martedì 16 ottobre 2012

Dalla crisi siriana potrebbe nascere un Medio Oriente tutto nuovo (Carlo Jean su l'Occidentale)


La posizione della Turchia è particolarmente interessante. Ci coinvolge direttamente, dato che Ankara fa parte della NATO ed esercita un’influenza crescente in Africa Settentrionale e in Medio Oriente e che la sua politica estera dei “zero problems with the neighbours” va riformulata, si spera in senso favorevole all’Occidente. Essa non ha retto di fronte alla realtà. Oggi, la Turchia conosce tensioni, oltre che con Cipro, anche con Israele, Siria, Iran e Iraq. La sua presenza militare nel Kurdistan iracheno, il sostegno alla rivolta siriana e la violenta reazione all’arrivo sul suo territorio di alcuni colpi di mortaio sparati dalla Siria stanno accrescendo le tensioni con tutti. La politica finora seguita di tenersi fuori dalla mischia, per svolgere il ruolo del mediatore imparziale – tanto vantaggioso per i suoi interessi commerciali – non tiene più. Le scelte che deve fare Erdogan sono difficili. I dilemmi che lo confrontano non riguardano solo la politica estera, ma anche quella interna turca. Per la prima, teme che una vittoria della rivolta in Siria comporti l’autonomia delle province curde del Nord-Est del paese, già basi della guerriglia anti-turca del PKK, oggi particolarmente attiva dal Kurdistan iracheno.

Per contro, una vittoria di Assad porrebbe un Iran trionfante ai suoi confini meridionali, facendo fallire ogni progetto neo-ottomano. Sotto il profilo interno, un intervento diretto in Siria susciterebbe l’opposizione non solo dei kemalisti, preoccupati della crescente islamizzazione dell’AKP, ma anche degli Alevi (oltre il 10% dei turchi), setta sciita “cugina” degli Alawiti siriani, ma di cui Erdogan ha bisogno per avere la maggioranza necessaria per modificare la costituzione in senso presidenziale. La sua cautela è infine motivata dalla riluttanza degli USA e dell’Europa a impegnarsi in Siria. Inoltre, non è ben chiaro il motivo per il quale Assad non eviti di sfidare la Turchia. Taluni pensano che gli attacchi provengano dagli insorti, non dalle forze lealiste. I primi sanno che un intervento militare turco farebbe superare la situazione di stallo e determinerebbe il loro successo.

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