Visualizzazione post con etichetta eguaglianza. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta eguaglianza. Mostra tutti i post

martedì 8 marzo 2022

in origine la donna era veramente il sole (Laura Imai Messina)

Dalla pagina Facebook di Laura Imai Messina 
https://www.facebook.com/lauraimaimessina.writer

***

”In origine la donna era veramente il sole. Una persona autentica. Adesso la donna è luna. Luna dal volto deperito, di malata, brilla di luce altrui, da altri dipende la sua vita […]”
Hiratsuka Raichō

Ne scrissi tempo fa, di come nasce da una donna l’impero del Giappone. È la dea Amaterasu, è la luce senza la quale ”le pianure del sommo cielo e le terre immerse nelle pianure di giunco” cadono in rovina. Nessuno può prescindere da lei.

Non più allora un dio ma una dea, che domina il mondo e tutte le creature. Lei ha delicatezza e saggezza femminile, ma non per questo manca di forza e determinazione, frecce in spalla, piede scalpitante. 
Così, quando il fratello Susanowo con il suo comportamento oltraggioso la spaventa e lei si rifugia in una grotta, il mondo intero subisce una notte senza fine, malattie, un decadimento senza alternative. Tutte le creature della terra e gli altri dei si affollano fuori dalla grotta per convincerla a uscire, escogitano un modo per tirarla fuori e riportare così l’universo all’equilibrio. Sarà il riso, l’oscenità di un gioco che fa del corpo femminile un’esplosione di vita, a muovere la sua curiosità e a farle fare capolino dalla grotta. Questa sarà chiusa, il fratello Susanowo punito in modo esemplare e Amaterasu, “grande sovrana e sacra” tornerà a regnare. 

Così è narrato nel Kojiki, prima opera relativa alla storia giapponese che raccoglie racconti mitologici e di fondazione del paese.

Così, quando secoli più tardi, Hiratsuka Haru, in arte Hiratsuka Raichō (1886 – 1971), una delle figure più influenti del movimento femminista giapponese, dichiara come la donna in principio fosse il sole ma come essa fosse nel tempo divenuta invece luna, comprendiamo il significato profondo di quelle righe piene di passione. 

🌿Un augurio oggi a tutte le donne, affinchè ognuna cresca libera, libera di essere se stessa, libera di cambiare idea, libera di scegliere. E se a qualcuno viene la tentazione di dire che "è ormai ovvio", consiglio generosità e pazienza. Perchè ci sono ancora tante donne nel mondo che vedono nel loro essere nate tali una limitazione a quella stessa libertà.

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=509332480556044&id=100044378891289

martedì 7 ottobre 2014

Diritti Di "Famiglie" Tra Legge e Coscienza: Un Primo Passo Da Fare, Una Riflessione Da Proseguire

Premessa

Comunque la si pensi sulla questione omosessualità, matrimonio omosessuale, genitorialità "allargata" (non solo omosessuale), in Italia c'è libertà di pensiero e di manifestazione, e dunque le Sentinelle In Piedi devono poter manifestare senza problemi. Fare delle contromanifestazioni è naturalmente teoricamente possibile (purché pacifiche), anche se a mio avviso denota più debolezza che non forza dei contromanifestanti; purtroppo però in Italia manifestare e contromanifestare sono stati più il primo passo verso qualcosa di orribile, che non "sana competizione democratica"​; per questo non mi piacciono né le manifestazioni delle Sentinelle (in cui mi pare ci sia un eccesso di preoccupazione per alcuni possibili cambiamenti normativi) né le contromanifestazioni, tanto più se si arriva a estremi poco consoni a un dibattito democratico.

Parte 1: Un Primo Passo Da Fare
Comunque, al di là delle manifestazioni: io credo che a livello politico e giuridico sia necessario legiferare almeno sul riconoscimento delle unioni gay, perché due persone dello stesso sesso che condividano un percorso di vita devono poterlo fare senza impedimenti particolari o ipocrisie: se un uomo è la persona più importante per un altro uomo (o una donna per una donna), deve poter essere riconosciuto come tale in quelle situazioni in cui la presenza del compagno/a è necessaria (in ospedale, in carcere, qualsivoglia altra situazione).

Per questo mi pare che la proposta che fece quasi un paio di anni fa l'avvocato Carlo Rimini, docente alla Statale di Milano, sia ancora attuale e meritevole di considerazione, almeno per cominciare a fare un primo passo non più procrastinabile. Rimini propose infatti (la Stampa del 27/12/2012)  l'approvazione del seguente unico articolo di legge: "Il matrimonio può essere celebrato solo fra persone di sesso diverso. Due persone dello stesso sesso possono contrarre una unione civile. Le condizioni necessarie per contrarre una unione civile sono le medesime indicate dalla legge per il matrimonio. Le persone che hanno celebrato una unione civile hanno gli stessi diritti e i medesimi doveri che derivano dal matrimonio. Alle persone che hanno contratto una unione civile non si applicano le norme relative all'adozione di minorenni".

Con tale approvazione si risolverebbero diversi problemi (pur dovendo precisare - mi pare - come venga "celebrata" l'unione, in termini di "ritualità giuridica"): la proposta ha infatti il merito di segnare un minimo comune denominatore su cui si potrebbe trovare d'accordo anche chi per motivi di fede o filosofici non accetti la piena equiparazione dell'affetto omosessuale rispetto a quello eterosessuale.
Viene però "messo da parte" il problema dell'adozione, ancora troppo divisivo. Su questi temi la riflessione è da proseguire, tentando però di non costruire steccati o costringere le persone a una falsa scelta fra "modernizzatori superlaici" e "omofobi/bigotti".

Io ho svariati dubbi a proposito, e voglio provare a condividerli, perché spero siano uno stimolo alla riflessione, e magari un aiuto a dibattere. Tali dubbi pertengono più al tipo di "retoriche messe in campo" e che a volte capita di dover ascoltare/leggere, e non necessariamente impediscono di valutare positivamente una eventuale deliberazione legislativa, che ha una "ratio" autonoma. 

Parte 2: Una Riflessione da Proseguire
Vediamo se mi riesce di spiegare meglio, andando per punti (naturalmente le opinioni che esprimo sono solo mie, l'eventuale utilizzo di citazioni a supporto non significa coinvolgere gli autori delle citazioni nelle mie convinzioni):

1. quasi a premessa (e un po' mi ripeto): la legge non è una indicazione morale; serve anche a (principalmente a?) regolare rapporti giuridici, spesso "vestendo" di "forma giuridica" rapporti che già si danno nella società (che ha una vita autonoma rispetto allo Stato). Una legge sulle unioni omosessuali ricade in questo ambito, e in questo senso non credo si possano fare obiezioni di altro tipo. Prima ancora che "giusta" o "sbagliata", una legge di questo tipo - lo si diceva poc'anzi - è necessaria per regolare situazioni di fatto già esistenti, tutelare i soggetti più deboli di una coppia, tutelare questi affetti rispetto alle situazioni in cui in qualche modo viene a rilievo la "coppia".

2. è lo stesso per il caso delle adozioni? sì e no, mi pare. Sì, visto che esistono già coppie omosessuali con figli, spesso "ereditati" - diciamo così - da precedenti relazioni. No, se la legge dovesse "aprire" alla possibilità di adozione di figli di altre coppie, abbandonati o simili. Sotto questo aspetto, è comprensibile, mi pare, che si abbia qualche titubanza nell'assimilare la famiglia omosessuale adottiva a una famiglia eterosessuale. E' una titubanza ingiustificata da un punto di vista razionale? può darsi, ma è il caso di andare un po' più a fondo. Provo a fare un passo "di lato":

3. Uomo e donna sono diversi? io credo di sì; mi pare ci sia una differenza ineliminabile fra i sessi, che a volte noi tutti sperimentiamo - anche nel rapporto di coppia eterosessuale - come "incomunicabilità", e a volte "mistero". In questo senso, mi pare che sia difficile, forse impossibile, equiparare totalmente amore omosessuale e amore eterosessuale. In realtà qui opero una semplificazione abnorme, perché forse di "amori" ne esistono tanti quante sono le persone che respirano in questo mondo; purtroppo però per riflettere su cosa succede "al di fuori della nostra coscienza" è inevitabile utilizzare queste "categorie" così generali. Non si discute la sincerità o la bellezza di un amore fra uomo e uomo, o fra donna e donna. Però mi pare "non vera" l'affermazione - che a volte ricorre in alcuni dibattiti - che "tutti gli amori si equivalgono", o "l'importante è il sentimento". Ulteriore precisazione: questo non vuol dire "c'è un amore di serie A e c'è un amore di serie B". Vuol dire solo: non rendiamo tutto uguale, quando uguale non è.

4. Forse qui il punto che per me è di maggiore difficoltà; mi pare cioè che per uno scopo ritenuto giusto (allargare i diritti di famiglia anche alle coppie omosessuali) si "stiracchi" la realtà, si dica qualcosa di non corretto. In questo senso alcune delle perplessità di parte cattolica a me pare non siano da sottovalutare. Anche non condividendo l'impostazione della morale cattolica in ambito sessuale, mi pare che si possa condividere il timore di una "banalizzazione" della questione.

5. Quanto detto - del rischio di una banalizzazione - vale solo per l'adozione omosessuale? A ben vedere, il discorso può essere allargato anche ad altre situazioni di "genitorialità allargata"; penso per esempio alla fecondazione eterologa, anche con coppie eterosessuali. Anche in questo caso mi è capitato spesso di sentire o leggere - da parte di chi difendeva la scelta della fecondazione - frasi del tipo "la famiglia è un prodotto sociale", quasi come a dire "è un'invenzione", "è una costruzione". Il che è giusto e sbagliato assieme. Giustissimo se pensiamo a quanto effettivamente il "modello" di famiglia sia legato alle condizioni sociali e anche politiche di una data comunità. Sbagliato, se pensiamo che il senso della famiglia sia totalmente artificiale

6. Per dirla in breve, nasciamo comunque da un uomo e da una donna. Possiamo non conoscere l'uomo e la donna che ci hanno generati, possiamo non conoscere di chi era il seme, di chi era l'ovulo; possiamo "occultarli" legalmente; possiamo "rinominarli" nell'adozione. Ma la radice rimane quella, mi pare. Da uomo e donna siamo nati, nasciamo. E "famiglia" mi pare sia il più semplice "rispecchiamento" di questa origine nelle figure del padre e della madre, del padre maschio e della madre femmina. Ineliminabili, anche quando non ci sono. Ineliminiabili, anche quando odiosi. Anche nel dolore del vuoto, se c'è vuoto in una delle due presenze, o in ambedue. Vuoto che nessuna altra presenza può sostituire. Non lo diciamo dal punto di vista della serenità della persona del figlio, che grazie a chi lo cresce, e grazie alla sua propria forza, può superare anche dolori o mancanze forti. Lo diciamo dal punto di vista della radice della persona, dal punto di vista della sua origine, che è parte importante del suo modo di essere al mondo.

7. Questo vuol dire che non dovremmo accettare allora nessuna adozione, o nessuna donazione del seme? O insomma, nessun tipo di genitorialità "altra" rispetto a quella "naturale" (e quindi "artificiale" in senso lato)? no, qui non si vuol fare discorsi di questo tipo; tanto più in un momento storico in cui pare crescere l'infertilità maschile, e vari altri fattori - come lo spostamento in avanti dell'età della maternità per le donne che lavorano - rendono forse inevitabile l'utilizzo di tecniche per andare incontro alla genitorialità; in questo senso anche il legislatore deve essere prudente nel non proibire se non quando sia strettamente necessario, e nel lasciare che nella società si creino anche le condizioni per una genitorialità diffusa e consapevole. Non lo dico dunque perché pensi che si debba regolare in un senso piuttosto che in un altro; ma, di nuovo: perché non si dica con troppa facilità che "è tutto la stessa cosa", che "non è importante da chi nasci, ma chi ti educa", che "due genitori uomini sono la stessa cosa di un uomo e di una donna, sono solo famiglie diverse".

8. Aggiungo: nessuna legge può alleviare dal dolore di non avere figli, nessuna legge può "risolvere" l'impossibilità di provare talune esperienze. Certo, la tecnica medica può aiutare a "curare" il problema, quando è di un certo tipo, e in questo senso è la benvenuta. Ma questo non può significare far finta che sia vero ciò che non è: un uomo e un uomo non potranno avere figli attraverso il loro rapporto sessuale; e così la donna e la donna. Questa è un'impossibilità che definirei - con qualche trepidazione - "assoluta", almeno finché il processo di cambiamento naturale in cui siamo sempre immersi non porterà a un altro "tipo" di essere umano. E questa è una impossibilità diversa da quella che la medicina può aiutare a "guarire". L'amore omosessuale "di per sé" non è "generativo". Il che - è il caso di ribadirlo - non significa che non possa essere stupendo, come stupende sono tante storie che ognuno di noi conosce. 

9. E dunque? Adozione sì o adozione no? non riesco a trovare una risposta chiara; e devo dire che alcuni dei dubbi non sono tanto legati all'omosessualità dei genitori, ma al "grado di distanza/finzione" che c'è rispetto alla genitorialità "naturale"; in questo senso le mie perplessità si estendono a tutte quelle situazioni in cui mi pare ci sia il rischio di "eccedere" nella "simulazione". Non conosco abbastanza bene le differenze giuridiche fra adozione ed affido, ma in virtù di quanto ho tentato di dire, mi pare che in generale - anche nel caso di coppie eterosessuali - siano da preferire - e quindi eventualmente incentivare - quelle forme che rendono il rapporto fra figlio e genitori non naturali più "leggero", più chiaro e netto nella differenza rispetto alla "natura". Insomma, che in questi casi il figlio sappia - quando è il momento opportuno - che chi lo sta crescendo non sono il suo vero padre e la sua vera madre. Che il figlio sappia.

10. Ecco, chiuderei proprio andando verso questo figlio, o questa figlia, che ho nominato troppo poco, e i cui diritti troppo poco sono presi in considerazione, spesso anche da chi dice di volerli difendere. Figlio che non può essere oggetto di desiderio o di possesso. Ma che non è neanche leggibile nell'ottica religiosa del "dono". Non più, almeno da quando in qualche modo uomini e donne riescono a controllare le nascite. Retoriche del "dono" e retoriche del "voglio un figlio a tutti i costi" dovrebbero scomparire dai nostri discorsi. Perché non accolgono la persona, la novità che viene al mondo. Persona che ha diritto - questo sì, insopprimibile e forse indiscutibile - di sapere, di conoscere la sua origine. Ecco, su questo vorrei che non si cedesse: sul fatto che il figlio possa conoscere chi è l'uomo e la donna che lo hanno generato. Anche se magari solo in provetta, o per "affidamento" in grembo. Perché senza quel sapere, qualcosa manca, io temo. E questo è un prezzo che un figlio non deve pagare.

***

(presentò bene il problema su questo ultimo punto - anni fa, se non erro nel 2011 - un articolo su ioDonna di Barbara Stefanelli. L'ho ritrovato in un altro sito e ve lo propongo come spunto di riflessione, approfittando anche del fatto che si parla di una situazione ancora diversa da quella di cui ho provato a dire)

È il giorno della festa del papà negli Stati Uniti. Pagina delle opinioni del New York Times.L’autore è Colton Wooten ed è nuovo tra  gli editorialisti: si è diplomato questo mese alla Leesville Road High School, Raleigh, North Carolina.



Il suo intervento è una lettera alle donne che hanno generato figli grazie all’inseminazione artificiale con sconosciuti. Racconta di averlo saputo a cinque anni. All’inizio del 1992 1a madre si rende conto di essere vicina alla sua frontiera biologica, non ha un compagno, vuole un figlio.


Fa i test di fertilità, analizza i profili dei donatori di sperma. In autunno il piccolo Colton nasce. Qui si apre un dibattito che conosciamo: è più forte il diritto alla maternità di una donna sola o quello di un figlio ad avere un padre accanto? È un trionfo di autodeterminazione al femminile o un tonfo verso nuclei familiari squilibrati? E, comunque, i bambini devono poter risalire all’identità dei donatori o vince il principio della riservatezza?

Ciò che sorprende in questa lettera è la semplicità delle argomentazioni. Nessuna ideologia. Solo il disorientamento di un diciottenne che non può chiudere i conti con il proprio “padre biologico”. Un ragazzo che alle medie cerca informazioni. E non troverà risposte.
La madre ricorda solo che il seme era di uno studente, figlio di un’italiana e un irlandese.

Restano le parole di Colton nel giorno della festa dei papà (quelli noti): <<Non ce l’ho con mia madre. Ma a volte mi sento pietrificato da un vuoto di frasi e di emozioni, riesco solo a sentirmi tramortito dal fatto che lui potrebbe essere chiunque>>.

sabato 24 maggio 2014

TTIP: Deregulation Selvaggia O Possibilità Di Progresso?

Se ne discute molto, ma senza continuità, e come al solito si rischia di semplificare molto il discorso, e di ridurre la cosa a un sì/no troppo generali. 

Sto parlando del TTIP, dell'accordo di libero scambio che si sta discutendo fra Stati Uniti e Unione europea. In gioco non sono tanto le tariffe doganali, ma una più ampia armonizzazione della regolamentazione del mercato, che significherebbe di fatto creare un'area unitaria fra Usa e Europa.

Tutto questo crea timori, credo in parte giustificati, in parte no; molto comprensibili, comunque, soprattutto dopo alcune vicende (Datagate), che hanno fatto percepire una eccessiva spregiudicatezza degli Stati Uniti rispetto all'osservanza di limiti e leggi nei confronti degli alleati europei. L'idea di "armonizzare" le norme rischia di sembrare un "abbattere" le norme, e i dubbi non vanno sottovalutati. 

Proprio i fautori dell'accordo dovrebbero per primi comprendere che è essenziale "accompagnare" questo cambiamento con un consenso che deve essere diffuso, razionale, confortato da conoscenza dell'argomento.
Dobbiamo andare più in profondità e trasparenza sugli accordi che si stanno perfezionando. 

Il TTIP è una grande opportunità, e il libero scambio non è un arrendersi alle multinazionali; ma perché questa paura non diventi prevalente, e perché questi accordi funzionino veramente da volano di progresso, la politica non deve scomparire, ma integrare, accompagnare, gestire dove è possibile. 

Difendere quel che è giusto difendere (per esempio il nostro approccio al problema privacy), ma saper accompgnare l'apertura quando necessaria.

Di seguito qualche articolo (purtroppo quasi tutti non recentissimi) per tentare di capire meglio. (Ringrazio Alessandro Zunino per la segnalazione dell'articolo di Libération)

Francesco Maria Mariotti

(...) Il cuore del trattato è l’armonizzazione normativa e regolamentare, che potrebbe diventare un possibile modello per altri futuri accordi commerciali.

Una ricerca indipendente (seppure finanziata dalla Commissione europea) parla di benefici pari a quasi 200 miliardi di euro. In realtà, considerato che l’impatto economico, soprattutto in Europa, è difficilmente valutabile, ad oggi l’unica certezza è che gli Stati Uniti e l’Unione Europea diventerebbero un solo grande mercato. Tutti gli aspetti relativi a regolamentazione e supply chain verrebbero unificati, con vantaggi immediati per le aziende capaci di sfruttare efficacemente le neonate economie di scala – a cominciare dalle grandi multinazionali, che infatti sono tra i maggiori sostenitori dell’accordo.

Gli ostacoli negoziali da superare sono enormi e non tutti di carattere economico: il clima di sfiducia reciproca causato dal datagate ne è un ottimo esempio. Le conseguenze dello scandalo sembrano aver intaccato profondamente i rapporti di fiducia tra UE e Stati Uniti, e hanno già rallentato il passo dei negoziati nella fase iniziale.

Alla diffidenza da parte delle élites politiche europee nei confronti degli Stati Uniti si somma lo scarso sostegno – o perfino la crescente opposizione – di un’opinione pubblica confusa da un accordo i cui contorni non sono ancora ben definiti. Ad oggi, tre sono i nodi più complicati nell’ambito delle trattative: la clausola relativa alla protezione degli investimenti, la protezione dei dati personali dei cittadini europei, e la commercializzazione di prodotti agricoli e i relativi standard di sicurezza alimentare (che si riflettono sull'infinita diatriba sugli OGM e la carne americana).

La clausola di protezione degli investimenti (investor-state dispute settlement, ISDS), permetterà agli investitori privati di citare in giudizio i governi nazionali presso una corte d’arbitrato, nel caso in cui gli investitori ritengano che nuove leggi locali minaccino i loro investimenti. Una clausola controversa che ad oggi ha scatenato proteste su entrambe le sponde dell’oceano, sia da parte della società civile che di molti governi europei. A livello politico, il maggiore oppositore è il governo tedesco, il quale ritiene il ricorso a corti esterne (di fatto aggirando le giurisdizioni nazionali) un attacco inaccettabile alla sua sovranità.(...)


(...) Le obiezioni alla TTIP che provengono dalla Francia possono raggrupparsi in tre grandi categorie. Per cominciare – ed è una critica mossa anche da giornali liberali e vicini al mondo imprenditoriale come Les Echos – si dubita fortemente che l'accordo porti i benefici promessi dalla Commissione europea. Secondo questa visione, una volta messa in opera la Partnership, effettivamente il volume di scambi transatlantico potrebbe aumentare; ma in assenza di una robusta crescita del reddito e dunque della domanda individuale, ciò avverrebbe a discapito di flussi commerciali già esistenti.

In particolare, considerando che la Cina è attualmente tra i principali partner economici di tutti i paesi europei, il vero risultato dell'accordo tra Bruxelles e Washington sarebbe quello di alzare una barriera commerciale nei confronti di Pechino – grazie al nuovo quadro normativo comune, al quale le merci cinesi si adatterebbero con maggiore difficoltà. Non è un segreto che, parallelamente a questi negoziati, sia Stati Uniti che Unione Europea siano impegnati nella stipula di ulteriori accordi commerciali con paesi terzi, tutti accomunati dalla stessa caratteristica: abbandonano la prospettiva del consenso multilaterale a livello globale in favore di quella bilaterale (o “multi-bilaterale”), con l'obiettivo primario di escludere la Cina.

La seconda obiezione riflette ormai una sorta di condivisione di alcune delle critiche francesi da parte di altri paesi europei: si tratta degli strascichi del caso datagate, cioè la scoperta dello spionaggio sistematico condotto da parte dell'Agenzia nazionale per la sicurezza americana (NSA) con la collaborazione di alcune imprese di alta tecnologia, ai danni del mondo politico e industriale europeo. A seguito dello scandalo, molti paesi tra cui la Germania hanno completamente modificato il loro atteggiamento nei confronti del processo negoziale: questo di fatto è ora bloccato a un livello superficiale, senza che i temi più importanti vengano davvero toccati. Ancora a inizio febbraio, la ministra francese del Commercio estero Nicole Bricq, in occasione della visita di Hollande negli USA, era costretta a promettere alla sua controparte che si sarebbe cominciato "presto" a fare sul serio.

Ecco perché per molti analisti francesi in realtà la TTIP è "nata morta". Inoltre, si fa notare come la segretezza dei negoziati abbia sollevato forti perplessità anche nell'opinione pubblica americana, e che il Congresso abbia negato al presidente Barack Obama una "corsia preferenziale" che avrebbe permesso un'approvazione più rapida. Quindi, sapendo che ormai è impossibile rispettare la scadenza di fine 2014, si considera probabile anche uno sforamento della scadenza di fine 2015: un ritardo, questo, che sarebbe decisivo – con esiti imprevedibili – in quanto coinciderebbe anche con la fine dell'attuale amministrazione Obama.

Infine, un elemento ha contribuito più di altri a suscitare la contrarietà dell'opinione pubblica, dei sindacati e delle associazioni non governative – nonché di molti governi: la previsione di un tribunale arbitrale a cui le imprese potrebbero ricorrere qualora ritenessero che gli Stati non rispettino i principi del libero scambio contenuti nell'accordo. Secondo questo punto di vista, un tale organo di giustizia consegnerebbe nelle mani delle multinazionali le chiavi della legislazione europea sul lavoro e l'industria, ed esporrebbe gli Stati al rischio di dover versare enormi risarcimenti.(...)


Depuis lundi, à Arlington, en Virginie, en face de Washington, les négociateurs européens, emmenés par Ignacio Garcia Bercero, et américains, dirigés par Dan Mullaney, se retrouvent pour une nouvelle semaine de pourparlers. C’est la cinquième fois que les deux délégations se réunissent depuis l’ouverture, en juillet 2013, des négociations du Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) ou Partenariat Transatlantique pour le Commerce et l’Investissement (PTCI) qui vise à créer un marché commun euro-américains où les biens, les services et les capitaux circuleront sans entrave.
Cet accord de libre-échange dit de « nouvelle génération », voulu par la Commission européenne et son président, José Manuel Durao Barroso, mais aussi par les vingt-huit États membres, est de plus en plus contesté par la société civile européenne, mais aussi par une partie de la classe politique. Ainsi, la levée de boucliers en Allemagne contre l’instauration d’un tribunal arbitral - qui permettra aux entreprises de poursuivre les États si elles estiment que le TTIP n’est pas respecté (lire l'excellent article de Chritian Losson) - a contraint l’exécutif européen à suspendre, le 21 janvier, les discussions sur ce point, le temps de mener une « consultation publique » qui lui permettra de prendre la température des opposants. Elles ne reprendront qu’en juin, au lendemain des élections européennes du 25 mai…

(...)These companies (along with hundreds of others) are using the investor-state dispute rules embedded in trade treaties signed by the countries they are suing. The rules are enforced by panels which have none of the safeguards we expect in our own courts. The hearings are held in secret. The judges are corporate lawyers, many of whom work for companies of the kind whose cases they hear. Citizens and communities affected by their decisions have no legal standing. There is no right of appeal on the merits of the case. Yet they can overthrow the sovereignty of parliaments and the rulings of supreme courts.
You don't believe it? Here's what one of the judges on these tribunals says about his work. "When I wake up at night and think about arbitration, it never ceases to amaze me that sovereign states have agreed to investment arbitration at all ... Three private individuals are entrusted with the power to review, without any restriction or appeal procedure, all actions of the government, all decisions of the courts, and all laws and regulations emanating from parliament."
There are no corresponding rights for citizens. We can't use these tribunals to demand better protections from corporate greed. As theDemocracy Centre says, this is "a privatised justice system for global corporations".(...)

(...) I have never had Monbiot down as an ungenerous character, but to ignore all of this in favour of blowing up a controversy around one small part of the negotiations, known as investor protection, seems to me positively Scrooge-like. Investor protection is a standard part of free-trade agreements – it was designed to support businesses investing in countries where the rule of law is unpredictable, to say the least. Clearly the US falls in a somewhat different category and those clauses will need to be negotiated carefully to avoid any pitfalls – but to dismiss the whole deal because of one comparatively minor element of it would be lunacy.
This talk of shadowy corporations is all the more misleading given that, in my view, the deal's advantages will prove to be far more noticeable for smaller enterprises than for larger corporations. This is because the most important task for the regulators will be to establish that where a car part or a cake or a beauty product has been tested as safe in the EU, the US will allow its import without requiring a whole new series of similar-but-slightly different tests – and vice versa. This is not about reducing safety levels. It is simply common sense. Would any of us on holiday in the US decline to hire that all-American SUV, or say no to that unfeasibly enormous vat of fizzy pop on the grounds that the regulations "are not the same as the EU's"?
And while it is of course true to say that these changes will help big business, it is also true to say that big business often has a vested interest in overly complex regulation. They can afford armies of staff to satisfy reams of regulation, but their smaller rivals cannot and so are squeezed out. So while leftwing radicals can attempt to skew the facts, it's my view that the TTIP is much more a deal for the small widget maker from the West Midlands than it is for the multinational corporate giant.(...)

domenica 10 novembre 2013

Germania, Italia, Europa: luci ed ombre

Il problema degli squilibri globali attanagliò John Maynard Keynes nel disegnare il nuovo sistema monetario internazionale dopo la seconda guerra mondiale. Lo definì «il problema internazionale secolare», riconoscendone l'intrattabilità. Il timore era che il sistema di scambi internazionali degenerasse in pericoloso gioco mercantilista diretto a esportare la disoccupazione: esattamente l'accusa rivolta oggi a Berlino. 

di Alessandro Leipold - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/Z8C6N

Insegna però la Germania che un sistema politico ed economico non può essere migliore delle persone che lo gestiscono. Ai fatti, le regole che i tedeschi si sono dati non sono nulla di eccezionale. Anche in Germania si formano monopoli, anche in Germania il patrimonio si polarizza, e anche in Germania ci sono troppi ricchi. La differenza è però che questa elite borghese è in grado di gestire il potere e di distribuire meglio il benessere. Alla fine, importa poco se c’è qualche “super-ricco” in più, a patto che il resto della popolazione sia in grado di portare a casa quanto ha bisogno per vivere e considerarsi benestante.
Non che funzioni sempre, per carità: già all’inizio dell’articolo si ricordavano le pecche del modello. Peraltro la mobilità sociale è in calo, e il modello evidenzia segni di stanchezza. Da noi in Italia rimane però da chiedersi se ci sono le prospettive per una vera rinascita dell’elite nazionale. 

sabato 9 novembre 2013

Russia, la battaglia del soldato Markin per ottenere il congedo di paternità (da laStampa.it)

(...) Tutto è cominciato nel 2005, quando Konstantin Markin, operatore del radiospionaggio in una guarnigione vicino a Pietroburgo, si è separato dalla moglie dopo la nascita del terzo figlio della coppia. Il capitano ha ottenuto il consenso della ex signora di avere i bimbi in custodia, e ha chiesto il congedo di paternità di tre anni per accudire il piccolo Kostia, oltre a Timofey e Areseniy che avevano all’epoca rispettivamente 11 e 5 anni. Si è scoperto però che la legge russa non prevede il congedo di paternità per i militari, mentre per i civili può venire richiesto indifferentemente dal padre o dalla madre. Probabilmente una banale svista dei legislatori, anche perché in un Paese dove le pari opportunità non sono un terreno di battaglia, nemmeno tra i maschi in borghese c’era grande richiesta di accudire i propri figli, e nessun militare prima aveva espresso il desiderio di cambiare i pannolini invece di difendere la patria. Il comandante della guarnigione ha consigliato all’ufficiale di congedarsi, oppure di consegnare il bimbo in un orfanotrofio. Markin si è rivolto al tribunale militare locale, a quello regionale, a tutte le istanze successive fino ad arrivare alla Corte Costituzionale, ma dovunque si è sentito rispondere “niet”: un ufficiale russo non aveva diritto a fare il papà a tempo pieno. (...) Markin si è rivelato però un uomo estremamente cocciuto e ha portato la sua causa alla Corte Europea per i diritti umani a Strasburgo. Che gli ha dato immediatamente ragione, stabilendo che la Russia nel negargli un permesso di paternità retribuito operava una discriminazione di genere e violava i diritti fondamentali dell’ufficiale. I giudici europei hanno stabilito che Markin aveva diritto a un risarcimento di 6 mila euro, tra congedo mancato e spese processuali. Incredibilmente, il ministero della Difesa glieli ha anche versati (nel frattempo un altro comandante aveva concesso il congedo di paternità a suo rischio e pericolo, gesto per il quale è stato poi inquisito). Ma il capitano, oltre ai soldi, voleva anche giustizia e ha chiesto la revisione del verdetto del tribunale russo. E a quel punto il suo caso è passato dalla categoria di incidente giudiziario a terreno di scontro internazionale. (...)

giovedì 8 agosto 2013

Chi E' Xu Zhiyong?

(...) Chi è Xu Zhiyong? Si tratta di un avvocato di quarant'anni, fondatore del «Movimento dei Cittadini», una organizzazione che da tempo chiede maggiore trasparenza all'apparato politico cinese. In particolare il «Movimento dei cittadini» si è battuto per la pubblicazione dei patrimoni economici dei funzionari cinesi, un'istanza molto sentita dall'opinione pubblica cinese. Anche per questo Xu è stato arrestato il 16 luglio scorso con l'accusa di «disturbo dell'ordine pubblico»; un'accusa ridicola se si considera che Xu era da tre mesi agli arresti domiciliari nella sua abitazione di Pechino.
Le richieste di maggior trasparenza, così come altre speranze circa potenziali riforme in Cina, erano arrivate dopo alcune dichiarazioni proprio del Presidente cinese Xi Jinping. Quest'ultimo infatti aveva affermato che «nessuna organizzazione o individuo dovrebbe porsi al di sopra della costituzione». Speranze vane, ad ora, come tante altre  (...)

Il problema per il «Movimento dei cittadini» - ovvero la ragione per la quale la repressione nei suoi confronti sarà durissima - è quello di incarnare un sentimento fortemente popolare: la disparità di vita tra i funzionari e le persone normaliè ormai evidente in Cina e per questo da tempo sono state effettuate richieste affinché i funzionari pubblichino i propri patrimoni. La campagna di Xi Jinping contro la corruzione aveva fatto pensare alla possibilità che una maggiore trasparenza potesse davvero diventare realtà, ma il processo del PCC, dall'alto verso il basso, ad ora sembra l'unica risposta alle tensioni sociali riguardanti le diseguaglianze nel paese.

martedì 4 dicembre 2012

Donne Che Vogliono Combattere In Prima Linea


Ho già scritto in passato su come sia problematica - dal mio punto di vista - l'idea (e la realtà) di donne che combattono in prima linea in guerra. E' un dilemma non facile, e capisco che le donne che vogliono dare il loro contributo alla sicurezza nazionale possano sentire come intollerabile un limite legato alla differenza di genere. 

Eppure, come appunto già scrivevo, mi riesce difficile pensare a una così piena parità da includere anche la violenza come fattore da "parificare", da mettere nella bilancia del confronto uomini-donne. 

E' un passaggio che forse necessiterebbe di una riflessione più approfondita. Anche se - comunque meglio precisarlo - la libertà personale di ogni donna di decidere come gestire la propria vita rimane indiscutibile. 

Eppure questo è un problema che ha comunque una ricaduta su di noi, su come vediamo anche il rapporto uomo-donna, non solo nella guerra. 
Non sottovalutiamo il dilemma.

Francesco Maria Mariotti

La scorsa settimana quattro soldatesse americane hanno incaricato l’ACLU (American Civil Liberties Union), un’organizzazione non governativa a difesa dei diritti civili e delle libertà individuali negli Stati Uniti, di depositare una causa alla Corte Federale di San Francisco contro il Pentagono. Le soldatesse chiedono una cosa apparentemente ovvia: poter combattere per l’esercito di cui fanno parte. La Difesa degli Stati Uniti impone infatti delle restrizioni nei confronti delle donne nell’esercito, alle quali è vietata l’azione diretta sul campo.
Il maggiore Mary Jennings Hegar, una delle quattro soldatesse ad aver promosso la causa, era in missione in Afghanistan quando il veicolo sul quale viaggiava, che trasportava dei militari feriti, fu attaccato. Nonostante fosse stata colpita da un proiettile portò a termine la missione e per questo motivo guadagnò la Purple Heart, la medaglia che viene conferita ai militari americani che si sono distinti in battaglia. Ma in realtà Hegar, che è stata in Afghanistan tre volte, in quel momento non era ufficialmente impiegata in un’operazione militare sul campo. Molte operazioni infatti, pur non essendo tecnicamente sul campo, comportano rischi per i militari. Per questo motivo le quattro soldatesse ritengono che le restrizioni imposte dalla Difesa statunitense siano incostituzionali, anche perché, dato che le donne costituiscono il 14 per cento di tutti i soldati americani attivi (un milione e 400 mila), viene di fatto vietato loro l’accesso a 238 mila professioni e la possibilità di ricoprire posizioni di rilievo e ottenere promozioni. 
Leggi anche:

lunedì 9 aprile 2012

Corri, bambina, corri... (Miriam Mafai)

Rivedendo alcuni articoli di Miriam Mafai, ho riletto questa breve dichiarazione - rilasciata per l'8 marzo del 2011 - che mi sembra rifletta tutta la persona come conosciuta da chi la leggeva. Di seguito anche una breve biografia.

FMM

Corri, bambina, corri..., tu che hai buona la testa, le gambe e il cuore. Corri senza rallentare davanti agli ostacoli, alla stanchezza, alla nostalgia (che pure talvolta ti coglie) del tempo della lentezza e della protezione. Corri per arrivare dove avevi deciso, per soddisfare il tuo sogno e la tua ambizione. La modestia, la rinuncia alle proprie ambizioni, se pure riuscirono, segretamente, a nutrirle, fu il connotato delle donne delle generazioni che ti hanno preceduto, donne educate alla modestia e alla rassegnazione, a mettersi al servizio dell'ambizione del maschio della famiglia, fosse il marito, il fratello, il figlio. Tu sei diversa, tu hai deciso di arrivare dove ti sei proposta. Tra le donne che oggi hanno successo, molte portano nomi illustri. Hanno successo, dunque, per diritto ereditario. Tu non hai un nome illustre, né una famiglia importante alle spalle, ma hai buona la testa, le gambe e il cuore. E hai diritto a correre, e ad arrivare prima se la corsa non sarà truccata. Noi, della generazione che è venuta prima di te, una generazione che si è impegnata nella corsa, che spesso ha vinto, che più spesso ha perso, ti daremo una mano, se ce la chiederai. Ma tu devi sapere che hai diritto a una corsa non truccata, che hai diritto al successo.

Come donne «nessuno ci ha regalato niente», ha detto una volta Miriam Mafai e forse è la frase che più si addice per ricordare meglio il temperamento di questa giornalista, e scrittrice, di vaglia, scomparsa oggi a Roma, che ha raccontato, dalle colonne di vari giornali (dall’Unità a Paese Sera, a Noi donne, a Repubblica), l’Italia degli ultimi 60 anni. Lo ha fatto partendo da idee di sinistra, ma senza mai risparmiare le critiche quando la sua parte politica sbagliava o era in ritardo nell’analisi dei cambiamenti della società.

Figlia di due pittori e intellettuali, Mario Mafai - esponente di spicco della Scuola Romana, e Antonietta Raphael - Miriam era nata a Firenze il 2 febbraio del 1926: in tempo per vedere il fascismo, l’Italia in guerra e le leggi razziali che avevano riguardato anche la sua famiglia, visto che la madre era ebrea e figlia di un rabbino lituano. Radici che Miriam ha sempre rivendicato con orgoglio come sue.
Una breve biografia di Miriam Mafai

giovedì 8 marzo 2012

L'8 Marzo delle Donne Soldato


«L’8 marzo? Un giorno come tutti gli altri». Il capitano dell'Aeronautica Chiara Aldi si stupisce anche della domanda. Per i militari italiani impegnati in Afghanistan un giorno vale l’altro. E poco importa se sotto la divisa c'è un uomo o una donna. Ad Herat sono circa 150, in gran parte con incarichi operativi come i loro colleghi maschi. Comandano plotoni, pilotano elicotteri da combattimento, sono fucilieri oppure genieri impegnati nella delicata opera di sminamento degli esplosivi, ma anche medici, infermiere, psicologhe. E tra le donne soldato si scelgono anche le componenti del FET (Female Engagement Team) col compito di relazionarsi con le donne afghane al fine di migliorarne la loro condizione.
MOGLI E MAMME - Stando al loro racconto si può essere donne impegnate su un fronte ad alto rischio senza rinunciare a nulla, dell’essere allo stesso tempo soldato e donna. «Siamo militari – spiegano- ma restiamo pur sempre delle donne. Alla fine non c’è alcuna differenza con i colleghi uomini». E il capitano Aldi è riuscita a conciliare il suo lavoro anche col ruolo di moglie e mamma. E' sposata e ha una bambina di tre anni che quando è in missione all’estero riesce a vedere solo la sera grazie a Skype. Difficile? «Il problema del distacco lo subiscono le mamme come i papà. Noi italiani non siamo molto abituati a un genitore che lascia per lunghi periodi i figli, ma in altri paesi questo avviene regolarmente da anni. Non c’è alcuna differenza: l’attaccamento ad una figlio non dipende né dal sesso né dalla distanza». (...) Donne Soldato - 8 marzo, un giorno come altri 

(...) Da quando, dodici anni fa, le prime donne entrarono a far parte delle Forze Armate, di strada ne è stata fatta tanta. A confermarlo è proprio il loro impiego  in tutti gli ambiti che vedono impegnati i colleghi uomini, sia nelle missioni internazionali sia in Patria. Attualmente il personale femminile di Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri, tra Ufficiali, Sottufficiali e Volontarie, supera quota 11.770 unità (quasi il 4% del totale dell’organico). La presenza più corposa si registra nell’Esercito, dove le donne rappresentano il 7% della consistenza della Forza Armata. Una percentuale che si attesta al 4,3% nella Marina, al 2% nell’Aeronautica e all’1,3% nell’Arma dei Carabinieri. Numeri a parte, tanto è cambiato da quando, nel  2000, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adottò la Risoluzione 1325 su 'Donne, Pace e Sicurezza' che, per la prima volta, riconosceva la specificità del ruolo e dell'esperienza delle donne in materia di prevenzione e risoluzione dei conflitti. In sintesi, la conferma che le donne militari rappresentano un valore aggiunto per la Difesa (...)

Leggi anche Donne in Guerra
 

martedì 6 dicembre 2011

"Le proteste sono giustificate, ma i cittadini italiani capiranno" (Mario Monti)

«Ho invitato tutti a considerare che questa operazione di rigore, equità e crescita chiedeva sacrifici. Ma l'alternativa non era quella di andare avanti come niente fosse ma quella di correre il rischio che lo Stato non potesse pagare stipendi e pensioni. Le proteste sono giustificate, ma i cittadini italiani capiranno»(...) «I mercati sono una bestia feroce e oggi sono imbizzarriti: noi li dobbiamo domare. Lavoriamo per i cittadini e non per i mercati, ma dobbiamo tenerne conto perchè il loro funzionamento è essenziale senza però doversi inginocchiare». Dopo una manovra che ha permesso al paese di «non deragliare dai binari» occorre che anche «le politiche economiche europee facciano i loro progressi. L'area dell'euro, insomma, deve essere ripensata rapidamente. La Ue spalanchi gli occhi, i mercati spalanchino gli occhi per guardare a quello che ha fatto l'Italia. E lo ha fatto per se stessa oltre che per le esigenze europee» ridando al paese «titolo per partecipare da protagonista e non da osservatore ai vertici internazionali» (...) «Il mio Governo è in una situazione in cui deve fare, rispetto al mondo politico parlamentare, un equilibrismo. Ma lo faccio molto volentieri e credo ci riusciremo. Metà del parlamento vuole una continuità rispetto al governo Berlusconi, l'altra metà una discontinuità». Sul fronte della continuità, Monti assicura il rispetto degli «impegni che il presidente Berlusconi ha preso, molto responsabilmente, nei confronti dell'Ue; la discontinuità cerchiamo di metterla nel dare più accento sociale e nel tirare fuori l'Italia da questo guaio».(...) http://www.corriere.it/politica/11_dicembre_06/monti-porta-porta_d88181a2-2042-11e1-9592-9a10bb86870a.shtml