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domenica 23 giugno 2019

"Andrà tutto bene"? (Le elezioni a Istanbul)

"A Istanbul l’opposizione vola: è iniziata la lunga notte che porterà alla proclamazione del nuovo sindaco della megalopoli sul Bosforo dopo che le elezioni dello scorso 31 marzo sono state annullate per presunte irregolarità. Particolarmente alta l’affluenza alle urne, che ha superato l’80%.
Secondo le prime proiezioni diffuse dall’agenzia di stato, Anadolu Haber Ajansi, con il 95% delle urne aperte, il candidato dell’opposizione, Ekrem Imamoglu è in testa con il 53,6% dei voti rispetto al 45,4% di Binali Yildirim, ex primo ministro e uomo di fiducia del Presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan. L’ex premier ha ammesso la sconfitta ancora prima che uscissero i risultati. Poco dopo il nuovo sindaco ha esultato: «Oggi ha vinto la democrazia. Hanno vinto i 16 milioni di abitanti di Istanbul» (...)"


"Imamoglu, 49enne candidato del Partito repubblicano del popolo (CHP), fino a pochi mesi fa era un politico semisconosciuto:  era infatti sindaco di Beylikduzu, una circoscrizione di Istanbul abitata da classi medio-borghesi. Originario di Trabzon, città sulla costa turca del Mar Nero, caratterizzato da componenti nazionaliste e religiose, Imamoglu, fin dall'inizio della sua campagna ha tracciato un profilo di uomo moderato, deciso a dialogare con tutti i settori della composita società turca. l risultato delle amministrative del 31 marzo scorso, che aveva consegnato la poltrona di primo cittadino a Imamoglu, era  stato annullato lo scorso 6 maggio dal Consiglio elettorale superiore (Ysk) per presunte irregolarità. Yildirim, candidato dell'Akp, il partito di governo, e del nazionalista Mhp, alleato di Erdogan, era stato sconfitto da Imamoglu, che aveva ottenuto il 48,80% dei voti a fronte del 48,55% raccolto dal suo oppositore. Imamoglu aveva ricevuto il suo mandato di sindaco lo scorso 17 aprile, ma l'incarico era durato appena due settimane perché l'Akp aveva presentato ricorso al Consiglio, chiedendo di annullare il risultato. Il Consiglio ha quindi ritirato il mandato di Imamoglu, stabilendo che i residenti di Istanbul sarebbero tornati a votare per eleggere - una seconda volta - il sindaco della metropoli. Imamoglu: "Si apra una nuova pagina" "E' il momento di aprire una nuova pagina". Sono queste le prime parole di Ekrem Imamoglu, rieletto con il 54% dei voti sindaco di Istanbul. Un'affermazione senza discussioni, dopo la risicata, contestata e poi annullata elezione dello scorso 31 marzo. "E' finito il tempo delle divisioni, di questo risultato voglio che siano tutti felici", ha dichiarato un esausto Imamoglu, dopo aver snocciolato una lista chilometrica di ringraziamenti, in primis ai volontari che hanno prestato servizio ai seggi, controllando le operazioni di scrutinio."Questa non è la mia vittoria, ma la vittoria della democrazia. Voi siete stati protagonisti di un momento di una delle pagine più belle della storia di questo Paese", ha detto Imamoglu, che ha prevalso con 4.698.782 voti sullo sfidante Binali Yildirim, che di voti 777.581 in meno. "Sarò il sindaco di 16 milioni di persone, nessuno sarà escluso, è finito il tempo di pregiudizi, divisioni, conflitti, voglio una città in cui tutti, nelle loro diversità, si abbraccino", ha aggiunto Imamoglu.Il neo sindaco repubblicano, riporta al Chp il governo della più grande città della Turchia dopo 25 anni, quando a sottrarla ai repubblicani fu l'attuale presidente, Recep Tayyip Erdogan, cui Imamoglu lancia anche messaggio."Chiedo al presidente di lavorare insieme a noi. Questo e' il nostro desiderio. C'e' tanto da fare e siamo stanchi delle faide politiche". Appena prima del neo sindaco aveva parlato Binali Yilieim, che si e' limitato a riconoscere la sconfitta."Ekrem Imamoglu e' nettamente avanti, gli auguro di lavorare con successo per il bene della citta'. Noi siamo sempre pronti a collaborare", ha dichiarato Yildirim. (...)"


"(...) Imamoglu, politico semisconosciuto fino a qualche mese prima, è stato capace di strappare la metropoli turca ai conservatori-islamisti che la amministrano da 25 anni. Una sorpresa per molti, incluso lo stesso Akp. Quarantanove anni, laureato in Economia, il candidato del Partito repubblicano del popolo (Chp) era infatti noto solo come sindaco di Beylikduzu, una circoscrizione di Istanbul abitata da classi medio-borghesi. Originario di Trabzon, città sulla costa turca del Mar Nero, caratterizzata da componenti nazionaliste e fondamentaliste, Imamoglu, fin dall`inizio della sua candidatura a sindaco di Istanbul, si è presentato come moderato, deciso a dialogare con tutti i settori della composita società turca, anche con le minoranze religiose non musulmane.

In tanti già lo indicano come futuro candidato al governo della Turchia in funzione anti-Erdogan. Il presidente turco aveva iniziato la sua ascesa politica proprio come sindaco di Istanbul, nel lontano 1994. Il motto del candidato Chp "Andrà tutto bene", è diventato virale sui social media (hashtag #HerSeyCokGuzelOlacak)."

mercoledì 19 febbraio 2014

La nuova legge turca su internet (da ilPost)

Il presidente turco Abdullah Gül ha firmato nella serata di martedì 18 febbraio una legge che aumenta le capacità di controllo del governo su Internet, nonostante le molte proteste e i molti appelli che gli erano stati rivolti perché ponesse il suo veto. Il presidente ha aggiunto di aver riconosciuto valide le “obiezioni” a due punti specifici della legge e di aver chiesto una correzione.
Come riporta il quotidiano turco Hürriyet, il governo di Recep Tayyip Erdoğan ha presentato nella stessa giornata di martedì due emendamenti e il ministro delle Comunicazioni Lütfi Elvan ha contattato i tre partiti di opposizione in Parlamento. L’emendamento più importante riguarda l’aggiunta di un ruolo di supervisione giudiziaria alle decisioni di bloccare siti Internet prese dal Direttorato per la Telecomunicazione (TİB): se entro 24 ore non riceverà l’approvazione di un tribunale, la decisione del TİB decadrà.
Il Wall Street Journal scrive che la legge, approvata dal Parlamento ai primi di febbraio, dà al ministero delle Comunicazioni (e in particolare al TİB) la possibilità di bloccare contenuti online ritenuti illegali o che violino la privacy di qualcuno. Per disporre il blocco non è necessaria, almeno inizialmente, l’autorizzazione di un giudice. Oltre a questo, la legge prevede che i provider registrino le attività dei loro utenti e conservino i dati per due anni, in modo da poterli consegnare alle autorità in caso di richiesta. (...)

giovedì 30 gennaio 2014

Occhio Agli Emergenti

(...) Yellen non ha “la palla di cristallo” ma è considerata una specie di Cassandra della macroeconomia (le sue stime sono state le più accurate tra quelle dei consiglieri della Fed) e la competenza nella regolamentazione finanziaria può aiutare a temperare gli eccessi di Wall Street accanto, ovviamente, alla riduzione degli stimoli, cosa che in questi giorni agita i mercati emergenti, beneficiari della liquidità americana. Additare la Fed fa comodo pure ai governi di Argentina, Thailandia e soprattutto Turchia, sotto scrutinio degli investitori più che altro per i rivolgimenti politici interni e le politiche monetarie poco ortodosse. Il sussulto di indipendenza della Banca centrale turca, che ha alzato tutti i tassi di riferimento contravvenendo ai diktat del premier Recep Tayyip Erdogan, ieri ha risollevato la lira svalutata. Il governatore, Erdem Basci, ha riaffermato la credibilità dell’Istituto con una stretta volta a ridimensionare un’economia gonfiatasi a dismisura ma tuttora molto fragile in quanto estremamente dipendente dagli investimenti esteri.


(...) Sfortunatamente, per loro e per tutti noi, gran parte dei paesi emergenti “non hanno fatto i compiti a casa”, come direbbe la maestrina Merkel, cioè non hanno mai fatto riforme per rendere competitive le proprie economie, limitandosi a godere del boom creditizio che flussi di denaro “caldo” dall’Occidente hanno prodotto. Alcuni di questi paesi hanno così accumulato ampi deficit delle partite correnti, cioè di competitività, ed ora saranno brutalmente costretti a tirare la cinghia. Esemplare il caso della Turchia, che si ritrova con forti debiti in dollari del proprio sistema creditizio e produttivo, e riserve valutarie ormai al lumicino. Inevitabili i forti aumenti dei tassi d’interesse e la rotta di collisione tra autorità monetarie e potere politico, che dovrebbe fare l’altra metà del lavoro sotto forma di stretta fiscale. (...)


Non sono bastate le misure straordinarie. Almeno per ora. Dopo il meeting d’emergenza della banca centrale, la lira turca ha continuato il suo deprezzamento contro le altre valute. Lo stesso ha fatto il rand sudafricano. Lo stesso ha fatto il peso argentino. Lo stesso hanno fatto le valute degli emergenti. Gli investitori temono che le autorità monetarie dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) e dei Mikt (Messico, Indonesia, Turchia, Corea del Sud), possano intervenire - per esempio attraverso l’introduzione di restrizioni sulla libera circolazione dei capitali - per frenare la fuga degli operatori. Il massiccio sell-off visto in queste settimane, avverte HSBC, non è che l’inizio. Il peggio, specie con l’avanzamento dell’assottigliamento del QE della Fed, deve ancora arrivare. Anche perché, lo ricorda la banca angloasiatica, il 63% delle riserve valutarie mondiali è denominato in dollari statunitensi. Più la Fed riduce la liquidità esistente, più si amplificano le distorsioni domestiche delle economie emergenti, più si restringono le vie di accesso al credito dei sistemi bancari di questi Paesi. E questo potrebbe peggiorare con l’innalzamento dei tassi d’interesse da parte delle banche centrali a livello globale, dopo il più lungo periodo di Zero-interest rate policy dal Secondo dopoguerra a oggi. In sostanza, una spirale della morte. 

http://www.linkiesta.it/brics-crisi-contagio-mondo


domenica 22 dicembre 2013

Lo scandalo per la corruzione in Turchia (da ilPost.it)

(...) Da una settimana lo scandalo è sulle prime pagine di tutti i principali giornali e siti turchi. Diversi commentatori, anche distanti dal governo, sembrano in qualche modo dare ragione alla teoria del complotto espressa da Erdoğan, scrive BBC. Gli arresti e i successivi licenziamenti sono i segnali di uno scontro interno alla politica turca e più precisamente a due ali dell’AKP al governo. I due attori principali di questo scontro sarebbero Erdoğan e i settori del partito più vicini a Fethullah Gülen, un religioso musulmano che vive negli Stati Uniti.

Gülen, 72 anni, ha creato una grande rete di scuole private in tutto il Medio Oriente, possiede giornali e altre imprese e ha fondato un movimento, Hizmet (“servizio”), di cui si dice facciano parte numerosi esponenti della magistratura, delle forze dell’ordine turche e persino diversi membri dell’AKP, il partito del primo ministro Erdoğan. In questi giorni Gülen ha pubblicato sul suo sito Internet un video in cui critica duramente il governo per la rimozione degli ufficiali di polizia che hanno portato avanti le indagini di questi giorni. Gülen ha negato qualsiasi coinvolgimento diretto con le operazioni di polizia.

In questi giorni Erdogan non ha mai nominato esplicitamente Gülen, ma ha dichiarato che gli arresti di questi giorni sono opera di una “banda criminale” e di un “complotto organizzato all’estero” che ha l’obbiettivo di creare “uno stato nello stato”, tutte espressioni che, secondo i commentatori, stanno a indicare Gülen e il suo movimento Hizmet come responsabili delle inchieste e degli arresti di questa settimana.
L’AKP è una coalizione di diversi partiti di ispirazione conservatrice, religiosa e nazionalista, tenuti insieme dal carisma di Erdoğan, ritenuto il politico turco più popolare degli ultimi decenni. (...)

martedì 20 agosto 2013

Egitto: la terza fase delle rivoluzioni arabe (Gilles Kepel su Huffingtonpost.it)

(...) Morsi non ha voluto tenere conto del carattere composito del suo elettorato, e a coloro che l'avevano eletto perché odiavano i militari ha dato l'impressione che la confraternita di cui era solo uno strumento - la "ruota di scorta", come veniva soprannominato all'epoca della campagna elettorale - volesse infiltrarsi nello Stato e impossessarsene per sempre.
Così facendo, Morsi e i Fratelli Musulmani hanno attirato e cristallizzato contro di sé il malcontento di una metà dell'Egitto di cui attualmente non è dato di sapere se sia maggioritaria o minoritaria, ma che in ogni caso, scendendo in piazza il 30 giugno, ha dimostrato che il paese è ormai diviso in due.
Ora, di fronte alla destituzione di Morsi, i Fratelli Musulmani, che esistono dal 1928 e hanno trascorso gran parte della loro esistenza in clandestinità, e hanno costruito una contro-società radicata negli strati più profondi del tessuto sociale egiziano - talvolta con il favore dei regimi, come quello di Sadat, che si appoggiava a loro per combattere la sinistra - hanno una notevole capacità di contrasto.
Oggi, le due metà antagoniste dell'Egitto sono capaci di ostacolarsi a vicenda, e c'è da temere che nessuna delle due sia in grado di imporre la propria volontà in un contesto polarizzato in cui l'esercito non ha esitato a fare ricorso alle armi in una settimana in cui probabilmente sono rimaste uccise un migliaio di persone.
Tutto lascia pensare che i gruppi armati che sono andati formandosi tra le fronde marginali dei Fratelli Musulmani ricompariranno, e questo processo reca in sé i fermenti di una guerra civile. (...)
Jean Marcou ha ragione quando sottolinea che l'Egitto non è la Siria. Tuttavia, resto molto colpito quando apprendo quel che oggi si dice, si scrive, in arabo su un fronte e sull'altro in Egitto.
C'è una violenza verbale che dall'inizio delle rivolte arabe non avevo mai sentito, se non in Siria. Ma a differenza della Siria, in cui è il combustibile religioso ed etnico ad alimentare la guerra civile, lo scontro in Egitto è innanzi tutto una sorta di Kulturkampf [guerra culturale], che vede schierati gli islamisti da un lato e quelli che gli si oppongono dall'altro. E in questo senso ciò che accade in Egitto è il punto parossistico di un conflitto esistenziale sul futuro delle società arabe e sul posto che vi occuperà la religione, un conflitto che si ritrova oggi in Libia, in Tunisia e in Turchia.


D'altronde è proprio questo che spiega la virulenza del primo ministro turco Erdogan, proveniente lui stesso da una filiazione dei Fratelli Musulmani, il quale, oltre a offrire sostegno ai suoi fratelli egiziani, reagisce con la forza alle difficoltà che incontra nel proprio paese, da quando i democratici e i laici turchi che avevano votato per l'Akp perché mossi dall'odio per un esercito kemalista che consideravano fascistoide oggi sono ossessionati dall'idea che Erdogan diventi un dittatore islamista, come hanno dimostrato le grandi manifestazioni di giugno in piazza Taksim.(...) 

lunedì 5 agosto 2013

Un Punto Di Non Ritorno (dal blog di Marta Ottaviani)

(...) Possiamo però dire senza dubbio che la decisione dei giudici, ampiamente prevista da media e opinione pubblica, rischia di esporre il Paese a nuove tensioni dopo il periodo di fuoco dovuto alle proteste per Gezi Parki. Il governo islamico-moderato guidato da Recep Tayyip Erdogan rischia di tornare nell'occhio del ciclone. Se è vero infatti che alcuni fra i condannati, come l'avvocato Kemal Kerincsiz, avevano tutto fuorché un passato trasparente, ci sono altri imputati che sembrano essere stati riconosciuti colpevoli più per un regolamento di conti politico, che per aver commesso realmente il fatto. Quello che possiamo fare è monitorare come sempre la situazione, ma le circostanze non ci permettono di essere più di tanto ottimisti. Questa mattina la strada che porta al tribunale di Silivri, dove si è tenuto il maxi processo, è stato teatro di scontri fra polizia e manifestanti, soprattutto vicini al partito laico di opposizione CHP, che considerano il processo un'enorme montatura politica. Il 2014 e il 2015 saranno anni di importanti appuntamenti elettorali. La Turchia ci arriva con un clima interno che definirlo teso è usare un eufemismo. 


giovedì 8 novembre 2012

Turchia, voglia di presidenzialismo (e di spese militari...)


Chiusa la parentesi americana, ci occupiamo di ben altro tipo di presidente.  La notizia è di lunedì ma i primi dettagli stanno emergendo solo oggi. Potrebbe essere ancora prematuro parlarne, ma sembrerebbe proprio che il nostro primo ministro Recep Tayyip Erdogan abbia fretta di assicurarsi lo scranno più alto della Repubblica e con determinati poteri. Il vicepremier Bekir Bozdag ha detto che l'Akp, il partito di Erdogan, ha inviato la sua proposta di sistema presidenzialista all'ufficio dello speaker del parlamento. I dettagli sono ancora abbastanza vaghi, ma sembrerebbe che il cambio rispetto al sistema attuale sia piuttosto radicale, con un presidente che nomina ministri, pone il veto sulle leggi e un governo che non avrà nemmeno più il voto di fiducia. Vi confesso che per natura non sono una grande sostenitrice del sistema presidenziale, a meno che questo non sia applicato in un Paese fortemente federalista come gli Stati Uniti. Se poi mi ricordo che, come riporta Hurriyet, a inizio ottobre Erdogan ha dato l'ultimatum alla Commissione che si occupa della nuova costituzione di finire entro l'anno, altrimenti l'Akp va avanti da solo, ecco vi confesserò che non mi sento molto ottimista.


Il Governo turco ha annunciato un consistente aumento delle spese militari che nel 2013 raggiungeranno i 45,3 miliardi di nuove lire (20 miliardi di euro), sei miliardi in più rispetto all'anno in corso. L'incremento record, pari al 16,3 per cento, viene spalmato sui bilanci delle forze armate (+ 11,8 per cento) , dell'intelligence e della sicurezza interna e guardia costiera e viene giustificato dalla recrudescenza delle operazioni contro il movimento curdo PKK

martedì 16 ottobre 2012

Dalla crisi siriana potrebbe nascere un Medio Oriente tutto nuovo (Carlo Jean su l'Occidentale)


La posizione della Turchia è particolarmente interessante. Ci coinvolge direttamente, dato che Ankara fa parte della NATO ed esercita un’influenza crescente in Africa Settentrionale e in Medio Oriente e che la sua politica estera dei “zero problems with the neighbours” va riformulata, si spera in senso favorevole all’Occidente. Essa non ha retto di fronte alla realtà. Oggi, la Turchia conosce tensioni, oltre che con Cipro, anche con Israele, Siria, Iran e Iraq. La sua presenza militare nel Kurdistan iracheno, il sostegno alla rivolta siriana e la violenta reazione all’arrivo sul suo territorio di alcuni colpi di mortaio sparati dalla Siria stanno accrescendo le tensioni con tutti. La politica finora seguita di tenersi fuori dalla mischia, per svolgere il ruolo del mediatore imparziale – tanto vantaggioso per i suoi interessi commerciali – non tiene più. Le scelte che deve fare Erdogan sono difficili. I dilemmi che lo confrontano non riguardano solo la politica estera, ma anche quella interna turca. Per la prima, teme che una vittoria della rivolta in Siria comporti l’autonomia delle province curde del Nord-Est del paese, già basi della guerriglia anti-turca del PKK, oggi particolarmente attiva dal Kurdistan iracheno.

Per contro, una vittoria di Assad porrebbe un Iran trionfante ai suoi confini meridionali, facendo fallire ogni progetto neo-ottomano. Sotto il profilo interno, un intervento diretto in Siria susciterebbe l’opposizione non solo dei kemalisti, preoccupati della crescente islamizzazione dell’AKP, ma anche degli Alevi (oltre il 10% dei turchi), setta sciita “cugina” degli Alawiti siriani, ma di cui Erdogan ha bisogno per avere la maggioranza necessaria per modificare la costituzione in senso presidenziale. La sua cautela è infine motivata dalla riluttanza degli USA e dell’Europa a impegnarsi in Siria. Inoltre, non è ben chiaro il motivo per il quale Assad non eviti di sfidare la Turchia. Taluni pensano che gli attacchi provengano dagli insorti, non dalle forze lealiste. I primi sanno che un intervento militare turco farebbe superare la situazione di stallo e determinerebbe il loro successo.

giovedì 4 ottobre 2012

Siria - Turchia, se entra in campo la NATO (Aspenia)


L’apertura di un vero fronte militare lungo il confine tra Siria e Turchia segna un possibile punto di svolta nella crisi siriana: è ora possibile (anche se tutt’altro che certo) un coinvolgimento diretto di alcuni paesi occidentali nel conflitto. In particolare, la NATO può essere formalmente attivata a difesa della sicurezza di un paese alleato – la Turchia appunto – e ciò aprirebbe la strada anche ad eventuali operazioni, su vasta scala, con la partecipazione americana. È chiaro che un simile scenario cambierebbe radicalmente la natura stessa del conflitto in corso sul territorio siriano, e in qualche modo consentirebbe di aggirare il blocco rappresentato dal veto russo e cinese nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU. (...)

La Turchia è in guerra con la Siria

Formalmente c'è l'ok del parlamento turco; ora si tratta di capire se nei fatti Erdogan porterà avanti l'azione bellica, o se l'azione della Nato - che ha giustamente dato seguito  immediato alla richiesta di riunione e di "solidarietà" proveniente dalla Turchia - porterà a un "governo" della situazione. 

La speranza è che la drammatica escalation si trasformi in un "braccio di ferro controllato", magari durissimo, ma limitato.

Non spaventiamoci se in questi giorni vedremo azioni di battaglia: si dovranno valutare  tutti gli elementi del contesto per capire quanto gravi saranno gli sviluppi. 

A volte annunciare la guerra può significare riuscire a evitarla, o almeno a controllarla. 
A volte... Speriamo sia una di queste.

FMM



La politica estera turca sta diventando avventurista mentre pochi anni fa puntava allo zero problemi con i vicini: oggi ci sono invece molti problemi con Israele, dopo l'assalto alla flottiglia della Mavi Marmara, con l'Armenia (dopo il riavvicinamento con l'Azerbajan e la fine dei colloqui di pace), con Cipro e la Ue con cui sono congelati i rapporti a causa del semestre di presidenza cipriota e al rifiuto di Ankara di aprire i suoi porti e aeroporti alle navi e aerei ciprioti. A tutti questi problemi, che non sono pochi, si è aggiunta la nuova tensione esplosa tra Siria e Turchia dove soffiano venti di guerra: Ankara, in versione neo-ottomana, ha risposto mercoledì sera bombardando "obiettivi siriani" lungo il confine a un colpo di mortaio sparato dal territorio siriano (...) di Vittorio Da Rold - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/wBzx8

La profonda crisi attualmente in corso in Siria, con lo scontro tra i sostenitori di Assad e l'opposizione, obbliga, tuttavia, la Turchia ad agire dopo attente riflessioni, valutando con estrema cura un'eventuale opzione militare: Ankara, pur beneficiando, nel breve periodo, del crollo di un competitor militare, teme di perdere un importante partner commerciale ed un baluardo contro l'indipendentismo curdo nell'Iraq settentrionale (che, in caso di successo, ri-attiverebbe quello nel sud-est turco). Una possibile “balcanizzazio... ne” della Siria, con l'approfondimento delle lacerazioni tra le varie anime del paese (sunniti, drusi e l'elite alawita attualmente dominante) potrebbe portare ad una deriva integralista e favorire l'ascesa al potere di gruppi islamici radicali: per la Siria si aprirebbe un destino non-dissimile dal Libano o dallo stesso Iraq e la Turchia vedrebbe ai suoi confini un ulteriore focolaio di crisi.Il regime laico e nazionalista di Assad, del resto, ha garantito stabilità, evitando una deriva integralista e teocratica sul modello iraniano: un'eventuale atomizzazione post-guerra civile ne farebbe uno stato fallito stile Afghanistan, Sudan o Iraq, humus ideale per il terrorismo internazionale. 
(ANSA) - ROMA, 4 OTT - "Fino ad ora si è rimasti nell'ambito dell'articolo 4 sul piano della concertazione politica fra paesi dell'Alleanza, ma anche nel Consiglio Nato di questa notte è stato riaffermato il principio della indivisibilità della sicurezza, al quale i membri dell'Alleanza tengono molto". Lo dice il ministro degli Esteri Giulio Terzi, convinto che ''il governo di Ankara sia perfettamente legittimato a chiedere'' l'autorizzazione al parlamento ad operazioni militari oltre confine.

La Turchia dopo dieci anni di governo del partito islamico moderato Akp (Partito della Giustizia e del Progresso) guidato da Recep Tayyip Erdogan, sta giungendo ad un punto di svolta. Secondo le regole costituzionali, alle elezioni del 2014 l’attuale Primo Ministro dovrà cedere ad altri la guida del governo. Erdogan punta per due motivi a una profonda revisione della Costituzione imposta dai militari golpisti nel 1982. Carta fondamentale, contraddistinta da un forte autoritarismo, da un ruolo ancillare dei partiti (riammessi al gioco politico solo nel 1985 con il grande Turgut Ozal, vero iniziatore della modernizzazione dell’economia del paese e iniziatore sfortunato del dialogo con la minoranza kurda) e da un predominio incontrastato dell’esercito – attraverso il controllo della magistratura e, soprattutto, il controllo del Consiglio di Sicurezza Nazionale. Qui i militari spadroneggiavano, con i pretesti della minaccia kurda all’unità nazionale turca e con quello della difesa ad oltranza del patrimonio laicista, “legato” alla Nazione da Mustafà Kemal Atatürk.
(E intanto in LIbia...FMM)

BENGASI - E’ carica di tensioni e conflitti la Libia ancora senza governo e impaurita dopo la morte dell’ambasciatore americano a Bengasi lo scorso 11 settembre. Si è esaurito da un pezzo l’entusiasmo ottimista emerso dalle elezioni parlamentari del 7 luglio. I timori che avevano accompagnato la campagna elettorale, incluso quelli delle lotte tra milizie e di aggressioni violente da parte degli estremisti islamici, allora si rivelarono esagerati. Ma oggi sono tornati tutti all’ordine del giorno. E con gli interessi. Anche l’ondata di manifestazioni (si calcolano oltre 30.000 in piazza) che due settimane fa ha visto la società civile di Bengasi mobilitata nel chiedere lo scioglimento delle milizie più estremiste, inclusa Ansar El Sharia accusata da molte parti di essere implicata direttamente nella morte dell’ambasciatore Usa, non va sopravvalutata. Per molti aspetti appare più come un gesto di paura collettiva da parte delle componenti più sane che l’anno scorso scatenarono la rivolta in Cirenaica, che non una svolta concreta per il cambiamento reale delle cose. Torna l'indipendentismo in Cirenaica (Cremonesi sul Corriere)

Venti di guerra

Sale di nuovo la tensione tra Siria e Turchia. Cinque persone sono rimaste uccise e tredici ferite da colpi di mortaio sparati dalla Siria e caduti in territorio turco nel villaggio di Akcakar, nella provincia sudorientale di Sanliurfa che ospita la maggior parte dei profughi siriani. Tra le vittime a Akcakar anche quattro bambino di sei anni e una donna. E, secondo altre fonti, tra i morti ci sarebbero anche poliziotti. In seguito all'attacco, per tutta risposta, la Turchia ha colpito obiettivi in Siria. Ma non solo. La Turchia ha chiesto e ottenuto una riunione urgente della Nato, secondo cui gli attacchi «sono una flagrante violazione della legge internazionale». E ne chiede l'immediata cessazione. Intanto Damasco assicura che ha avviato «un'indagine per determinare l'origine del colpo di mortaio». E dopo aver fatto le condoglianze al popolo turco, invita «stati e governi» ad agire con saggezza e razionalità. La Casa Bianca: «Siamo accanto ai nostri alleati turchi».(...)

lunedì 16 luglio 2012

I rumori dei passi di un regime che se ne va (Corriere.it)


«I RUMORI DEI PASSI DI UN REGIME CHE SE NE VA» - E sulla crisi siriana è intervenuto il premier turco: «Presto o tardi questo tiranno sanguinario se ne andrà e il popolo siriano gli chiederà conto delle stragi che ha commesso». Lo ha detto Recep Tayyip Erdogan, definendo le ultime vicende in Siria come «il rumore dei passi di un regime che se ne va». «Non ci sono più parole per descrivere quello che accade in Siria - ha detto Erdogan durante un congresso provinciale di partito a Kocaeli - Questi massacri crudeli e tentativi di genocidio, questa brutalità disumana non sono altro che il rumore dei passi di un regime che se ne va». «Abbiamo visto la stessa situazione con il regime di Saddam in Iraq, con quello di Gheddafi in Libia e con quello di Mubarak in Egitto - ha proseguito - Chi punta le armi contro il suo popolo per la sua personale ambizione e per mantenere il suo porto si sta solo preparando alla sua fine». «Per decenni il regime siriano autocratico non ha sparato un solo colpo per difendere la terra sotto occupazione - ha detto riferendosi alle alture del Golan, occupate da Israele - Questo regime dittatoriale non ha avuto il coraggio di sparare una sola pallottola ai veicoli militari armati nel suo territorio, nel suo spazio aereo o nelle sue acque. Ha solo potuto attaccare un aereo non armato nelle acque internazionali». Un riferimento all'aereo turco abbattuto dalla Siria il 22 giugno. Erdogan ha quindi paragonato le recenti stragi, tra cui quella di Tremseh, nella provincia di Hama, a quella che il padre e predecessore di Assad, Hafez al-Assad, ha compiuto nel 1982 sempre a Hama. «Sfortunatamente allora il mondo non alzò la voce contro quello che accade - ha proseguito - Ma oggi non c'è più una Turchia debole e muta che volta le spalle ai fratelli e vicini della regione». L'articolo integrale del Corriere

giovedì 5 luglio 2012

Le speranze residue per la Siria (da Aspenia online)


Nel frattempo, anche il flusso di armi diretto verso il paese è aumentato e – secondo il New York Times – alcuni agenti della CIA avrebbero fornito armi sul confine siriano-turco a combattenti “scelti” della resistenza. Dall’altro lato, Mosca continua a inviare materiale bellico al regime siriano. È evidente che la militarizzazione del conflitto non faciliti il dialogo politico. Intanto, gli attentati che nelle ultime settimane hanno colpito con sempre maggiore frequenza Damasco (dove il regime gode ancora di notevole sostegno politico), mostrano come la spirale del terrore sia una strategia adottata da tutte le parti in guerra. In questo quadro, la possibilità concreta di indire nuove elezioni, formare un governo di transizione e mettere in atto riforme condivise risulta assai improbabile.

Un secondo invalicabile ostacolo è rappresentato dal mantenimento di Bashar al Assad al potere, ormai delegittimato dalla maggior parte degli attori internazionali oltre che dalle forze dell’opposizione interna. La Corte penale internazionale, inoltre, si è espressa dichiarando pubblicamente che il regime siriano potrebbe essere imputato per crimini contro l’umanità. In una tale prospettiva, immaginare una “restaurazione” del ruolo di Assad, tanto all’interno del quadro politico siriano, quanto nella dimensione diplomatica internazionale risulta davvero poco realistico.


Le speranze residue in un piano internazionale per la Siria (Aspenia online)

lunedì 2 luglio 2012

Ankara invia jet da guerra sul confine siriano (da AsiaNews)


(...) Dopo l'abbattimento del jet turco lo scorso 22 giugno, Ankara ha deciso di rinforzare le difese sui 500 chilometri di confine con la Siria, annunciando "tolleranza zero" contro le incursioni dell'esercito di Assad. Oltre agli aerei da guerra l'esercito ha invitato nei giorni scorsi anche batterie missilistiche e mezzi corazzati.

Da 16 mesi, il governo di Ankara sostiene i ribelli del Free Syrian Army, costituitosi proprio in territorio turco, permettendo loro di rifugiarsi in segreto nei campi profughi, dove a tutt'oggi vi sono circa 30mila rifugiati. Secondo alcuni esperti l'esercito, turco fornirebbe ai guerriglieri anche armi, equipaggiamento e addestramento. (...) Ankara invia jet da guerra sul confine siriano (da AsiaNews)

martedì 26 giugno 2012

Approfittare degli Incidenti (No alla Guerra, ma "Circondiamo" la Siria)

[aggiornato con una risposta a un commento - 3 luglio 2012]

Ci sono molte cose da capire, nella questione del jet abbattuto dalla Siria. Gli errori esistono, e possono esserci stati da una parte come dall'altra; in questo senso bisogna sempre evitare di farsi prendere da suggestioni "dietrologiche" (tanto per intenderci, un'ipotesi di "incidente cercato").

Però è anche vero che la Turchia, come già ricordavo in un precedente post, aveva già chiesto più di un mese fa l'intervento della Nato contro la Siria. Vien quindi da pensare che - incidente o meno - Erdogan possa essere tentato di spingere oltre il limite la reazione, costringendo la NATO a seguirlo.

Indipendentemente da torti e ragioni, che in politica sono sempre "malleabili", la domanda rimane sempre la medesima, analoga ad altre situazioni: abbiamo  chiaro quale potrebbe essere l'orizzonte (logistico, temporale, e soprattutto politico) di un eventuale intervento militare?

lunedì 25 giugno 2012

La Siria non è la Libia (dal Sole24Ore)

Quanto alle mosse della politica estera della Turchia e allo slogan "zero problemi con i vicini" coniato dal suo ineffabile ministro degli Esteri Davutoglu si stanno rivelando pericolosamente illusori. In realtà Ankara ha visto sgretolare proprio questo pilastro con cui intendeva tornare da protagonista in Medio Oriente. Ha rotto con Israele per l'incidente della Mavi Marmara, i rapporti con Grecia e Cipro sono sempre tesi, si sta scontrando con l'Iraq per la questione curda, ha rapporti complicati con l'Iran e la Siria è stata l'ultima delusione del primo ministro Erdogan che sognava di condizionare il suo ex amico Bashar Assad al quale aveva passato persino i codici di identificazione dei caccia dopo l'attacco israeliano del settembre 2007 al reattore siriano di Deir Ez Zor. di Alberto Negri - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/nyZrj

sabato 23 giugno 2012

Tensioni Turchia - Siria

Caccia turco abbattuto dai siriani per errore. Ho letto questa notizia prima sulla pagina FB di Guido Olimpio, del Corriere della Sera. Nel link che riporto qualche dettaglio in più. La notizia non è bella, vista la situaziona di tensione già esistente fra i due paesi; ricordo che solo poco più di un mese fa Erdogan aveva minacciato di chiedere l'intervento della NATO contro la Siria
Al tempo stesso i primi segnali sembrano lievemente ottimisti: si parla infatti di ricerche congiunte per recuperare i piloti. L'importante è che prevalga la ragione, anche se lo scenario siriano sembra - secondo lo stesso Olimpio che cita il quotidiano Telegraph - assomigliare sempre più a quello libico (fuga dirigenti, movimenti di denaro all'estero, etc). Speriamo prevalga il tentativo di raffreddare la situazione.
[di seguito la notizia su Euronews e l'intervista a Erdogan del maggio scorso]