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domenica 28 aprile 2019

Intervista a Mario Monti. Politici cinici e ignoranti, così l’Europa non va lontano (Eco di Bergamo)

"(...) Come giudica il contrasto (se esiste) tra establishment ed opinione pubblica e il ruolo della tecnocrazia nel rapporto con la politica?
«L’establishment, inteso come classe dirigente o élite, esiste in ogni Paese, con ogni sistema politico. Il problema si ha quando l’élite si consolida indipendentemente dai meriti ed è difficile, anche per i meritevoli, entrare a farne parte. Fa difetto, allora, la “circolazione delle élite”. La società è allora iniqua, l’economia stagnante. Questo è, per l’Italia, un tema drammatico. Agli infuocati attacchi all’élite si accompagna curiosamente, soprattutto nella sinistra e nei movimenti che si dicono “populisti”, la mancanza di interventi che servirebbero a stimolare la circolazione delle élites : l’insistenza sul merito, la tassazione progressiva (in Italia ora si tende a preferire la flat tax), un’imposizione sulle successioni del livello riscontrabile in altri Paesi (in Italia è più bassa), una modesta ma ricorrente imposta patrimoniale (anatema, in Italia). Finiremo così per avere un’élite sempre più sclerotica e che non si rinnova, un odio sempre maggiore per le élites, una politica che disdegna sempre più le competenze».
E il rapporto tra politica e tecnocrazia?
«A me sembra che la competenza tecnica (“tecno”) possa diventare “tecnocrazia” in due casi: se soggetti diversi dai rappresentanti politici eletti dal popolo “prendono” il potere, ad esempio con un colpo di stato ; oppure se i rappresentanti politici, in una determinata situazione, decidono liberamente di ricorrere a qualcuno che ritengono in grado, per competenza, credibilità, forse anche per la sua estraneità ai partiti politici, di esercitare i poteri di governo meglio di come essi, nelle circostanze, sarebbero in grado di fare. Allora gli conferiscono, con la designazione o con un voto di fiducia, il potere di governare, creando essi una “tecno-crazia”. A mio parere, la prima forma di tecnocrazia va rigettata completamente, in quanto estranea alla democrazia; quanto alla seconda, se vi si ricorre è segno che la politica è in crisi grave. L’ideale, sempre secondo me, è che il processo di selezione dei politici valorizzi anche le competenze, per farne dei politici più consapevoli e più capaci di dialogare con i “tecnici”, che è comunque utile consultare nel processo delle decisioni politiche».
«I nazionalisti lasciati allo stato brado ci porterebbero alle guerre»: l’ha detto lei. È un rischio reale? È vero che, contrariamente a ciò che molti credono, indeboliscono il Paese che li alimenta?
«“Le nationalisme c’est la guerre!” Così François Mitterrand concluse il suo ultimo discorso al Parlamento europeo nel gennaio 1995, il primo discorso che ascoltai come neo-commissario europeo. Aveva ragione. I movimenti nazionalisti dei vari Paesi europei che cos’hanno in comune ? La volontà di ridimensionare, forse azzerare, i poteri di Bruxelles. Al di là di questo obiettivo, se per un momento supponiamo che l’abbiano conseguito, che cosa avrebbero in comune? Nulla, solo la volontà che la nazione di ciascuno prevalga sulle nazioni degli altri, foss’anche con l’uso della forza. No, grazie. Per questi nobili ideali, abbiamo già avuto decine di milioni di morti. Nel frattempo, ogni Paese sarebbe più debole, in mancanza di un’Europa più forte. Più debole verso le eventuali prepotenze di questo o quel Paese europeo. Più debole verso le potenze extraeuropee, politiche, militari o anche soltanto tecnologiche». (...)"

mercoledì 16 marzo 2016

Dalla guerra all'Isis alle fusioni delle Borse (Francoforte e Londra), passando per il voto tedesco

Segnalo alcuni articoli che possono essere utili per riflettere sul presente e sul futuro. Verrebbe da dire che la notizia più importante è forse l'ultima (anche se rischia si passare un po' inosservata), quasi in controtendenza rispetto alla possibile "Brexit". 

Buona lettura

Francesco Maria

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Stiamo battendo l'ISIS?

A quasi due anni dalla sua proclamazione il Califfato in Siria e Iraq sembra finalmente costretto al declino e, anche se non è ancora possibile prevedere quando, alla sconfitta. Dopo aver retto per mesi all'offensiva congiunta della coalizione guidata dagli Usa, dell’esercito iracheno e delle milizie sciite, dei curdi siriani e iracheni, dell’esercito lealista di Assad (supportato da corpi scelti iraniani e dall’Hezbollah libanese) e della Russia, lo Stato islamico sembra ora avviato verso un inarrestabile sfaldamento. 
I territori sotto il suo controllo - già mutilati l’anno scorso dall'avanzata dei curdi siriani nel nord del Paese, dei curdi iracheni nell'area circostante Mosul e dell’esercito iracheno a Ramadi, Tikrit e nelle aree limitrofe (v. cartina 1) – sono ora insediati da offensive, cunei e teste di ponte nemiche in quasi tutti i settori strategicamente più importanti.(...)

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Inizia la spartizione della Siria?

Le autorità curde del Rojava, il Kurdistan siriano, hanno annunciato il passaggio a “entità federale” della nuova Siria dei tre cantoni sotto il loro controllo. Il passaggio avverrà su decisione di una assemblea che riunirà le diverse rappresentanze politiche ed etniche della regione, in particolare curdi e arabi. La nascita della prima entità federale può essere il preludio di una nuova Siria, divisa fra curdi, alawiti e sunniti. (...)

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Intervista a Mario Monti su voto tedesco e Europa

(...) Sta dicendo che il solco fra Europa del Nord e del Sud si potrebbe allargare ancora, è così?  
«Le faccio un esempio: la posizione dell’Austria sull'immigrazione è pericolosissima, e per fortuna è avversata da Germania e Italia insieme. Ma di fronte a evoluzioni pericolose, come un ulteriore rafforzamento dell’AfD, nell'Europa centro-settentrionale si potrebbe far largo l’idea di considerare l’Europa del Sud come una “quasi Europa” più che come parte integrante dell’Europa vera. Dobbiamo essere attenti a restare in ogni istante, con le parole e con i fatti, in una posizione di leadership credibile e rispettata. A non dare il minimo alibi a chi ha pregiudizi verso di noi».  
 Lei preferirebbe un asse Italia-Germania piuttosto che Italia-Francia. Non è così?  
«Non sono mai stato un sostenitore degli assi a 360 gradi. L’Italia, che dalla primavera 2013 è l’unico Paese dell’Europa del Sud (inclusa la Francia) a non essere sotto procedura per deficit eccessivo, ha tutto l’interesse a stare al fianco della Germania nell'esortare la Francia a una maggior disciplina di bilancio e alle riforme. Allo stesso tempo deve spingere la Germania ad avere una visione più ampia della sua politica economica, riducendo l’enorme surplus commerciale».

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La nuova destra tedesca

(...) Eppure, secondo l'AfD i migranti in arrivo sarebbero troppi per quelle che sono le capacità tedesche di medio-lungo termine, sia in termini finanziari, sia in termini di tenuta sociale: da un lato l'accoglienza costa e rischia di determinare un ridimensionamento del welfare state per i cittadini tedeschi, dall'altro la sospensione temporanea del sistema di Dublino impedisce un'identificazione dei migranti al di fuori dal territorio tedesco.
Questi messaggi, semplici ed efficaci, non sono condivisi da minoranze violente e ai margini della società. L'elettorato dell'AfD non corrisponde a quello del partito nazionaldemocratico (NPD). Se così fosse, i numeri dell'Alternative sarebbero probabilmente molto più contenuti. Al contrario, come dimostrano i dati sui flussi diramati dalla tv pubblica tedesca, l'AfD è un partito populista che ha tutte le carte in regola per diventare popolare. A sostenerla ci sono tedeschi di estrazione borghese e liberale, ex elettori di CDU/CSU ed FDP, ma anche cittadini che, ad Est, hanno sempre votato a sinistra. Si tratta in buona sostanza di conservatori che temono quello che l'ex-Presidente del Senato, Marcello Pera, ideatore nel 2006 del manifesto “Per l'Occidente”, avrebbe chiamato il “meticciato culturale” prodotto dall'immigrazione, in particolar modo di matrice musulmana.
In questo senso, l'AfD è l'ennesimo prodotto della German Angst, la paura tedesca per l'ignoto e per ciò che non può essere adeguatamente programmato o controllato. Ma l'AfD è anche l'unico partito in grado di intercettare un diffuso malcontento, quello che in Germania si usa chiamare Politikverdrossenheit, nei confronti dell'establishment, in particolar modo verso la classe politica dei due grandi partiti popolari al governo, sentimento niente affatto circoscritto alla realtà italiana, bensì comune a tutto il mondo occidentale. In Renania-Palatinato il 62%, e in Sassonia-Anhalt il 64% degli elettori dell'AfD hanno scelto l'Alternative non per convinzione, ma per delusione nei confronti dei partiti tradizionali, in Baden-Württemberg addirittura il 70%. Fino al 2012-2013 erano i Piraten la forza chiamata a colmare parzialmente questo vuoto (...)

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Accordo fra la Borsa di Francoforte e la Borsa di Londra

È cosa fatta l’accordo fra la Borsa di Francoforte e la Borsa di Londra per una fusione quasi alla pari. Gli attuali azionisti del London Stock Exchange, riporta Bloomberg, avranno circa il 45,6% del nuovo gruppo mentre quelli di Deutsche Borse circa il 54,4%. Borsa Italiana rientra o nell'operazione in quanto parte del gruppo Lseg. La nuova società manterrà le sue sedi a Londra e Francoforte. I due soggetti rimarranno soggetti alle imposte dei rispettivi Paesi di costituzione. Le sinergie di costo sono previste in 450 milioni di euro per anno, e saranno completate in tre anni. (...)

martedì 11 febbraio 2014

Fumo. Soltanto Fumo

Stiamo passando una giornata politica un po' assurda, sull'onda di notizie-scoop che scoop non sono.

Quel 2011 lo ricordiamo in tanti, credo tutti; la "guerra del debito pubblico" era in corso da tempo: si legga un editoriale di Mario Deaglio dell'agosto del 2010 per capire come la preoccupazione per la sostenibilità dell'Italia fosse già palpabile mesi prima. 

Con il mondo in preda alla crisi economica, e con le dinamiche finanziarie che colpivano l'Europa, sarebbe stato assai strano - e veramente colpevole - se il Presidente della Repubblica non si fosse attivato, in presenza di una maggioranza molto fragile, come quella che caratterizzava il governo Berlusconi dell'epoca. Si doveva decidere tutto in poche ore quando tutto fosse crollato? Sarebbe stato quello sì comportamento da irresponsabili. 

E' ridicolo spacciare queste notizie come "rivelazioni" ed è fastidioso, quando si valorizzano queste presunte "rivelazioni" con frasi un po' populiste come "le élites sapevano, la massa no" (ha detto una frase simile Alan Friedman nella puntata di Piazza pulita che sta andando in onda questa sera). 

No, la distinzione élite - massa risparmiamocela. La cittadinanza democratica è un esercizio che può superare queste distinzioni, a cui populisti e reazionari sono affezionati, e in quei mesi la consapevolezza della gravità della crisi era comune, non era "patrimonio nascosto" di qualche élite tecnocratica (mondialista, bolscevica, plutocratica, fate voi). 

Di Monti premier si discuteva da diversi mesi. Si parva licet, nel mio minimo 'spazio pubblico' avevo fatto girare l'ipotesi, come forse qualcuno ricorderà (E - sia detto per inciso - l'azione di Monti risulterà fondamentale per permettere a Mario Draghi di convincere i governi dei paesi dell'euro a muoversi efficacemente a garanzia della moneta comune)

E' assolutamente normale che in situazioni di crisi, i vertici e le istituzioni di un paese prendano in esame tutti gli scenari possibili, e laddove sia necessario, comincino a operare per i dovuti cambiamenti. Accade così anche nella guerra, quella vera, probabilmente. Per la sicurezza dello Stato non puoi attendere che i fatti avvengano; e se il rischio è "totale", ti muovi in anticipo perché devi evitare a tutti i costi che il rischio si avveri.

Per cui, nessuna novità. Nessuno scoop. Come ha detto Napolitano, fumo. Soltanto fumo.

Francesco Maria






(...) L’instabilità o il vuoto politico potrebbero infatti avere rilevanti ripercussioni negative sulla gestione del debito pubblico italiano. Va ricordato che l’Italia è stata per decenni uno dei maggiori «produttori» di debito pubblico, ossia di titoli sovrani acquistabili sui mercati finanziari ma che, con il generale peggioramento dei bilanci pubblici delle economie avanzate, su questo mercato mondiale del debito l’Italia deve competere molto più duramente di prima con molti Paesi, quali Germania, Francia e Gran Bretagna che devono «piazzare» i propri titoli per avere le risorse necessarie a quadrare i propri bilanci.

 
Il debito pubblico italiano è complessivamente gestito bene, senza addensamenti eccessivi di scadenze, il che limita la possibilità di grandi ondate speculative, del tipo di quelle che hanno colpito la Grecia e, in misura minore, il Portogallo. E finora l’Italia ha rigorosamente rispettato gli obblighi di disciplina di bilancio - tra i quali il varo della recente manovra - che si era assunta in sede europea. Alcune aste importanti negli ultimi mesi, specialmente quelle di giugno, sono state superate in maniera molto soddisfacente; 

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tra la fine delle ferie e la fine dell’anno, però, vengono a scadere circa 100-120 miliardi di debito, concentrati soprattutto a settembre e a novembre e dovranno essere rifinanziati, ossia sostituiti con titoli nuovi.
 
Chi li acquisterà? Una parte rilevante - si può stimare un po’ più della metà - sarà sottoscritta da risparmiatori italiani, tradizionalmente attratti da questo prodotto «di casa» (l’impiego di risparmio in debito pubblico è uno dei più importanti comportamenti unificanti dell’Italia di oggi). Il resto dovrà trovare compratori all’estero nelle condizioni concorrenziali e difficili di cui si diceva sopra. 

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Quando devono decidere se - e a che prezzo - acquistare titoli di uno Stato sovrano, i grandi operatori finanziari, tra i quali figurano molte banche centrali, come quella cinese, esaminano a tutto campo la situazione del Paese debitore e in questo esame la stabilità politica e la volontà di rispettare i propri debiti hanno uno spazio molto importante.
 
Quale sarà la reazione del banchiere cinese, del finanziere americano, dell’analista finanziario che lavora per qualche grande banca internazionale di fronte alle «sparate» dei politici di questi giorni? Gli esperti internazionali che si occupano dell’Italia sono in gran parte abituati alle iperboli, al sarcasmo, alle pesanti ironie, alle punte di volgarità del dibattito politico italiano. La possibilità che tutto questo si possa riflettere sul piano istituzionale senza alcun riguardo per la posizione finanziaria del Paese non potrà però non preoccuparli. 

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E potrebbe indurli a chiedere un «premio», ossia un tasso di interesse sensibilmente maggiore di quello applicato ad altri Paesi che si tradurrebbe, come minimo, in qualche migliaio di miliardi in più di spesa per lo Stato italiano, da recuperare poi con nuova austerità e, nella peggiore delle ipotesi, in una più generale «bocciatura finanziaria» dell’Italia.
 
Ai politici che in questi giorni così abbondantemente si esprimono deve quindi essere consentito di rivolgere una sommessa preghiera: tengano presente che quando parlano non hanno di fronte solo il pubblico, spesso non troppo numeroso, dei loro sostenitori politici, o i giornalisti desiderosi di riempire spazi che le festività rendono vuoti. 

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Ad ascoltarli, a pesare le loro parole più di quanto essi stessi si rendano conto, c’è tutta la finanza mondiale. Che deciderà se sottoscrivere i nostri titoli di debito anche sulla base delle loro parole e dei loro programmi.


domenica 29 settembre 2013

Per l'Italia

Sono un "governista" non pentito, anche se fin dai primi giorni del governo Letta ho sentito la mancanza della squadra di Monti
A mio avviso l'errore di fondo era credere che "la politica" potesse riprendere in mano la situazione, e - come ha detto Stefano Menichini oggi a Omnibus - che si potesse "restituire" agli elettori ciò che era stato "tolto" dal governo Monti, mentre il Paese non era e non è ancora pronto a dichiarare superata l'emergenza (consiglio caldamente questo articolo di Cerretelli).

La cosa più importante oggi la dice Saccomanni al Sole24Ore: i conti sono a posto, e i mercati lo sanno. Si tratta di farlo capire al mondo, anche "scenograficamente", facendo rimanere salda la cabina di regia del paese.
La politica deve saper ritrovare - decidano con quali trucchi, se con astensioni programmate o con nuovi gruppi parlamentari, poco importa - lo spazio di manovra che nelle emergenze siamo sempre stati capaci di sfruttare.

Letta dimissionario ad oltranza, Letta bis, Bernabè, Saccomanni stesso: nomi possibili per un eventuale - ma non strettamente necessario - nuovo governo che dia anche la "scusa" ai poco responsabili per fingere un po' di responsabilità. Il tempo di fare almeno una legge elettorale che dia sicurezza per future maggioranze (oppure ci penserà la Corte Costituzionale di Amato e Mattarella, come ipotizzava oggi Bordin a Omnibus, con qualche sentenza "originale"?), magari l'inserimento della "sfiducia costruttiva" per evitare continue fibrillazioni, legge di stabilità. 

Il meglio sarebbe continuare anche nel semestre europeo, ma sarà difficile.
Comunque non è possibile illuderci con parole d'ordine facili come "il ritorno della politica" o simili. 

E in ogni caso: Il governo Letta anche dimissionario è in carica fino a che non ne nasce uno nuovo. I tempi possono essere inaspettatamente lunghi e Napolitano sa quali sono i nostri interessi. 

Buon lavoro, e manteniamo la calma.

FMM

giovedì 10 gennaio 2013

Sul Reddito Minimo Garantito (Van Parijs - Vanderborght, Il reddito minimo universale, Università Bocconi editore)


"Nell’Utopia di Thomas More (1516) il viaggiatore Raphaël argomenta con l’Arcivescovo di Canterbury che un reddito minimo contribuirebbe alla lotta alla criminalità più della pena capitale. Oggi Philippe Van Parijs e Yannick Vanderborght (Il reddito minimo universale, Università Bocconi editore, 190 pagine, 14 euro) sostengono la superiorità di un reddito di cittadinanza individuale, universale e incondizionato, erogato dalla comunità politica a tutti i suoi membri, rispetto a ogni altra forma di welfare, basando la loro affermazione su argomenti etico-filosofici, ma sostanziandola con una puntuale analisi economica.
In buona sostanza, solo con la sicurezza di un reddito minimo universale i cittadini, secondo i due autori, potrebbero dirsi effettivamente liberi di compiere ogni altra scelta di vita, senza lo spettro della necessità di sussistenza.
Il dibattito sul reddito minimo universale, pur trovando degli antecedenti fin dal XVI secolo, diventa di vera attualità con la rivoluzione industriale e con i connessi bisogni di protezione sociale. Van Parijs, che insegna etica economica e sociale a Lovanio e filosofia politica ad Harvard, è uno dei protagonisti del dibattito, soprattutto europeo, sul reddito di cittadinanza degli ultimi venti anni. “Per alcuni”, scrivono gli autori nell’introduzione, “il reddito minimo universale costituisce un rimedio decisivo a numerose piaghe sociali, a cominciare dalla povertà e dalla disoccupazione. Per altri, è soltanto un’assurda chimera, economicamente impraticabile ed eticamente ripugnante”. Van Parijs e Vanderborght non fingono di essere neutrali, ma cercano di fornire al lettore le basi intellettuali per affrontare con cognizione di causa il dibattito.
Le resistenze all’introduzione di un automatismo che distribuisca una uguale somma di denaro a ogni cittadino, miliardario o nullatenente, impiegato, disoccupato o estraneo per scelta al mercato del lavoro sono “concettuali e morali prima ancora che di bilancio”, spiega nella prefazione Chiara Saraceno, ed è proprio a queste obiezioni che i due autori rispondono, in dettaglio, nel libro.
In queste pagine aleggia una certa fiducia nel fatto che il reddito minimo universale si sia affrancato, nell’ultimo quarto di secolo, dalla zona d’ombra dell’utopia, per avvicinarsi ad essere una reale possibilità. L’unico luogo al mondo in cui è realtà, anche se in piccola scala, è l’Alaska. Dal 1981 parte degli introiti derivanti dallo sfruttamento del sottosuolo sono divisi in parti uguali tra i cittadini, anche se la cifra risultante non è particolarmente significativa. (...)"


Le due versioni del reddito minimo garantito europeo (laStampa)

Il presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, lo invoca. Persino Mario Monti nella sua famosa agenda lo richiama. Il reddito minimo garantito è sempre stato un cavallo di battaglia della sinistra sociale, ma ora anche autorevoli liberisti ne sembrano affascinati. In Europa solo Grecia e Italia ne sono prive. In altri paesi, Regno Unito, Francia, Germania, paesi scandinavi si sono da tempo attrezzati. In sintesi, le formule sono due, l'obiettivo uno solo: evitare che con la diffusione della disoccupazione ampi strati di popolazione cadano nella condizione di povertà. Le due versioni di reddito minimo garantito sono: una legata alla condizione lavorativa, l'altra legata alla lotta alla esclusione, indipendentemente dalla condizione lavorativa. (...)




giovedì 13 dicembre 2012

Memorandum Monti (ilFoglio)


(...) Monti ha deciso di presentare in Parlamento un Memorandum in cui mettere nero su bianco i punti essenziali che dovranno essere considerati – e fatti propri – da chiunque nel 2013 arriverà a guidare il futuro governo italiano. Il Memorandum a cui sta lavorando Monti è stato pensato (non a caso) per contenere gli stessi punti che l’Italia dovrebbe sottoscrivere il giorno in cui dovesse chiedere l’intervento del Fondo salva-stati e il documento sarà articolato intorno a tre grandi direttrici: non si torna indietro rispetto alle scelte compiute in materia di pensioni e di flessibilizzazione del mercato del lavoro; le risorse che risulteranno disponibili dovranno essere destinate prioritariamente a ridurre il carico fiscale su lavoro e impresa; infine non si dovranno mettere in discussione tasse fondamentali per le casse dello stato come l’Imu. (...)
. E alla fine – come racconta al Foglio chi ha avuto modo di parlare con il presidente del Consiglio nelle ultime ore – il profilo che sceglierà Monti nelle prossime settimane non sarà quello del candidato che scende direttamente in campo; ma sarà più simile a quello di una grande diga eretta contro il populismo delle forze anti europeiste italiane (come da consiglio di Giorgio Napolitano). E in questo senso l’obiettivo di Monti nel corso della campagna sarà quello di trasformare le elezioni non in un giudizio popolare su Pier Luigi Bersani o su Silvio Berlusconi ma più semplicemente in un grande referendum sull’Europa e più in generale sull’euro.(...)
“Non so se Monti ha intenzione davvero di portare in Aula questo Memorandum – dice al Foglio il senatore del Pd Pietro Ichino – ma se davvero dovesse prendere questa strada credo che sarebbe una soluzione ideale. Tutti i politici sarebbero costretti a mettere i piedi per terra. Avranno addosso i fari puntati del mondo intero. E a quel punto Monti diventa non l’esponente di questa o quella forza politica ma diventa il garante di quella carta di intenti. Molti parlamentari del Pdl sarebbero in grave difficoltà a non rispondere positivamente alla sollecitazione di Monti. E anche per Bersani questa iniziativa sarebbe importante: sarebbe l’occasione per riconfermare con la necessaria chiarezza davanti a tutti i nostri interlocutori stranieri, europei e non, il commitment del centrosinistra sul terreno della strategia europea dell’Italia”.

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venerdì 7 dicembre 2012

L'Italia Torna Instabile: Intervenga Draghi

Forse qualcuno credeva che "il ritorno della politica" sarebbe stato tutto all'insegna del "voto popolare e festoso" delle primarie o dinamiche simili. 

In realtà la giornata di ieri rappresenta un segnale amaro, ma certo non inaspettato: la politica ha bisogno di semplificazioni e di strappi, soprattutto in periodo elettorale.

Se anche è possibile che le elezioni vengano vinte da una forza politica responsabile, lo scenario complessivo si preannuncia instabile, con il rischio che prevalga in molte forze una retorica antieuropeista.

Per questo ritorna purtroppo attuale quanto già scritto in agosto e in ottobre: contro il rischio di vanificare in poche settimane i sacrifici che in questo anno gli italiani hanno fatto, è necessario che il governo Monti si assuma la responsabilità di concordare con la BCE un piano di aiuti che serva a tenere sotto controllo lo spread anche nel periodo elettorale, e garantisca cittadini e investitori su quanto succederà dopo il voto, quale che sia il risultato.

Le forze politiche devono trovare un percorso definito e non discutibile dopo il voto, pur con la necessaria libertà di manovra su alcuni punti.
Non è limitazione della sovranità: è garantirci un futuro di fronte a una quasi certa instabilità.


Francesco Maria Mariotti


venerdì 30 novembre 2012

La Palestina Diventa "Stato Osservatore" dell'ONU: Passo Avanti?


L'odierna decisione dell'ONU può essere valutata in diversi modi: dal punto di vista ideale è sostanzialmente corretta, e benvenuta nel momento in cui tende a voler rafforzare - in teoria - la parte moderata delle forze palestinesi, rappresentate da Abu Mazen. il problema è che in questo caso - avviene spesso, per la verità - l'orizzonte diplomatico e quello più "realpolitik" possono scontrarsi: il riconoscimento della Palestina - contravvenendo alla dimensione bilaterale degli accordi di Oslo - può legittimare un abbandono delle trattativa da parte di Israele, soprattutto se alle prossime elezioni Netanyahu uscisse vincitore; ma soprattutto è da capire se parlando di Palestina parliamo ancora effettivamente di un solo stato o se oramai in campo abbiamo due entità più o meno separate; e ancor più rilevante è capire  - in questo contesto - se la parte che si vorrebbe aiutare (Abu Mazen) è in grado di reggere un eventuale "scontro" con Hamas, o comunque in generale una "competizione" anche solo dal punto di vista politico e diplomatico. Detta brevemente: chi rappresenta effettivamente - non in termini ideali, ma in termini di concreto monopolio della forza e controllo politico, tanto per parlarci chiaro - l'interesse, le speranze, le possibilità di futuro dei palestinesi? 

Se da questo voto Abu Mazen traesse realmente la forza per "riprendere" la guida di tutto il popolo palestinese e del processo di pace, allora l'evento di oggi sarà stato un vero passo in avanti. Ma è purtroppo anche possibile uno scenario molto più confuso e conflittuale, e allora la giornata di oggi potrebbe rivelarsi una amara illusione.

Festeggiamo questo voto, e anche la capacità di muoversi del governo Monti. 
Ma i dubbi di Israele e USA non sono infondati. 
Ed è bene non illudersi sul futuro della pace.

Francesco Maria Mariotti

(segue rassegna stampa)

martedì 27 novembre 2012

Il Nostro Servizio Sanitario Nazionale, Di Cui Andiamo Fieri


Contrariamente a quanto riportato dai media, il Presidente ha voluto attirare l’attenzione sulle sfide cui devono far fronte i sistemi sanitari per contrastare l’impatto della crisi. Ciò vale, peraltro, per tutti i settori della pubblica amministrazione. Le soluzioni ci sono, e vanno ricercate attraverso una diversa organizzazione più efficiente, più inclusiva e più partecipata dagli operatori del settore. Le garanzie di sostenibilità del servizio sanitario nazionale non vengono meno. Per il futuro è però necessario individuare e rendere operativi modelli innovativi di finanziamento e organizzazione dei servizi e delle prestazioni sanitarie. (...) “Abbiamo la consapevolezza di vivere un momento difficile. La crisi ha colpito tutti e ha impartito lezioni a tutti. E' importante riflettere sulle lezioni impartite dalla crisi. Il campo medico non è un'eccezione. Le proiezioni di crescita economica e quelle di invecchiamento della popolazione mostrano che la sostenibilità futura dei sistemi sanitari - incluso il nostro servizio sanitario nazionale, di cui andiamo fieri e di cui il Ministro Balduzzi, che tanto incisivamente lavora per migliorarlo ulteriormente, è giustamente fiero - potrebbe non essere garantita se non si individueranno nuove modalità di finanziamento e di organizzazione dei servizi e delle prestazioni. La posta in palio è chiaramente altissima e anche l'innovazione medico-scientifica, soprattutto nella fase di “industrializzazione”, deve partecipare attivamente alla sfida considerando il parametro della costo-efficacia un parametro di valutazione non più residuale, bensì di importanza critica.”(...)

venerdì 23 novembre 2012

Bilancio UE, i dubbi e il veto possibile

"Se le richieste sul bilancio 2014-2020 non dovessero essere accolte, l'Italia è pronta a mettere il veto". E' quanto confermato la notte scorsa dal premier Mario Monti, parlando con i giornalisti al termine della prima sessione del vertice europeo, sospeso dopo la presentazione della nuova proposta sul budget. "Quella sul bilancio – ha proseguito il premier – è una decisione che va presa all'unanimità e occorre che tutti i Paesi siano d'accordo". "Sicuramente – ha avvertito – se l'Italia si ritenesse significativamente insoddisfatta, non esiterebbe a non votare a favore, quindi a votare contro, così come farebbero altri paesi". Monti ha sottolineato: "Siamo tutti qui per cercare di trovare una soluzione che sia accettabile per l'Italia, Paese che sette anni fa, in occasione del precedente negoziato, non ne uscì certo bene, quindi dobbiamo e vogliamo rimontare posizioni". "Si può raggiungere un accordo  – ha assicurato il premier rispondendo ad una domanda – ma non è detto che ci si riesca e non sarebbe un dramma non riuscirci". Perché questo, secondo Monti, "è un negoziato molto complesso che avviene ogni sette anni e credo che sarebbe la prima volta nell'ipotesi che si chiudesse al primo tentativo".

Bilancio UE, ancora dubbi (ilfoglio)

Un veto contro un bilancio pluriennale insufficiente e troppo sbilanciato nella spartizione delle risorse, in breve più favorevole alle ragioni degli euroscettici, inglesi e svedesi, che a quelle della solidarietà con Paesi e regioni in ritardo di sviluppo o tartassati da recessione, disoccupazione, ristrutturazioni e riforme, più che uno sgarbo all'Europa sarebbe un forte richiamo al suo perduto senso di responsabilità politica, economica e sociale. Che sia familiare, nazionale o europeo, un bilancio è lo specchio dei progetti e delle ambizioni individuali e collettive.
di Adriana Cerretelli - Il Sole 24 Ore - leggi su Perché alzare la voce serve

È davvero strano, e anche un po' surreale, constatare che la Grecia, l'ultima della classe dell'euro, ormai ha davvero fatto tutti i compiti a casa, parola di Eurogruppo, e invece chi si ostina a non fare i propri sono gli altri, i primi della classe, che pure non cessano di impartirle lezioni di buona creanza europea.
di Adriana Cerretelli - Il Sole 24 Ore - leggi su Se Atene fa i compiti, e gli altri no

giovedì 8 novembre 2012

Obama, l'America e noi


Gli americani non sono riusciti a fidarsi del businessman Romney nemmeno dopo quattro anni di recessione e ripresa anemica, con la disoccupazione quasi all’8% - un livello altissimo per gli Usa - e una montagna di debito che sembra il Mount Rushmore. Ci sono, ovviamente, altre ragioni per la vittoria abbastanza facile di Obama - la grande partecipazione di ispanici, neri e donne; un partito repubblicano che ha preso posizioni troppo estreme su temi quali l’aborto e l’immigrazione, ed il «fattore umano» di un Presidente che sembra nato per fare campagna elettorale ed uno sfidante che sembra nato per stare nell’ufficio d’angolo con vista sui grattacieli. Prima delle elezioni scrissi che gli americani avrebbero votato con il portafogli. Martedì, il Paese ha puntato il portafogli verso Obama e gli ha detto: «Hai quattro anni per riempirlo!». 
 
L'amministrazione Obama, proprio perché punta sulla stabilità fra le due sponde dell'Atlantico, ha bisogno dell'amico italiano. Ha bisogno di un paese leale, governato da esponenti credibili. E nelle relazioni internazionali, come è noto, i rapporti personali contano parecchio. Negli ultimi due anni Obama ha costruito un legame tutt'altro che convenzionale prima con Giorgio Napolitano e poi con Mario Monti, il premier succeduto a Berlusconi. Non è casuale. L'Italia non può non rappresentare un tassello importante nella strategia europea della Casa Bianca, visto che i falchi sono a Berlino ed è con loro che bisogna fare i conti. In questo anno l'amico italiano ha fatto la sua parte, mentre l'amico americano non ha mai smesso d'incoraggiare una soluzione concordata, senza strappi ideologici, dei problemi comuni dell'Unione. E in tal senso molto ha contato, come si può capire, la relazione fra Bernanke e Mario Draghi.
 
 
Adesso occorre vedere quali uomini Obama sceglierà per gestire l'economia e il cruciale rapporto fra industria e finanza. Non c'è dubbio infatti che la crisi del 2007-2008 è stata figlia di una iperfinanziarizzazione del sistema, tenacemente perseguita ad esempio da Bob Rubin, ministro del Tesoro di Bill Clinton e nume tutelare poi di tutta la squadra economica di Obama dopo la vittoria del 2008. Rubin era stato in molte negoziazioni commerciali importanti, con l'Asia soprattutto, il propugnatore di un progetto che vedeva cessioni all'Asia di sempre maggiori quote di manifatturiero in cambio di un ruolo privilegiato per Wall Street nella cogestione delle risorse finanziarie asiatiche. Allora Obama fu affrontato da un frustrato senatore democratico, Byron Dorgan del North Dakota, per anni voce quasi solitaria al Senato contro i rischi della troppa deregulation, di cui Rubin e Summers furono artefici di Mario Margiocco
 

martedì 30 ottobre 2012

Chiediamo l'Aiuto BCE, Prima Che Lo Imponga l'Europa

Viste le recenti novità politiche del nostro Paese - le dichiarazioni "anti-Monti" e "anti-tedesche" di Berlusconi e i risultati delle elezioni in Sicilia - è necessario capire quali potranno essere gli sviluppi in termini di situazione finanziaria del Paese, nel suo difficile rapporto con i mercati internazionali.

Con i recenti sviluppi l'Italia rischia di tornare nella scomoda posizione - nonostante gli sforzi fatti - di "Paese a rischio": considerazione ingiustificata dai fondamentali, come ha ben detto Mario Monti, ma "comprensibile" guardando alle difficoltà di un'ipotesi di scenario post-voto quanto mai incerto, sia per scadenza che per esiti.

Non è elegante citarsi, ma temo possa essere utile ripetere quanto detto in passato, in agosto (pur sperando in un diverso scenario): "(...) L'impasse però c'è e deriva dal timore che i passi avanti di questo periodo vengano dilapidati da due fattori: campagna elettorale confusa e/o inutilmente conflittuale, ed elezioni non risolutive. Da questo punto di vista l'unica possibilità di rassicurare i cittadini e i mercati che gli sforzi di questi mesi non siano vanificati da poche settimane di impazzimento politico passa per una strada molto stretta: la richiesta di aiuto alla BCE e la firma del relativo "memorandum".(...)"

Temo che non ci sia molto altro da dire, se non ribadire che l'alternativa non è più (se lo è mai stata) fra chiedere l'aiuto e non chiederlo, ma fra chiederlo noi autonomamente -  a breve, prima delle elezioni, gestendo (in qualche modo "autogestendo" con la BCE, in realtà) il relativo memorandum - e vedercelo imporre  (magari non subito, magari dopo le elezioni), sicuramente con condizioni molto più gravi e pesanti.

Cosa scegliamo?

Francesco Maria Mariotti

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venerdì 19 ottobre 2012

L'autorità che serve all'Europa (Franco Bruni, laStampa)

(...) La vigilanza accentrata delle banche è urgente anche per permettere al fondo salva-Stati di intervenire direttamente e autorevolmente nella ricapitalizzazione delle banche spagnole: e la Germania non può disconoscere che ciò è essenziale anche per la stabilità della finanza tedesca.  

Quanto all’integrazione delle politiche di bilancio è noto che le esitazioni tedesche derivano soprattutto dalla paura di dover pagare per l’indisciplina dei Paesi spendaccioni. D’altra parte integrare le politiche significa proprio rendere più efficace la disciplina delle finanze pubbliche. Si è già fatto molto: il nuovo Patto di Stabilità, le procedure di consultazione del «semestre europeo», l’obbligo di pareggio, ancorché flessibile e «intelligente», introdotto nelle leggi costituzionali, dovrebbero evitare per tempo che i bilanci nazionali rimangano su strade insostenibili. Si lavori per far funzionare davvero tutto ciò. Si può anche andare oltre. Merkel ha detto al Bundestag che ci vuole un commissario unico dell’euro in grado di invalidare i bilanci nazionali non in linea con gli obiettivi europei.  

L’idea non è del tutto discosta dalla proposta di bilancio integrato fatta in giugno da Van Rompuy. La quale va però adottata senza stravolgerne lo spirito, senza trasformare una procedura di cooperazione disciplinata in un provvedimento di polizia, con il sapore punitivo che piacerebbe a parte dell’elettorato tedesco. Anche perché le autorità europee non hanno dimostrato gran perspicacia negli scorsi anni: prima sono state disattente e cedevoli, anche nei confronti del bilancio tedesco; poi hanno disegnato percorsi di aggiustamento irrealistico e controproducente, come nel caso greco e portoghese dove l’Europa ha già ammesso che per risistemare le cose con riforme ben fatte e politicamente accettabili occorre più tempo.  

Nel testo di Van Rompuy c’è un concetto chiave da non trascurare: la «condivisione delle decisioni sui bilanci» va «commisurata alla condivisione dei rischi». A fronte dell’accentramento del controllo occorre cioè essere disposti alla solidarietà fiscale che è implicita, per ora, nel fondo salva-Stati appena varato ma che deve svilupparsi nel tempo fino a dar luogo a forme più accentuate di indebitamento comune come gli eurobond. (...)


mercoledì 17 ottobre 2012

Energia, il crocevia dei problemi (M.Deaglio, laStampa)


Da quanto tempo gli italiani non sentivano parlare di un progetto economico di durata decennale? La nuova strategia energetica nazionale, delineata nel Consiglio dei ministri di ieri, rappresenta il primo tentativo serio di uscire dalla deprimente quotidianità di un’economia in difficoltà, di affrontare grandi argomenti di interesse nazionale nel lungo periodo invece di spendere tutte le energie a discutere affannosamente di quanto dovrà o potrà succedere nei prossimi mesi.   (...) 

Appare, del resto, naturale per l’economia italiana che i discorsi veramente concreti di lungo periodo ripartano di qui, dalla messa a punto di una strategia energetica decennale, L’Italia ha un’economia moderna grazie alla sua passata eccellenza elettrica; a fine Ottocento, la creazione di sofisticate reti idroelettriche nell’Italia Settentrionale e in altre parti del Paese, liberò risorse dedicate all’importazione del carbone e le rese disponibili per investimenti interni; e nel giro di una quindicina d’anni, l’Italia si trovò in prima fila in quasi tutti i settori industriali, dall’automobile, alla chimica, all’industria tessile. 

Ripartire dall’energia significa porsi a un crocevia al quale fanno capo sia le problematiche dell’ambiente e dell’inquinamento, con le emissioni di anidride carbonica, sia i bilanci famigliari e quelli delle imprese, con le bollette energetiche, sia infine equilibri internazionali di tipo non solo economico ma anche geopolitico. Se l’Italia economica ha un futuro, questo passa attraverso un programma (il governo ha prudentemente usato il termine «strategia» per evitare confusioni con le programmazioni del passato ma di programma finirà poi per trattarsi) di tipo energetico che metta fine all’insopportabile immobilismo degli ultimi anni, nei quali il veto di interessi incrociati ha bloccato quasi tutte le iniziative, tranne quelle di uno sviluppo disordinato dell’energia solare, prodotta dai privati, che ha incrinato i delicati equilibri del sistema impedendo un uso efficiente delle centrali a turbogas. (...)
 

martedì 9 ottobre 2012

Rottamare Monti? No, Ma Necessario Affrontare Squilibri (Non Solo Economici)


Il brutto della politica è che spesso non si riesce a discutere del merito delle questioni. Nella velocità (inevitabile?) dell'informazione è più facile cedere alla semplificazione del titolo, piuttosto che perdere qualche minuto in più nel discutere degli argomenti. Oggi è parso che Stefano Fassina, dirigente del Pd, volesse "rottamare Monti", e su questa frase (titolo dell'articolo del Foglio) si è spesa la solita litania di dichiarazioni.

Ora, lo dico da "tifoso" di Monti (perdonatemi l'espressione colloquiale), quell'articolo - al di là del titolo e di alcune semplificazioni retoriche, e al di là dell'ipotesi politica di fondo per quel che riguarda il governo italiano - è molto interessante, per le problematiche che pone, non eludibili; a maggior ragione per chi - e siamo in tanti - ha visto e continua a vedere nel lavoro di Monti e nella possibilità di una qualche forma di prosecuzione di esso (con il professore o senza), una speranza per l'Italia e per l'Europa. 

Il tema non è nuovo,  e Fassina non è certo il primo a scriverne. In ogni caso l'articolo è da leggere integralmente (più sotto citazione e link); di seguito alcune mie note: 

1. il limite del discorso di Fassina mi pare stia nel semplficare la visione della congiuntura attuale, dicendo che "siamo in una nuova fase": se così fosse, sarebbe relativamente semplice uscire dalla crisi. Abbiamo gestito alcuni mali con "ricette di destra", oggi possiamo riprendere "ricette di sinistra". Purtroppo la situazione è più complessa: dall'emergenza debito - che c'è, in particolare per il nostro paese - non siamo ancora usciti. La relativa calma post-intervento BCE (in realtà per il momento solo annunciato, vedremo cosa succederà quando la Spagna chiederà aiuti) non è indice dell'uscita dalla crisi; la difficoltà di interventi di stimolo sul lato della domanda sta anche nel delicato equilibrio che comunque è necessario mantenere sul lato dei conti pubblici.

2. In realtà il discorso è anche di politica pura, oserei quasi dire di politica di potenza. Non possiamo non vedere che all'interno delle dinamiche della crisi economica si giocano anche fattori di potere più "classici", anche se speriamo di non dover vedere una guerra mondiale (con la "scusa" turco-siriana o altre più vicine o più lontane... l'Oriente è in forte tensione da tempo); in ogni caso quella a cui stiamo assistendo è anche una naturale (ma non per questo meno violenta) redistribuzione del peso geopolitico delle aree continentali. Vogliamo semplicemente stare a guardare, o peggio autoinfliggerci danni come con la guerra in Libia? forse è necessario tentare di sfruttare tutte le possibilità perché l'Europa sia protagonista di una nuova concertazione globale, quanto mai necessaria. Lo si è già scritto tante volte: un'Europa che si risana senza avere presente le dinamiche anche geopolitiche che attraversano questa crisi, rischia di ritrovarsi ancora più debole. 

3. Concertazione globale significa di fatto regolamentere (ma non cancellare) il "braccio di ferro" fra politica e mercato. Questo non deve scandalizzare: la tensione può essere positiva se non vince completamente nessuna delle due parti. La vittoria completa della politica nel XX secolo ha significato l'eta dei totalitarismi; ma la vittoria completa del mercato vuol dire rischiare di mettere a repentaglio coesione comunitaria, stabilità politica e diritti sociali, che sempre più fanno parte integrante della nostra identità collettiva (riformulabili forse, ma non rinnegabili). Per questo il braccio di ferro deve continuare. Con stop and go inevitabili, con "ricadute protezionistiche" che temo vedremo ben presto sempre più marcate, ma gestibili se la direzione a favore di una sempre più forte integrazione politica sarà costante a livello continentale.

Il futuro delle nostre società è tutto da inventare: per questo non possono bastare le soluzioni rassicuranti di un tempo; ma certo non serve a nessuno nascondere i problemi dietro la maschera di litigi casalinghi e molto effimeri.

Francesco Maria Mariotti

Segue l'articolo di Stefano Fassina

domenica 30 settembre 2012

Con l'ipotesi Monti-bis quadro politico più chiaro. Ora i partiti facciano i conti con la realtà (ilSole24Ore)

(...) Viceversa, misurarsi sull'idea di un nuovo esecutivo guidato da Monti obbliga i partiti – i favorevoli come i contrari – a fare i conti con la realtà. Perchè discutere di Monti significa discutere anche di Europa, di relazioni con le grandi cancellerie europee; vuol dire porsi il problema delle riforme (non solo in forma retorica e mediatica) e capire veramente quale sia il "che fare" nei prossimi mesi. Anche e soprattutto per ridare slancio all'economia e in prospettiva ridurre il carico fiscale. (...) Il Punto di Stefano Folli - Il Sole 24 Ore - leggi l'articolo integrale 

venerdì 7 settembre 2012

Sdrammatizzare

Forse la frase che aiuta meglio a capire le implicazioni per noi della giornata di oggi è stata pronunciata da Mario Monti, che ha detto (vado a memoria, riporto il concetto): "L'Italia non ha bisogno di aiuti, e lavora per non averne bisogno, ma da oggi la parola aiuto è sdrammatizzata".

Ora tocca a noi, e - qui a mio avviso il senso quasi esplicito di quanto ha detto Monti - l'aiuto - se verrà (e verrà, aggiungo io) - non sarà da pensarsi come giogo; Draghi ha fatto il suo dovere fino in fondo, portando la BCE in territori nuovi (cosa che rende comprensibile il timore dei tedeschi),  e creando un clima molto diverso da quello che ha segnato il difficoltoso - e tragico, per certi aspetti - percorso della Grecia. 

Da oggi la volontà europea di resistere a tutti i costi contro la speculazione è stata certificata (pur con tutte le condizionalità che servono proprio a far sì che l'aiuto non diventi "droga"; fra queste condizioni è da tenere presente che ci sarà un ruolo - anche se "da lontano" - del FMI)

Ora tocca a noi affrontare un percorso senza complessi, senza difficoltà, in serena chiarezza: meglio cominciare a progettare (come si sta già facendo, probabilmente) il "piano di lavoro" che verrà scritto nel memorandum, da farsi approvare (senza farcelo dettare, quindi) da BCE e Commissione europea.

Mettiamo in sicurezza l'Italia: ora ci sono (quasi) tutte le condizioni per farlo, Corte Costituzionale tedesca permettendo (ma anche su questo, forse Draghi ha già posto le basi per muoversi in autonomia; ricordiamo ciò che Monti ha detto al Sole24Ore pochi giorni fa: "Francoforte potrà anche valutare autonomamente").

Francesco Maria Mariotti

Su questo tema leggi anche:







mercoledì 29 agosto 2012

Mario & Mario

Gli interventi di Mario Monti (intervista di Fabrizio Forquet sul Sole24Ore) e Mario Draghi (da Die Zeit, tradotta da Linkiesta).
I grassetti della citazione di Monti sono miei; mi sembrano particolarmente importanti per rilevare come si stia tentando di trovare un percorso particolare per l'Italia; e anche se non si parlerà di esplicito aiuto "su richiesta", comunque c'è all'orizzonte l'ipotesi di appoggio della BCE ("Francoforte potrà anche valutare autonomamente", dice il Presidente del Consiglio italiano).
L'importante è: 1) Dal punto di vista di Monti: necessario ribadire che l'Italia è in una situazione diversa dalla Spagna e che l'eventuale appoggio da parte dell'Europa non deve essere vissuto come giogo esterno; 2) dal punto di vista di Draghi: è fondamentale far comprendere a Germania e altri paesi "rigoristi" come l'azione della BCE possa spostarsi su vie eccezionali, ma sempre in coerenza con il mandato della Banca Centrale. 
Due interventi da leggere in parallelo per capire le dinamiche che si aprono nei prossimi giorni.
FMM

Tra le questioni più spinose per l'Italia c'è la definizione dei contenuti del memorandum of understanding, il documento con gli impegni che va siglato nel caso di richiesta di attivazione dei meccanismi di stabilizzazione finanziaria. C'è chi teme condizioni aggiuntive e gravose. «Qui il lavoro è tutto da fare, il terreno è ancora vergine». La formulazione adottata dal vertice del 28-29 giugno è alquanto vaga. «Dovranno lavorarci i ministri delle finanze. Per quanto riguarda l'Italia, abbiamo dichiarato di non averne attualmente bisogno». E se la situazione dei tassi dovesse aggravarsi? «Di certo non voglio che l'Italia, dopo gli sforzi e i risultati ottenuti, sia sottoposta a una sorta di commissariamento intrusivo come avvenuto per Paesi che avevano bisogno di aiuti per chiudere i propri bilanci. Noi non siamo in quella situazione». Di certo c'è che la Bce interverrà solo dopo una richiesta di attivazione dei Fondi Ue... «Non solo è così, ma Francoforte potrà anche valutare autonomamente se intervenire o meno in caso di richiesta di aiuti. Non ci sono automatismi su questo». di Fabrizio Forquet - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/VuUAd

Dalla prospettiva della Bce, una forte unione economica è un complemento essenziale per una politica monetaria comune. Per fare ciò occorrerà un processo strutturato in una sequenza corretta. Tuttavia i cittadini potranno essere certi che questi tre elementi resteranno costanti. La Bce farà quel che è necessario per assicurare la stabilità dei prezzi. Resterà indipendente. E agirà sempre nei limiti del suo mandato.
Eppure è necessario comprendere che raggiungere il nostro obiettivo richiede, a volte, di andare oltre gli strumenti standard di politica monetaria. Quando i mercati sono frammentati o influenzati da paure irrazionali, i segnali della nostra politica monetaria non raggiungono uniformemente i cittadini di tutta l’area euro. Dobbiamo creare queste limitazioni per assicurare una singola politica monetaria e quindi la stabilità dei prezzi per tutti i cittadini dell’area euro. Questo potrebbe richiedere, a volte, misure eccezionali. Ma questa è la nostra responsabilità come banca centrale dell’area euro.
La Bce non è un’istituzione politica. Ma è obbligata nelle sue responsabilità come istituzione dell’Unione Europea. Così, non perdiamo mai di vista la nostra missione di garantire una moneta stabile e forte. Le banconote che noi distribuiamo portano la bandiera europea e sono un simbolo potente dell’identità europea.
Chi vuole tornare indietro al passato non capisce il significato dell’euro. Chi afferma che solo un pieno federalismo può essere sostenibile alza la barra troppo in alto. Quello di cui abbiamo bisogno è uno sforzo graduale e strutturato per completare l’Unione Monetaria Europea. Questo, alla fine, darà all’euro le fondamenta stabili di cui ha bisogno. Otterrà pienamente l’obiettivo finale per cui l’Unione e l’euro erano stati fondati: stabilità, prosperità e pace. Noi sappiamo che a questo aspirano le persone in Europa e in Germania.

giovedì 23 agosto 2012

Se Berlino torna alla realpolitik (dal Sole24Ore)

Però il dibattito tedesco si sta facendo più articolato. Soprattutto Angela Merkel pare essersi convinta che, per lei e la sua riconferma alla Cancelleria, sarà meglio presentarsi alle elezioni del settembre 2013 con in tasca l'euro piuttosto che senza. Il collasso della moneta unica provocherebbe infatti uno shock dai costi enormi e, soprattutto, dalle conseguenze imprevedibili in Europa e fuori. di Adriana Cerretelli - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/ZKTEm