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martedì 13 marzo 2012

Perché l'Italia ha perso peso internazionale?

Consiglio caldamente l'articolo di Marta Dassù di cui leggete di seguito un ampio stralcio. Nella discussione sulle difficoltà italiane in politica estera, la lucidità della Dassù ci aiuta a contestualizzare e a riportare queste crisi a fatti, numeri, vincoli di bilancio, facendo giustizia di discussioni troppo spesso "astratte", quasi ideologiche. 

Interessante anche la riflessione di Lucio Carracciolo (eccessivamente severo nel giudicare la nostra politica estera)che come Dassù smitizza i luoghi comuni di una gestione "italica" dei sequestri che sarebbe più "debole" di quella anglosassone.

In un momento in cui si discute di questi problemi forse in modo troppo eclatante, dando l'impressione che si stia cercando un capro espiatorio (magari in qualche vertice dei Servizi), avere presente la stella polare dell'interesse nazionale - richiamato dalla Dassù che lo declina poi in termini europeistici - è fondamentale. 

So di ripetermi, ma in taluni casi la pubblicità non è alleata di un buon funzionamento della democrazia: anche il silenzio - a volte - è necessario; naturalmente il giusto equilibrio fra trasparenza e coesione nazionale è sempre da rimodulare, quasi quotidianamente, ed è grande  - in questo senso - la responsabilità degli operatori dell'informazione, nel valutare cosa dire, e forse soprattutto come dirlo.

Discutiamo di tutto, se serve discutere esplicitamente di alcune cose, ma tentiamo di tenere le coordinate corrette, per non lasciarci prendere la mano. E anche perché uomini e donne che custodiscono la nostra sicurezza devono essere certi di avere alle spalle una nazione coesa e unita.

Francesco Maria Mariotti

(...) Lasciatemi prima chiarire due punti di contesto. Primo: le debolezze dell’Italia, di fronte ai rischi diffusi di oggi, sono le debolezze della Francia o della Spagna o di qualunque altro Paese che abbia una posizione geopolitica esposta e parecchi suoi connazionali che agiscono e lavorano nel mondo. Tutti i Paesi europei che si trovano in condizioni simili hanno subito rapimenti, hanno cercato alternative diverse per salvare gli ostaggi e hanno avuto, purtroppo, delle vittime. (...) Ed è pura mitologia che l’Italia abbia una sua «via» alla liberazione degli ostaggi. All’opposto, l’eccezione alla regola è che gli anglo-sassoni tentano ogni tanto un blitz militare: qualche volta riuscendo, altre, come purtroppo in questo ultimo caso, fallendo e sacrificando anche il loro connazionale.


Secondo punto: usare le difficoltà internazionali ai fini delle polemiche interne è sempre sbagliato, perché aumenta la vulnerabilità di un Paese proprio quando avremmo bisogno di ridurla. Certo: è giusto, è dovuto, che un governo spieghi i suoi comportamenti internazionali, informi il Parlamento e che si sentano i Servizi. È giusto e dovuto che il governo di Roma esiga da Londra tutti i chiarimenti necessari sul ritardo di comunicazione in Nigeria. E si interroghi sulle proprie responsabilità. Ma è sbagliato - nel senso che il danno aumenta per il Paese nel suo complesso trasformare una crisi internazionale in materia aprioristica di polemica interna. L’interesse nazionale è opposto. (...)

E vengo così all’interrogativo di fondo del dibattito di questi giorni, che non voglio affatto eludere: le difficoltà in India, sommate alla tragedia in Nigeria, dimostrano che l’Italia ha perso peso internazionale? Sì, ma questa perdita relativa di influenza non dipende da incapacità politica; è il prodotto di due fattori, uno esterno e l’altro «soggettivo». Il fattore esterno lo conosciamo benissimo: la «diffusione» del potere economico e politico verso nuove potenze, come l’India appunto (...) Il fattore soggettivo - e qui sono d’accordo con Panebianco, Annunziata e molti altri - è che l’Italia ha continuato ad illudersi, anche dopo la fine delle rendite di posizione del dopoguerra, di potere non occuparsi di sicurezza. Basta guardare ai tagli progressivi che hanno subito, negli ultimi dieci anni, tutti gli strumenti dell’azione esterna (...).

È questa la discussione vera che dovremmo aprire. Se il risanamento del bilancio aumenta il nostro standing in Europa ma riduce il nostro standing nel mondo, quali sono le opzioni che restano? Una risposta possibile è: le economie di scala. Usare la credibilità riacquistata in Europa per spingere - finalmente - a qualcosa di più e di vero nella politica estera e di sicurezza europea. I casi dell’India e della Nigeria dimostrano, in modi diversi, che siamo ancora lontani da tutto ciò. Mentre è molto vicino il punto in cui la quadratura del cerchio sta diventando impossibile: tagliare via gli strumenti e gestire bene le crisi è impresa ardua. Per chiunque governi.




Secondo quanto riportato da organi inglesi, esistevano addirittura due trattative sperate per liberare gli ostaggi, una inglese e una italiana. Le sembra una cosa plausibile fra due Paesi alleati?

E' normale più che plausibile. Ogni Paese cerca di proteggere i propri cittadini, non quelli altrui. Non ci vedo nulla di straordinario.

Coloro che oggi parlano di modi diversi di condurre casi del genere, e cioè l'uso della trattativa da parte italiana e uso della forza da parte inglese: cosa ne pensa?


Penso che siano delle bufale, delle ideologie se vogliamo essere gentili. Ogni Paese usa tutti i mezzi di cui dispone per salvare i propri ostaggi. Gli italiani pagano, gli inglesi pagano, gli americani pagano quando serve. Oppure usano altri strumenti. La differenza è che noi italiani non abbiamo questi altri strumenti alternativi di cui dispongono gli americani, gli inglesi o gli israeliani. Quindi per noi viene più naturale pagare.

venerdì 9 marzo 2012

Le Scuse Non bastano (A.Puri Purini, Corriere)

(...) Siamo uniti da mille interessi comuni nell'Unione Europea, lavoriamo insieme alla Nato, condividiamo un rapporto bilaterale intenso sui problemi della difesa che, si presume, include contatti frequenti fra i servizi segreti soprattutto nelle aree di crisi, fra cui l'Africa. Almeno, dovrebbe essere così. Investiamo risorse e uomini nell'affinare obiettivi, consolidare rapporti, creare fiducia. L'esperienza congiunta nei Balcani, in Iraq, in Afghanistan dovrebbe avere insegnato qualcosa. Esistono legami improntati a rispetto reciproco fra autorità militari italiane e britanniche. Evidentemente la realtà è un'altra. Il Regno Unito si muove ancora, magari inconsciamente, nella nostalgia di una gloria imperiale che lo porta ad agire in isolamento sugli interventi militari, con l'eccezione del governo americano cui viene raccontato tutto. Ha la consapevolezza di avere vinto parecchi conflitti negli ultimi due secoli (con eccezione delle due guerre afghane perse nell'800) e agisce in materia militare con senso di superiorità. Se Downing Street trova normale affrontare un rischiosissimo intervento senza consultare un essenziale partner direttamente coinvolto come l'Italia, mettendo in pericolo la vita degli ostaggi, significa che qualcosa si è inceppato nel tradizionale lucido pragmatismo degli amici britannici.
Quando avvengono questi incidenti le colpe sono generalmente ripartite (un poco come nei divorzi). Le responsabilità britanniche sono evidenti: la gestione della missione e il suo fallimento; la mancata informativa all'Italia. Verrebbe da dire che non ce lo siamo meritato. Eppure abbiamo anche noi delle responsabilità, seppure non legate all'episodio specifico. Non siamo riusciti ad accreditarci pienamente in un una componente chiave della realtà internazionale. (...)

giovedì 8 marzo 2012

Reagire Nettamente

Dobbiamo sapere di più su quanto successo in Nigeria, per poter formulare un giudizio completo sui fatti. Ma comunque si possa valutare il blitz gestito da Nigeriani e Inglesi - che potrebbe essere giustificato dalla necessità di approfittare di uno spazio di manovra forse irripetibile - avvisare il Governo italiano solo a operazione iniziata appare comunque come un fatto molto grave. Questa non è la complicata questione indiana, dove è meglio lavorare con riserbo, e dove diritto e politica si intrecciano in nodi sottili, che solo nell'ombra si possono recidere. In questo caso - al di là della ricostruzione esatta della vicenda e della valutazione strettamente operativa, che in questi casi è difficilissima - il Governo italiano deve comunque reagire nettamente, soprattutto con Londra, che ha autorizzato il blitz; altrimenti rischiamo di veder consolidare - al di là dei meriti economici e europeisti di questa fase - una immagine di debolezza e di acquiescenza che può nuocere gravemente all'azione dell'Italia anche su altri fronti.