giovedì 8 novembre 2012

Obama, l'America e noi


Gli americani non sono riusciti a fidarsi del businessman Romney nemmeno dopo quattro anni di recessione e ripresa anemica, con la disoccupazione quasi all’8% - un livello altissimo per gli Usa - e una montagna di debito che sembra il Mount Rushmore. Ci sono, ovviamente, altre ragioni per la vittoria abbastanza facile di Obama - la grande partecipazione di ispanici, neri e donne; un partito repubblicano che ha preso posizioni troppo estreme su temi quali l’aborto e l’immigrazione, ed il «fattore umano» di un Presidente che sembra nato per fare campagna elettorale ed uno sfidante che sembra nato per stare nell’ufficio d’angolo con vista sui grattacieli. Prima delle elezioni scrissi che gli americani avrebbero votato con il portafogli. Martedì, il Paese ha puntato il portafogli verso Obama e gli ha detto: «Hai quattro anni per riempirlo!». 
 
L'amministrazione Obama, proprio perché punta sulla stabilità fra le due sponde dell'Atlantico, ha bisogno dell'amico italiano. Ha bisogno di un paese leale, governato da esponenti credibili. E nelle relazioni internazionali, come è noto, i rapporti personali contano parecchio. Negli ultimi due anni Obama ha costruito un legame tutt'altro che convenzionale prima con Giorgio Napolitano e poi con Mario Monti, il premier succeduto a Berlusconi. Non è casuale. L'Italia non può non rappresentare un tassello importante nella strategia europea della Casa Bianca, visto che i falchi sono a Berlino ed è con loro che bisogna fare i conti. In questo anno l'amico italiano ha fatto la sua parte, mentre l'amico americano non ha mai smesso d'incoraggiare una soluzione concordata, senza strappi ideologici, dei problemi comuni dell'Unione. E in tal senso molto ha contato, come si può capire, la relazione fra Bernanke e Mario Draghi.
 
 
Adesso occorre vedere quali uomini Obama sceglierà per gestire l'economia e il cruciale rapporto fra industria e finanza. Non c'è dubbio infatti che la crisi del 2007-2008 è stata figlia di una iperfinanziarizzazione del sistema, tenacemente perseguita ad esempio da Bob Rubin, ministro del Tesoro di Bill Clinton e nume tutelare poi di tutta la squadra economica di Obama dopo la vittoria del 2008. Rubin era stato in molte negoziazioni commerciali importanti, con l'Asia soprattutto, il propugnatore di un progetto che vedeva cessioni all'Asia di sempre maggiori quote di manifatturiero in cambio di un ruolo privilegiato per Wall Street nella cogestione delle risorse finanziarie asiatiche. Allora Obama fu affrontato da un frustrato senatore democratico, Byron Dorgan del North Dakota, per anni voce quasi solitaria al Senato contro i rischi della troppa deregulation, di cui Rubin e Summers furono artefici di Mario Margiocco
 

Nessun commento:

Posta un commento