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giovedì 28 settembre 2017

Catalogna, Spagna, Europa

Il tema più interessante di questi giorni, visto sul lungo periodo, mi pare quello relativo a Spagna e Catalogna, e alla richiesta di indipendenza di quest'ultima rispetto a Madrid.

Quasi d'istinto, dopo la fine della Jugoslavia e viste le tensioni che in questo momento percorrono l'Europa, devo dire che mi sembra quasi assurdo pensare a un distacco elaborato in termini "indipendentistici"; ancor di più considerando il fatto che stiamo in qualche modo riscoprendo lo Stato come protagonista (assai acciaccato per la verità) dell'azione internazionale ed economica. 

Certo, questa riscoperta sa molto di "illusione" (vd. questo post del 2013), ma in un momento così delicato anche la sola percezione di una comunità coesa può essere fondamentale, per evitare di scivolare in situazioni inaccettabili e rischiose; e d'altro canto l'Europa è ancora creatura politica "acerba" per poter garantire al suo interno quel rimescolamento pacifico di confini che forse si potrebbe pensare positivo, in un mondo ideale.

Sicuramente la sfida delle autonomie "regionali" (intese in senso lato) è da raccogliere (per chi pensasse a facili paragoni, comunque, mi pare difficile collegare le vicende di Spagna e Italia, in questo senso), ma non sono accettabili scelte unilaterali. Forse la Spagna poteva fare di più prima in termini di ascolto? reagire in termini meno pesanti ora? Difficile dirlo. Le ragioni della legittimità politica e giuridica mi paiono per ora tutte a favore di Madrid.

Per farsi un'idea, segnalo alcuni articoli che mi sono sembrati ricchi di informazioni e considerazioni utili.
Buona lettura

Francesco Maria Mariotti

(Chi scrive è dipendente del Consiglio regionale della Lombardia; naturalmente le opinioni di questo post sono espresse a titolo puramente personale)

***

"Il País ha elencato e smentito 10 falsi miti sul referendum per l’indipendenza della Catalogna che dovrebbe tenersi domenica 1 ottobre: per esempio che la Spagna rubi i soldi dei catalani, i quali sarebbero più ricchi stando da soli, oppure che la Catalogna indipendente entrerà automaticamente nell’Unione Europea. Il País – che finora ha preso una posizione nettamente contraria al referendum, e vale la pena tenerlo a mente – ha selezionato questi falsi miti dagli slogan e dalla retorica politica usati dai leader indipendentisti catalani negli ultimi anni: alcuni si possono considerare falsi miti non perché c’è la certezza che non si realizzeranno mai, ma perché non c’è certezza che si realizzeranno, come invece sostengono i favorevoli all’indipendenza. Inoltre, questi non sono naturalmente gli unici argomenti dei favorevoli all’indipendenza della Catalogna. (...)

Gli indipendentisti sostengono che i quasi 40 anni di autogoverno – ovvero la decentralizzazione del potere disegnata con la Costituzione del 1978 – siano stati un fallimento; dicono che oggigiorno sarebbe in corso un nuovo processo di centralizzazione del potere, e che quindi l’autonomia debba essere trasformata in indipendenza.
Il País sostiene che non sia corretto parlare di fallimento. Nel 1979, un anno dopo l’adozione della Costituzione, fu adottato un nuovo Statuto di Autonomia della Catalogna che tra le altre cose stabilì «un sistema di autogoverno senza precedenti nella storia della Spagna»: fu recuperata la lingua catalana, il cui uso era stato vietato durante il franchismo, si fecero passi avanti sulla corresponsabilità fiscale e si ridistribuirono le competenze tra stato e comunità autonoma. Nel 2006 fu approvato un nuovo Statuto di Autonomia, che dava ulteriori poteri alla Catalogna, anche se poi molte sue parti furono dichiarate incostituzionali dal Tribunale costituzionale spagnolo con una sentenza molto contestata. Il País sostiene che nonostante quella sentenza, e nonostante le diverse leggi centralizzatrici introdotte dal Partito Popolare del primo ministro Mariano Rajoy dal 2012 a oggi, il grande livello di autogoverno delle comunità autonome spagnole sia una cosa ormai consolidata: migliorabile, ma comunque notevole se comparato con altri stati del mondo. (...)

Come scrive il País, non c’è ragione di pensare che la Spagna non sia uno stato democratico. In Spagna esistono lo stato di diritto e la separazione dei poteri; il paese fa parte di tutte le convenzioni internazionali sul rispetto dei diritti umani e le libertà politiche delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea; Freedom House ha dato un punteggio di 95/100 al rispetto dei diritti civili e politici in Spagna, lo stesso dato attribuito alla Germania. Né il governo catalano né uno dei gruppi indipendentisti della regione hanno mai fatto ricorso a tribunali internazionali per denunciare delle violazioni dei diritti, né tantomeno lo stato spagnolo è mai stato condannato per questo tipo di violazioni. (...)"




"(...) All’interno della Costituzione spagnola non esistono margini per tale cammino, e vista l’impossibilità di stabilire un dialogo “alla scozzese” o “alla québecoise” con il governo di Madrid, in mano al PP, partito con una concezione centralista dell’organizzazione dello Stato, gli indipendentisti catalani, divenuti via via più numerosi da uno zoccolo duro del 15 – 20% dell’elettorato negli anni della transizione democratica al quasi 50% di oggi, hanno cercato di definire un altro cammino: quello dell’autodeterminazione.

Da qui che la convocazione del referendum da parte della maggioranza indipendentista nel Parlament (les Corts) e la conseguente legge di secessione in caso di vittoria del sì siano state legittimamente annullate dalla Corte Costituzionale. È come se un comune o regione italiana dichiarasse unilateralmente la propria indipendenza: sarebbe atto giuridicamente nullo.

Per antipatico che sembri, e pur biasimando l’inerzia di un governo spagnolo che non ha messo in essere negli ultimi anni alcuna iniziativa di dialogo con i fautori dell’indipendenza, che non hanno mai usato metodi violenti nel difendere le loro idee, l’intervento delle forze dell’ordine di questi giorni è legale (con una riserva sui modi ed eventuali eccessi, che vanno valutati nello specifico), non è una violazione della democrazia come sostengono alcuni osservatori disattenti o di parte.

Si sarebbe dovuto evitare d’arrivare a questo punto di rottura? Assolutamente sì: i due governi, spagnolo e catalano, hanno completamente fallito politicamente.(...)

Il diritto all’autodeterminazione è riconosciuto dal diritto internazionale in caso di occupazione militare da parte di paese straniero, di esistenza di un sistema coloniale e dell’uso della violenza da parte delle forze occupanti. Di fatto, l’autodeterminazione è categoria giuridica nata col processo di decolonizzazione e definita in quell’ambito. Gli indipendentisti catalani fanno un solo esempio, quello del Kosovo, ma è oggettivamente forzato vista la situazione bellica prodottasi in quel caso (per inciso, la Spagna è tra i paesi dell’UE che non ha riconosciuto l’indipendenza del Kosovo per paura a eventuali usi strumentali di tale precedente).
In tutta onestà, è impossibile sostenere che condizioni paragonabili al caso del Kosovo si diano nella Catalogna di oggi.(...)

Il tema dell’eventuale adesione all’UE, presentata all’inizio dal fronte indipendentista come automatica (lasciamo la Spagna e rimaniamo nell’UE) rimane teorico al momento attuale, anche perché persino in caso di raggiunta indipendenza, la Catalogna dovrà richiedere l’adesione all’UE come nuovo membro, processo che richiede l’unanimità degli Stati Membri attuali. L’assenso del governo di Madrid rimarrebbe comunque indispensabile.
Anche un eventuale divorzio richiederà molti accordi specifici sui temi legati alla separazione, come la ripartizione dei beni pubblici, il pacchetto finanziario d’uscita, le regole sulla doppia cittadinanza.
Siamo comunque molto lontani da quel momento. Adesso è il momento della concitazione e dell’estremismo."​



"(...) Il nazionalismo catalano è un movimento complesso che alberga al suo interno anime diverse, moderate e radicali, laiche e cattoliche. La storia insegna che si è radicalizzato ogni qualvolta il governo di Madrid si è opposto alle sue richieste o ha cercato di reprimerlo. È un movimento democratico ed europeista che dal 2010 ha conosciuto una torsione populista e indipendentista, fino a quel momento opzione largamente minoritaria. Anche dopo il 2010 l’indipendentismo non ha mai ottenuto la maggioranza nel voto dei catalani, mentre nel 2015 l’ha conquistata in termini di seggi, fatto che ha consentito la formazione di un governo di coalizione che non ha altri punti in comune al di fuori del progetto indipendentista. La decisione di indire il referendum, e le modalità con le quali vi si è giunti, hanno inferto un grave vulnus alla Costituzione, intollerabile in uno Stato di diritto. Ma da qualunque punto la si guardi, non si può non riconoscere che la richiesta d’indipendenza costituisce un problema politico, da affrontare politicamente. Così fece la Corte Suprema del Canada nel 1998 che, di fronte al secessionismo del nazionalismo francofono, emise una sentenza nella quale si affermava che il Quebec non avrebbe potuto, anche in presenza di un chiaro risultato referendario, procedere alla secessione, ma allo stesso tempo che il governo non poteva rimanere indifferente davanti alla chiara espressione di una volontà secessionista. Da qui la necessità di avviare negoziati che ne fissassero le condizioni. Alla sentenza seguì una legge del Parlamento (Clarity Act) che stabilì di affidare alla Camera dei Comuni la determinazione dei quorum (di partecipazione e di voto) necessari a rendere valido il risultato del referendum. Forse non è un caso che laddove si è votato, più volte nel Quebec e più recentemente in Scozia, non sia stato il voto secessionista a prevalere.



L’ostinazione con cui Rajoy ha rifiutato ogni negoziato riflette una peculiare e diffusa cultura politica nella quale la mediazione (intesa nella versione nobile, di dialogo e approdo a soluzioni attraverso compromessi) non trova tradizionalmente posto. La recente politica spagnola offre al riguardo vari esempi: il rifiuto di avvicinare ai Paesi baschi i detenuti dell’Eta e di costruire percorsi per il loro reinserimento nella vita civile anche dopo la sconfitta dell’organizzazione terroristica; il fatto che non si sia mai approdati a governi di coalizione neppure di fronte alla crisi economica e dopo due elezioni che non hanno dato a nessun partito la maggioranza per governare; il «no è no» del segretario del Psoe, Pedro Sánchez, all’astensione sul governo Rajoy. Una rigidità di principi a cui non sempre corrisponde analoga fermezza sul piano etico, come i casi di corruzione hanno abbondantemente dimostrato.

Le forzature della legalità democratica da parte dell’indipendentismo e la rigidità di Madrid hanno confezionato una situazione che nessuno sa come andrà a finire. Quel che è sicuro è che non finirà l’1 ottobre e che dopo sarà peggio."


"(...) L’onda autonomistica si è gonfiata ed è giunta a un livello al quale sembra difficile fermarla. Il governo centrale ha prima chiesto e ottenuto una sentenza della Corte Costituzionale che dichiara illegale il referendum catalano predisposto per il 1 ottobre. Poi, è intervenuto perquisendo uffici, addirittura arrestando alcune delle autorità catalane, annunciando il blocco del trasferimento di fondi da Madrid a Barcellona. Mariano Rajoy, esponente del Partito popolare e Presidente del governo spagnolo (di minoranza poiché ha bisogno dei voti di altri partiti), vuole fermamente mantenere l’unitarietà della Spagna. Al tempo stesso, teme il contagio di una vittoria degli indipendentisti catalani su altre regioni del paese: le Canarie, la Galizia, i Paesi Baschi, l’Andalusia. Non è detto che gli indipendentisti catalani vincano. Infatti, la Catalogna ha, proprio grazie alle opportunità che offre, attratto molti immigranti dal resto della Spagna che il catalano probabilmente non l’hanno imparato, la cui storia e cultura sono sicuramente non-catalane, che non possono avere l’orgoglio dei catalani da sempre o da qualche generazione. Però, Rajoy e probabilmente con lui il resto della Spagna preferirebbero non correre il rischio di una sconfitta dalle conseguenze imprevedibili, ma neppure di una vittoria, che sarebbe comunque alquanto risicata, di coloro che desiderano rimanere con la Spagna. (...)"

lunedì 25 agosto 2014

Mario Draghi e l'Europa irriformabile (da Linkiesta.it)

(...) Nessuno dei quattro grandi paesi che adottano l’euro è davvero a posto, nessuno può alzare il ditino o indossare l’aureola del santo. Ma chi è in grado di convincerli a seguire la retta via? È questo il dilemma che Draghi ha posto indirettamente, ma con chiarezza. E si è scontrato contro un muro, perché nessuno oggi ha il potere di farlo, certo non la Ue che è ridotta sempre più a un club di nazioni chiassose e litigiose, ma nemmeno la Bce che pure è l’unica istituzione federale dotata di veri strumenti d’intervento. I cambiamenti principali finora sono stati compiuti sotto la pressione degli eventi, davanti a rischi drammatici come la crisi bancaria del 2008, il crack della Grecia nel 2010 o il collasso dell’euro nel 2012. E sono comunque rimasti cambiamenti a metà, accettati di mal grado dalla Germania che pure vanta il proprio europeismo federalista.

Draghi ha chiesto un’ulteriore cessione di sovranità e vuole un patto per le riforme da accompagnare al patto fiscale. Se si vuole dare all’euro una intelaiatura più solida è un passaggio inevitabile. Ma oggi non c’è consenso né tra i paesi del sud né in quelli del nord Europa. Dunque, la politica economica europea è in un cul de sac. La Bce alla fine sarà costretta a fare come la Fed se arriverà davvero una nuova tempesta finanziaria. Ma senza dietro un paracadute politico, nessuno può garantire che sia davvero efficace. Draghi lo sa e lo ha detto. Anche la sua diventerà una predica inutile?

Il rischio è ancor più forte se si passa alla riforma delle riforme, quella del sistema finanziario dove è cominciato il grande crack. Qui i passi sono stati ben più timidi di quelli compiuti dalle politiche fiscali dei governi. I grandi protagonisti, le megabanche, i supermarket della moneta, i fondi di investimento, hanno continuato ad assumere rischi come se nulla fosse e poco è cambiato del loro comportamento. Sono migliorati gli strumenti di controllo, anche se non a sufficienza, ma sono sempre interventi ex post, nulla che possa in alcun modo prevenire lo scoppio a catena di nuove bolle e una crisi sistemica. (...)

domenica 12 gennaio 2014

Dublino, Madrid, Lisbona, Atene: le 4 facce della crisi (F.Goria su Linkiesta)

Segnalo un bell'articolo di Fabrizio Goria sui risultati dell'azione della troika in quattro paesi europei. C'è da riflettere su un fattore: forse gli sforzi "maledetti" della troika funzionano - se e quando funzionano (Goria dettaglia bene le ambiguità e le contraddizioni degli interventi) - anche perché - soprattutto perché - la forza della troika è anche quella di un'entità "esterna" ai compromessi dei paesi "in cura". 

Proprio questo però alimenta la percezione di una "non autonomia" dei paesi, e di una lontananza dei processi decisionali nei momenti di crisi, che però sono i momenti in cui sarebbe necessario far percepire maggiormente che "nessuno rimarrà indietro". 

Nella tensione fra queste due facce della "soluzione" della crisi, vediamo lo spazio che potrebbe esserci per una politica comunitaria europea non di "facile spesa risolvi-tutto", ma di coordinamento e di indirizzo per far capire a tutti i cittadini europei che stiamo diventando una comunità. 

Se ci fosse una comunità politica coesa, forse gli sforzi comuni sarebbero stati diversi, e le sofferenze - e la percezione di solitudine, se non anche di diperazione, dei cittadini - avrebbero potuto essere minori.

FMM

La narrativa delle crisi dell’eurozona è mutata. La sua storia pure. Una lieve ripresa economica, seppur disomogenea e assai fragile, è arrivata e sul fronte finanziario le tempeste vissute fra 2010 e 2012 sono un ricordo. Il 2014 inizia con le quattro storie: due di sostanziale successo, due chiaroscurali ma comunque più positive delle aspettative. Irlanda, Spagna, Portogallo e Grecia sono i Paesi che hanno richiesto un programma di salvataggio alla troika composta da Commissione Ue, Banca centrale europea (Bce) e Fondo monetario internazionale (Fmi). I primi due ne sono usciti, il terzo lo sta per fare e il quarto, nonostante le enormi difficoltà, potrebbe farlo prima del previsto. Quattro nazioni che hanno avuto crisi diverse l’una dall’altra, quattro nazioni per le quali il tunnel della peggiore crisi dal Secondo dopoguerra sta terminando, quattro esempi di come la troika ha agito - ora bene, ora male - per fronteggiare l’emergenza.(...)

Il maggior difetto procedurale della troika in questi anni è stato forse il suo dogmatismo. O meglio la credenza, poi mutata in corsa non senza diversi ritardi sulla tabella di marcia, che si potesse applicare lo stesso modello a tutti i Paesi che hanno chiesto un sostegno finanziario. Le autorità europee, nonostante le pungolature del Fmi, hanno compreso tardi l’entità delle singole crisi sovrane, cercando poi di porre una pezza che molto spesso, vedasi il Psi sulla Grecia effettuato senza un Osi, ha fatto più danni che benefici. Il vento però ha cambiato direzione. L’uscita dai piani di salvataggio da parte di Irlanda e Spagna, e i segnali positivi che arrivano da Lisbona, possono aiutare l’intera eurozona a creare, con il supporto della Bce, una nuova normalità. A patto che non ci si dimentichi che il percorso è ancora lungo e che senza riforme (e sforzi) da parte di tutti i membri dell’area euro il rischio di un collasso potrà tornare a galla. Capito, Italia?

domenica 22 dicembre 2013

Il Pericoloso Passo Indietro della Spagna

Era forse inevitabile che la crisi economica trascinasse nella sua spirale, oltre ai diritti sociali (cosa amara, ma in qualche modo comprensibile, in quanto diritti necessariamente "economici"), anche i diritti civili dati come acquisiti. 

La scelta della Spagna - che in un certo senso aveva modernizzato quasi "in eccesso", con la politica di Zapatero che segnava un'avanguardia (forse poco elaborata e condivisa) su questo fronte - di tornare indietro su un tema come l'aborto segna un passaggio pericoloso, per vari motivi che provo a spiegare.

1. Sul merito della questione giova ripetere quanto già detto e documentato migliaia di volte, da più parti: restringere le condizioni dell'aborto legale non servirà a diminuire realmente l'entità del fenomeno e sposterà nella clandestinità l'interruzione di gravidanza. Ci sono fenomeni che attengono alla sfera privata della vita delle persone che non possono essere regolati con troppa severità o minuziosità dallo Stato. Sono materie che è inevitabile lasciare all'autonomia delle persone. 

Non si discute del fatto che l'aborto sia un dramma; e può essere tristemente vero che rendere praticabile l'aborto legalmente rischi di renderlo "più facile" anche per persone inconsapevoli, o in casi che potrebbero essere gestiti diversamente.

Ma non c'è scelta, ed è forse questo che sembra non accettabile, per alcuni: bisogna fidarsi delle donne. L'alternativa è secca e pericolosa, ed è appunto la clandestinità e l'ipocrisia: il valore declamato nella legge, ma rischiosamente (per la salute e la vita delle donne, soprattutto) contraddetto nella pratica silenziosa e sotterranea.

2. Quanto più la politica sembra incapace di regolare le questioni economiche, tanto più si cerca di retrocedere (o avanzare, anche) sul piano di questioni cosiddette "etiche"; quasi a voler rimarcare una "sovranità perduta", lo Stato tenta di regolare la società anche in campi in cui il regolamento rischia di essere più dannoso che positivo

Questo può accadere, in teoria, anche con scelte "progressiste": la sinistra spesso dà l'impressione di maneggiare queste tematiche "a surroga" di una perduta capacità della propria parte di incidere sulle questioni sociali.

Beninteso: le questioni civili hanno una ricaduta, e forte, anche sullo status economico e sociale delle persone, naturalmente. Quindi sulla loro effettiva eguaglianza e libertà. E anche in questo senso il passo indietro della Spagna sembra pericoloso, perché di fatto rende la donna meno libera.

Ciò detto, vale la pena soffermarsi sul fenomeno più generale, e che la svolta della Spagna sembra confermare: una politica impotente nei fatti crudi dell'economia non cerca nuove soluzioni, ma "alza la voce" - e la spada del diritto - su questioni che - in ultimo - non potrà mai pienamente controllare, rendendo banalmente più difficile - e più sofferente - la vita ai cittadini.

3. Rischio "imitazione". L'Italia non è la Spagna, e il lungo processo che ha portato alla legge 194 forse ha creato un buon sostrato culturale, in grado di "assorbire" la tentazione di "revanscismo" su questo fronte. Ma anche in questo caso, una retorica mal dosata - e mal pensata - di "rientriamo nei ranghi" rivolto alle scelte di progresso degli anni '70 (magari collegandole impropriamente a altre scelte non sempre felici di quegli anni) - può essere una pericolosa arma di seduzione per una politica troppo incline agli slogan.

"It's the Economy, stupid", era lo slogan degli anni di Clinton. Prima la politica tornerà a guardare - con concretezza ed umiltà - a ciò che è possibile e realizzabile in quel campo, meno toccheremo con inefficaci regole le vite delle persone; solo così daremo ai cittadini i mezzi per decidere - da soli - della loro vita (e della loro morte) e di come trovare la loro felicità.

Unione bancaria, la partita sulla leadership europea e i diktat tedeschi (da HuffingtonPost.it)

(...) Il primo obiettivo, riguardante l'accentramento della vigilanza, è stato raggiunto: è stato, infatti, adottato un regolamento e il sistema sarà pienamente operativo dal prossimo anno. Alla Banca Centrale Europea spetta la vigilanza diretta sulle principali banche (circa 130), mentre resta in capo agli organi nazionali quello sulle altre banche (ferma restando la facoltà della BCE di intervenire per assicurare la coerente applicazione degli standard europei). Nel frattempo è partita l'Asset Quality Review che insieme agli stress test consentiranno alla BCE di avere una radiografia accurata del sistema bancario europeo.

Il secondo obiettivo, discusso in questi giorni, riguardava, invece, la creazione di un meccanismo comune di gestione delle crisi creditizie che possano avere ripercussioni gravissime sul paese di appartenenza e, in ultima analisi sull'intera Eurozona, com'è accaduto per Portogallo, Spagna, Cipro, e come avverrebbe se la situazione italiana dovesse precipitare. La Commissione ha proposto un meccanismo uniforme che però ha incontrato notevoli resistenze soprattutto dalla Germania. Al di là dei pretesti giuridici inizialmente invocati (non c'è una base giuridica nel Trattato, la competenza dovrebbe spettare al Consiglio e non alla Commissione) il vero tema era: chi paga in caso di default di una banca? La preoccupazione sottostante era ancora una volta che i contribuenti tedeschi finissero per pagare per il salvataggio di banche dei paesi del sud Europa.

Di qui una serrata battaglia per assicurarsi che innanzi tutto le crisi gravino, con un ordine di priorità prestabilito, su azionisti, obbligazionisti, creditori e clienti (salvo quelli garantiti per depositi fino a 100.000 Euro). E' poi stata prevista l'istituzione di un fondo comune, alimentato dalle stesse banche, che nell'arco di una decina di anni dovrebbe raccogliere cinquantacinque miliardi. Fin qui tutto bene. Il problema è che succede nel frattempo, in caso di crisi, se questi fondi sono insufficienti. Lo stesso rischio vale a regime dinanzi a crisi di proporzioni simili a quella passata. Su questi temi lo scontro si è fatto pesante e nei giorni scorsi il Ministro Saccomanni ha preso carta e penna per chiarire formalmente la propria posizione, favorevole all'utilizzo anche di fondi pubblici dell'UE. Alla fine il compromesso trovato nella notte sembra prevedere che gli Stati o l'European Stability Mechanism possano erogare finanziamenti ponte, ove necessario.(...)

mercoledì 13 novembre 2013

À La Guerre Comme À La Guerre? (Europa in tensione, Monete in guerra...)

Dunque l'Europa prende posizione "contro" la Germania, con cautela e con precisazioni varie, che vogliono evitare l'esplosione di una tensione che in realtà da tempo è presente nella zona Euro. Il passo potrebbe essere l'inizio di una svolta rispetto alla tendenza "solo-austerity" che ha segnato fin qui il percorso europeo nella crisi, ed è comunque importante come segnale nei confronti di tutta la comunità europea.

E' però lecito dubitare che mettere "sotto accusa" la Germania serva, senza ulteriori passaggi politico-comunitari (anche perché - lo si ricordava qualche giorno fa - il riequilibrio degli squilibri commerciali non è cosa che si possa imporre). L'Italia può giocare forse una partita diversa, appoggiandosi alle scelte odierne, ma proponendo agli stati più affini alla sua situazione - Spagna e Francia - di premere affinché la governance europea sia diversa. E' necessario quindi immaginare un "gioco di squadra" dei paesi del sud Europa (estremizzando irrealisticamente: si potrebbero "forzare" gli eurobond, comunque da soli non risolutivi, se alcuni paesi dicessero "noi li faremo comunque?") - che porti a rideterminare alcune scelte complessive della nostra Comunità.

Parallelamente al tentativo di riequilibrare le dinamiche "interne", si alzano voci sempre più decise contro l'Euro forte. Le preoccupazioni legittime si mescolano così alla tentazione di entrare nell'arena della "guerra delle valute", iniziata da tempo. La BCE in questi anni ha tentato di rimanere fuori da questa battaglia; ora le pressioni si fanno più forti. 

Su questo, ragiono ad alta voce da "inesperto", mi pare si possa dire che - come nelle guerre "vere" - il rischio è di sapere bene perché e come si "entra in battaglia", ma non capire, non sapere, non riuscire a definire come "se ne esce". La guerra monetaria può dare respiro all'Europa? forse, per un breve periodo. Ma il rischio è che le tensioni fra le diverse aree si rendano sempre più acute, vanificando anche i benefici immediati.

Inoltre, giocare con la svalutazione della moneta ( cosa forse oramai necessaria?) rischia di creare l'illusione di una manovra risolutiva, rendendo più difficile, meno urgente, più complicato dal punto di vista politico, il percorso per irrobustire realmente le economie dell'Eurozona.

Forse l'Europa dovrebbe giocare veramente una partita più politica, provando a presentare al mondo un'idea di "governo mondiale" dell'economia, qualcosa che dica ai Grandi Giocatori: "Gli equilibri sono cambiati. Prendiamone atto. Non distruggiamoci reciprocamente, ma creiamo qualcosa di nuovo". Se - e solo se - si fosse capaci di proporre questo, allora varrebbe la pena "entrare in battaglia".

FMM

L'idea è semplice: la Germania deve spendere di più per permettere ai paesi del sud come il Portogallo di allargare il loro mercato e vendere i loro prodotti. L'idea è generosa e si basa su una convinzione: in questo momento i tedeschi approfittano della zona euro. In che modo? Per il semplice motivo che se avessero avuto il marco tedesco al posto dell'euro, la loro valuta si sarebbe apprezzata molto di più e la loro competitività (le loro esportazioni) si sarebbe deteriorata. Inoltre a causa della divisione finanziaria dell'euro le banche tedesche e lo stesso stato sono diventati il rifugio degli investitori internazionali, disposti a pagare caro per avere la sicurezza della più grande economia della moneta unica.
Sì, chiediamo la solidarietà della Germania, tanto più che alcuni paesi come il Portogallo devono fare drastici aggiustamento della loro economica e devono farli rapidamente. Il problema è sapere quello che devono fare i tedeschi per favorire la forza economica europea e un progetto che affermano di voler difendere.
Con il rischio di essere accusato di scarso patriottismo, non penso che la soluzione migliore passi attraverso un aumento delle spese in Germania (...) Viviamo in un'unione monetaria caratterizzata da grandi disparità sul piano finanziario. È qui, a questo livello, che gli europei devono chiedere un altro tipo di solidarietà alla Germania, per bilanciare gli squilibri esterni nella zona euro. Se infatti un deficit del 6 per cento della bilancia delle transazioni correnti è un cattivo risultato, non possiamo neppure rallegrarci di un eccedenza del 6 per cento in un altro paese della stessa zona monetaria. Come correggere questi squilibri?
Per esempio istituendo una vera e propria gestione economica della zona euro in cui la sovranità sia più condivisa e creando una vera e propria unione bancaria che non ha mai visto la luce. È su questi due aspetti che la Commissione europea e i dirigenti dei paesi dell'Europa meridionale devono concentrarsi, invece di perdere tempo a chiedere ai tedeschi di non essere tedeschi.
Se la Germania, nelle ultimi indagini di Bruxelles, non presentava sbilanci particolari, in quest’ultimo report si sottolinea invece come a partire dal 2007 Berlino abbia registrato un surplus superiore alle soglie previste (fissate al 7 per cento). Il fatto che la Commissione europea abbia avviato un'"indagine approfondita" sull'eccessivo surplus della bilancia commerciale tedesca non significa che disapprovi la competitività della Germania. Lo ha chiarito il presidente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso. "E' prematuro - ha aggiunto - anticipare se ci saranno conseguenze per Berlino" al termine dell'indagine, i cui risultati saranno noti la prossima primavera. La Germania è uno dei principali "motori dell'economia europea e "non si sta criticando la sua competitività", che dovrebbe essere un esempio per tutti gli altri Paesi.

(...) Il tasso di cambio dell'euro troppo elevato è disastroso a tutti i livelli: perché è in grado di distruggere in pochi giorni tutti i risultati in materia di competitività costati anni di sforzi; perché costringe le aziende ad abbassare i prezzi e licenziare gli impiegati, per preservare la loro competitività interna ed esterna. Diminuendo i costi delle importazioni, riduce l'inflazione a un livello troppo basso e porta a un eccessivo consumo energetico. Si tratta di un circolo vizioso in cui ogni tentativo di ridurre i deficit di governo tagliando le spese pubbliche porta a un alto tasso di disoccupazione e alimenta la crisi economica. Inoltre, l'euro troppo forte mette i paesi più indebitati nella posizione di non essere più in grado di ripagare il loro debito pubblico senza dissanguare i risparmiatori: Cipro ne è un esempio.(...)
La Germania è ancora ostile all'idea perché diffidente nei confronti di tutto ciò che possa dare l'impressione di una valuta debole e di un ritorno dell'inflazione. Questo non per salvaguardare la democrazia (Hitler, contrariamente a quanto si crede, non salì al potere per domare l'inflazione, ma dopo che questa era già stata domata), ma per i suoi timori in materia demografica: il paese ha bisogno di surplus commerciali e stabilità dei prezzi in modo che il surplus continui a crescere per pagare le pensioni degli attuali lavoratori, considerando che le generazioni future non saranno in grado di finanziarle.
Una volta convinti i responsabili delle decisioni, i ministri delle finanze dovranno solamente ribadire all'unanimità, durante ogni riunione del gruppo dell'euro, che il tasso di cambio dell'euro è troppo forte; a quel punto, la BCE non dovrà fare altro che dichiararsi a favore di un calo del valore dell'euro. Inoltre, se necessario, la BCE potrebbe ulteriormente diminuire il suo tasso ufficiale di riferimento, che è persino più alto di quello della Fed, la banca centrale degli Stati Uniti (0,25 contro lo 0,08%).(...)
Un euro indebolito a un livello ragionevole (un euro per dollaro) rappresenta dunque la scelta migliore; deve diventare una priorità e mettere in gioco tutte le sue forze. La Francia deve rivendicare tutto ciò, insieme a tutti gli altri sforzi per ripristinare la competitività tramite l'innovazione. Più l'euro sarà debole, più la posizione dell'Europa nel mondo sarà forte. E viceversa.

Cosa servirebbe subito per invertire la rotta? 
«L’Europa deve accelerare sull’Unione bancaria, accompagnandola con un’assicurazione europea dei depositi e un meccanismo di Risoluzione comune; abbandonare le politiche di austerità e puntare invece su politiche per favorire la crescita, sfruttando ad esempio i fondi Bei per finanziare le piccole e medie imprese che faticano ad ottenere credito, e investendo su istruzione e innovazione tecnologica; introdurre gli eurobond, così tutti i Paesi possono indebitarsi a tassi negativi».

giovedì 31 ottobre 2013

Spagna, la ripresa assai poco umana (Phastidio.net)

(...) Su base destagionalizzata, infatti, il totale degli occupati è calato dello 0,4% trimestrale, per il ventiduesimo trimestre consecutivo. Secondo l’Istituto Nazionale di Statistica (INE), l’occupazione totale spagnola è cresciuta negli ultimi sei mesi di 186.000 unità su base destagionalizzata, ma questo incremento è quasi interamente imputabile a fattori stagionali associati all’industria turistica. Vi facciamo grazia dei dati non destagionalizzati, ad evitare polemiche metodologiche, ma sono contrazioni piuttosto pesanti.

Commento, quindi? Che attendiamo fiduciosi che il boom dell’export spagnolo si rifletta in corrispondente aumento di occupazione, per poter portare un minimo di beneficio anche ai consumi interni ed al gettito fiscale e contributivo. Restando tuttavia consapevoli che esiste una probabilità non trascurabile che il violento recupero di produttività non produca occupazione, nel breve-medio termine, ma possa anzi proseguire a distruggerne. E, poiché siamo anche malfidenti per natura, aspettiamo anche di leggere i dati di settembre, mese in cui la destagionalizzazione è meno problematica che in agosto.(...)

lunedì 3 dicembre 2012

La Grecia Si Sta Salvando?

Segnali di distensione sulla crisi di Atene che tiene banco da tre anni. La Grecia ha lanciato un piano di riacquisto volontario di titoli di stato da 10 miliardi di euro, a prezzo molto scontato. Si tratta di una delle condizioni imposte al Paese per ricevere i fondi dall'Unione europea e dal Fmi. L'agenzia nazionale del debito ha fatto sapere che i detentori di titoli dovranno presentare le loro obbligazioni entro venerdì per ricevere in cambio un pagamento tra il 32,2 e il 40,1% del valore nominale. Gli investitori devono dichiarare il proprio interesse a vendere tra il 7 e il 17 dicembre. 


(...)L'accordo raggiunto in questi giorni è stato quello di un ammorbidimento del processo di controllo del debito pubblico greco.

La Grecia e il resto d'Europa avevano l'obiettivo di tenere Atene nell'euro per evitare sia una crisi maggiore in Grecia sia un possibile effetto domino negli altri Stati europei. Il costo del salvataggio della Grecia è elevato, ma è una goccia in confronto a quanto costerebbe una crisi che, alla fine, dopo la Spagna, lambisse prima l'Italia e poi addirittura la Francia. La conclusione del ragionamento era che, se i politici e i banchieri centrali fossero stati “avversi al rischio” (vale a dire: meglio una grossa perdita oggi che una possibile enorme perdita domani), avrebbero salvato la Grecia. E così è stato.

Il debito pubblico greco quest'anno è stato ristrutturato due volte. La prima volta è stato ristrutturato il debito detenuto dai privati, la seconda - ed è la novità di questi giorni - quello detenuto dalle autorità (Banca centrale europea, Fondo salva-Stati). La ristrutturazione per le autorità in sostanza consiste: 1) nell'allungare le scadenze del debito, ossia nel farlo scadere soprattutto quando la Grecia starà meglio; 2) nel ridurre il costo del debito per il Tesoro, ossia nel ridurre le cedole correnti e nel “regalare” al Tesoro greco le cedole accumulate. Insieme a queste misure si allungano i tempi richiesti per il rientro dei conti deficitari dello Stato. Un elevato obiettivo di surplus di bilancio è rimandato, in modo che la “strizzatura” dell'economia sia meno forte. I particolari sono qui. (...)



martedì 25 settembre 2012

Federalismo: è ora di ripensarlo (F.Bruni su laStampa)

La disciplina della finanza locale negli Stati federali è difficile da ottenere. Ce lo dice l’esperienza internazionale. L’Argentina ha problemi di squilibri finanziari privati e dell’amministrazione centrale, ma i potentati locali fanno scempio della finanza delle sue province. Il Brasile non manca di problemi analoghi. La Catalogna e le altre regioni autonome aggravano il debito pubblico spagnolo. In misure e forme diverse il problema travaglia anche altri Paesi, compresi gli Usa, la Germania e persino la Cina. Se c’è un decentramento politico-elettorale, far rispettare davvero dal centro vincoli di bilancio locali è un problema. In un modo o nell’altro l’indisciplina locale riesce a ricattare il potere centrale. D’altra parte: non è proprio questo il rompicapo che stiamo cercando di risolvere per tenere in ordine da Bruxelles le finanze dei Paesi dell’Ue?

venerdì 7 settembre 2012

Sdrammatizzare

Forse la frase che aiuta meglio a capire le implicazioni per noi della giornata di oggi è stata pronunciata da Mario Monti, che ha detto (vado a memoria, riporto il concetto): "L'Italia non ha bisogno di aiuti, e lavora per non averne bisogno, ma da oggi la parola aiuto è sdrammatizzata".

Ora tocca a noi, e - qui a mio avviso il senso quasi esplicito di quanto ha detto Monti - l'aiuto - se verrà (e verrà, aggiungo io) - non sarà da pensarsi come giogo; Draghi ha fatto il suo dovere fino in fondo, portando la BCE in territori nuovi (cosa che rende comprensibile il timore dei tedeschi),  e creando un clima molto diverso da quello che ha segnato il difficoltoso - e tragico, per certi aspetti - percorso della Grecia. 

Da oggi la volontà europea di resistere a tutti i costi contro la speculazione è stata certificata (pur con tutte le condizionalità che servono proprio a far sì che l'aiuto non diventi "droga"; fra queste condizioni è da tenere presente che ci sarà un ruolo - anche se "da lontano" - del FMI)

Ora tocca a noi affrontare un percorso senza complessi, senza difficoltà, in serena chiarezza: meglio cominciare a progettare (come si sta già facendo, probabilmente) il "piano di lavoro" che verrà scritto nel memorandum, da farsi approvare (senza farcelo dettare, quindi) da BCE e Commissione europea.

Mettiamo in sicurezza l'Italia: ora ci sono (quasi) tutte le condizioni per farlo, Corte Costituzionale tedesca permettendo (ma anche su questo, forse Draghi ha già posto le basi per muoversi in autonomia; ricordiamo ciò che Monti ha detto al Sole24Ore pochi giorni fa: "Francoforte potrà anche valutare autonomamente").

Francesco Maria Mariotti

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mercoledì 29 agosto 2012

Mario & Mario

Gli interventi di Mario Monti (intervista di Fabrizio Forquet sul Sole24Ore) e Mario Draghi (da Die Zeit, tradotta da Linkiesta).
I grassetti della citazione di Monti sono miei; mi sembrano particolarmente importanti per rilevare come si stia tentando di trovare un percorso particolare per l'Italia; e anche se non si parlerà di esplicito aiuto "su richiesta", comunque c'è all'orizzonte l'ipotesi di appoggio della BCE ("Francoforte potrà anche valutare autonomamente", dice il Presidente del Consiglio italiano).
L'importante è: 1) Dal punto di vista di Monti: necessario ribadire che l'Italia è in una situazione diversa dalla Spagna e che l'eventuale appoggio da parte dell'Europa non deve essere vissuto come giogo esterno; 2) dal punto di vista di Draghi: è fondamentale far comprendere a Germania e altri paesi "rigoristi" come l'azione della BCE possa spostarsi su vie eccezionali, ma sempre in coerenza con il mandato della Banca Centrale. 
Due interventi da leggere in parallelo per capire le dinamiche che si aprono nei prossimi giorni.
FMM

Tra le questioni più spinose per l'Italia c'è la definizione dei contenuti del memorandum of understanding, il documento con gli impegni che va siglato nel caso di richiesta di attivazione dei meccanismi di stabilizzazione finanziaria. C'è chi teme condizioni aggiuntive e gravose. «Qui il lavoro è tutto da fare, il terreno è ancora vergine». La formulazione adottata dal vertice del 28-29 giugno è alquanto vaga. «Dovranno lavorarci i ministri delle finanze. Per quanto riguarda l'Italia, abbiamo dichiarato di non averne attualmente bisogno». E se la situazione dei tassi dovesse aggravarsi? «Di certo non voglio che l'Italia, dopo gli sforzi e i risultati ottenuti, sia sottoposta a una sorta di commissariamento intrusivo come avvenuto per Paesi che avevano bisogno di aiuti per chiudere i propri bilanci. Noi non siamo in quella situazione». Di certo c'è che la Bce interverrà solo dopo una richiesta di attivazione dei Fondi Ue... «Non solo è così, ma Francoforte potrà anche valutare autonomamente se intervenire o meno in caso di richiesta di aiuti. Non ci sono automatismi su questo». di Fabrizio Forquet - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/VuUAd

Dalla prospettiva della Bce, una forte unione economica è un complemento essenziale per una politica monetaria comune. Per fare ciò occorrerà un processo strutturato in una sequenza corretta. Tuttavia i cittadini potranno essere certi che questi tre elementi resteranno costanti. La Bce farà quel che è necessario per assicurare la stabilità dei prezzi. Resterà indipendente. E agirà sempre nei limiti del suo mandato.
Eppure è necessario comprendere che raggiungere il nostro obiettivo richiede, a volte, di andare oltre gli strumenti standard di politica monetaria. Quando i mercati sono frammentati o influenzati da paure irrazionali, i segnali della nostra politica monetaria non raggiungono uniformemente i cittadini di tutta l’area euro. Dobbiamo creare queste limitazioni per assicurare una singola politica monetaria e quindi la stabilità dei prezzi per tutti i cittadini dell’area euro. Questo potrebbe richiedere, a volte, misure eccezionali. Ma questa è la nostra responsabilità come banca centrale dell’area euro.
La Bce non è un’istituzione politica. Ma è obbligata nelle sue responsabilità come istituzione dell’Unione Europea. Così, non perdiamo mai di vista la nostra missione di garantire una moneta stabile e forte. Le banconote che noi distribuiamo portano la bandiera europea e sono un simbolo potente dell’identità europea.
Chi vuole tornare indietro al passato non capisce il significato dell’euro. Chi afferma che solo un pieno federalismo può essere sostenibile alza la barra troppo in alto. Quello di cui abbiamo bisogno è uno sforzo graduale e strutturato per completare l’Unione Monetaria Europea. Questo, alla fine, darà all’euro le fondamenta stabili di cui ha bisogno. Otterrà pienamente l’obiettivo finale per cui l’Unione e l’euro erano stati fondati: stabilità, prosperità e pace. Noi sappiamo che a questo aspirano le persone in Europa e in Germania.

giovedì 23 agosto 2012

Se Berlino torna alla realpolitik (dal Sole24Ore)

Però il dibattito tedesco si sta facendo più articolato. Soprattutto Angela Merkel pare essersi convinta che, per lei e la sua riconferma alla Cancelleria, sarà meglio presentarsi alle elezioni del settembre 2013 con in tasca l'euro piuttosto che senza. Il collasso della moneta unica provocherebbe infatti uno shock dai costi enormi e, soprattutto, dalle conseguenze imprevedibili in Europa e fuori. di Adriana Cerretelli - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/ZKTEm 

venerdì 3 agosto 2012

La battaglia della BCE e dell'Europa è solo all'inizio


La lettura odierna - un po' più "distaccata" - della conferenza stampa di Mario Draghi conferma quanto si diceva ieri: la volontà politica del Presidente della BCE rimane forte e netta, e la guerra allo spread è ormai dichiarata.
Certo, rispetto al "tutto e subito" che richiederebbero i mercati e la politica permane una distanza rilevante che va colmata: altrimenti le ipotesi fatte da Monti di governo antieuropeo non sarebbero valide solo per l'Italia.
Il cammino è ancora lungo, lo Zar non ha voluto portare lo strappo oltre misura, anche perché probabilmente le controindicazioni (politiche e legali, e forse anche economiche) sarebbero state pesanti, al di là dei benefici più o meno immediati.
Ora sta all'Europa tutta riprendere il cammino che sembrava interrotto, e dimostrare al mondo che non verrà messa in discussione uno dei più bei sogni della storia della politica internazionale.
Se riprenderemo la tensione di questa sfida, allora sì sarà vera svolta, e si vedrà luce, in fondo al bruttissimo tunnel che stiamo vivendo, e che rischia di portare a comettere errori gravi, dettati dalla paura.

Francesco Maria Mariotti

venerdì 20 luglio 2012

Il vero scudo è la credibilità (da ilSole24Ore)

Anche la speranza che la Bce mobilitasse le proprie risorse, a fronte di garanzie fornite dai fondi salva stati (Esm e Efsf) sulla copertura delle eventuali perdite, è stata vana. Ora la soluzione inerziale, descritta da un recente rapporto del Fondo monetario internazionale, è che l'economia europea peggiori a tal punto da provocare una deflazione così profonda da obbligare la Bce a procedere a un "quantitative easing" o, in parole povere, all'acquisto di titoli pubblici dei paesi più deboli, proprio per rispettare il proprio mandato di difesa della stabilità monetaria. di Carlo Bastasin - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/gwN3u

sabato 23 giugno 2012

Piccoli passi per una nuova Europa (da laStampa)

(...) Il fatto che Monti abbia potuto ribadire che le regole della disciplina finanziaria sono state rotte nel 2003, in modo clamoroso, proprio da Francia e Germania, è significativo: vuol dire che è un gruppo dove ci si confronta con franchezza e non ci si limita a voler dar messaggi miracolistici ai mercati. E’ un gruppo dove alla Germania, che comincia a vedere nella sua stessa congiuntura i segni della crisi europea, si offre l’opportunità di attenuare l’impressione di essere un misto di paese-fenomeno, potenziale solutore dei problemi altrui e stopper dei progressi dell’integrazione. E’ un gruppo dove al nuovo presidente francese si offre l’opportunità di smentire, sia pur gradualmente, l’idea che sia proprio la Francia a ostacolare cessioni di sovranità nazionale. (...) Quanto alle cose da fare, vanno distinte quelle per il breve da quelle per più tardi. Sul breve è cruciale che la sostanza della proposta fatta da Monti fin dal Messico venga in qualche modo accolta. La sostanza è che, per godere di interventi di stabilizzazione degli spread con acquisti di titoli pubblici con fondi europei, compresa in un primo tempo la Bce, non occorra essere sull’orlo del disastro e pronti a forme eccezionali di extradisciplina. Se un Paese riceve l’approvazione e il monitoraggio della Commissione sui suoi piani di riequilibrio finanziario, ciò deve bastare. Se i mercati, ad esempio, sovra-reagiscono al problema greco facendo salire molto lo spread italiano, nonostante i nostri conti rimangano buoni e approvati da Bruxelles, è opportuno che con fondi comunitari si metta riparo alle esasperazioni. L’iniziativa di intervenire dovrebbe essere degli stessi responsabili dei fondi, senza che l’Italia prenda altri impegni e senza che nemmeno lo richieda. Per l’orizzonte più lungo, pare di capire che il quartetto dei presidenti punti a una prima tappa di cosiddetta unione bancaria, una seconda di unione fiscale, una terza, più lontana, di unione politica. L’essenziale è partire davvero, con molta concretezza e debita urgenza, con la prima tappa.(...) 

domenica 10 giugno 2012

I nodi al pettine (dal Sole 24Ore)

L'unico modo per costringere i regolatori bancari nazionali a trasferire tutte le informazioni che hanno sullo stato delle banche è proprio quello di sottoporli all'autorità di controllo dell'Ue o del Fondo monetario nel contesto di un programma di assistenza. In questa luce, la crisi spagnola, prima ancora che una crisi bancaria, è una crisi causata dalla pretesa di sovranità nazionale in Europa. di Carlo Bastasin - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/vL8Hw

venerdì 1 giugno 2012

Unione bancaria: passi avanti?


L'idea di una unione bancaria è tornata d'attualità dopo che nelle ultime settimane sono emersi i segnali di un rischio di contagio e di fughe di capitale, ad Atene ma anche a Madrid. Questa opzione comporterebbe la responsabilità in solido dei depositi e delle banche da parte dei diversi Governi della zona euro. Impossibile però da attuare seriamente senza una vigilianza credizitia che sia centralizzata, con un trasferimento di sovranità dalla periferia al centro.

dal nostro corrispondente  Beda Romano - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/FWvWt 

giovedì 12 aprile 2012

Il timoniere bendato (Adriana Cerretelli, ilSole24Ore)

È la non-Europa il vero bersaglio dei mercati. Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna, Italia e anche Francia sono di volta in volta obiettivi-test per verificarne la coesione che non c'è o, quando fa finta di materializzarsi, lo fa regolarmente sull'orlo del baratro, in ritardo e con il contagocce. In breve con azioni insufficienti per essere davvero convincenti. In questo modo, invece di disarmarli, si invitano a nozze gli speculatori di tutto il mondo. di Adriana Cerretelli - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/X5XoS

lunedì 9 aprile 2012

Olanda, tanto rigore ma conti fuori posto (dal Sole24Ore)

I più ottimisti possono sperare che - più delle vicende greche, portoghesi o irlandesi - la deriva dell'ex virtuosa Olanda riuscirà a far riflettere sulla necessità, sempre più urgente, di una mutualizzazione dei debiti pubblici e in ultima analisi di un'unione politica. Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/6Hoke

martedì 13 marzo 2012

Perché l'Italia ha perso peso internazionale?

Consiglio caldamente l'articolo di Marta Dassù di cui leggete di seguito un ampio stralcio. Nella discussione sulle difficoltà italiane in politica estera, la lucidità della Dassù ci aiuta a contestualizzare e a riportare queste crisi a fatti, numeri, vincoli di bilancio, facendo giustizia di discussioni troppo spesso "astratte", quasi ideologiche. 

Interessante anche la riflessione di Lucio Carracciolo (eccessivamente severo nel giudicare la nostra politica estera)che come Dassù smitizza i luoghi comuni di una gestione "italica" dei sequestri che sarebbe più "debole" di quella anglosassone.

In un momento in cui si discute di questi problemi forse in modo troppo eclatante, dando l'impressione che si stia cercando un capro espiatorio (magari in qualche vertice dei Servizi), avere presente la stella polare dell'interesse nazionale - richiamato dalla Dassù che lo declina poi in termini europeistici - è fondamentale. 

So di ripetermi, ma in taluni casi la pubblicità non è alleata di un buon funzionamento della democrazia: anche il silenzio - a volte - è necessario; naturalmente il giusto equilibrio fra trasparenza e coesione nazionale è sempre da rimodulare, quasi quotidianamente, ed è grande  - in questo senso - la responsabilità degli operatori dell'informazione, nel valutare cosa dire, e forse soprattutto come dirlo.

Discutiamo di tutto, se serve discutere esplicitamente di alcune cose, ma tentiamo di tenere le coordinate corrette, per non lasciarci prendere la mano. E anche perché uomini e donne che custodiscono la nostra sicurezza devono essere certi di avere alle spalle una nazione coesa e unita.

Francesco Maria Mariotti

(...) Lasciatemi prima chiarire due punti di contesto. Primo: le debolezze dell’Italia, di fronte ai rischi diffusi di oggi, sono le debolezze della Francia o della Spagna o di qualunque altro Paese che abbia una posizione geopolitica esposta e parecchi suoi connazionali che agiscono e lavorano nel mondo. Tutti i Paesi europei che si trovano in condizioni simili hanno subito rapimenti, hanno cercato alternative diverse per salvare gli ostaggi e hanno avuto, purtroppo, delle vittime. (...) Ed è pura mitologia che l’Italia abbia una sua «via» alla liberazione degli ostaggi. All’opposto, l’eccezione alla regola è che gli anglo-sassoni tentano ogni tanto un blitz militare: qualche volta riuscendo, altre, come purtroppo in questo ultimo caso, fallendo e sacrificando anche il loro connazionale.


Secondo punto: usare le difficoltà internazionali ai fini delle polemiche interne è sempre sbagliato, perché aumenta la vulnerabilità di un Paese proprio quando avremmo bisogno di ridurla. Certo: è giusto, è dovuto, che un governo spieghi i suoi comportamenti internazionali, informi il Parlamento e che si sentano i Servizi. È giusto e dovuto che il governo di Roma esiga da Londra tutti i chiarimenti necessari sul ritardo di comunicazione in Nigeria. E si interroghi sulle proprie responsabilità. Ma è sbagliato - nel senso che il danno aumenta per il Paese nel suo complesso trasformare una crisi internazionale in materia aprioristica di polemica interna. L’interesse nazionale è opposto. (...)

E vengo così all’interrogativo di fondo del dibattito di questi giorni, che non voglio affatto eludere: le difficoltà in India, sommate alla tragedia in Nigeria, dimostrano che l’Italia ha perso peso internazionale? Sì, ma questa perdita relativa di influenza non dipende da incapacità politica; è il prodotto di due fattori, uno esterno e l’altro «soggettivo». Il fattore esterno lo conosciamo benissimo: la «diffusione» del potere economico e politico verso nuove potenze, come l’India appunto (...) Il fattore soggettivo - e qui sono d’accordo con Panebianco, Annunziata e molti altri - è che l’Italia ha continuato ad illudersi, anche dopo la fine delle rendite di posizione del dopoguerra, di potere non occuparsi di sicurezza. Basta guardare ai tagli progressivi che hanno subito, negli ultimi dieci anni, tutti gli strumenti dell’azione esterna (...).

È questa la discussione vera che dovremmo aprire. Se il risanamento del bilancio aumenta il nostro standing in Europa ma riduce il nostro standing nel mondo, quali sono le opzioni che restano? Una risposta possibile è: le economie di scala. Usare la credibilità riacquistata in Europa per spingere - finalmente - a qualcosa di più e di vero nella politica estera e di sicurezza europea. I casi dell’India e della Nigeria dimostrano, in modi diversi, che siamo ancora lontani da tutto ciò. Mentre è molto vicino il punto in cui la quadratura del cerchio sta diventando impossibile: tagliare via gli strumenti e gestire bene le crisi è impresa ardua. Per chiunque governi.




Secondo quanto riportato da organi inglesi, esistevano addirittura due trattative sperate per liberare gli ostaggi, una inglese e una italiana. Le sembra una cosa plausibile fra due Paesi alleati?

E' normale più che plausibile. Ogni Paese cerca di proteggere i propri cittadini, non quelli altrui. Non ci vedo nulla di straordinario.

Coloro che oggi parlano di modi diversi di condurre casi del genere, e cioè l'uso della trattativa da parte italiana e uso della forza da parte inglese: cosa ne pensa?


Penso che siano delle bufale, delle ideologie se vogliamo essere gentili. Ogni Paese usa tutti i mezzi di cui dispone per salvare i propri ostaggi. Gli italiani pagano, gli inglesi pagano, gli americani pagano quando serve. Oppure usano altri strumenti. La differenza è che noi italiani non abbiamo questi altri strumenti alternativi di cui dispongono gli americani, gli inglesi o gli israeliani. Quindi per noi viene più naturale pagare.