luce altrui, da altri dipende la sua vita […]”
Hiratsuka Raichō

Ne scrissi tempo fa, di come nasce da una donna l’impero del Giappone. È la dea Amaterasu, è la luce senza la quale ”le pianure del sommo cielo e le terre immerse nelle pianure di giunco” cadono in rovina. Nessuno può prescindere da lei.

Non più allora un dio ma una dea, che domina il mondo e tutte le creature. Lei ha delicatezza e saggezza femminile, ma non per questo manca di forza e determinazione, frecce in spalla, piede scalpitante. 
Così, quando il fratello Susanowo con il suo comportamento oltraggioso la spaventa e lei si rifugia in una grotta, il mondo intero subisce una notte senza fine, malattie, un decadimento senza alternative. Tutte le creature della terra e gli altri dei si affollano fuori dalla grotta per convincerla a uscire, escogitano un modo per tirarla fuori e riportare così l’universo all’equilibrio. Sarà il riso, l’oscenità di un gioco che fa del corpo femminile un’esplosione di vita, a muovere la sua curiosità e a farle fare capolino dalla grotta. Questa sarà chiusa, il fratello Susanowo punito in modo esemplare e Amaterasu, “grande sovrana e sacra” tornerà a regnare. 

Così è narrato nel Kojiki, prima opera relativa alla storia giapponese che raccoglie racconti mitologici e di fondazione del paese.

Così, quando secoli più tardi, Hiratsuka Haru, in arte Hiratsuka Raichō (1886 – 1971), una delle figure più influenti del movimento femminista giapponese, dichiara come la donna in principio fosse il sole ma come essa fosse nel tempo divenuta invece luna, comprendiamo il significato profondo di quelle righe piene di passione. 

🌿Un augurio oggi a tutte le donne, affinchè ognuna cresca libera, libera di essere se stessa, libera di cambiare idea, libera di scegliere. E se a qualcuno viene la tentazione di dire che "è ormai ovvio", consiglio generosità e pazienza. Perchè ci sono ancora tante donne nel mondo che vedono nel loro essere nate tali una limitazione a quella stessa libertà.

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=509332480556044&id=100044378891289

sabato 28 giugno 2014

Due Colpi Di Pistola, Cento Anni Fa (lettura del saggio di E.Gentile sulla Grande Guerra)

Nel centenario della prima guerra mondiale può essere utile prendere in mano uno dei tanti saggi usciti in libreria per "celebrare" storicamente l'evento. E' un testo agevole e veloce da leggere, quello di Emilio Gentile, professore emerito di Roma LaSapienza (Due colpi di pistola, dieci milioni di morti, la fine del mondo, Storia illustrata della Grande Guerra, Ed. Laterza, pp.228+XII), e in questo senso è consigliabile per chi - come tanti di noi, immagino - non ha moltissimo tempo per studiare e approfondire su testi più corposi e densi. 

Il saggio di Gentile, a partire dall'utilizzo intelligente e ricco di immagini, rappresenta un'immersione in quello che può apparirci realmente come un altro mondo, ad uno sguardo disattento, ma che mentre scorriamo le pagine capiamo essere "nostro", rappresentare concretamente quelle "radici" del "secolo breve" che abbiamo vissuto in parte, e che ancora in realtà sembra condizionare il nostro cammino.

Mentre scrivo penso allo sguardo perso di una donna che tiene per mano un bambino, in una fotografia (n.22, pp.54-55) di profughi belgi ad Anversa, in fuga dall'occupazione tedesca. Noi oggi vediamo altri visi, altri popoli che fuggono; ieri eravamo noi; e forse lo siamo stati anche di recente (penso alla guerra in ex Jugoslavia); non ci rendiamo veramente più conto di quale sia stata la forza di chi ha costruito l'Europa unita per evitare che dovessimo andare spersi, con un sacco di biancheria e cose, come l'uomo con la bicicletta (chissà, forse il marito della donna?). E dietro altri e altre, tanti. Sempre troppi. 
L'avrei messo nella copertina, quel viso bello e disperato. Ma queste son cose di sentimenti, e le mettiamo - per ora - da parte. 

Per suggerire una traccia di lettura, possiamo partire dalla interessante e rapida descrizione dell'attentato all'arciduca Francesco Ferdinando (prologo, pp.3-8), indicativo comunque di quanto il "caso" (il fato, qualcuno direbbe) ha parte nella cosiddetta Grande Storia (Princip aveva rinunciato, in un primo momento, pensando ad un fallimento del complotto che aveva organizzato con i compagni dell'associazione nazionalista "Giovane Bosnia"; poi un fatale errore dell'autista dell'arciduca riporta l'attentatore al suo disegno). 

Ed è ben spiegata - anche se inevitabilmente poco approfondita, essendo un saggio divulgativo - la dinamica che porta un'Europa teoricamente già molto interconnessa ("La preservazione della pace, nella centenaria tradizione del "concerto europeo", appariva ancora possibile in un continente dove gli Stati (...) erano monarchie legate fra di loro da vincoli di parentela.", p.33) a scivolare in una guerra tragica e spaventosa; dinamiche anche difficili da comprendere; o meglio: il "ragionamento" di ogni singolo Stato viene ben spiegato da Gentile, ma - con quel "senno di poi" che ci oscura a volte la comprensione della storia - restiamo basiti a vedere come non si sia riusciti a "frenare", a tentare un'altra strada. Difficile giudicare, ma anche impossibile non giudicare.

E' importante notare - per tentare di comprendere - come la percezione della guerra fosse molto diversa da quella che abbiamo noi, che in qualche modo abbiamo "introiettato" proprio la durissima lezione di due guerre mondiali (e forse ora le abbiamo "rimosse", ma sarebbe un discorso lungo...): "C'era un altro motivo che fece accettare come inevitabile una guerra evitabile: la convinzione che la guerra fosse un fenomeno ricorrente nella vita dell'umanità.(...) In effetti, nonostante i propositi e le dichiarazioni a favore della pace, i governanti che diedero inizio al conflitto europeo condividevano una concezione etica della guerra, elaborata nel corso dell'Ottocento e largamente diffusa nella cultura, sia nei paesi democratici che nei paesi autoritari (...)" (p.37).

Capire questo nodo "etico" è fondamentale io credo, sia per comprendere, appunto, come si sia potuto andare verso il vuoto senza frenare. Ma anche - e forse soprattutto - per capire se anche noi stiamo percorrendo un sentiero simile, magari senza accorgercene (anche se è sempre un'illusione che la storia possa essere maestra di vita, forse sono anche altre le dinamiche che in ultimo governano gli uomini, animali cosiddetti "razionali"...).

Molto interessante, con lo sguardo rivolto anche all'oggi, è il richiamo del contrasto fra la concezione della guerra "classica", come primato della "virtù eroica" degli uomini che la combattevano, e l'impatto delle nuove armi e della potenza di nuove tecnologie di battaglia ("il primato spettava non alla potenza delle armi bensì alla forza del carattere dei combattenti, alla loro disciplina, alla loro energia morale, alla loro volontà e determinazione di distruggere il nemico", p.19). 

In questo senso la figura di Cadorna ci appare simbolica di un mondo che non capisce la sua fine, che non la vede; e per il quale perciò la sconfitta è inevitabile, nella resa dei conti con la realtà (pp.88 e ss; e poi pp.137 e ss. su Caporetto). Questa "distonia" forse dice qualcosa anche di noi? per esempio: forse c'è ancora la dialettica "guerra tecnologica"/"guerra d'onore" in un mondo di guerre asimmetriche, globalizzate ma al tempo stesso molto localistiche?

Nel sesto capitolo - "La nuova guerra", pp.91-115, Gentile esamina tutti gli aspetti che irrompono in un'Europa che si apre tragicamente al nuovo secolo, con nuove tecnologie belliche, appunto, ma anche - paradosso della modernità, che emancipa mentre distrugge - chiamando le donne in "prima linea" nel lavoro (pp.101 e ss, stupenda la foto 49 di p.102, raffigurante donne operaie in una fabbrica di armamenti): la società - come sempre? - viene costretta a "superare" i suoi valori mentre li declama nella retorica ufficiale ("Nello stesso tempo, tuttavia, la propaganda patriottica continuava ad esaltare l'immagine tradizionale della donna(...)", p.104).

La Grande Guerra è stata anche la prova generale di tutto quello che abbiamo visto nel XX secolo: la ricerca del nemico interno (pp.106-109, dove viene ricordato anche il genocidio armeno), la demonizzazione del nemico quasi come in una guerra di religione (pp.109-115); il fenomeno della militarizzazione della politica, che è fondamento per il fascismo venturo: "Ciò che caratterizzò queste aggregazioni paramilitari nazionaliste fu l'adozione del cameratismo delle trincee come esperienza vissuta di una nuova identità comunitaria, assunta a modello di una coesione nazionale, fondata sul mito della Grande Guerra come fattore di rigenerazione della politica e della società" (p.185).

E infine, anche la cessazione delle ostilità, come il loro inizio, sembra arrivare inaspettata ("La fine imprevista" è il titolo del capitolo dedicato alle fasi ultime del conflitto, pp.149-156).

Si riemerge perciò dalla lettura di questo libro con più interrogativi di quanti si avevano in principio; si è intimoriti dal fatto che un continente che celebrava la prosperità si sia "suicidato" in una avventura senza ritorno: perché è avvenuto? possiamo rispondere? 

Dovremmo rispondere, in teoria; ma non riusciamo totalmente. 

Nella conclusione di questo bel saggio (che forse ha l'unico limite di non avere un apparato di note che potrebbe aiutare, in alcuni punti), Gentile  riporta le considerazioni di John Keegan, a cui lascio idealmente la parola per chiudere, perché ci dicono un po' di questo senso di smarrimento, di fronte a tanto orrore, mischiato - nel fango - a tanto coraggio:

"(...) "tutta la prima guerra mondiale è misteriosa. Sono misteriose sia le sue origini che il suo svolgimento"(...) "Come riuscirono milioni di anonimi, miserabili senza distinzione, uniformemente privati di qualsiasi briciolo di gloria che rende tradizionalmente tollerabile la vita di un uomo sotto le armi, a trovare la determinazione per sostenere la lotta e credere nei suoi scopi? Che lo fecero è una delle verità inconfutabili della grande guerra.(...) Uomini che la trincea avvicinò fino alla massima intimità arrivarono a legami di mutua dipendenza e di sacrificio di sé, più forti che in qualsiasi amicizia nel tempo di pace o di periodi più fortunati. Questo è l'ultimo mistero della prima guerra mondiale. Se riusciamo a capire il suo amore, insieme al suo odio, saremo più vicini alla comprensione del mistero della vita umana" (...)" (pp.217-218)

venerdì 17 gennaio 2014

Vendere Lingerie A Riyadh (ThePostInternazionale)

Attualmente, in Arabia Saudita vivono più di 27 milioni di persone, di cui il 52 per cento sono donne che vivono sotto tutela. Non possono nemmeno studiare se non hanno il consenso dei “mahrams” (padri, fratelli o parenti uomini che hanno il compito di vigilare sulle donne): la sharia, la legge islamica che ispira la giurisprudenza, impone alle donne la segregazione in casa. Molte famiglie ritengono inopportuna l'emancipazione delle donne e non permettono loro di lavorare. Da quelle parti, la grande paura è quella dell’ “ikhtilat”: la mescolanza dei sessi in pubblico.
Di prassi, la vita delle donne saudite è divisa da quella degli uomini: scuole, cure mediche e persino le file nelle banche sono rigorosamente separate. Il risultato di questa convenzione sociale è l'inettitudine delle donne alle interazioni con gli estranei, soprattutto se uomini.
Così, per avviare il processo di “femminilizzazione” della società saudita, le donne hanno avuto bisogno di frequentare dei corsi per abituarsi ai più semplici contatti. Hanno dovuto apprendere persino come sorridere: sorriso ampio alle donne, discreto agli uomini.(...)
Il processo di “femminilizzazione” della società saudita è partito da una serie di proteste di donne stanche dell'imbarazzo di comprare oggetti così legati alla sfera intima da commessi uomini poco sensibili e a volte scortesi. Così, mentre altrove fiorivano le rivoluzioni arabe, nel giugno 2011 il re Abdullah firmò una legge ad hoc. Da quel momento l'intimo, i trucchi e gli abiti da donna potevano esser venduti solo da commesse donne.
Da subito questo cambiamento è stato giudicato un «crimine» dalla somma autorità religiosa saudita, il Gran Mufti Abdul Aziz Aal ash-Shaikh. Lo scorso settembre, il ministro del lavoro saudita Adel Fakeih ha accusato l'Haia, la polizia religiosa incaricata di vigilare sull'attuazione della sharia, di non rispettare quanto stabilito dalla legge sulla “femminilizzazione”.(...)
(...) Con quanto previsto dal decreto sulla “femminilizzazione”, nonostante le difficoltà, molte donne hanno potuto sentirsi più libere. Anche tra le mura domestiche. Molte hanno raccontato di esser trattate meglio dai mariti e, spesso, durante le litiquotidiane, l'indipendenza economica è stata un'arma che le ha aiutate a rivendicare i propri diritti.

domenica 22 dicembre 2013

Il Pericoloso Passo Indietro della Spagna

Era forse inevitabile che la crisi economica trascinasse nella sua spirale, oltre ai diritti sociali (cosa amara, ma in qualche modo comprensibile, in quanto diritti necessariamente "economici"), anche i diritti civili dati come acquisiti. 

La scelta della Spagna - che in un certo senso aveva modernizzato quasi "in eccesso", con la politica di Zapatero che segnava un'avanguardia (forse poco elaborata e condivisa) su questo fronte - di tornare indietro su un tema come l'aborto segna un passaggio pericoloso, per vari motivi che provo a spiegare.

1. Sul merito della questione giova ripetere quanto già detto e documentato migliaia di volte, da più parti: restringere le condizioni dell'aborto legale non servirà a diminuire realmente l'entità del fenomeno e sposterà nella clandestinità l'interruzione di gravidanza. Ci sono fenomeni che attengono alla sfera privata della vita delle persone che non possono essere regolati con troppa severità o minuziosità dallo Stato. Sono materie che è inevitabile lasciare all'autonomia delle persone. 

Non si discute del fatto che l'aborto sia un dramma; e può essere tristemente vero che rendere praticabile l'aborto legalmente rischi di renderlo "più facile" anche per persone inconsapevoli, o in casi che potrebbero essere gestiti diversamente.

Ma non c'è scelta, ed è forse questo che sembra non accettabile, per alcuni: bisogna fidarsi delle donne. L'alternativa è secca e pericolosa, ed è appunto la clandestinità e l'ipocrisia: il valore declamato nella legge, ma rischiosamente (per la salute e la vita delle donne, soprattutto) contraddetto nella pratica silenziosa e sotterranea.

2. Quanto più la politica sembra incapace di regolare le questioni economiche, tanto più si cerca di retrocedere (o avanzare, anche) sul piano di questioni cosiddette "etiche"; quasi a voler rimarcare una "sovranità perduta", lo Stato tenta di regolare la società anche in campi in cui il regolamento rischia di essere più dannoso che positivo

Questo può accadere, in teoria, anche con scelte "progressiste": la sinistra spesso dà l'impressione di maneggiare queste tematiche "a surroga" di una perduta capacità della propria parte di incidere sulle questioni sociali.

Beninteso: le questioni civili hanno una ricaduta, e forte, anche sullo status economico e sociale delle persone, naturalmente. Quindi sulla loro effettiva eguaglianza e libertà. E anche in questo senso il passo indietro della Spagna sembra pericoloso, perché di fatto rende la donna meno libera.

Ciò detto, vale la pena soffermarsi sul fenomeno più generale, e che la svolta della Spagna sembra confermare: una politica impotente nei fatti crudi dell'economia non cerca nuove soluzioni, ma "alza la voce" - e la spada del diritto - su questioni che - in ultimo - non potrà mai pienamente controllare, rendendo banalmente più difficile - e più sofferente - la vita ai cittadini.

3. Rischio "imitazione". L'Italia non è la Spagna, e il lungo processo che ha portato alla legge 194 forse ha creato un buon sostrato culturale, in grado di "assorbire" la tentazione di "revanscismo" su questo fronte. Ma anche in questo caso, una retorica mal dosata - e mal pensata - di "rientriamo nei ranghi" rivolto alle scelte di progresso degli anni '70 (magari collegandole impropriamente a altre scelte non sempre felici di quegli anni) - può essere una pericolosa arma di seduzione per una politica troppo incline agli slogan.

"It's the Economy, stupid", era lo slogan degli anni di Clinton. Prima la politica tornerà a guardare - con concretezza ed umiltà - a ciò che è possibile e realizzabile in quel campo, meno toccheremo con inefficaci regole le vite delle persone; solo così daremo ai cittadini i mezzi per decidere - da soli - della loro vita (e della loro morte) e di come trovare la loro felicità.

domenica 15 dicembre 2013

La Morte di Giuliana Dal Pozzo

(...) Poi l'intuizione nel 1988 del Telefono Rosa, un'associazione di volontarie per le donne vittime della violenza tra le pareti domestiche e sui luoghi di lavoro. Sull'argomento pubblicò anche un libro, Così fragile, così violento (Editori Riuniti) in cui la violenza degli uomini veniva raccontata dalle donne. Era allora, più di oggi, una violenza 'sommersa', di cui non si trovava traccia nei verbali degli operatori sanitari o delle forze dell'ordine. C'erano in una stanza cinque volontarie con un quaderno e una penna ad alternarsi nell'ascolto di donne che chiamavano chiedendo aiuto da tutta Italia. Nasceva così una nuova forma di servizio sociale, prima ancora di promuovere convegni, iniziative, campagne di comunicazione dove oggi lavorano decine di volontarie, avvocate penaliste e civiliste, psicologhe, mediatrici culturali di diversa nazionalità.(...)

giovedì 8 agosto 2013

Contro La Violenza Di Genere - Le Decisioni Del Governo

(...) Lo Stato si schiera senza se e senza ma a favore delle vittime di violenza domestica. «Una lotta senza quartiere», come l’ha definita il premier Enrico Letta che si è detto «orgoglioso» degli interventi decisi dal governo per «dare un chiarissimo segnale di contrasto» al triste fenomeno del femminicidio. Tra le altre novità previste, continua Alfano: «Viene data alle Forze di Polizia la possibilità di buttare fuori da casa con urgenza il coniuge molesto che genera violenza», e sarà possibile con «un’azione preventiva chiesta dal magistrato e disposta dal questore». Se c’è quindi «il rischio che da quelle minacce, da quei atti molesti possa derivare un pericolo di vita o di integrità fisica, si può intervenire subito con un’azione preventiva. Viene impedito a chi opera violenza nei luoghi domestici anche di avvicinarsi alla casa o ai luoghi di residenza». Importante la norma che prevede l’arresto obbligatorio in flagranza per i delitti di maltrattamento contro familiari per lo stalking come la corsia preferenziale nei Tribunali per combattere questi crimini e «il gratuito patrocinio per la vittima, a prescindere dal suo reddito». (...)


Aggredite Con L'Acido A Zanzibar (Corriere della Sera)

Sono volontarie, e non turiste, le due giovani cittadine britanniche attaccate a Zanzibar da ignoti assalitori, che hanno gettato loro acido sul volto per sfregiarle: lo ha precisato un portavoce della polizia dell'arcipelago africano, Mkadam Khamis, secondo cui è in corso una «caccia all'uomo» per catturare gli aggressori.
NON IN PERICOLO DI VITA- Le vittime, entrambe diciottenni, lavorano come operatrici umanitarie per un ente assistenziale. Sono state avvicinate mentre camminavano per strada a Stone Town, il centro storico dell'omonima capitale, da due individui a bordo di un ciclomotore che le hanno colpite anche al torace e alle mani. Pur non essendo state giudicate dai medici tali da poterne mettere in pericolo la vita, l'entità delle lesioni ha fatto sì che le due donne siano state immediatamente trasferite a Dar-es-Salaam, ex capitale e città principale della Tanzania di cui l'isola fa parte, per le cure del caso.(...)

giovedì 20 dicembre 2012

Quote rosa: c'è un modo diverso per favorire la diversità (da Istituto Bruno Leoni)


(...) Nel briefing paper “Quote di genere: una scelta di merito Considerazioni e proposte alternative” (PDF), Vitalba Azzollini esamina l’inopportunità di questa soluzione legislativa non solo perché essa valorizza un criterio quantitativo rispetto a quelli qualitativi; ma anche perché, al posto di una soluzione legislativa, si sarebbe potuta percorrere la via dell’autoregolamentazione, contemperando in maniera più adeguata l’autonomia organizzativa delle imprese con la sensibilizzazione all’inserimento delle donne nel mondo del lavoro.
“Il quadro sopra delineato - scrive l’autrice - tende a dimostrare come una scelta in senso diverso da quella dell’imposizione coattiva di una riserva di genere, volta a valorizzare mediante un’adesione spontanea e discrezionale, ma nel contempo assistita da un sistema sanzionatorio, ogni tipo di diversità (quindi non solo quella femminile) per l’esperienza in grado di apportare all’impresa, e non solo ai vertici ma anche alla base e nelle posizioni intermedie, là dove si trovano le fasce più “deboli” di lavoratrici, avrebbe ben potuto costituire una strada percorribile, evitando il prodursi di rigidità che si frappongono a una più efficiente gestione aziendale nel perseguimento di obiettivi di bene comune.”(...)


martedì 4 dicembre 2012

Donne Che Vogliono Combattere In Prima Linea


Ho già scritto in passato su come sia problematica - dal mio punto di vista - l'idea (e la realtà) di donne che combattono in prima linea in guerra. E' un dilemma non facile, e capisco che le donne che vogliono dare il loro contributo alla sicurezza nazionale possano sentire come intollerabile un limite legato alla differenza di genere. 

Eppure, come appunto già scrivevo, mi riesce difficile pensare a una così piena parità da includere anche la violenza come fattore da "parificare", da mettere nella bilancia del confronto uomini-donne. 

E' un passaggio che forse necessiterebbe di una riflessione più approfondita. Anche se - comunque meglio precisarlo - la libertà personale di ogni donna di decidere come gestire la propria vita rimane indiscutibile. 

Eppure questo è un problema che ha comunque una ricaduta su di noi, su come vediamo anche il rapporto uomo-donna, non solo nella guerra. 
Non sottovalutiamo il dilemma.

Francesco Maria Mariotti

La scorsa settimana quattro soldatesse americane hanno incaricato l’ACLU (American Civil Liberties Union), un’organizzazione non governativa a difesa dei diritti civili e delle libertà individuali negli Stati Uniti, di depositare una causa alla Corte Federale di San Francisco contro il Pentagono. Le soldatesse chiedono una cosa apparentemente ovvia: poter combattere per l’esercito di cui fanno parte. La Difesa degli Stati Uniti impone infatti delle restrizioni nei confronti delle donne nell’esercito, alle quali è vietata l’azione diretta sul campo.
Il maggiore Mary Jennings Hegar, una delle quattro soldatesse ad aver promosso la causa, era in missione in Afghanistan quando il veicolo sul quale viaggiava, che trasportava dei militari feriti, fu attaccato. Nonostante fosse stata colpita da un proiettile portò a termine la missione e per questo motivo guadagnò la Purple Heart, la medaglia che viene conferita ai militari americani che si sono distinti in battaglia. Ma in realtà Hegar, che è stata in Afghanistan tre volte, in quel momento non era ufficialmente impiegata in un’operazione militare sul campo. Molte operazioni infatti, pur non essendo tecnicamente sul campo, comportano rischi per i militari. Per questo motivo le quattro soldatesse ritengono che le restrizioni imposte dalla Difesa statunitense siano incostituzionali, anche perché, dato che le donne costituiscono il 14 per cento di tutti i soldati americani attivi (un milione e 400 mila), viene di fatto vietato loro l’accesso a 238 mila professioni e la possibilità di ricoprire posizioni di rilievo e ottenere promozioni. 
Leggi anche:

mercoledì 7 novembre 2012

"Non è stato un incidente" - Tammy Duckworth (Linkiesta)


«Non è stato un incidente, non c’è stata nessuna casualità, un incidente è quando due macchine si scontrano per errore: io invece sono stata abbattuta, tirata giù, sono stata colpita da un razzo. Ho solo pensato che non potevo permettere a un ribelle iracheno, che aveva avuto il suo giorno fortunato, di decidere anche del resto della mia vita. Si era già preso le mie gambe non poteva prendersi anche la possibilità che io tornassi a camminare, volare o ridere. Quel potere non potevo lasciarlo a lui, lo volevo io, e così un giorno alla volta ho riconquistato la mia esistenza. C’erano mattine che non volevo alzarmi dal letto, in cui avevo paura, in cui stavo molto male, ma ho sempre trovato qualcuno che mi diceva – Tammy, muovi il culo, è ora di alzarsi».

La democratica Tammy Duckworth stavolta ce l'ha fatta. Sconfitta nel 2006 da un avvocato repubblicano che la definì “poco patriottica”, la quarantaquattrenne veterana di guerra che ha perso entrambe le gambe nel 2004 pilotando un elicottero Black Hawk di ritorno da Baghdad, ha vinto in Illinois contro il repubblicano Joe Walsh (che invece l'ha accusata di non essere un vero eroe di guerra perché gli eroi non fanno vanto della loro condizione).

È la prima donna veterana di guerra a entrare al Congresso. Quattro anni fa, a poche settimane dalla storica elezione di Obama, la Duckworth era stata immortalata in una foto del “New York Times”, in un dolente abbraccio col Presidente in occasione delle celebrazioni del Veteran day. Oggi però è un giorno di festa, che si aggiunge a una data particolare e ravvicinata: il suo Life Day, che dal 2008 cade il 12 novembre, «faccio un party perché sono ancora viva. Il destino di un pilota di elicotteri che viene colpito è morire bruciato». La storia del tenente colonnello Tammy Duckworth, nata in Thailandia nel 1968 da una ragazza di origine cinese e un marine americano, è stata raccontata da Mario Calabresi nel suo libro “La fortuna non esiste” (Mondadori 2009).

martedì 28 agosto 2012

La primavera araba non giova alle donne (laStampa)

Non sempre il progresso giova alle donne. La Tunisia ne ha offerto da poco un infelice esempio. Grazie al Codice del 1956 e a successive riforme, rappresentava un ammirato precursore dell’emancipazione femminile tra i Paesi arabi. E il nuovo corso tunisino è stato considerato il più assennato tra quelli scaturiti dalla Primavera araba. I risultati elettorali del 2011 non hanno premiato i partiti laici moderati, ma i rischi di chiusure islamiste parevano evitabili. Purtroppo la Commissione «Diritti e libertà» dell’Assembla Costituente tunisina, in disinvolta contraddizione con il proprio titolo, ha approvato un nuovo articolo 28 che retrocede le donne. Afferma infatti: «Lo Stato assicura la protezione dei diritti della donna», un’affermazione positiva solo all’apparenza; secondo Roberta Aluffi, studiosa di diritto delle religioni, si tratta di una rischiosa espressione islamista perché implica specifici diritti femminili (il dono matrimoniale e il mantenimento), cui potrebbero fare da pendant pesanti diritti maschili (il ripudio e l’obbedienza delle donne di famiglia). L’articolo 28, inoltre, vuole la donna «associata» o «complementare» all’uomo non solo nella sfera familiare, ma anche nella «edificazione della Patria»; quindi, a differenza di quanto normalmente teorizzato da pensatori islamisti, in Tunisia il paternalismo potrebbe toccare anche la sfera pubblica (...)

domenica 10 giugno 2012

Interventi di Anna Maria Tarantola

Per conoscere meglio Anna Maria Tarantola, nuova Presidente della Rai - scelta con un'ottima decisione da Mario Monti - vi invito a leggere alcuni suoi interventi come Vice Direttore Generale della Banca d'Italia


Francesco Maria Mariotti


(...) Un quadro così variegato, insieme con le disuguaglianze territoriali, suggerisce che la causa della bassa partecipazione delle donne all’economia non sia una sola. L’abbiamo visto nel corso di questa giornata. Tassazione, istituzioni, fattori culturali e organizzativi possono influire sull’ingresso e sulla permanenza delle donne nel mercato del lavoro. La difficoltà di delegare le attività domestiche e di cura per la scarsa offerta di servizi e l’atavico squilibrio dei carichi familiari sono altri fattori che possono spiegare il divario di partecipazione rispetto agli altri paesi avanzati.
Da questa molteplicità di motivazioni discende che non vi possa essere una sola ricetta: nessuna azione, se condotta in modo isolato, può essere considerata risolutiva. È necessario un approccio integrato al problema, che chiama in causa non solo tutti coloro che hanno responsabilità di governo, nei vari livelli, ma anche chi contribuisce al formarsi della cultura e delle opinioni – i mass media, le stesse famiglie - e le imprese, la cui organizzazione e le cui politiche interne possono svolgere un ruolo significativo nel favorire la partecipazione delle donne e la loro valorizzazione.(...)

lunedì 9 aprile 2012

Corri, bambina, corri... (Miriam Mafai)

Rivedendo alcuni articoli di Miriam Mafai, ho riletto questa breve dichiarazione - rilasciata per l'8 marzo del 2011 - che mi sembra rifletta tutta la persona come conosciuta da chi la leggeva. Di seguito anche una breve biografia.

FMM

Corri, bambina, corri..., tu che hai buona la testa, le gambe e il cuore. Corri senza rallentare davanti agli ostacoli, alla stanchezza, alla nostalgia (che pure talvolta ti coglie) del tempo della lentezza e della protezione. Corri per arrivare dove avevi deciso, per soddisfare il tuo sogno e la tua ambizione. La modestia, la rinuncia alle proprie ambizioni, se pure riuscirono, segretamente, a nutrirle, fu il connotato delle donne delle generazioni che ti hanno preceduto, donne educate alla modestia e alla rassegnazione, a mettersi al servizio dell'ambizione del maschio della famiglia, fosse il marito, il fratello, il figlio. Tu sei diversa, tu hai deciso di arrivare dove ti sei proposta. Tra le donne che oggi hanno successo, molte portano nomi illustri. Hanno successo, dunque, per diritto ereditario. Tu non hai un nome illustre, né una famiglia importante alle spalle, ma hai buona la testa, le gambe e il cuore. E hai diritto a correre, e ad arrivare prima se la corsa non sarà truccata. Noi, della generazione che è venuta prima di te, una generazione che si è impegnata nella corsa, che spesso ha vinto, che più spesso ha perso, ti daremo una mano, se ce la chiederai. Ma tu devi sapere che hai diritto a una corsa non truccata, che hai diritto al successo.

Come donne «nessuno ci ha regalato niente», ha detto una volta Miriam Mafai e forse è la frase che più si addice per ricordare meglio il temperamento di questa giornalista, e scrittrice, di vaglia, scomparsa oggi a Roma, che ha raccontato, dalle colonne di vari giornali (dall’Unità a Paese Sera, a Noi donne, a Repubblica), l’Italia degli ultimi 60 anni. Lo ha fatto partendo da idee di sinistra, ma senza mai risparmiare le critiche quando la sua parte politica sbagliava o era in ritardo nell’analisi dei cambiamenti della società.

Figlia di due pittori e intellettuali, Mario Mafai - esponente di spicco della Scuola Romana, e Antonietta Raphael - Miriam era nata a Firenze il 2 febbraio del 1926: in tempo per vedere il fascismo, l’Italia in guerra e le leggi razziali che avevano riguardato anche la sua famiglia, visto che la madre era ebrea e figlia di un rabbino lituano. Radici che Miriam ha sempre rivendicato con orgoglio come sue.
Una breve biografia di Miriam Mafai

giovedì 8 marzo 2012

L'8 Marzo delle Donne Soldato


«L’8 marzo? Un giorno come tutti gli altri». Il capitano dell'Aeronautica Chiara Aldi si stupisce anche della domanda. Per i militari italiani impegnati in Afghanistan un giorno vale l’altro. E poco importa se sotto la divisa c'è un uomo o una donna. Ad Herat sono circa 150, in gran parte con incarichi operativi come i loro colleghi maschi. Comandano plotoni, pilotano elicotteri da combattimento, sono fucilieri oppure genieri impegnati nella delicata opera di sminamento degli esplosivi, ma anche medici, infermiere, psicologhe. E tra le donne soldato si scelgono anche le componenti del FET (Female Engagement Team) col compito di relazionarsi con le donne afghane al fine di migliorarne la loro condizione.
MOGLI E MAMME - Stando al loro racconto si può essere donne impegnate su un fronte ad alto rischio senza rinunciare a nulla, dell’essere allo stesso tempo soldato e donna. «Siamo militari – spiegano- ma restiamo pur sempre delle donne. Alla fine non c’è alcuna differenza con i colleghi uomini». E il capitano Aldi è riuscita a conciliare il suo lavoro anche col ruolo di moglie e mamma. E' sposata e ha una bambina di tre anni che quando è in missione all’estero riesce a vedere solo la sera grazie a Skype. Difficile? «Il problema del distacco lo subiscono le mamme come i papà. Noi italiani non siamo molto abituati a un genitore che lascia per lunghi periodi i figli, ma in altri paesi questo avviene regolarmente da anni. Non c’è alcuna differenza: l’attaccamento ad una figlio non dipende né dal sesso né dalla distanza». (...) Donne Soldato - 8 marzo, un giorno come altri 

(...) Da quando, dodici anni fa, le prime donne entrarono a far parte delle Forze Armate, di strada ne è stata fatta tanta. A confermarlo è proprio il loro impiego  in tutti gli ambiti che vedono impegnati i colleghi uomini, sia nelle missioni internazionali sia in Patria. Attualmente il personale femminile di Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri, tra Ufficiali, Sottufficiali e Volontarie, supera quota 11.770 unità (quasi il 4% del totale dell’organico). La presenza più corposa si registra nell’Esercito, dove le donne rappresentano il 7% della consistenza della Forza Armata. Una percentuale che si attesta al 4,3% nella Marina, al 2% nell’Aeronautica e all’1,3% nell’Arma dei Carabinieri. Numeri a parte, tanto è cambiato da quando, nel  2000, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adottò la Risoluzione 1325 su 'Donne, Pace e Sicurezza' che, per la prima volta, riconosceva la specificità del ruolo e dell'esperienza delle donne in materia di prevenzione e risoluzione dei conflitti. In sintesi, la conferma che le donne militari rappresentano un valore aggiunto per la Difesa (...)

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sabato 18 febbraio 2012

Prediche inutili


Il governo continui nella sua ottima azione di risanamento e di riforma del paese; per tutto il Paese - uomini e donne - c'è bisogno di creare le condizioni per la crescita, comprendendo in questo rimuovere tutti gli ostacoli che limitano di fatto l'eguaglianza, come da dettato costituzionale.

Le donne italiane non hanno bisogno di un governo che le protegga dalla brutta tv: sono professioniste, studentesse, politiche molto capaci e raggiungono spesso traguardi importanti, anche senza "quote" o "protezioni" aggiuntive (che rischiano sempre di creare condizioni di "concorrenza sleale").

(Certo, al contrario di quanto dicono alcune, non hanno inventato - perché non può esistere, in realtà - una "grammatica di genere" diversa da quella maschile, sul potere, sull'economia e sulle istituzioni). 

I cittadini  e le cittadine decideranno da soli nelle loro case cosa fare nel tempo libero, non è affare del governo.

I Ministri facciano il loro lavoro, che non è predicare dal pulpito.

Francesco Maria Mariotti

ps: eventualmente fra i compiti di questo governo c'è quello  - urgente - di riformare la RAI, ma questo è un altro discorso....

venerdì 25 novembre 2011

Chloe e le ragazzine sfruttate dalle gang criminali (dal Corriere della Sera)

Chloe e le ragazzine sfruttate dalle gang criminali

A sedici anni Chloe si è buttata giù da un ponte, decisa a morire per sfuggire al suo aguzzino: un giovane pakistano che l’aveva stuprata e costretta alla prostituzione. La ragazzina, che vive a Leeds in Gran Bretagna, aveva provato a chiedere aiuto alla scuola e alla polizia ma nessuno l’aveva ascoltata. La sua storia è finita l’altro giorno sulla prima pagina del Times per denunciare la crescente presenza di bande criminali di asiatici, prevalentemente di origine pakistana, che vanno a caccia di ragazzine per venderle al miglior offerente. L’allarme è tale che il governo ha deciso di varare un piano d’azione a livello nazionale per arginare il fenomeno. (...)


http://lepersoneeladignita.corriere.it/

venerdì 28 ottobre 2011

Donne In Guerra


(...) «Dobbiamo perquisire le donne sotto i burqa, entrare nelle case e nelle camere dove si trovano per cercare nascondigli di armi, e interrogarle per ottenere informazioni sui taleban». Poiché in Afghanistan il 71 per cento della popolazione è composto da donne e bambini, ciò significa che le due donne commando assegnate a ogni unità delle truppe speciali partecipano a pieno titolo ad azioni e perquisizioni, affrontandone i rischi conseguenti. Ashley White faceva parte del secondo gruppo di donne combattenti ed era stata assegnata a un «Support Team» di due donne aggregato a un’unità di 12 Rangers. Sabato notte era appena entrata in un villaggio nei pressi di Kandahar quando l’esplosione di un ordigno-trappola lasciato dai taleban l’ha uccisa, assieme a due compagni. (...) Maurizio Molinari racconta della prima donna soldato Usa morta in combattimento, in Afghanistan


Per quanto si possa declinare pienamente la parità uomo - donna, il limite della guerra risulta in qualche modo insuperabile, difficile da accettare in tutto e per tutto. Anche se forse è sbagliato, poiché è forte - e violenta - la donna come l'uomo, e non dobbiamo rimuovere questo aspetto, anche se può andare in conflitto con le nostre visioni. 


Eppure, diciamo così, fa effetto, scusate l'espressione semplice. 
Come può essere bello vedere la donna in divisa, tenere insieme forza, eleganza, anche sensualità, tanto può essere orribile pensarla distrutta da una bomba, violentata da un nemico, sfregiata nella sua femminilità. La differenza con l'uomo c'è, mi pare impossibile negarlo.


Nessuna nostalgia di separazioni, ma quasi un monito, un segnale, un po' imperscrutabile. 
O forse nettissimo: ormai non c'è più limite. Forse non c'è mai stato, e semplicemente oggi lo si vede in maniera dannatamente più chiara, e non possiamo più nasconderci nelle forme della separatezza per poter custodire la grazia femminile. 


Che c'è, però, ed è distinta, è cosa "altra" dallo stile maschile, ed è cosa "altra" forse anche dalla donna che la incarna. 
E' segno del divino, da sempre.


Onore al soldato Ashley White, morta combattendo.