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lunedì 22 luglio 2019

L’India è in viaggio verso la Luna (ilPost)

"L’agenzia spaziale indiana (ISRO) ha lanciato con successo Chandrayaan-2, la sua seconda missione per l’esplorazione della Luna. Il lancio è avvenuto alle 14:43 (le 11:13 in Italia) di lunedì 22 luglio dalla base di Sriharikota, nell’Andhra Pradesh. La missione, che ha un costo intorno ai 130 milioni di euro, era stata rinviata la settimana scorsa a causa di alcuni problemi tecnici. Dopo la partenza, il razzo ha trasportato Chandrayaan-2 in orbita terrestre, dove resterà per 23 ore prima di intraprendere il suo viaggio verso l’orbita della Luna.
L’India aveva già realizzato una missione lunare nel 2008 con Chandrayaan-1, una sonda che era stata collocata intorno alla Luna per studiarne le caratteristiche e cercare tracce d’acqua. Anche Chandrayaan-2 è dotata di una sonda, che resterà in orbita, ma porta con sé un lander che proverà a raggiungere la superficie lunare, nei pressi del polo sud del nostro satellite naturale. (...)"

mercoledì 7 maggio 2014

Cellulare Contro L'Analfabetismo (da laStampa.it)

(...) Non solo giochini e telefonate. Secondo il recente rapporto dell’Unesco “Reading in the mobile era”, la diffusione dei cellulari nei paesi in via di sviluppo potrebbe servire a combattere nientemeno che l’analfabetismo. Non pensate a lussuosi smartphone dallo schermo luccicante, anche gli apparecchi di base, quelli disponibili alla stragrande maggioranza della popolazione, potrebbero giocare un ruolo importante, andando a supplire alla mancanza di libri, laddove questi sono scarsamente presenti o troppo costosi.
 Il cellulare si trova invece ormai anche nei villaggi più sperduti dell’Africa: recenti stime delle Nazioni Unite davano a 6 miliardi il numero di dispositivi disponibili; molto di più, giusto per fare un paragone, del numero di toilette, fermo a 4,5 miliardi. I ricercatori hanno studiato le abitudini di lettura di più di 4.000 abitanti di 7 nazioni (Etiopia, Ghana, India, Kenya, Nigeria, Pakistan e Zimbabwe) tramite un sondaggio online effettuato attraverso l’applicazione World Mobile Reader (un software che dà accesso a un vasto catalogo di testi gratuiti, e che si può installare anche su cellulari datati), a cui sono seguite alcune interviste individuali.(...)

giovedì 30 gennaio 2014

Occhio Agli Emergenti

(...) Yellen non ha “la palla di cristallo” ma è considerata una specie di Cassandra della macroeconomia (le sue stime sono state le più accurate tra quelle dei consiglieri della Fed) e la competenza nella regolamentazione finanziaria può aiutare a temperare gli eccessi di Wall Street accanto, ovviamente, alla riduzione degli stimoli, cosa che in questi giorni agita i mercati emergenti, beneficiari della liquidità americana. Additare la Fed fa comodo pure ai governi di Argentina, Thailandia e soprattutto Turchia, sotto scrutinio degli investitori più che altro per i rivolgimenti politici interni e le politiche monetarie poco ortodosse. Il sussulto di indipendenza della Banca centrale turca, che ha alzato tutti i tassi di riferimento contravvenendo ai diktat del premier Recep Tayyip Erdogan, ieri ha risollevato la lira svalutata. Il governatore, Erdem Basci, ha riaffermato la credibilità dell’Istituto con una stretta volta a ridimensionare un’economia gonfiatasi a dismisura ma tuttora molto fragile in quanto estremamente dipendente dagli investimenti esteri.


(...) Sfortunatamente, per loro e per tutti noi, gran parte dei paesi emergenti “non hanno fatto i compiti a casa”, come direbbe la maestrina Merkel, cioè non hanno mai fatto riforme per rendere competitive le proprie economie, limitandosi a godere del boom creditizio che flussi di denaro “caldo” dall’Occidente hanno prodotto. Alcuni di questi paesi hanno così accumulato ampi deficit delle partite correnti, cioè di competitività, ed ora saranno brutalmente costretti a tirare la cinghia. Esemplare il caso della Turchia, che si ritrova con forti debiti in dollari del proprio sistema creditizio e produttivo, e riserve valutarie ormai al lumicino. Inevitabili i forti aumenti dei tassi d’interesse e la rotta di collisione tra autorità monetarie e potere politico, che dovrebbe fare l’altra metà del lavoro sotto forma di stretta fiscale. (...)


Non sono bastate le misure straordinarie. Almeno per ora. Dopo il meeting d’emergenza della banca centrale, la lira turca ha continuato il suo deprezzamento contro le altre valute. Lo stesso ha fatto il rand sudafricano. Lo stesso ha fatto il peso argentino. Lo stesso hanno fatto le valute degli emergenti. Gli investitori temono che le autorità monetarie dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) e dei Mikt (Messico, Indonesia, Turchia, Corea del Sud), possano intervenire - per esempio attraverso l’introduzione di restrizioni sulla libera circolazione dei capitali - per frenare la fuga degli operatori. Il massiccio sell-off visto in queste settimane, avverte HSBC, non è che l’inizio. Il peggio, specie con l’avanzamento dell’assottigliamento del QE della Fed, deve ancora arrivare. Anche perché, lo ricorda la banca angloasiatica, il 63% delle riserve valutarie mondiali è denominato in dollari statunitensi. Più la Fed riduce la liquidità esistente, più si amplificano le distorsioni domestiche delle economie emergenti, più si restringono le vie di accesso al credito dei sistemi bancari di questi Paesi. E questo potrebbe peggiorare con l’innalzamento dei tassi d’interesse da parte delle banche centrali a livello globale, dopo il più lungo periodo di Zero-interest rate policy dal Secondo dopoguerra a oggi. In sostanza, una spirale della morte. 

http://www.linkiesta.it/brics-crisi-contagio-mondo


sabato 7 dicembre 2013

II Primo Accordo del WTO - The Bali Package

La mattina di sabato 7 dicembre i ministri dei 159 paesi membri del WTO (l’Organizzazione mondiale del commercio) hanno raggiunto nell’isola di Bali, in Indonesia, il primo accordo complessivo di riforma del commercio mondiale nei quasi 20 anni di storia dell’organizzazione. Le regole dell’accordo, approvate all’unanimità, prevedono una serie di facilitazioni alla circolazione delle merci nel mondo e, secondo alcune stime, potrebbero portare nei prossimi anni a un aumento del valore del commercio mondiale fino a mille miliardi di dollari. Ma più ancora del contenuto, l’accordo è importante per quello che significa per il WTO e per il percorso complicato con cui si è arrivati a firmarlo. (...)


Sono tre i capitoli fondamentali su cui si basa l'accordo raggiunto dal Wto a Bali: uno dedicato ai paesi meno avanzati, i più poveri, detto dello sviluppo; un capitolo agricolo, richiesto dall'India e da altri paesi in via di sviluppo; infine un capitolo sulle facilitazioni al commercio, che stava particolarmente a cuore all'Unione Europea e agli USA. Si tratta del primo accordo commerciale multilaterale raggiunto dall'Organizzazione Mondiale del Commercio, dalla sua fondazione nel 1994. Ecco in sintesi i tre filoni principali dell'accordo. (...)

Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/qkHzt

The WTO’s Bali Ministerial Conference concluded a day later than scheduled on 7 December 2013 with agreement on a package of issues designed to streamline trade, allow developing countries more options for providing food security, boost least developed countries’ trade and help development more generally.

mercoledì 7 agosto 2013

Affittare Un Utero In India (ilFoglio)

(...) Terribili sono soprattutto le storie che arrivano dall’India. La vera terra promessa dell’utero in affitto, legalizzato dal 2002 e al centro di un business in crescita sregolata, favorita dalle tariffe concorrenziali rispetto agli altri paesi dove pure la pratica è legale (Stati Uniti, Spagna, la citata Ucraina). A raccontare in che cosa consista quel mercato che solo in India, oggi, è valutato in due miliardi di dollari, arriva lo studio di una ong con sede a Nuova Delhi, che dal 1983 si occupa di diritti delle donne: il Centre for social research (Csr), molto attivo anche contro l’aborto selettivo delle femmine e le sterilizzazioni forzate, altre feroci piaghe indiane. Nelle 168 pagine del rapporto, intitolato “Surrogate motherhood. Ethical or commercial”, troviamo i risultati di un sondaggio che ha preso in considerazione cento madri portatrici e cinquanta coppie di committenti (quasi sempre di indiani ricchi residenti in paesi occidentali dove l’utero in affitto è vietato), intervistate a Mumbai e a Nuova Delhi. E’ questa la vera novità dello studio del Crs: a parlare in prima persona sono stavolta anche quelle donne povere e poverissime che accettano di portare avanti una gravidanza su commissione per puro bisogno, a condizioni che non è esagerato definire di tipo schiavistico.

Vediamo così che i contratti stipulati tra queste donne e gli aspiranti genitori (le cliniche in questa fase non compaiono, così non tocca a loro rispondere se qualcosa andasse storto) sono normalmente firmati dopo il secondo trimestre di attesa, una volta consolidata la gravidanza (nelle fecondazioni in vitro c’è un’alta percentuale di aborti spontanei). La maggior parte delle madri surrogate non possiede copia del contratto e spesso non è nemmeno a conoscenza del suo contenuto: a contattarle, magari per strada, è stato uno dei tanti agenti che incassano una commissione dalle cliniche. Oppure ad attirarle è stata un’inserzione pubblicitaria che promette soldi alle madri portatrici. Gli stessi agenti sono, per il settantasette per cento delle donne consultate nel sondaggio, l’unica fonte di informazione su quello che le attende.
Queste e altre circostanze fanno concludere al Csr che, in India, “la libertà della madre surrogata è un’illusione”. Se il neonato mostra un’anomalia o il suo sesso non è quello specificato nel contratto, per esempio, i committenti possono ottenere che la madre surrogata abortisca, spesso con “comodi” metodi chimici somministrati nelle stesse baby factory. Queste donne, durante la gravidanza, vivono nelle cliniche o in case rifugio: ufficialmente per essere al riparo da circostanze che potrebbero metterle a rischio, in realtà per essere controllate: inzeppate di farmaci ormonali prima dell’impianto embrionale, soggette a qualsiasi somministrazione da parte dei medici, dopo.(...)

martedì 13 marzo 2012

Perché l'Italia ha perso peso internazionale?

Consiglio caldamente l'articolo di Marta Dassù di cui leggete di seguito un ampio stralcio. Nella discussione sulle difficoltà italiane in politica estera, la lucidità della Dassù ci aiuta a contestualizzare e a riportare queste crisi a fatti, numeri, vincoli di bilancio, facendo giustizia di discussioni troppo spesso "astratte", quasi ideologiche. 

Interessante anche la riflessione di Lucio Carracciolo (eccessivamente severo nel giudicare la nostra politica estera)che come Dassù smitizza i luoghi comuni di una gestione "italica" dei sequestri che sarebbe più "debole" di quella anglosassone.

In un momento in cui si discute di questi problemi forse in modo troppo eclatante, dando l'impressione che si stia cercando un capro espiatorio (magari in qualche vertice dei Servizi), avere presente la stella polare dell'interesse nazionale - richiamato dalla Dassù che lo declina poi in termini europeistici - è fondamentale. 

So di ripetermi, ma in taluni casi la pubblicità non è alleata di un buon funzionamento della democrazia: anche il silenzio - a volte - è necessario; naturalmente il giusto equilibrio fra trasparenza e coesione nazionale è sempre da rimodulare, quasi quotidianamente, ed è grande  - in questo senso - la responsabilità degli operatori dell'informazione, nel valutare cosa dire, e forse soprattutto come dirlo.

Discutiamo di tutto, se serve discutere esplicitamente di alcune cose, ma tentiamo di tenere le coordinate corrette, per non lasciarci prendere la mano. E anche perché uomini e donne che custodiscono la nostra sicurezza devono essere certi di avere alle spalle una nazione coesa e unita.

Francesco Maria Mariotti

(...) Lasciatemi prima chiarire due punti di contesto. Primo: le debolezze dell’Italia, di fronte ai rischi diffusi di oggi, sono le debolezze della Francia o della Spagna o di qualunque altro Paese che abbia una posizione geopolitica esposta e parecchi suoi connazionali che agiscono e lavorano nel mondo. Tutti i Paesi europei che si trovano in condizioni simili hanno subito rapimenti, hanno cercato alternative diverse per salvare gli ostaggi e hanno avuto, purtroppo, delle vittime. (...) Ed è pura mitologia che l’Italia abbia una sua «via» alla liberazione degli ostaggi. All’opposto, l’eccezione alla regola è che gli anglo-sassoni tentano ogni tanto un blitz militare: qualche volta riuscendo, altre, come purtroppo in questo ultimo caso, fallendo e sacrificando anche il loro connazionale.


Secondo punto: usare le difficoltà internazionali ai fini delle polemiche interne è sempre sbagliato, perché aumenta la vulnerabilità di un Paese proprio quando avremmo bisogno di ridurla. Certo: è giusto, è dovuto, che un governo spieghi i suoi comportamenti internazionali, informi il Parlamento e che si sentano i Servizi. È giusto e dovuto che il governo di Roma esiga da Londra tutti i chiarimenti necessari sul ritardo di comunicazione in Nigeria. E si interroghi sulle proprie responsabilità. Ma è sbagliato - nel senso che il danno aumenta per il Paese nel suo complesso trasformare una crisi internazionale in materia aprioristica di polemica interna. L’interesse nazionale è opposto. (...)

E vengo così all’interrogativo di fondo del dibattito di questi giorni, che non voglio affatto eludere: le difficoltà in India, sommate alla tragedia in Nigeria, dimostrano che l’Italia ha perso peso internazionale? Sì, ma questa perdita relativa di influenza non dipende da incapacità politica; è il prodotto di due fattori, uno esterno e l’altro «soggettivo». Il fattore esterno lo conosciamo benissimo: la «diffusione» del potere economico e politico verso nuove potenze, come l’India appunto (...) Il fattore soggettivo - e qui sono d’accordo con Panebianco, Annunziata e molti altri - è che l’Italia ha continuato ad illudersi, anche dopo la fine delle rendite di posizione del dopoguerra, di potere non occuparsi di sicurezza. Basta guardare ai tagli progressivi che hanno subito, negli ultimi dieci anni, tutti gli strumenti dell’azione esterna (...).

È questa la discussione vera che dovremmo aprire. Se il risanamento del bilancio aumenta il nostro standing in Europa ma riduce il nostro standing nel mondo, quali sono le opzioni che restano? Una risposta possibile è: le economie di scala. Usare la credibilità riacquistata in Europa per spingere - finalmente - a qualcosa di più e di vero nella politica estera e di sicurezza europea. I casi dell’India e della Nigeria dimostrano, in modi diversi, che siamo ancora lontani da tutto ciò. Mentre è molto vicino il punto in cui la quadratura del cerchio sta diventando impossibile: tagliare via gli strumenti e gestire bene le crisi è impresa ardua. Per chiunque governi.




Secondo quanto riportato da organi inglesi, esistevano addirittura due trattative sperate per liberare gli ostaggi, una inglese e una italiana. Le sembra una cosa plausibile fra due Paesi alleati?

E' normale più che plausibile. Ogni Paese cerca di proteggere i propri cittadini, non quelli altrui. Non ci vedo nulla di straordinario.

Coloro che oggi parlano di modi diversi di condurre casi del genere, e cioè l'uso della trattativa da parte italiana e uso della forza da parte inglese: cosa ne pensa?


Penso che siano delle bufale, delle ideologie se vogliamo essere gentili. Ogni Paese usa tutti i mezzi di cui dispone per salvare i propri ostaggi. Gli italiani pagano, gli inglesi pagano, gli americani pagano quando serve. Oppure usano altri strumenti. La differenza è che noi italiani non abbiamo questi altri strumenti alternativi di cui dispongono gli americani, gli inglesi o gli israeliani. Quindi per noi viene più naturale pagare.

mercoledì 29 febbraio 2012

Il Silenzio Necessario

Come ha ben scritto il parlamentare Andrea Sarubbi, non sempre il silenzio è inazione. Nella diplomazia, e soprattutto nelle trattative che hanno a che fare con ostaggi, il silenzio può essere lo sfondo necessario per poter agire con maggiore profondità. 

I tempi di una trattativa sono sempre lunghi, ma la pubblicità non aiuta e la retorica del "non dimentichiamoli" rischia di essere - appunto - retorica. Rapitori di questo tipo non sono generalmente "sordi" alle dinamiche pubbliche e percependo questo tipo di reazioni, possono vedere l'occasione di "alzare il prezzo", politico, simbolico, o in denaro che sia.

Forse un discorso analogo vale anche per la vicenda dei soldati trattenuti in India (anche se  - sia chiaro - naturalmente il caso non è minimamente paragonabile a un rapimento): l'informazione rischia di dare molti elementi che ai cittadini non sono per niente utili e che al tempo stesso disturbano le diplomazie al lavoro. 

In questi casi a una visione "astratta" della libertà di informazione va preferita una "disciplina" che porti gli operatori dei mass-media a coordinarsi fortemente con il governo in azione, al fine di arrivare alla soluzione della crisi, al più presto. Non è da escludersi, nelle trattative fra Stati, che sia lo stesso governo - in talune circostanze - a far capire agli operatori dell'informazione della eventuale necessità di pressione pubblica.

Queste situazioni non possono essere gestite con il 100% di liberalismo, per dirla con una formula facile. Prevale realmente la Ragion di Stato, che in questi casi coincide però con il portare a casa le persone, rapite o trattenute.

A volte il silenzio è buona cosa, anche per una democrazia.

Francesco Maria Mariotti


"(...)Più se ne parla – penserei, se fossi un diplomatico al lavoro su questo caso – peggio è, perché ogni attenzione mediatica sulla vicenda rafforza la posizione dei rapitori. E lo stesso direi se fossi un familiare di Rossella: quello che mi sta a cuore è la sua liberazione, non che diventi un simbolo, perché di fronte ai simboli – come ha dimostrato la vicenda del soldato israeliano Gilad Shalit, liberato dopo cinque anni di trattative che hanno coinvolto mezzo mondo – i negoziati si complicano all’ennesima potenza. L’incontro di Cagliari tra il presidente Napolitano e i familiari di Rossella testimonia che lo Stato è presente, ed è questa la cosa essenziale."
Free Rossella, di Andrea Sarubbi

martedì 27 dicembre 2011

Giappone-India un asse per la nuova Asia (da LaStampa)

(...) La sicurezza ha preso il primo posto nell'agenda regionale non solo in risposta all’ascesa della Cina, ma anche perché l'America e l'Occidente lasceranno una falla nel sistema di sicurezza asiatico quando ritireranno le loro truppe dall'Afghanistan, senza prima averlo pacificato. Forse ancora di maggiore importanza per la sicurezza a lungo termine, il rapporto Usa-Pakistan continua a peggiorare, mentre le relazioni dell’Iran con l'Occidente vanno di male in peggio, segnate da ultimo dall'invasione da parte della folla dell'ambasciata britannica a Teheran nel novembre scorso.

Poco a poco, iniziativa dopo iniziativa, molti dei poteri della regione stanno agendo per creare un quadro coerente di cooperazione allo scopo di migliorare la loro sicurezza. Per esempio, il governo laburista australiano ha accettato di vendere uranio naturale all’India, invertendo una politica in vigore fin da quando l’India aveva sviluppato il suo arsenale nucleare. Quasi contemporaneamente, il presidente americano Barack Obama ha annunciato lo stazionamento di marines americani nel Nord dell'Australia. Nessuno ha esplicitamente collegato le due mosse, ma sono probabilmente correlate strategicamente, dal momento che l'Australia mira a promuovere i suoi legami sia con gli Stati Uniti sia con l’altro gigante asiatico, l’India.

India e Stati Uniti hanno inoltre intensificato i loro rapporti strategici con il Giappone, non solo a livello bilaterale, ma anche in un’inedita versione trilaterale, che secondo il vicesegretario di Stato William Burns potrebbe «rimodellare il sistema internazionale». Burns, come gran parte dell’establishment americano che si occupa di politica estera, ora pensa che l'influenza regionale dell'India sia diventata globale; la sua strategia del «Guardare a Est», annunciata all'inizio di quest'anno, viene tradotta in politiche di «Azioni a Est».(...)

mercoledì 7 settembre 2011

Trichet Presidente d'Europa per una fase Costituente


Con l'attentato in India a pochi giorni dall'anniversario dell'11 settembre il terrorismo dimostra di avere l'occhio lungo, colpendo una delle nazioni protagoniste del futuro. 
Come scrive Gordon Brown, anche l'India deve essere coinvolta nella "grande contrattazione globale" che dovrebbe spingere le potenze emergenti a coordinarsi con Europa e USA per portare a soluzione la crisi globale. 

L'Europa deve comunque parlare con una voce sola: Barroso è espressione del concerto degli Stati, Draghi prenderà il ruolo "tecnocratico" (in realtà fortemente politico, ma comunque svincolato dalla ricerca di consenso, come è bene che sia) di Presidente della BCE. Si deve però cercare di "far vedere" al mondo una voce europea politicamente autonoma, che sia eletta dal Parlamento europeo con un mandato limitato per guidare il continente verso una nuova fase costituente

Trichet potrebbe essere il candidato migliore, dopo che avrà passato il testimone a Draghi: è stato lui il primo a fare una delle proposte più interessanti per l'Europa del futuro, un Ministro europeo delle Finanze.
 
Ma al di là dei nomi: oggi è ancora fondamentale che le figure di riferimento dell'Europa siano "tecnici - politici" capaci di "resistere" alle tentazioni della popolarità, e soprattutto del populismo; un giorno forse - superata questa tempesta - potremo votare direttamente il vertice europeo, confrontando proposte politiche alternative. 

Ma è un giorno ancora lontano.

Francesco Maria Mariotti

(...) Dobbiamo innanzitutto rilanciare la visione di cooperazione globale contenuta nel patto sulla crescita del G-20. Serve però un programma più ampio: la Cina dovrebbe concordare di aumentare la spesa delle famiglie e le importazioni dei consumi; l'India dovrebbe aprire i propri mercati in modo tale da garantire ai propri poveri l'accesso alle importazioni a basso costo; e l'Europa e l'America devono rilanciare la competitività con l'obiettivo di aumentare le importazioni. Nel 2009 il G-20 è stato inflessibile sulla necessità di un nuovo regime finanziario globale per la futura stabilità. Il problema è già sotto gli occhi di tutti. Le passività del settore bancario dell'Europa sono quasi cinque volte superiori a quelle degli Usa. Le banche tedesche hanno una leva finanziaria che è 32 volte superiore al patrimonio netto. Ai fini della stabilità finanziaria non serve quindi solo la ricapitalizzazione delle banche, ma anche una riforma dell'euro, fondata sul coordinamento delle politiche fiscali e monetarie e su un maggiore ruolo della Bce, in veste di prestatore di ultima istanza, nel sostenere i singoli Governi (non le singole banche). Il G-20 non raggiungerà crescita e stabilità senza concentrarsi su una riduzione del debito a lungo termine. Ma esiste anche un imperativo nel breve periodo, ossia evitare una spirale negativa. (...) L'accordo sulla crescita del G-20 deve essere anche un accordo sull'occupazione.(...)

Alla fine del 1930, il presidente Hoover aveva capito che la posizione debitoria della Germania stava per diventare insostenibile per la perdita di fiducia dei mercati nella capacità dei creditori (privati) tedeschi di ripagare l'enorme debito estero. Al presidente era perfettamente chiaro che, per salvare non solo la Germania ma l'intera Europa e gli stessi Stati Uniti da una crisi senza precedenti, erano necessari prestiti pubblici (in sostituzione del credito privato) e la sospensione delle riparazioni di guerra imposte ai tedeschi dal Trattato di Versailles. Ai collaboratori che gli chiedevano perché non prendesse subito l'iniziativa, Hoover rispondeva che era necessario che la situazione si deteriorasse ulteriormente perché si creassero le "condizioni politiche" per un intervento a favore della Germania. Sappiamo come andò. Nell'estate 1931, alla caduta dei redditi e dell'occupazione si aggiunse una crisi bancaria senza precedenti catalizzata dal ritiro dei capitali stranieri dalle banche tedesche. Solo allora l'opinione pubblica e le cancellerie compresero che la crisi avrebbe travolto non solo la Germania, ma l'intera economia mondiale e si crearono le "condizioni politiche" che resero possibile l'iniziativa di Hoover per una moratoria delle rate del debito di guerra tedesco. Questa giusta iniziativa arrivò fuori tempo massimo. (...) 

Speciale

(...) La conclusione è semplice: la Cina ha visto nell’11 settembre una finestra di opportunità strategica. Di cui cogliere i vantaggi. A sei mesi dall’attacco di al Qaeda, la Cina entrava senza problemi nel WTO: la globalizzazione “made in China” era cominciata. Sul piano interno, Pechino ha utilizzato la minaccia qaedista per combattere con durezza il proprio “terrorismo”, il separatismo uiguro nello Xinjiang. (...) per la leadership comunista capitalista cinese un’America indebolita poteva essere un vantaggio; un’America troppo debole non lo è. Questa è tutta la differenza, in effetti, fra il settembre 2001 e il settembre 2008: quando, con la crisi finanziaria e le sue conseguenze, la Cina si è trovata esposta ai guai dei suoi vecchi “maestri” occidentali.
Il rischio, visto da Pechino, è che l’era post-americana arrivi troppo in fretta, costringendo una leadership ancora riluttante ad assumersi una quota di oneri globali, con i costi e le responsabilità che ne derivano.(...)