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domenica 22 dicembre 2013

Unione bancaria, la partita sulla leadership europea e i diktat tedeschi (da HuffingtonPost.it)

(...) Il primo obiettivo, riguardante l'accentramento della vigilanza, è stato raggiunto: è stato, infatti, adottato un regolamento e il sistema sarà pienamente operativo dal prossimo anno. Alla Banca Centrale Europea spetta la vigilanza diretta sulle principali banche (circa 130), mentre resta in capo agli organi nazionali quello sulle altre banche (ferma restando la facoltà della BCE di intervenire per assicurare la coerente applicazione degli standard europei). Nel frattempo è partita l'Asset Quality Review che insieme agli stress test consentiranno alla BCE di avere una radiografia accurata del sistema bancario europeo.

Il secondo obiettivo, discusso in questi giorni, riguardava, invece, la creazione di un meccanismo comune di gestione delle crisi creditizie che possano avere ripercussioni gravissime sul paese di appartenenza e, in ultima analisi sull'intera Eurozona, com'è accaduto per Portogallo, Spagna, Cipro, e come avverrebbe se la situazione italiana dovesse precipitare. La Commissione ha proposto un meccanismo uniforme che però ha incontrato notevoli resistenze soprattutto dalla Germania. Al di là dei pretesti giuridici inizialmente invocati (non c'è una base giuridica nel Trattato, la competenza dovrebbe spettare al Consiglio e non alla Commissione) il vero tema era: chi paga in caso di default di una banca? La preoccupazione sottostante era ancora una volta che i contribuenti tedeschi finissero per pagare per il salvataggio di banche dei paesi del sud Europa.

Di qui una serrata battaglia per assicurarsi che innanzi tutto le crisi gravino, con un ordine di priorità prestabilito, su azionisti, obbligazionisti, creditori e clienti (salvo quelli garantiti per depositi fino a 100.000 Euro). E' poi stata prevista l'istituzione di un fondo comune, alimentato dalle stesse banche, che nell'arco di una decina di anni dovrebbe raccogliere cinquantacinque miliardi. Fin qui tutto bene. Il problema è che succede nel frattempo, in caso di crisi, se questi fondi sono insufficienti. Lo stesso rischio vale a regime dinanzi a crisi di proporzioni simili a quella passata. Su questi temi lo scontro si è fatto pesante e nei giorni scorsi il Ministro Saccomanni ha preso carta e penna per chiarire formalmente la propria posizione, favorevole all'utilizzo anche di fondi pubblici dell'UE. Alla fine il compromesso trovato nella notte sembra prevedere che gli Stati o l'European Stability Mechanism possano erogare finanziamenti ponte, ove necessario.(...)

lunedì 18 novembre 2013

“Così Israele esporterà gas e acqua” (da laStampa.it)

(...) Che cosa avete trovato?  
«Abbiamo trovato il giacimento di gas naturale chiamato “Leviatano” e questo ci permetterà di esportarne circa il 50%, cominciando da Cipro, Grecia e Italia. In un recente viaggio in Italia il primo ministro Enrico Letta e altri ministri mi hanno detto che vorrebbero ospitare il porto per il gas israeliano previsto in Europa. Dobbiamo valutare se questo sarà trasportato attraverso un gasdotto o se dovremo renderlo liquido e quindi spedirlo via nave. Ci sono diverse opzioni. Per esempio vorremmo costruire un collettore sottomarino con Cipro e Grecia». 

Quali sono gli effetti di questa scoperta per Israele?  
«Servirà anche per il mercato interno e permetterà di tagliare i prezzi di acqua e gas e il costo di molti prodotti. Tutto questo ridurrà in modo rilevante il costo della vita». 

Quando si realizzerà la svolta?  
«Saremo pronti per l’esportazione entro il 2018-2019, ma già ora abbiamo tagliato i costi del gas per l’industria di 250 milioni al mese, il che significa 3 miliardi l’anno. Ma dal 2015 il risparmio salirà a 9 miliardi. Israele diventerà un Paese molto più a buon mercato. Poi la speranza è trovare il petrolio e vorremmo che arrivassero a investire i grandi operatori. Ma molti sono ancora impegnati con i Paesi arabi». 

Avete intenzione di esportare anche in Asia?  
«Sì, in forma di gas liquido, trasportato con le navi. Si potrebbe sostituire il petrolio iraniano. Nel 2004 la Cina aveva firmato con l’Iran un contratto da 75 miliardi per gas e petrolio per i prossimi 30 anni. Sia la Cina che la Russia dipendono molto dall’Iran e vorrebbero che l’attuale regime restasse al potere». (...)

giovedì 8 agosto 2013

Possiamo Farcela Senza L'FMI (PressEurop - Les Echos)

(...) In realtà l'Fmi è intervenuto nella zona euro (Grecia, Irlanda, Portogallo e Cipro) per tre ragioni principali. La prima è che non era stato previsto nulla per affrontare una situazione di fallimento di uno stato della zona euro, e il Fondo era l'unico strumento finanziario disponibile per aiutare degli stati che avevano delle necessità di finanziamento a brevissimo termine.
La seconda era politica, l'Fmi doveva svolgere il suo ruolo di capro espiatorio, cioè di istituzione che esige delle condizioni impopolari per il risanamento, una cosa che gli stati della zona euro non erano pronti a fare da soli.
Terza e ultima ragione, l'indiscussa esperienza dell'Fmi nel concepire in poche settimane dei programmi economici. Un'esperienza che giustificava un sostegno del genere in una situazione così caotica.(...)
A questo punto non sarebbe il caso che la zona euro dicesse che può fare a meno dell'Fmi? La seconda moneta di riserva al mondo dovrebbe trovare la sua piena sovranità e mostrare che è capace di essere solidale e protettrice nei confronti dei suoi membri. Non ricorrere al Fondo avrebbe una duplice conseguenza. Prima di tutto finanziaria. Bisognerebbe infatti coprire le spese dell'Fmi in Grecia, Portogallo e a Cipro. Ma questi fondi sono adesso disponibili attraverso l'Ems.
In secondo luogo politica, poiché la zona euro sarebbe lasciata a se stessa e alle sue debolezze, soprattutto per quanto riguarda la debole coesione delle economie tra sud e nord. I governi hanno voluto dimostrare che la zona euro non era solo un’unione monetaria, ma anche un atto politico. Di conseguenza un gesto del genere assumerebbe un significato forte: dopo una fase difficile, la zona euro si dimostrerebbe pronta ad affrontare da sola le sue sfide (come per esempio l'annullamento o meno di una parte del debito sovrano della Grecia, questione che è oggeto di discussioni tra Fmi e zona euro).
Tuttavia prima di rinunciare al Fondo potrebbe essere adottata una soluzione intermedia. L'Fmi, come fa già in alcuni paesi, potrebbe firmare con gli stati della zona euro con cui ha concluso un programma di aiuti dei cosiddetti accordi di precauzione, ovviamente di concerto con la zona euro. Si tratta di accordi senza un aiuto finanziario ma sotto forma di firme in bianco sulla condotta della politica economica. Così la zona euro manterrebbe la sua autonomia finanziaria sfruttando al tempo stesso l'esperienza dell'Fmi. Si tratterebbe di una prima fase, perché in ultima analisi la zona dovrà affermarsi politicamente.

lunedì 25 giugno 2012

La Siria non è la Libia (dal Sole24Ore)

Quanto alle mosse della politica estera della Turchia e allo slogan "zero problemi con i vicini" coniato dal suo ineffabile ministro degli Esteri Davutoglu si stanno rivelando pericolosamente illusori. In realtà Ankara ha visto sgretolare proprio questo pilastro con cui intendeva tornare da protagonista in Medio Oriente. Ha rotto con Israele per l'incidente della Mavi Marmara, i rapporti con Grecia e Cipro sono sempre tesi, si sta scontrando con l'Iraq per la questione curda, ha rapporti complicati con l'Iran e la Siria è stata l'ultima delusione del primo ministro Erdogan che sognava di condizionare il suo ex amico Bashar Assad al quale aveva passato persino i codici di identificazione dei caccia dopo l'attacco israeliano del settembre 2007 al reattore siriano di Deir Ez Zor. di Alberto Negri - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/nyZrj