domenica 4 novembre 2012

Speriamo di non finire come gli USA (Mario Deaglio su La Stampa)

Il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, Mitt Romney, ha affermato, un paio di giorni addietro, che il suo Paese rischia di finire come l’Italia. Gli italiani potrebbero replicare che sperano di non finire come gli Stati Uniti: l’emergenza dell’uragano Sandy - per quanto correttamente gestita, a differenza di quella dell’uragano Katrina del 2005 - ha posto in luce una realtà di infrastrutture pubbliche deboli al punto che il maggior centro finanziario del mondo ha dovuto chiudere per due giorni, quasi quanto per l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001
Pur spendendo per la sanità, in rapporto al prodotto interno lordo, circa il doppio di quanto spende l’Italia, gli Stati Uniti presentano indicatori sanitari nettamente peggiori: la speranza di vita alla nascita è di 78 anni contro gli 81 dell’Italia e il numero delle donne morte di parto è di 21 ogni centomila nati contro 4 dell’Italia. Se poi passiamo all’economia, scopriamo che il deficit pubblico degli Stati Uniti è pari circa l’8 per cento del prodotto interno lordo, quello dell’Italia a circa il 3 per cento.  

Naturalmente l’America di Obama/Romney può vantare iniziativa e innovazione, un mercato finanziario agile e una moneta rispettata, un’eccellenza tecnologica in molti settori, una forza militare senza rivali. Che a vincere sia Romney oppure Obama, però, le debolezze strutturali, sovente trascurate, finiranno per pesare e renderanno molto faticosa la vita del prossimo inquilino della Casa Bianca. Se poi, come è ben possibile, il partito del Presidente non avrà il controllo del Congresso, per l’America si porrà, come per diversi Paesi europei, un problema di governabilità reso più complicato dalla crisi. 

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