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venerdì 4 aprile 2014

Il Quantitative Easing Della BCE


A questo link trovate il testo della conferenza stampa di Mario Draghi


La Bce, per ora, spiega solo che deve pensarci ancora. Eurolandia, ha spiegato Draghi, è un sistema economico molto dipendente dalle banche e questo impone di disegnare bene il suo quantitative easing, che non potrà essere analogo a quello degli Stati Uniti. Negli Usa, gli acquisti di titoli finanziari ha un effetto diretto sull'economia reale perché la maggior parte dei finanziamenti alle imprese passa attraverso il mercato finanziario. Nell'Unione monetaria c'è invece il filtro delle banche, che ha reso utili a metà le maxi iniezioni di liquidità del 2011 e 2012. Non può essere un caso se, rispondendo a una domanda sulle specificità di un quantitative easing Bce, Draghi ha subito fatto riferimento all'Asset quality review, l'esame degli attivi delle banche.
 
di Riccardo Sorrentino - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/DiUe5
 
Le dichiarazioni degli ultimi giorni non devono però far pensare che l'uso del Qe sia imminente. Anzi tutto, il presidente della Bce, Mario Draghi, ha precisato ieri che l'uso della politica monetaria convenzionale, quindi il taglio dei tassi d'interesse, non è esaurito. Il che farebbe pensare che la Bce voglia battere questa strada prima di imbarcarsi in decisioni molto più controverse come il Qe. Non è un caso che alla vigilia del consiglio, due economisti tedeschi ortodossi, Michael Heise di Allianz, e Jörg Kraemer, di Commerzbank, siano intervenuti separatamente per contestare questa opzione. Non c'è dubbio che, nonostante il cambio di atteggiamento della Bundesbank (peraltro con molte condizioni e puntualizzazioni), il Qe resti politicamente esplosivo in Germania.
 
di Alessandro Merli - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/dmjec
 
C'è un'altra opzione: la Bce potrebbe attuare la politica monetaria ultra espansiva acquistando titoli pubblici a massima sicurezza (Tripla A), emessi da Paesi non appartenenti all'Unione monetaria (Australia, Canada, Norvegia, Svezia, Svizzera, Regno Unito). La manovra avrebbe un impatto fiscale nullo sui Paesi dell'Unione, ed in più avrebbe un effetto collaterale da molti gradito: spingere verso il basso il tasso di cambio dell'euro. L'espansione monetaria non avrebbe però l'impatto ravvicinato con le emittenti privati. Le due opzioni - titoli privati o titoli pubblici non Euro - potrebbero peraltro essere complementari, sommando i potenziali vantaggi.
 
di Donato Masciandaro - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/Dya0J

giovedì 6 marzo 2014

Ora l’Ucraina pensa a un default controllato (da Linkiesta)

Dopo la quasi guerra civile, dopo gli echi di Guerra fredda, ora è arrivata la prospettiva di un default su una parte del debito pubblico. In pratica, un quadro che potrebbe portare l’Ucraina a essere dipendente dagli aiuti internazionali. O meglio, ancora più dipendente di quanto non sia oggi. L’eventuale ristrutturazione del debito ucraino vuol dire insolvenza. E insolvenza si traduce in mancato accesso ai mercati obbligazionari per un imprecisato numero di anni. I negoziati tra il governo guidato dal primo ministro Arseniy Yatsenyuk e il Fondo monetario internazionale (Fmi) si prospettano lunghi e perigliosi. Ecco quindi perché, come aveva già avvisato Standard & Poor’s, è facile che il Paese si dichiari insolvente su una parte del debito esistente. Uno scenario, quello del default, già presentatosi nel settembre 1998 e gennaio 2000.(...) 

domenica 19 gennaio 2014

Le Trappole Della Retorica Politica, Le Questioni Realmente Importanti

Oggi sul tavolo della politica - e quindi sul "nostro" tavolo, perché la politica siamo anche noi, ci piaccia o meno - c'è la riforma elettorale. Argomento in realtà non molto importante, soprattutto se non viene accompagnato a riforme che stabilizzino realmente i governi (e che difficilmente si trovano nella legge che regola il voto; penso per esempio a sistemi di sfiducia costruttiva o regole per la formazione dei gruppi parlamentari) o che diano realmente poteri forti al premier e al governo (comunque nulla a che vedere con la "cosmesi" del presidenzialismo, secondo me).

La discussione sulle proposte che stanno girando è inoltre viziata dal fatto che ci siamo incastrati - oserei dire che ci siamo autointrappolati - su una questione mal posta ("permetteteci di scegliere il nostro rappresentante"), che in realtà non è così importante, e che rischia di "obbligarci" a giudicare negativamente scelte che non sono forse così strane (Stefano Ceccanti, costituzionalista, in queste ore sta ricordando come l'anomalia - nello scenario europeo - siano le preferenze, non le liste bloccate, già in uso in altri paesi).

Da questo caso forse si capisce che in politica è necessario agire con cautela anche nei momenti polemici, indirizzando correttamente il cosa e il come della critica (a volte soprattutto il come, evitando sempre toni apocalittici). Troppo spesso una critica mal posta prima (penso per esempio alla critica generalizzata alla Bossi-Fini sull'immigrazione, mescolata - temo impropriamente - alla questione della punibilità penale dell'immigrazione clandestina) rischia di far apparire i compromessi inevitabili del poi tutti inaccettabili.

Forse ho speso troppe parole; andiamo dunque alle questioni veramente importanti: It's the economy, stupid...
E quindi, anche in vista delle prossime scadenze elettorali per l'Europa, mi permetto di segnalare argomenti di riflessione soprattutto economica di cui trovate estratti di seguito:
  1. A proposito di Europa e di retorica della politica: interessante articolo sul Fiscal Compact, che forse non è quella mostruosità draconiana che sembra essere passata nell'immaginario; tema su cui è il caso di tornare in futuro per approfondire ulteriormente.
  2. A proposito di semplificazioni: funzionano le ricette del Fondo Monetario Internazionale? Forse sono troppo astratte? Un bell'articolo di Fabrizio Goria sui paesi che in Europa le hanno adottate e che si stanno riprendendo.
  3. Cosa fare contro la disoccupazioneAlcuni articoli - in particolare un paio del centro studi Nomisma - per tentare di trovare strumenti con cui reagire; sicuramente non basterà la ripresa e non saranno necessariamente utili gli ennesimi correttivi sul piano del diritto del lavoro.
  4. Come leggere il periodo attuale? Ci sarà un ritorno della mano pubblica nell'economiaun articolo molto interessante di Stefano Cingolani per provare a fare un punto della situazione.
  5. In ultimo tento di presentare con il richiamo di un paio di articoli la figura di Stanley Fisher, keynesiano anomalo e pragmatico, che avrà un ruolo importante nella FED, a fianco del nuovo Governatore, Janet Yellen.
Buona lettura

Francesco Maria Mariotti

lunedì 16 dicembre 2013

Dove va l'Irlanda? (da ilPost)

Domenica 15 dicembre l’Irlanda è uscita dal programma di aiuti europei (il cosiddetto “bailout”) cominciato tre anni fa in seguito allo scoppio della crisi finanziaria. Da allora, l’Irlanda aveva ricevuto una serie di prestiti pari in tutto a 85 miliardi di euro. Questi prestiti sono stati concessi in cambio di alcune misure fiscali, un esempio della cosiddetta “austerity” che ha riguardato diversi altri paesi europei.

Da adesso, l’Irlanda tornerà a fare affidamento sul mercato per finanziare la propria spesa pubblica. Il paese sta attraversando un momento di ripresa economica, ma, come fanno notare quasi tutti gli osservatori, si tratta di una ripresa ancora fragile. Nonostante questo, il governo ha già promesso che dall’anno prossimo le tasse, alzate fino a raggiungere il record storico durante la crisi, saranno abbassate.

L’uscita dal programma di aiuti ha fatto tornare attuale una discussione che divide da molto tempo gli economisti, i commentatori e la stessa Commissione europea: l’Irlanda è davvero la dimostrazione che austerity più riforme incisive possono salvare un paese dalla crisi e riportare la crescita economica?

La crisi dell’Irlanda
Il Financial Times ha scritto che l’uscita dell’Irlanda dal programma di aiuti è un segno dell’importanza di rimuovere i legami tra lo stato e le banche. Nel 2010, infatti, il bilancio dell’Irlanda era in una situazione ancora gestibile, ma le sue banche si trovavano in una profonda crisi. Il governo intervenne per aiutarle in una maniera che si rivelò poi disastrosa.
La soluzione scelta per salvare il sistema finanziario dal governo dell’epoca – legato ai dirigenti e ai proprietari di diversi istituti bancari – fu di garantire completamente i debiti di sei banche. Questa garanzia si rivelò immensamente più costosa di quanto il governo aveva immaginato. In sostanza, il debito delle banche divenne debito dello stato, che passò in pochi anni dal 25 per cento del PIL all’attuale 124 per cento. A causa di questa situazione, alla fine del 2010 l’Irlanda chiese l’aiuto dell’Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale e cominciò ad adottare una lunga serie di misure di austerità. (...)

mercoledì 4 dicembre 2013

Francia, Malata d'Europa?

Certo, questa non è una gara nella quale la seconda e la terza economia dell'euro bramino arrivare prime. Ma visto che insieme Francia e Italia fanno ben oltre un terzo del Pil dell'eurozona, il loro stato di salute è inevitabilmente un problema collettivo oltre che nazionale, lo spartiacque tra una crescita europea robusta e una ripresa anemica, come l'attuale. «Nell'ultimo biennio l'Italia è migliorata, la Francia no ma siccome la Francia fa parte del nucleo duro dell'euro non è esposta alla speculazione, perché tutti sanno che sarebbe aiutata dai tedeschi molto più facilmente dell'Italia» spiega Schmieding con brutale franchezza.
 
di Adriana Cerretelli - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/WI95E

Francia e Italia si stanno sforzando di trovare soluzioni più equilibrate rispetto alle linee guida in stile Troika (Commissione Ue, Bce, Fondo monetario). Parigi ha respinto con decisione le tesi delle agenzie di rating e il presidente Hollande ha confermato che non devierà dalle scelte di sovvenzionamento pubblico dei livelli occupazionali. Ma senza importanti e mirate operazioni di spending review (a cui il governo Letta sta lavorando, obbiettivo tagli per 32 miliardi) che vadano a incidere sul cosiddetto cuneo fiscale sarà molto difficile - dati gli alti livelli di debito e la bassa crescita - evitare una lunga e dolorosa fase di svalutazione interna e imponente disoccupazione strutturale. 

di Alberto Annicchiarico - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/uLz3k

La risposta è semplice: è una questione politica. Il peccato della Francia non è un debito eccessivo, una crescita economica particolarmente scarsa, una produttività scadente (dal 2000 a oggi è stata più o meno uguale a quella tedesca), una crescita insoddisfacente dell'occupazione (come sopra) o altro del genere. Il suo peccato è aver rimesso in ordine i conti pubblici alzando le tasse invece che tagliando lo Stato sociale, cosa che il Governo di Parigi è contrario a fare. Non c'è nessun dato che dimostri che si tratta di una politica disastrosa (e infatti i mercati dei titoli di Stato non sembrano preoccupati): ma a che servono i dati? 

di Paul Krugman - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/yzP6T

Tre i punti critici della Francia, secondo gli economisti del Lisbon Council: e’ uno dei paesi in cui la spesa pubblica in rapporto al pil e’ piu’ elevata; conduce politiche eccessivamente orientate all’interno con il risultato che la quota di esportazione continua a declinare; la competitivita’ e’ indebolita da un aumento eccessivo dei costi del lavoro e da norme restrittive che rendono “piu’ difficile assumere e licenziare rispetto a qualsiasi altro paese dell’Eurozona con l’eccezione della Slovenia”. Di piu’: secondo il Lisbon Council in Francia pesa enormemente “un’avversione alle riforme e le sue politiche rappresentano un rischio per tutti”

giovedì 21 novembre 2013

Parla Carlo Cottarelli

C’è chi dice: in Italia la spesa al netto degli interessi non è molto più alta che altrove. Cosa risponde?
«Se escludiamo gli interessi sul debito - troppi - e le pensioni è vero. Ma con questo debito non possiamo permetterci sprechi. Se possiamo essere più bravi dei tedeschi nel calcio, possiamo farlo anche nella revisione della spesa».


E la Sanità? Il ministro Beatrice Lorenzin sostiene che i risparmi saranno studiati all’interno del suo dicastero e Cottarelli è d’accordo. «Non siamo mica in conflitto. La revisione della spesa la deve fare prima di tutti la pubblica amministrazione», dice il commissario arrivato a Roma, al ministero dell’Economia, dal Fondo monetario internazionale. Le cose da fare, spiega, sono due: capire se si può fare la stessa attività, dare lo stesso servizio, a costi più bassi. E individuare e togliere i servizi non necessari. «Non si tratta di toccare lo stato sociale che è un fondamento dell’economia italiana». Ma, ripete, anche in questo settore occorre eliminare gli sprechi e «i servizi non necessari». 

Ancora più delicato è l’argomento pensioni. L’Italia, riconosce, «ha fatto un’ottima riforma che assicura la riduzione dei flussi di spesa per i prossimi 20 anni. Pochi paesi sono risusciti a farla». Ma per il presente «il paese ha un grosso problema: una spesa in rapporto al Pil che è troppo alta, tra le più alte al mondo». Sarà necessario, aggiunge, «toccare le pensioni d’oro e d’argento. L’approccio della legge di Stabilità è di congelare la perequazione. So che esistono difficoltà a livello costituzionale. Ma c’è una scelta da fare» afferma.


mercoledì 25 settembre 2013

Chi E' Carlo Cottarelli?

Oggi a Otto e Mezzo il ministro Saccomanni ha di fatto confermato che sarebbe sua intenzione nominare un commissario straordinario per la spending review. Pur non dando una risposta totalmente esplicita alla domanda di Gruber, ha dato la sensazione che il nome indicato dalla giornalista sia la scelta più probabile. Si parla quindi di Carlo Cottarelli, attualmente direttore del dipartimento per gli affari fiscali e di bilancio del Fondo Monetario internazionale. Di seguito qualche link per conoscerlo meglio.

FMM

Da ormai due mesi per esempio Saccomanni annuncia l' intenzione di nominare «in tempi brevi» un commissario straordinario per la spending review. Secondo varie fonti con conoscenza diretta del dossier, Saccomanni ha anche in mente da tempo una persona adatta per quell' incarico: Carlo Cottarelli, un passato in Banca d' Italia, oggi direttore del dipartimento per gli affari fiscali e di bilancio del Fondo monetario internazionale. Il solo fatto di pensare a un profilo del genere indica che Saccomanni non intende mettere mano alla spesa pubblica con il cacciavite o le forbicine da unghie. Vuole farlo con una robusta arma da taglio. Sarebbe difficile attrarre Cottarelli da Washington, dov' è all' apice della carriera, senza fornirgli garanzie sull' efficacia del suo mandato. Del resto è lo stesso Fmi che da anni suggerisce all' Italia di tagliare la spesa con decisione per poi poter ridurre il carico fiscale sul lavoro e sulle imprese di altrettanto. Il ministro ha ripetuto l' impegno a creare il commissario straordinario alla spending review, «permanente» e dotato di staff, 


Per la spending review, infine, circola l’ipotesi che possa diventare commissario straordinario Carlo Cottarelli, direttore del dipartimento per gli affari fiscali e di bilancio del Fondo Monetario Internazionale. Ma in questo clima di instabilità anche questa nomina sembra essere più difficile. 



Carlo Cottarelli, a citizen of Italy, has been Director of the Fiscal Affairs Department since November 2008.
After receiving degrees in economics from the University of Siena and the London School of Economics, he joined the Research Department of the Bank of Italy where he worked from 1981 to 1987 in the Monetary and Financial Sector Division. After working for about one year as head of the Economic Research Department of ENI (the main Italian energy company), Mr. Cottarelli joined the IMF in 1988, working for the European Department, the Monetary and Capital Markets Department, the Policy Development and Review Department, and the Fiscal Affairs Department. He was Deputy Director both in the European Department and the Strategy, Policy and Review Department.(...)
Per capire quali sono le principali sfide e cosa aspettarsi dai prossimi anni Euronews ha parlato con Carlo Cottarelli, Direttore del Dipartimento Affari Fiscali dell’Fmi.
Aleksandra Vakulina, Euronews: “Pochi Paesi europei possono dirsi contenti dello stato del proprio deficit. L’obiettivo del 3% sul Pil per molti pare irraggiungibile nel breve periodo. Tagliare il debito significa ridurre anche la crescita. Come può un governo superare tale contraddizione?”
Carlo Cottarelli: “E’ un problema complicato. L’austerità è un po’ come una medicina: la devi prendere, ma se ne prendi troppa non va bene. Quindi bisogna dosarla bene. Questa è un po’ la sfida che affronta l’Europa: prendere la medicina dell’austerità nelle giuste dosi. Da quello che possiamo osservare, in generale, il ritmo dell’aggiustamento è quello giusto. Ma l’Europa deve prendere un po’ le distanze dallo sforzo verso specifici target nominali. L’obiettivo del 3% deve essere raggiunto, ma non deve essere raggiunto in un anno specifico. Su questo, però, devo dire che trovo incoraggiante che l’Unione Europea abbia mostrato un certo grado di flessibilità nell’affrontare casi specifici, permettendo ai Paesi di rallentare nel ritmo dell’aggiustamento quando necessario.” (...)
“L’Italia ha già completato il grosso dell’aggiustamento fiscale, insieme alla Germania”, ha detto Cottarelli. A differenza di Italia e Germania “ci sono altri Paesi come la Francia che hanno strada da fare“, ha aggiunto, spiegando che, in linea generale, “la restrizione fiscale continuerà ancora”. “La cosa importante – ha precisato – è che avvenga ad una velocità adeguata. Non bisogna esagerare altrimenti si uccide l’economia”. Secondo Cottarelli infatti “è necessario un aggiustamento fiscale ma ad un passo ragionevole. Le decisioni che guardano ad una maggiore flessibilità da parte delle istituzioni europee sono da giudicare positivamente. E ci si sta spostando da un focus orientato solo sui target nominali ad uno che consideri anche gli aggiustamenti ciclici”.

giovedì 8 agosto 2013

Possiamo Farcela Senza L'FMI (PressEurop - Les Echos)

(...) In realtà l'Fmi è intervenuto nella zona euro (Grecia, Irlanda, Portogallo e Cipro) per tre ragioni principali. La prima è che non era stato previsto nulla per affrontare una situazione di fallimento di uno stato della zona euro, e il Fondo era l'unico strumento finanziario disponibile per aiutare degli stati che avevano delle necessità di finanziamento a brevissimo termine.
La seconda era politica, l'Fmi doveva svolgere il suo ruolo di capro espiatorio, cioè di istituzione che esige delle condizioni impopolari per il risanamento, una cosa che gli stati della zona euro non erano pronti a fare da soli.
Terza e ultima ragione, l'indiscussa esperienza dell'Fmi nel concepire in poche settimane dei programmi economici. Un'esperienza che giustificava un sostegno del genere in una situazione così caotica.(...)
A questo punto non sarebbe il caso che la zona euro dicesse che può fare a meno dell'Fmi? La seconda moneta di riserva al mondo dovrebbe trovare la sua piena sovranità e mostrare che è capace di essere solidale e protettrice nei confronti dei suoi membri. Non ricorrere al Fondo avrebbe una duplice conseguenza. Prima di tutto finanziaria. Bisognerebbe infatti coprire le spese dell'Fmi in Grecia, Portogallo e a Cipro. Ma questi fondi sono adesso disponibili attraverso l'Ems.
In secondo luogo politica, poiché la zona euro sarebbe lasciata a se stessa e alle sue debolezze, soprattutto per quanto riguarda la debole coesione delle economie tra sud e nord. I governi hanno voluto dimostrare che la zona euro non era solo un’unione monetaria, ma anche un atto politico. Di conseguenza un gesto del genere assumerebbe un significato forte: dopo una fase difficile, la zona euro si dimostrerebbe pronta ad affrontare da sola le sue sfide (come per esempio l'annullamento o meno di una parte del debito sovrano della Grecia, questione che è oggeto di discussioni tra Fmi e zona euro).
Tuttavia prima di rinunciare al Fondo potrebbe essere adottata una soluzione intermedia. L'Fmi, come fa già in alcuni paesi, potrebbe firmare con gli stati della zona euro con cui ha concluso un programma di aiuti dei cosiddetti accordi di precauzione, ovviamente di concerto con la zona euro. Si tratta di accordi senza un aiuto finanziario ma sotto forma di firme in bianco sulla condotta della politica economica. Così la zona euro manterrebbe la sua autonomia finanziaria sfruttando al tempo stesso l'esperienza dell'Fmi. Si tratterebbe di una prima fase, perché in ultima analisi la zona dovrà affermarsi politicamente.

lunedì 3 dicembre 2012

La Grecia Si Sta Salvando?

Segnali di distensione sulla crisi di Atene che tiene banco da tre anni. La Grecia ha lanciato un piano di riacquisto volontario di titoli di stato da 10 miliardi di euro, a prezzo molto scontato. Si tratta di una delle condizioni imposte al Paese per ricevere i fondi dall'Unione europea e dal Fmi. L'agenzia nazionale del debito ha fatto sapere che i detentori di titoli dovranno presentare le loro obbligazioni entro venerdì per ricevere in cambio un pagamento tra il 32,2 e il 40,1% del valore nominale. Gli investitori devono dichiarare il proprio interesse a vendere tra il 7 e il 17 dicembre. 


(...)L'accordo raggiunto in questi giorni è stato quello di un ammorbidimento del processo di controllo del debito pubblico greco.

La Grecia e il resto d'Europa avevano l'obiettivo di tenere Atene nell'euro per evitare sia una crisi maggiore in Grecia sia un possibile effetto domino negli altri Stati europei. Il costo del salvataggio della Grecia è elevato, ma è una goccia in confronto a quanto costerebbe una crisi che, alla fine, dopo la Spagna, lambisse prima l'Italia e poi addirittura la Francia. La conclusione del ragionamento era che, se i politici e i banchieri centrali fossero stati “avversi al rischio” (vale a dire: meglio una grossa perdita oggi che una possibile enorme perdita domani), avrebbero salvato la Grecia. E così è stato.

Il debito pubblico greco quest'anno è stato ristrutturato due volte. La prima volta è stato ristrutturato il debito detenuto dai privati, la seconda - ed è la novità di questi giorni - quello detenuto dalle autorità (Banca centrale europea, Fondo salva-Stati). La ristrutturazione per le autorità in sostanza consiste: 1) nell'allungare le scadenze del debito, ossia nel farlo scadere soprattutto quando la Grecia starà meglio; 2) nel ridurre il costo del debito per il Tesoro, ossia nel ridurre le cedole correnti e nel “regalare” al Tesoro greco le cedole accumulate. Insieme a queste misure si allungano i tempi richiesti per il rientro dei conti deficitari dello Stato. Un elevato obiettivo di surplus di bilancio è rimandato, in modo che la “strizzatura” dell'economia sia meno forte. I particolari sono qui. (...)



martedì 27 novembre 2012

Egitto appeso al Fondo Monetario (ilFoglio)

(...) Due righe eloquenti di commento in fondo a un articolo del Financial Times rivelavano: “Diplomatici e fonti vicine ai negoziati dicono che c’è un forte desiderio internazionale di stabilizzare Mohammed Morsi, il nuovo presidente islamista, ed evitare choc economici che potrebbero provocare disordini nel paese più popoloso del mondo arabo”. Era ufficiale: i Fratelli musulmani avevano anche la benedizione del giornale della City.


Giovedì il presidente Morsi è saltato fuori con una Dichiarazione costituzionale a sorpresa che gli assegna i poteri pieni di un dittatore – “ma sono temporanei”, assicura lui – al di sopra della legge e in Egitto sono scoppiati tre giorni di violenze di strada tra chi vede in lui un nuovo Mubarak (peggio, un Mubarak islamista a capo di un movimento islamista) e le squadre dei Fratelli musulmani. Pietrate, lacrimogeni, uffici politici presi d’assalto, sciopero di giudici e giornalisti. Il Fondo monetario in teoria dovrebbe dare il via libera ai soldi il 19 dicembre, ma ora nello spazio di quattro giorni si è trasformato in uno strumento di pressione politica sui Fratelli musulmani e in un garante della democrazia egiziana (che è senz’altro più di quanto gli si può chiedere). “Non penso che il Fondo rescinderà l’accordo – dice Samir Radawan, ex ministro delle Finanze egiziano– ma se la situazione  peggiora allora il finanziamento sarà sospeso”.

Anche se i soldi arrivassero, un primo problema è che il piano di riforme proposto dal Fondo ai Fratelli musulmani è ambizioso, richiede sacrifici e un grande consenso: ci sarà da tagliare i sussidi su gas e benzina, aumentare le tasse, svalutare la moneta nazionale, trovare nuovi modi di risparmiare (il governo ha già proposto l’imposizione di un coprifuoco notturno a negozi e ristoranti, per ridurre i consumi di elettricità). Come farà Morsi a procedere, ora che l’intesa con l’opposizione lascia il posto alla violenza? – il Faraone lo chiamano, come chiamavano Mubarak, oppure Morsilini, crasi con l’italiano Benito. Un secondo problema è che anche se tutto rientrasse nella normalità dal punto di vista politico e il piano internazionale andasse liscio – sostiene Amr Adly, commentatore critico sulle politiche del Fondo – il peso maggiore cadrebbe sugli egiziani più poveri, e insomma il paese affonderebbe in una condizione peggio che pre-rivoluzionaria. (...)
 

giovedì 8 novembre 2012

L'Europa che non vogliamo


La maggior parte degli ottantamila venuti a protestare contro l’ennesima stangata è arrivata nel primo pomeriggio, ha srotolato gli striscioni e si è unita alle canzoni partigiane cretesi sparate da qualche altoparlante o ha intonato slogan contro il governo. Molti sono al di là della rabbia, sono disperati. Nico Drakotos, 33 anni, non sa come andare avanti. Regge assieme ad altri uno striscione che dice “basta con l’austerità” - ha moglie e un figlio ma non percepisce lo stipendio da settembre. “Mi sono rimasti 15 euro sul conto in banca, come faccio a dare da mangiare a mio figlio?”. Accanto a lui, Caterina Terina, 34 anni e una laurea in ingegneria. Fa parte di quel 25% di greci disoccupati e sta pensando di emigrare in un paese arabo: “Lì c’è tanta richiesta di ingegneri”. È “molto arrabbiata con il governo” ma una delle cose che la preoccupano di più è il successo crescente dei neonazisti di Alba dorata. Lei abita vicino a Agios Pandaleimonas, il quartiere dove il partito di Michaliolakos ha un grande seguito. “I miei vicini di casa - racconta - pensano che siano innocui, anzi, che facciano del bene al popolo. È questo il pericolo: che crescano i movimenti antidemocratici. Sta già succedendo.” 


giovedì 30 agosto 2012

Chiedere l'assistenza senza chiederla veramente

Segnalo due riflessioni apparse sul sole24ore. Sottolineo in particolare in grassetto alcuni passaggi che mi sembrano andare nella direzione di quanto ipotizzavo in un precedente post, soprattutto Bastasin nel passaggio in cui parla di "chiedere l'assistenza senza chiederla".

FMM

Della dotazione di una licenza bancaria al fondo di stabilità Esm se ne potrà anche fare a meno, in futuro, ora che la Banca centrale europea ha deciso di reintrodurre, tra le misure non convenzionali, l'acquisto dei titoli di Stato sul secondario. Quello di cui invece proprio non si potrà fare a meno, in prospettiva, è il format del nuovo Memorandum of Understanding contenente le condizionalità "leggere" per gli Stati che non hanno bisogno di finanziamenti esterni per far quadrare i conti pubblici, che non sono oggetto di salvataggi o bail-out firmati da Ue-Fmi ma che, per contrastare la speculazione, si trovano costretti ad attivare lo scudo anti-spread dei fondi di stabilità Efsf/Esm. Questi due nodi, la licenza bancaria e la condizionalità, non sono stati sciolti ieri, nel corso dell'incontro Monti-Merkel. di Isabella Bufacchi - Il Sole 24 Ore - leggi su Ma il "bazooka" non serve più

Se non basterà a contenere gli spread che stanno lacerando l'area euro, bisognerà compiere l'ultima operazione nell'ombra: far sì che un paese, in buona parte in linea con le raccomandazioni europee, chieda l'assistenza senza chiederla veramente. Sul tavolo c'è l'ipotesi di una sorta di «auto-impegno» dei paesi in cerca di assistenza. Sarebbero loro a scrivere il proprio memorandum pluriennale di riforme da presentare alla Commissione europea, sulla base delle analisi della Commissione stessa, per poi affidare la decisione di assistenza ai Fondi europei di stabilità e alla stessa Bce come se fosse una loro iniziativa autonoma. Può sembrare un artificio stravagante, ma a ben vedere sarebbe un passo in una dimensione federale in cui verrebbero tutelate sia alcune prerogative nazionali, sia i margini di decisione autonoma delle istituzioni comuni europee. Una complicata e non appariscente coerenza, per un sistema in cui purtroppo l'unica politica di Carlo Bastasin - Il Sole 24 Ore - leggi su Il vero "scudo" è fare sul serio 

martedì 26 giugno 2012

Euro, i piccoli passi non bastano più (dal Sole24Ore)

(...) In cambio di una maggiore solidarietà con i partner, la Germania chiede più disciplina. In soldoni significa trasferimento a livello europeo delle sovranità nazionali di bilancio, cioè controllo sulle leve della spesa pubblica altrui. Sarebbe una decisione di portata storica, pari a quella che vent'anni fa portò la Germania di Helmut Kohl a rinunciare alla sovranità esclusiva sul marco tedesco. 
Riuscirà questa Europa che, durante la lunga crisi dell'euro si è in sordina rinazionalizzata nell'economia e soprattutto nelle pulsioni mentali, a compiere il grande passo? Le scommesse sono aperte. A parole, la Francia di Hollande per ora non sbatte la porta come avrebbero fatto tutti i suoi predecessori. Ma la strada è lunga e piena di ostacoli. 
Senza un progetto europeo ambizioso, ha avvertito il presidente della Bce, Mario Draghi, l'euro è a rischio. Christine Lagarde, il direttore generale del Fmi, suona lo stesso allarme. L'Europa ci proverà a Bruxelles a diventare adulta, ma ha bisogno di tempo. Purtroppo non è detto che i mercati siano disposti a concederglielo.

giovedì 1 marzo 2012

Battere Moneta? Un Palliativo (Paolo Savona, da FULM.org)


(...) Il motivo è che le modifiche di ambiente politico ed economico che Pelanda descrive non sono state comprese e, anzi, si sono confuse con il tentativo degli Stati Uniti e del resto del mondo sviluppato di sostituire la caduta dei profitti reali nelle loro aree con rendite finanziarie capaci di fronteggiare la disoccupazione generata dalla fuga del capitale produttivo verso le aree a basso costo del lavoro e welfare praticamente inesistente. Per ottenere questa sostituzione gli Stati Uniti hanno inondato se stessi e il mondo di dollari e di pseudo moneta (i derivati), una politica resa possibile dal fatto che, Cina in testa ma non unica, qualcuno era propenso a tenerseli.

L'Eurozona non è caduta nella stessa tentazione monetaria, ma i paesi dove la creazione di fiducia succedanea con il debito aveva ecceduto, non sono riusciti a sostituire profitti reali con rendite e la crisi è arrivata subito e prima di quella che dovremmo registrare quando l'errore di Krugman giungerà all'incasso. Il problema, come io lo vedo, è che il confronto tra istituzioni capaci di creare fiducia non è più alla portata della cooperazione internazionale invischiata nella crisi finanziaria e nell'eccesso di creazione di dollari e, ora, di euro.

Sono stati commessi troppi errori nel plasmare le istituzioni poste a presidio della globalizzazione, come la mancata nascita di una moneta di riferimento degli scambi indipendente da una moneta nazionale (ad esempio gli SDR del Fondo Monetario Internazionale) o, alternativamente, la fissazione di un regime di cambio comune per partecipare al libero scambio in ambito di Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Inoltre il processo di globalizzazione andava governato sottoponendolo a un periodo di adattamento delle strutture civili di welfare elaborate nei paesi sviluppati, invece di consentire il dumping sociale.

Vi è stato un patto perverso tra il post comunismo e il precapitalismo che ha portato indietro l'orologio della storia nel trattamento della forza lavoro. Finché il capitalismo ha avuto il vincolo esterno del comunismo ha accettato migliori condizioni di benessere per i lavoratori; venuto meno questo vincolo, ha ripreso i vecchi vizi e individuato nello sfruttamento del lavoro dei paesi arretrati il modo di formazione del suo sovrappiù e nell'inondazione finanziaria il modo di mantenimento della base di consenso nazionale.

Se si trovasse il modo di creare le buone istituzioni necessarie, sarebbe possibile uscire dall'impasse in cui versa il mondo. Ancora però non vedo affermarsi né una diagnosi corretta della situazione, né leader capaci di portare avanti le riforme necessarie. Nel mentre si impongono più tasse ai cittadini e più vincoli all'agire economico e si crea più moneta. Tutte cose che si dovrebbero evitare.

mercoledì 1 febbraio 2012

Eresie ed Esorcismi (da FULM.org - recensione di un testo di Paolo Savona)


(...)Perché nazionalizzare la produzione di energia elettrica in quelle modalità è stata un eresia? Savona lo spiega dicendo che “Il risultato fu, dal lato del capitale, un’ingente fuga di risorse finanziarie, il crollo dei valori di Borsa e la caduta degli investimenti; e, dal lato del lavoro, il raggiungimento di un riconoscimento dei suoi diritti fuori tempo e fuori misura: sfociò infatti in un innalzamento del suo costo per unità di prodotto quando i margini di profitto erano già calanti”. In altre parole, quella modalità della politica economica fu un eresia perché generò un doppio effetto negativo: il capitalismo perdeva risorse finanziarie che espatriavano mentre i lavoratori guadagnavano reddito e diritti insostenibili nel medio termine, perdendo essi stessi la possibilità di avere un miglioramento duraturo delle proprie condizioni.

Perdeva la società italiana, insomma , e si avviava la spirale che avrebbe condotto alla fine del miracolo economico ed al tracollo della prima Repubblica sotto la pressione di “Mani pulite”. Meglio i liberisti, come Einaudi e De Gasperi, che traghettarono dalla sconfitta militare al miracolo economico il paese, che il mancato appuntamento con politiche liberali in cui si risolse il centrosinistra e la sua ambizione per il cambiamento. In ogni conflitto potenziale ci sono tre esiti: ottenere un vantaggio per entrambi i contendenti; vincere sottraendo risorse all’altro; perdere entrambi.

L’Italia, con le sue molte eresie si è collocata sempre sul terzo esito. “Il problema della crisi dell’Italia sta tutto qui – scrive Savona alla pagina 44 del suo libro – grandi dissertazioni su ciò che si deve fare, quando la frittata è fatta. Mai quando le uova sono ancora intatte”. Una entropia crescente ed inarrestabile, si direbbe nel lessico della termodinamica. Così facendo abbiamo liquidato a prezzi stracciati istituzioni, ormai malandate, come le partecipazioni statali e l’IRI: mentre ne avremmo avuto bisogno nel gioco della geopolitica, essendo quelle istituzioni – nate negli anni di Beneduce e Menichella – potenzialmente fondi sovrani, come quelli che oggi supportano la crescita dei paesi emergenti sulla scena del mercato globale. Il lettore potrà attraversare la relazione tra eresie ed esorcismi ed arrivare alle quattro scelte giuste leggendo un libro di cento pagine: essenziale e molto diretto.
Le scelte giuste sono principi di riferimento, come abbiamo già detto.

La creazione di una Camera Alta, un governo dei saggi, sulla intuizione di Hayek. Un ritorno all’ordoliberismo della Scuola di Friburgo, facendo agire sia la convivenza civile che la concorrenza globale, insieme, come le lame delle forbici, per fare sviluppare un regime di equità. Chiedere ed ottenere un accordo sulla riforma del Fondo Monetario Internazionale e sul WTO come pilastri, entrambi necessari, dell’equilibrio economico internazionale. Chiedere ed ottenere la trasformazione dell’Europa in una entità politica; la nascita di una politica fiscale comune; la trasformazione della BCE in una banca centrale, che sia anche un lender of last resort; la piena liberalizzazione, per persone, capitali, beni e servizi, del mercato europeo. In questo modo avremo una eurozona fondata e governata da un patto democratico tra i paesi membri dell’Unione Europea anche se non presenta, quella eurozona, i tratti di un’area valutaria ottimale.(...)

sabato 5 novembre 2011

Il punto di non ritorno (Mario Calabresi - la Stampa)


In altri tempi Silvio Berlusconi tornando dalla Costa Azzurra si sarebbe fermato a Genova, in altri tempi avrebbe speso un poco del suo tempo per mostrare attenzione verso una regione in cui le acque hanno ucciso 16 persone in meno di una settimana. Il nostro premier ogni giorno di più mostra di aver perso il contatto non solo con l’Italia ma anche con la realtà.(...) Se la barriera costruita intorno alle nostre emissioni ancora regge è solo grazie ai continui acquisti della Banca centrale europea guidata da Mario Draghi. Ma se i nostri partner, a partire da Francia e Germania, lanciassero il segnale che non si possono continuare a spendere i denari di tutti per tenere a galla l’Italia allora il disastro sarebbe assicurato.(...) Per questo è diventato obbligatorio chiedersi come Berlusconi speri di salvarsi e di salvarci, cosa possa ancora fare per cercare di far cambiare rotta agli eventi. Siamo vicini al punto di non ritorno, al momento in cui il cambio di governo sarà dettato da eventi esterni, possono essere questi i mercati o i partner europei, oppure da una drammatica votazione parlamentare su provvedimenti economici. Nessuno si merita una situazione e un finale di questo tipo, non l’Italia e nemmeno Berlusconi.E’ ancora in condizione di scegliere lui i tempi e i modi per un passo indietro, sarebbe un gesto sensato verso il Paese, verso la sua maggioranza e i suoi elettori. Per farlo però dovrebbe aprire gli occhi e guardare a quanto è cambiato lo scenario che lo circonda, scoprirebbe che la crisi stringe l’Italia e l’Europa, che gli italiani hanno bisogno di normalità e tranquillità e sono sfiniti dalle prove di forza, dai giochi di Palazzo e dalle battute.