(...) Due righe eloquenti di commento in fondo a un articolo del Financial Times rivelavano: “Diplomatici e fonti vicine ai negoziati dicono che c’è un forte desiderio internazionale di stabilizzare Mohammed Morsi, il nuovo presidente islamista, ed evitare choc economici che potrebbero provocare disordini nel paese più popoloso del mondo arabo”. Era ufficiale: i Fratelli musulmani avevano anche la benedizione del giornale della City.
Giovedì il presidente Morsi è saltato fuori con una Dichiarazione costituzionale a sorpresa che gli assegna i poteri pieni di un dittatore – “ma sono temporanei”, assicura lui – al di sopra della legge e in Egitto sono scoppiati tre giorni di violenze di strada tra chi vede in lui un nuovo Mubarak (peggio, un Mubarak islamista a capo di un movimento islamista) e le squadre dei Fratelli musulmani. Pietrate, lacrimogeni, uffici politici presi d’assalto, sciopero di giudici e giornalisti. Il Fondo monetario in teoria dovrebbe dare il via libera ai soldi il 19 dicembre, ma ora nello spazio di quattro giorni si è trasformato in uno strumento di pressione politica sui Fratelli musulmani e in un garante della democrazia egiziana (che è senz’altro più di quanto gli si può chiedere). “Non penso che il Fondo rescinderà l’accordo – dice Samir Radawan, ex ministro delle Finanze egiziano– ma se la situazione peggiora allora il finanziamento sarà sospeso”.
Anche se i soldi arrivassero, un primo problema è che il piano di riforme proposto dal Fondo ai Fratelli musulmani è ambizioso, richiede sacrifici e un grande consenso: ci sarà da tagliare i sussidi su gas e benzina, aumentare le tasse, svalutare la moneta nazionale, trovare nuovi modi di risparmiare (il governo ha già proposto l’imposizione di un coprifuoco notturno a negozi e ristoranti, per ridurre i consumi di elettricità). Come farà Morsi a procedere, ora che l’intesa con l’opposizione lascia il posto alla violenza? – il Faraone lo chiamano, come chiamavano Mubarak, oppure Morsilini, crasi con l’italiano Benito. Un secondo problema è che anche se tutto rientrasse nella normalità dal punto di vista politico e il piano internazionale andasse liscio – sostiene Amr Adly, commentatore critico sulle politiche del Fondo – il peso maggiore cadrebbe sugli egiziani più poveri, e insomma il paese affonderebbe in una condizione peggio che pre-rivoluzionaria. (...)
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