lunedì 16 febbraio 2015

Incubo Libia: Ancora Guerra Senza Chiarezza?

Chi scrive non aveva alcun dubbio che il panorama libico sarebbe stato tragico per l'Italia (tutti i post recenti sulla Libia li trovate qui, per quelli del 2011 segnalo Guerra Senza Orizzonte e Etica dell'Intervento). Oggi ho l'impressione che si parli di intervento militare con la stessa estrema facilità (e poca consapevolezza) con cui nel 2011 si diceva che fosse necessario abbattere Gheddafi, senza saper bene cosa fare dopo.

Per questo è assolutamente necessario che - nel decidere di entrare in guerra - si chiariscano gli obiettivi dell'intervento, e si guardi con lucidità alla situazione sul terreno: a quel che si capisce - infatti - la dinamica rende complicato anche solo individuare il nemico (o "i nemici"?). 

Appare semplice dire "combattiamo contro l'Isis"; ma non si può entrare in una guerra civile e illudersi di combattere contro un solo nemico, sperando magari di avere una vittoria facile. Anzi, come altri conflitti "asimmetrici" che abbiamo visto nel recente passato, la guerra può non essere "risolutiva", può voler dire una quasi certa "non-vittoria", con alti prezzi in vite umane (e non solo).

E dunque la chiarezza strategica (mai facile per definizione in una guerra) vuol dire anche capire  e tentare di "prevedere" le diversi ipotesi di "compromesso d'uscita". Ovvero: come e quando fermarsi per accettare una non-vittoria magari simulando - e dichiarando - un successo ("Missione compiuta")?

Fino a che punto spingersi con i prezzi da pagare, con i morti da sopportare, i prigionieri, i compromessi inevitabili con gli alleati, o magari con una parte dei nemici, se si verificasse che è troppo difficile sconfiggerli? 

Come si può intuire, non sono cose di cui probabilmente si può discutere in qualche talk-show; ma purtroppo forse neanche troppo apertamente in Parlamento.

"Cappello" ONU, NATO o qualsiasi altro sia, è necessario che l'Italia tenga presenti questi elementi, e li esprima chiaramente, se non con la pubblica opinione, almeno con chi vorrà partecipare a questo intervento. Forse è impossibile avere tutte le risposte ora, ma è doveroso porsi nella giusta "disposizione d'animo", che non consente di cavarsela semplicemente aprendo un dibattito come quelli cui siamo abituati, molto dicotomici (Pace vs guerra) e poco concreti.

Un'ultima considerazione: una guerra di questo tipo può fare male - molto male - a una democrazia come quella italiana. Siamo già in un clima in cui qualsiasi discussione legislativa è fatta a colpi di "gufi e rosiconi" contro "golpisti"; è altissimo il rischio che un clima bellico - e non di una guerra-videogame come ci sono sembrate quelle del recente passato - possa portare ad accentuare i toni del dibattito, compromettendo il già non sano clima complessivo

Devono essere attivate tutte le "sentinelle democratiche" (a partire dalla nostra personale razionalità) che possano vigilare affinché la comunità civile non si distrugga in un eccesso di contrapposizione o - forse peggio - in una sorta di "unanimità bellica forzata" estesa a tutta la società. La discussione e la critica sono beni essenziali di una democrazia. 

E' bene che tutti i partiti, a partire da quelli di governo, e tutti i massmedia, si sforzino di conservare apertura mentale e coraggio del dissenso. 

Se la guerra in Libia si dovesse trasformare in una sorta di "guerra interna" avremmo perso tutti, al di là di qualsiasi risultato militare.

Francesco Maria Mariotti

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Di seguito rassegna stampa con le posizioni di Mimmo Candito, Romano Prodi, Vincenzo Camporini.


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Sento parole di guerra, per la Libia. Vedo politici che alzano al vento del consenso proclami di impegno militare, muscoli in rodaggio, campagne africane sul bel suol d'amore. Calma, calma. Nessuna spedizione militare è possibile se, prima, non si definisce un obiettivo politico, e se una strategia militare non abbia il supporto di una coerenza di forze in campo.


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Ritorno alla prima domanda. Le cancellerie occidentali cosa dovrebbero fare in questo momento secondo lei?

Occorre senza dubbio uno sforza per produrre un minimo risultato nel tentativo di fare sedere tutti gli interlocutori al tavolo e impegnare in un lavoro comune Egitto e Algeria. Non c’è altra via che non produca una situazione ancora più catastrofica di quella attuale.


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"Nulla si può fare senza l'Onu, ma alle Nazioni Unite manca una guida" E sugli scenari della situazione in Libia, l'ex premier avverte: "Nulla si può fare senza l'Onu, ma l'Onu ha poche armi, e il problema di oggi è che nelle Nazioni Unite nessuna Potenza ha un ruolo catalizzatore, di guida". "In questo caso, però - prosegue il fondatore dell'Ulivo - siamo nella situazione ideale per l'intervento delle Nazioni Unite, perché tutte le grandi potenze hanno paura dell'Isis".  


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Come è stato possibile arrivare a tale scenario?

Perché siamo stupidi. Abbiamo promosso la caduta di Gheddafi, un dittatore odioso che tuttavia garantiva ordine in un’area dominata da sentimenti tribali. E abbiamo abbandonato a se stesso un territorio grande e abitato da appena 6 milioni di persone. Una caratteristica che ha consentito grandi opportunità di manovra a chi possiede sistemi d’arma moderni. Ecco la ragione delle operazioni militari eclatanti compiute di volta in volta dai gruppi che si contrappongono con ferocia.

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