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venerdì 9 maggio 2014

Perché Draghi Aspetta Giugno

Nel corso della conferenza stampa che tradizionalmente segue l'annuncio sui tassi, il presidente della Bce Mario Draghi ha confermato le previsioni già fatte dall'Eurotower sulla ripresa europea, spiegando che i tassi attuali, o eventualmente più bassi, sono destinati a restare per un periodo «prolungato» di tempo. Confermate la previsioni sull'inflazione destinata a restare bassa e a crescere in maniera molto modesta
 
con un'analisi di Riccardo Sorrentino - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/p8NXH
  
Perché aspettare? I rischi geopolitici sono stati ancora una volta citati dalla Bce, insieme all'euro e nello stesso contesto, come un fattore di preoccupazione. Gli effetti di un'escalation della crisi in Ucraina – ma anche, ha detto Draghi, di un peggioramento dell'attività economica in Russia o di un effetto eccessivo delle sanzioni – potrebbero manifestarsi in due modi diversi: attraverso una riduzione della domanda, che potrebbe colpire i paesi di Eurolandia con un ampio interscambio con la Russia e l'Ucraina, o attraverso un aumento dei prezzi
 
analisi di Riccardo Sorrentino - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/1iKoq
 
La politica delle aspettative rappresenta il meccanismo cruciale per governare la trasmissione della politica monetaria, soprattutto in una fase storica come questa, in cui una profonda recessione economica ha seguito una grave crisi finanziaria. Il mix tra crisi finanziaria sistemica e recessione economica - chiamiamola recessione sistemica - è micidiale. Guardando alla storia, le recessioni sistemiche hanno finora colpito in 63 casi Paesi avanzati ed in 37 casi Paesi emergenti. Tra le 35 peggiori recessioni sistemiche, sono già entrate in classifica cinque casi della recente crisi: Grecia, Irlanda, Islanda, Italia e Ucraina. Inoltre, quando la crisi è grave, nel 66% dei casi vi è una ricaduta recessiva. Dunque durante una recessione sistemica - come l'attuale - il meccanismo delle aspettative rischia di essere particolarmente delicato. Sbagliare il messaggio di politica monetaria può essere molto dannoso. L'annuncio di politica monetaria diventa una pallottola d'argento; non va sprecata.
 
di Donato Masciandaro - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/11BLFY

venerdì 6 dicembre 2013

Bce, tassi fermi allo 0,25%. Draghi: resteranno su questi livelli o più in basso ancora a lungo (da ilSole24Ore.it)

Incalzato dalle domande, Draghi ha confermato che nella riunione odierna c'è stata una «breve discussione» in merito all'ipotesi di tassi negativi applicati sui depositi che le banche lasciano presso l'Eurotower. Parziale frenata anche sulla prospettiva di nuovi prestiti a lungo termine alle banche (Ltro): «Se oggi dovessimo varare nuove misure del genere, vorremmo essere sicuri che vengano utilizzate per l'economia» reale, ha sottolineato il presidente della Bce. Nel complesso, tuttavia, «il messaggio di oggi è che siamo pronti e capaci di agire», anche se «non si è discusso di uno specifico strumento». 

di Maximilian Cellino - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/HvBEx

mercoledì 20 novembre 2013

Bce pronta a tagliare il tasso sui depositi portandolo in negativo (da ilSole24Ore.it)

La notizia è indubbiamente interessante, ma è da prendere con le pinze, visto che sono anticipazioni. Si discute da tempo di un'opzione di questo genere, ma ci sono anche controindicazioni e dubbi, a conferma che l'uscita dalla crisi non può avvenire con una "mossa magica". 

FMM

(...) L'obiettivo dei "tassi sottozero" è sostenere la ripresa delle attività economiche in Eurolandia. La misura «potrebbe avere qualche effetto sul mercato del credito - commenta il market strategist di IG Filippo Diodovich - ma da sola non sarebbe sufficiente per aumentare la liquidità in modo da riequilibrare il comparto». (...)   

Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/fCmiA

mercoledì 13 novembre 2013

À La Guerre Comme À La Guerre? (Europa in tensione, Monete in guerra...)

Dunque l'Europa prende posizione "contro" la Germania, con cautela e con precisazioni varie, che vogliono evitare l'esplosione di una tensione che in realtà da tempo è presente nella zona Euro. Il passo potrebbe essere l'inizio di una svolta rispetto alla tendenza "solo-austerity" che ha segnato fin qui il percorso europeo nella crisi, ed è comunque importante come segnale nei confronti di tutta la comunità europea.

E' però lecito dubitare che mettere "sotto accusa" la Germania serva, senza ulteriori passaggi politico-comunitari (anche perché - lo si ricordava qualche giorno fa - il riequilibrio degli squilibri commerciali non è cosa che si possa imporre). L'Italia può giocare forse una partita diversa, appoggiandosi alle scelte odierne, ma proponendo agli stati più affini alla sua situazione - Spagna e Francia - di premere affinché la governance europea sia diversa. E' necessario quindi immaginare un "gioco di squadra" dei paesi del sud Europa (estremizzando irrealisticamente: si potrebbero "forzare" gli eurobond, comunque da soli non risolutivi, se alcuni paesi dicessero "noi li faremo comunque?") - che porti a rideterminare alcune scelte complessive della nostra Comunità.

Parallelamente al tentativo di riequilibrare le dinamiche "interne", si alzano voci sempre più decise contro l'Euro forte. Le preoccupazioni legittime si mescolano così alla tentazione di entrare nell'arena della "guerra delle valute", iniziata da tempo. La BCE in questi anni ha tentato di rimanere fuori da questa battaglia; ora le pressioni si fanno più forti. 

Su questo, ragiono ad alta voce da "inesperto", mi pare si possa dire che - come nelle guerre "vere" - il rischio è di sapere bene perché e come si "entra in battaglia", ma non capire, non sapere, non riuscire a definire come "se ne esce". La guerra monetaria può dare respiro all'Europa? forse, per un breve periodo. Ma il rischio è che le tensioni fra le diverse aree si rendano sempre più acute, vanificando anche i benefici immediati.

Inoltre, giocare con la svalutazione della moneta ( cosa forse oramai necessaria?) rischia di creare l'illusione di una manovra risolutiva, rendendo più difficile, meno urgente, più complicato dal punto di vista politico, il percorso per irrobustire realmente le economie dell'Eurozona.

Forse l'Europa dovrebbe giocare veramente una partita più politica, provando a presentare al mondo un'idea di "governo mondiale" dell'economia, qualcosa che dica ai Grandi Giocatori: "Gli equilibri sono cambiati. Prendiamone atto. Non distruggiamoci reciprocamente, ma creiamo qualcosa di nuovo". Se - e solo se - si fosse capaci di proporre questo, allora varrebbe la pena "entrare in battaglia".

FMM

L'idea è semplice: la Germania deve spendere di più per permettere ai paesi del sud come il Portogallo di allargare il loro mercato e vendere i loro prodotti. L'idea è generosa e si basa su una convinzione: in questo momento i tedeschi approfittano della zona euro. In che modo? Per il semplice motivo che se avessero avuto il marco tedesco al posto dell'euro, la loro valuta si sarebbe apprezzata molto di più e la loro competitività (le loro esportazioni) si sarebbe deteriorata. Inoltre a causa della divisione finanziaria dell'euro le banche tedesche e lo stesso stato sono diventati il rifugio degli investitori internazionali, disposti a pagare caro per avere la sicurezza della più grande economia della moneta unica.
Sì, chiediamo la solidarietà della Germania, tanto più che alcuni paesi come il Portogallo devono fare drastici aggiustamento della loro economica e devono farli rapidamente. Il problema è sapere quello che devono fare i tedeschi per favorire la forza economica europea e un progetto che affermano di voler difendere.
Con il rischio di essere accusato di scarso patriottismo, non penso che la soluzione migliore passi attraverso un aumento delle spese in Germania (...) Viviamo in un'unione monetaria caratterizzata da grandi disparità sul piano finanziario. È qui, a questo livello, che gli europei devono chiedere un altro tipo di solidarietà alla Germania, per bilanciare gli squilibri esterni nella zona euro. Se infatti un deficit del 6 per cento della bilancia delle transazioni correnti è un cattivo risultato, non possiamo neppure rallegrarci di un eccedenza del 6 per cento in un altro paese della stessa zona monetaria. Come correggere questi squilibri?
Per esempio istituendo una vera e propria gestione economica della zona euro in cui la sovranità sia più condivisa e creando una vera e propria unione bancaria che non ha mai visto la luce. È su questi due aspetti che la Commissione europea e i dirigenti dei paesi dell'Europa meridionale devono concentrarsi, invece di perdere tempo a chiedere ai tedeschi di non essere tedeschi.
Se la Germania, nelle ultimi indagini di Bruxelles, non presentava sbilanci particolari, in quest’ultimo report si sottolinea invece come a partire dal 2007 Berlino abbia registrato un surplus superiore alle soglie previste (fissate al 7 per cento). Il fatto che la Commissione europea abbia avviato un'"indagine approfondita" sull'eccessivo surplus della bilancia commerciale tedesca non significa che disapprovi la competitività della Germania. Lo ha chiarito il presidente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso. "E' prematuro - ha aggiunto - anticipare se ci saranno conseguenze per Berlino" al termine dell'indagine, i cui risultati saranno noti la prossima primavera. La Germania è uno dei principali "motori dell'economia europea e "non si sta criticando la sua competitività", che dovrebbe essere un esempio per tutti gli altri Paesi.

(...) Il tasso di cambio dell'euro troppo elevato è disastroso a tutti i livelli: perché è in grado di distruggere in pochi giorni tutti i risultati in materia di competitività costati anni di sforzi; perché costringe le aziende ad abbassare i prezzi e licenziare gli impiegati, per preservare la loro competitività interna ed esterna. Diminuendo i costi delle importazioni, riduce l'inflazione a un livello troppo basso e porta a un eccessivo consumo energetico. Si tratta di un circolo vizioso in cui ogni tentativo di ridurre i deficit di governo tagliando le spese pubbliche porta a un alto tasso di disoccupazione e alimenta la crisi economica. Inoltre, l'euro troppo forte mette i paesi più indebitati nella posizione di non essere più in grado di ripagare il loro debito pubblico senza dissanguare i risparmiatori: Cipro ne è un esempio.(...)
La Germania è ancora ostile all'idea perché diffidente nei confronti di tutto ciò che possa dare l'impressione di una valuta debole e di un ritorno dell'inflazione. Questo non per salvaguardare la democrazia (Hitler, contrariamente a quanto si crede, non salì al potere per domare l'inflazione, ma dopo che questa era già stata domata), ma per i suoi timori in materia demografica: il paese ha bisogno di surplus commerciali e stabilità dei prezzi in modo che il surplus continui a crescere per pagare le pensioni degli attuali lavoratori, considerando che le generazioni future non saranno in grado di finanziarle.
Una volta convinti i responsabili delle decisioni, i ministri delle finanze dovranno solamente ribadire all'unanimità, durante ogni riunione del gruppo dell'euro, che il tasso di cambio dell'euro è troppo forte; a quel punto, la BCE non dovrà fare altro che dichiararsi a favore di un calo del valore dell'euro. Inoltre, se necessario, la BCE potrebbe ulteriormente diminuire il suo tasso ufficiale di riferimento, che è persino più alto di quello della Fed, la banca centrale degli Stati Uniti (0,25 contro lo 0,08%).(...)
Un euro indebolito a un livello ragionevole (un euro per dollaro) rappresenta dunque la scelta migliore; deve diventare una priorità e mettere in gioco tutte le sue forze. La Francia deve rivendicare tutto ciò, insieme a tutti gli altri sforzi per ripristinare la competitività tramite l'innovazione. Più l'euro sarà debole, più la posizione dell'Europa nel mondo sarà forte. E viceversa.

Cosa servirebbe subito per invertire la rotta? 
«L’Europa deve accelerare sull’Unione bancaria, accompagnandola con un’assicurazione europea dei depositi e un meccanismo di Risoluzione comune; abbandonare le politiche di austerità e puntare invece su politiche per favorire la crescita, sfruttando ad esempio i fondi Bei per finanziare le piccole e medie imprese che faticano ad ottenere credito, e investendo su istruzione e innovazione tecnologica; introdurre gli eurobond, così tutti i Paesi possono indebitarsi a tassi negativi».

venerdì 8 novembre 2013

Europa: Austerità, Riforme, Le Mosse della BCE Che Anticipano La Politica

Segnalo l'articolo di Lorenzo Bini Smaghi su Linkiesta, in cui si riprendono alcuni argomenti del suo libro "Morire di austerità", rispondendo alle critiche di Krugman, rivolte contro le politiche di austerità. Il concetto di fondo è semplice: l'austerità si è rivelata l'unica strada possibile per uscire dalla crisi perché non sono state fatte riforme quando era possibile. 

Questa posizione di Bini Smaghi - per molti aspetti condivisibile - forse non basta ad affrontare il quadro attuale, anche perché il fattore tempo, essenziale per vedere pienamente dispiegati gli effetti delle riforme, gioca contro gli stati europei (e soprattutto conro i cittadini, che vedono avvicinarsi la disperazione della povertà), anche per via della loro incapacità di coordinarsi come un'unica entità politica. Da queste considerazioni nasce l'urgenza di una risposta più forte, che passa inevitabilmente per un salto di qualità del progetto europeo, per l'appunto. 

Solo nel momento in cui il governo europeo sarà realmente unitario, e in grado di formulare un patto civico comune (per esempio attraverso un sussidio europeo contro la disoccupazione), si potrà affrontare il dramma di questa crisi; perché allora potrebbero avere senso (anche se non risolutivo) l'emissione di Eurobond, e avrebbe un senso ben diverso da quello attuale il "commissariamento" della Grecia. 

In attesa che ulteriori passi vengano fatti in questa direzione, è ancora Mario Draghi a gestire al meglio la situazione: la BCE si muove con una autonomia oramai acquisita, rispetto agli Stati, ma forse anche rispetto all'ortodossia monetaria di stampo tedesco. Non basta, forse, neanche la saggezza del Governatore; ma certo il pilastro BCE sta dando segnali che la politica europea dovrebbe comprendere, e "seguire".

FMM

La recente crisi dell’Eurozona ha dimostrato che le misure di austerità sono controproducenti: provocano effetti recessivi che, almeno nel breve periodo, tendono a far crescere il debito pubblico, in rapporto al Pil. È una tesi confermata dall’analisi econometrica che mostra come gli aggiustamenti di bilancio siano stati più recessivi del previsto, con moltiplicatori fiscali superiori dell’unità.
(...) Nasce allora una domanda: perché i politici dell’Eurozona continuano a fare lo stesso errore? La risposta implicita di Krugman è che i politici non sono particolarmente intelligenti, o sono stati mal consigliati, e hanno sottostimato gli effetti delle loro politiche. Detto in parole diverse, perseguendo l’austerità i politici europei si dimostrano ignoranti in fatto di economia, o stupidi. Assumere che i politici siano irrazionali o stupidi è una facile via di uscita, specialmente per gli accademici. Un modo alternativo di guardare alla questione è interrogarsi sulla causalità nella correlazione tra austerità e crescita. Krugman ritiene che con le misure di austerità i politici europei mostrino la loro irrazionalità, o stupidità: sono stupidi perché perseguono l’austerità invece di una opzione politica preferibile.

Per parte mia, vorrei sollevare un dubbio: non potrebbe essere il contrario? I politici europei non sono stupidi perché perseguono l’austerità, ma perseguono l’austerità perché sono stupidi, o detto in modo più diplomatico, hanno una visione ristretta, hanno ignorato le altre alternative a disposizione e alla fine si sono ritrovati con una sola opzione, l’austerità. In altre parole, hanno attuato l’austerità perché non erano rimaste altre scelte. (...)
Non è l’austerità che ha causato la bassa crescita, è la bassa crescita che ha causato l’austerità. In altri termini, i paesi che hanno sperimentato una bassa crescita potenziale, a causa di profondi problemi strutturali, nel tentativo di sostenere il loro standard di vita e il loro sistema di welfare hanno accumulato, prima della crisi, un eccesso di debito pubblico e privato, che poi, quando la crisi è scoppiata, si è rivelato insostenibile e ha richiesto un brusco aggiustamento. L’austerità ha certamente prodotto una bassa crescita, ma essa stessa può essere il risultato di una crescita scarsa e squilibrata, a causa della mancanza di riforme strutturali. Il rinvio di riforme che migliorassero il potenziale di crescita ha lasciato i paesi con un’unica soluzione, l’austerità L’austerità è così il risultato dell’incapacità dei politici di prendere decisioni nel momento giusto, in altre parole è il risultato della loro miopia – e della stupidità.
Se la Banca centrale europea fosse libera di agire dovrebbe acquistare azioni delle piccole e medie imprese italiane e spagnole. È lì che si è inceppato il credito ed è lì che si distruggono i posti di lavoro europei. Sarebbe una folle compromissione del sacro mandato della lotta all'inflazione con altre profane priorità, di natura industriale, occupazionale o nazionale? No, è semplicemente quello che sarebbe necessario a riattivare il funzionamento della politica monetaria se non prevalessero considerazioni legate agli interessi diversi dei governi nazionali. In alternativa la Bce dovrebbe lanciare un programma di prestiti a lungo termine per le banche finalizzato al solo credito all'economia. Certo ci sono dubbi tecnici a proposito sia di un taglio dei tassi di riferimento, sia di una maxi-operazione di credito all'economia (Ltro). (...)
di Carlo Bastasin - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/9hEHz

(...) Cosa è successo, in sostanza, ieri? Si è registrato un tentativo estremo, seppure non l’ultimo a disposizione della Bce, per puntellare l’economia del continente attraverso la politica monetaria. Perché nonostante i mercati finanziari siano placidi e i rendimenti sui titoli di stato meno onerosi che in passato, la ripresa del ciclo reale è più lenta del previsto (quest’anno l’Eurozona è in recessione dello 0,4 per cento, l’anno prossimo crescerà solo dell’1,1), il debito pubblico continua a gonfiarsi quasi ovunque, e adesso si materializza anche lo spettro della deflazione, cioè la riduzione generalizzata dei prezzi. (...) Osserva perciò Tony Barber, editorialista del Financial Times ed esperto d’Europa: “La Bce ha mostrato senza dubbi che non è soltanto una Banca centrale vecchio stile, di quelle che combattono solo l’inflazione, ma un’istituzione che prende sul serio la nozione di stabilità dei prezzi che può essere messa in pericolo dalla deflazione tanto quanto dall’inflazione”. Ancora: “Con buone ragioni, la Bce ora può rivendicare di essere indipendente non solo dalle pressioni politiche, ma dalla ossessione post Seconda guerra mondiale con l’nflazione, tipica della Bundesbank”. Inoltre il banchiere italiano, come fanno notare al Foglio ambienti della Bce, ha deciso tutto in meno di 10 giorni; il 31 ottobre l’Eurostat ha pubblicato i dati allarmanti sul calo dei prezzi, e il 7 novembre (cioè ieri) c’è stata la prima contromossa: “Un segnale fortissimo d’autonomia”. Questa volta non si è dovuto ottenere chissà quale via libera da Berlino, come accaduto nel 2012 con l’Omt, il piano di acquisto illimitato di titoli di stato. Draghi ieri ha detto che la decisione è stata presa “a grande maggioranza”, che l’unanimità è mancata perché ci sono “differenze solo sui tempi”, visto che “alcuni membri del Consiglio direttivo avrebbero preferito aspettare” nuove conferme del calo dell’inflazione.
Secondo Pierpaolo Benigno, economista della Luiss, “in Europa la politica monetaria rimane sempre un po’ ‘dietro la curva’. Negli Stati Uniti invece, pur in periodi difficili, l’inflazione è sempre stata attorno al 2 per cento. Oggi una fase di disinflazione, come quella segnalata dalla Bce per il medio periodo, è estremamente pericolosa. Per i paesi che stanno tentando di ridurre i loro debiti, un po’ d’inflazione cancella un po’ di debito. Ora invece, in base al cosiddetto ‘Fisher effect’, i prezzi in calo rendono il debito più difficile da sostenere. Perciò la politica monetaria deve essere ancora più espansiva”. Anche Benigno, però, riconosce che gli ultimi dati economici “hanno rafforzato politicamente la posizione di Draghi e indebolito quella dei più ortodossi”. 

sabato 2 novembre 2013

La questione italiana (da ilfoglio.it)


Propongo questo articolo tratto dal Foglio. Il giudizio sul governo italiano mi sembra eccessivamente severo, ma il resto del discorso è da valutare con attenzione.
FMM

"(...) In un reportage giornalistico apparso ieri sul Wall Street Journal, si osserva per esempio che il nostro continente è l’unico in cui la Banca centrale si sia “astenuta da passi coraggiosi” come quelli compiuti da tutte le altre Banche centrali del mondo. Un atteggiamento prudente che in parte alimenta oggi lo spettro della deflazione, per esempio. C’è dunque un quid di realismo che non può mancare in ogni ragionamento sulle riforme nell’Eurozona. Queste sono necessarie quanto mai, ma oggi a molti paesi si chiede di portarle a termine in condizioni ambientali proibitive: le riforme strutturali (liberalizzazioni e mercato del lavoro, per esempio) andrebbero approvate di pari passo con tagli di bilancio, restrizione del credito ai privati, difficoltà per gli stati di rifinanziare il proprio debito pubblico (vedi il famoso spread). Non esattamente le stesse condizioni in cui la Germania, nei primi anni 2000, portò a termine le sue pur lodevoli riforme, cioè mentre il resto dell’economia mondiale cresceva.

Poi c’è una questione “regole” da non trascurare. L’Economist, per esempio, si chiede se i burocrati europei avranno ora il coraggio di applicare la legalità brussellese ai primi della classe. E’ vero o no che la Germania ha un avanzo delle partite correnti (essenzialmente la differenza tra export e import) superiore al 6 per cento del pil, cioè oltre la soglia d’allarme? E’ vero, e quindi un rientro da questo squilibrio è doveroso. (...)

Far ragionare Berlino su tutto ciò, come propongono gli Stati Uniti e da ieri nuovamente il Fondo monetario internazionale, è legittimo. Più difficile che a poterlo fare sia un governo, come quello italiano attuale, impegnatissimo a rilanciare la guerra retorica ai “populismi antieuropeisti”, balbuziente sul fronte delle riforme radicali interne, ed evanescente nei rapporti con Berlino."

giovedì 31 ottobre 2013

Spagna, la ripresa assai poco umana (Phastidio.net)

(...) Su base destagionalizzata, infatti, il totale degli occupati è calato dello 0,4% trimestrale, per il ventiduesimo trimestre consecutivo. Secondo l’Istituto Nazionale di Statistica (INE), l’occupazione totale spagnola è cresciuta negli ultimi sei mesi di 186.000 unità su base destagionalizzata, ma questo incremento è quasi interamente imputabile a fattori stagionali associati all’industria turistica. Vi facciamo grazia dei dati non destagionalizzati, ad evitare polemiche metodologiche, ma sono contrazioni piuttosto pesanti.

Commento, quindi? Che attendiamo fiduciosi che il boom dell’export spagnolo si rifletta in corrispondente aumento di occupazione, per poter portare un minimo di beneficio anche ai consumi interni ed al gettito fiscale e contributivo. Restando tuttavia consapevoli che esiste una probabilità non trascurabile che il violento recupero di produttività non produca occupazione, nel breve-medio termine, ma possa anzi proseguire a distruggerne. E, poiché siamo anche malfidenti per natura, aspettiamo anche di leggere i dati di settembre, mese in cui la destagionalizzazione è meno problematica che in agosto.(...)

giovedì 8 agosto 2013

Possiamo Farcela Senza L'FMI (PressEurop - Les Echos)

(...) In realtà l'Fmi è intervenuto nella zona euro (Grecia, Irlanda, Portogallo e Cipro) per tre ragioni principali. La prima è che non era stato previsto nulla per affrontare una situazione di fallimento di uno stato della zona euro, e il Fondo era l'unico strumento finanziario disponibile per aiutare degli stati che avevano delle necessità di finanziamento a brevissimo termine.
La seconda era politica, l'Fmi doveva svolgere il suo ruolo di capro espiatorio, cioè di istituzione che esige delle condizioni impopolari per il risanamento, una cosa che gli stati della zona euro non erano pronti a fare da soli.
Terza e ultima ragione, l'indiscussa esperienza dell'Fmi nel concepire in poche settimane dei programmi economici. Un'esperienza che giustificava un sostegno del genere in una situazione così caotica.(...)
A questo punto non sarebbe il caso che la zona euro dicesse che può fare a meno dell'Fmi? La seconda moneta di riserva al mondo dovrebbe trovare la sua piena sovranità e mostrare che è capace di essere solidale e protettrice nei confronti dei suoi membri. Non ricorrere al Fondo avrebbe una duplice conseguenza. Prima di tutto finanziaria. Bisognerebbe infatti coprire le spese dell'Fmi in Grecia, Portogallo e a Cipro. Ma questi fondi sono adesso disponibili attraverso l'Ems.
In secondo luogo politica, poiché la zona euro sarebbe lasciata a se stessa e alle sue debolezze, soprattutto per quanto riguarda la debole coesione delle economie tra sud e nord. I governi hanno voluto dimostrare che la zona euro non era solo un’unione monetaria, ma anche un atto politico. Di conseguenza un gesto del genere assumerebbe un significato forte: dopo una fase difficile, la zona euro si dimostrerebbe pronta ad affrontare da sola le sue sfide (come per esempio l'annullamento o meno di una parte del debito sovrano della Grecia, questione che è oggeto di discussioni tra Fmi e zona euro).
Tuttavia prima di rinunciare al Fondo potrebbe essere adottata una soluzione intermedia. L'Fmi, come fa già in alcuni paesi, potrebbe firmare con gli stati della zona euro con cui ha concluso un programma di aiuti dei cosiddetti accordi di precauzione, ovviamente di concerto con la zona euro. Si tratta di accordi senza un aiuto finanziario ma sotto forma di firme in bianco sulla condotta della politica economica. Così la zona euro manterrebbe la sua autonomia finanziaria sfruttando al tempo stesso l'esperienza dell'Fmi. Si tratterebbe di una prima fase, perché in ultima analisi la zona dovrà affermarsi politicamente.

domenica 4 novembre 2012

Speriamo di non finire come gli USA (Mario Deaglio su La Stampa)

Il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, Mitt Romney, ha affermato, un paio di giorni addietro, che il suo Paese rischia di finire come l’Italia. Gli italiani potrebbero replicare che sperano di non finire come gli Stati Uniti: l’emergenza dell’uragano Sandy - per quanto correttamente gestita, a differenza di quella dell’uragano Katrina del 2005 - ha posto in luce una realtà di infrastrutture pubbliche deboli al punto che il maggior centro finanziario del mondo ha dovuto chiudere per due giorni, quasi quanto per l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001
Pur spendendo per la sanità, in rapporto al prodotto interno lordo, circa il doppio di quanto spende l’Italia, gli Stati Uniti presentano indicatori sanitari nettamente peggiori: la speranza di vita alla nascita è di 78 anni contro gli 81 dell’Italia e il numero delle donne morte di parto è di 21 ogni centomila nati contro 4 dell’Italia. Se poi passiamo all’economia, scopriamo che il deficit pubblico degli Stati Uniti è pari circa l’8 per cento del prodotto interno lordo, quello dell’Italia a circa il 3 per cento.  

Naturalmente l’America di Obama/Romney può vantare iniziativa e innovazione, un mercato finanziario agile e una moneta rispettata, un’eccellenza tecnologica in molti settori, una forza militare senza rivali. Che a vincere sia Romney oppure Obama, però, le debolezze strutturali, sovente trascurate, finiranno per pesare e renderanno molto faticosa la vita del prossimo inquilino della Casa Bianca. Se poi, come è ben possibile, il partito del Presidente non avrà il controllo del Congresso, per l’America si porrà, come per diversi Paesi europei, un problema di governabilità reso più complicato dalla crisi. 

venerdì 31 agosto 2012

Il nodo "doppia vigilanza" (ilSole24Ore)

Tutto questo dimostra che l'integrazione delle funzioni di supervisione era necessaria, ma aiuta anche a capire che gli ostacoli da superare sono molti e ardui. Il primo problema, fondamentale, è che avendo troppo aspettato, finiremo per avere non uno, ma due livelli di supervisione bancaria: la neonata Eba per l'intera Unione europea e la Bce per i 17 paesi dell'area dell'euro. È una scelta quasi obbligata, vista la specificità della crisi attuale dell'euro, che - per i motivi già discussi su queste colonne - sconsiglia di spostare a Francoforte solo i poteri per le grandi banche sistematicamente rilevanti. Comunque, non si tratterà di una convivenza facile e richiederà un coordinamento ferreo per evitare che i vantaggi competitivi si spostino a Londra o altrove. Il compito di redigere il Single rule book, cioè istruzioni di vigilanza omogenee, su cui l'Eba sta oggi lavorando, deve essere confermato e anzi accelerato. di Marco Onado - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/3R70j 

mercoledì 1 agosto 2012

Una governance ma tante Europe (ilSole24Ore)

Allo stesso tempo, l'Italia dovrebbe accompagnare tale integrazione fiscale e bancaria con un progetto originale e realistico di governo politico dell'Europa dell'euro. Un progetto che tenga presente i cambiamenti radicali intervenuti negli ultimi tre anni nella struttura decisionale dell'Unione, quali l'indiscutibile preminenza decisionale acquisita dal Consiglio Europeo e l'efficace ruolo di controllore di quest'ultimo esercitato dal Parlamento Europeo. di Sergio Fabbrini - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/GQ3UB

giovedì 26 luglio 2012

E lo "Zar" Draghi infine ha parlato


In pratica il messaggio è stato: Pronti a tutto per salvare l'Euro!
Leggi anche Le Mosse di Draghi, Unico Zar, prima, seconda, terza puntata.

FMM

«Ho un messaggio chiaro da darvi: nell'ambito del nostro mandato la Bce è pronta a fare tutto il necessario a preservare l'euro. E credetemi: sarà abbastanza». Lo ha affermato il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, intervenendo alla Global Investment Conference a Londra alla vigilia della cerimonia di apertura delle Olimpiadi. Paesi come Italia e Spagna hanno fatto «progressi notevoli» su risanamento dei conti pubblici e riforme, ha affermato Draghi, aggiungendo che «bisogna continuare in questa direzione». 
Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/9eUqQ 


La grave accelerazione della crisi del debito sovrano europeo impone l'attuazione da parte delle istituzioni europee di quello che i mercati amano chiamare «quick fix»: una soluzione efficace, immediata e definitiva, quel colpo di spugna che il potere di intervento illimitato della Bce sarebbe in grado di realizzare in stile quantitative easing per allontanare i rendimenti dei titoli di Stato spagnoli e italiani dalla soglia dell'insostenibilità e sgombrare il campo estivo dal rischio della richiesta di aiuto a Ue e Fmi da parte di Madrid o Roma.
di Isabella Bufacchi - Il Sole 24 Ore - leggi su Tutte le armi in mano alla BCE 


mercoledì 25 luglio 2012

Le Mosse di Draghi, Unico Zar - 3


(Leggi la prima  e la seconda "puntata")

Un esponente di primo piano della Banca centrale europea, il Governatore della Banca centrale dell'Austria Ewald Nowotny, ha aperto all'ipotesi di concedere una licenza bancaria al futuro fondo salva-Stati permanente dell'Unione europea, l'Esm. Si tratta di una misura che potenzierebbe enormemente le capacità di intervento dello stesso fondo (...) di Enrico Marro. All'interno articolo di Alessandro Merli - Il Sole 24 Ore - leggi su Prime aperture

Pure a Francoforte, d’altronde, qualcosa si starebbe muovendo: “Il Consiglio dei governatori della Banca centrale europea sta discutendo misure che fino a pochi mesi fa sarebbero apparse impensabili – ha scritto ieri sul Corriere della Sera Federico Fubini – Come hanno già fatto la Federal reserve americana, la Banca d’Inghilterra o la Banca del Giappone, anche l’Eurotower a questo punto valuta se tentare misure molto poco convenzionali per la sua storia”. Dopo una prima fase di assistenza mirata (in tandem con tutti i governi Ue) per pochi stati dell’Eurozona in difficoltà, superato poi la scorsa estate il tabù dell’acquisto un po’ più diffuso (ma comunque limitato) di titoli di stato di Italia e Spagna per supplire alle indecisioni delle cancellerie Ue, e sperimentata infine a partire da dicembre una forma di finanziamento illimitato a basso costo alle banche private dell’area, ora a Francoforte la discussione si starebbe spingendo addirittura oltre. L’ispirazione viene da oltreoceano, dalla Fed americana, o quantomeno da oltemanica, dalla Bank of England, e infatti l’espressione con la quale i mercati si riferiscono al nuovo bazooka è di origine anglosassone: “Quantitative easing”, ovvero – spiegava ancora una volta Fubini ieri sul Corriere – “facilitazione delle condizioni del credito grazie all’aumento della quantità di moneta”. Si stamperebbero nuovi euro, insomma. Il pensiero strisciante di Draghi

Le Mosse di Draghi, Unico Zar - 2


(Leggi anche la "prima puntata")

Ma da dove arriva tanta forza per la Bce e dove si fonda la sua vera reputazione? La risposta standard è che la forza della Bce nella crisi sta nella possibilità di stampare moneta mentre la reputazione è nella capacità di mantenere sotto controllo l'inflazione. Forza e reputazione, così identificate, entrano facilmente in collisione. Se stampare moneta può risolvere la crisi dei debiti sovrani allo stesso tempo rischia di creare inflazione e minaccia la reputazione stessa. Ma forza e reputazione sono meno contraddittorie di quanto appaiano, anzi sono la stessa cosa. La reputazione di fondo della Bce non è tanto nei successi ottenuti nel contenere l'inflazione, quanto nella capacità di emettere una moneta accettata da tutti. Questa fiducia non è scontata, tanto è vero che forze centrifughe la minacciano, ma è la vera grande conquista dell'unione monetaria. Non tutte le banche centrali hanno la possibilità di emettere moneta fiduciaria di alto grado. di Pierpaolo Benigno - Il Sole 24 Ore - leggi su Francoforte può salvare l'Europa 

lunedì 23 luglio 2012

Le Mosse di Draghi, Unico Zar

In una giornata convulsa e molto pesante sui mercati, riprendiamo in mano alcuni articoli che possono aiutarci a riflettere sul ruolo della BCE, che appare sempre di più il punto principale da cui potrebbe passare - e forse dovrebbe passare - la protezione dell'euro dagli eccessi dell'altalena dei mercati.

Ciò non toglie che la Bce può agire da "pronto intervento" eccezionale, ma un compito del genere non può diventare permanente, perché rimane agli Stati (per il momento) il dovere di risolvere i problemi delle diverse economie nazionali.

A meno che non si faccia quel salto di qualità che permetterebbe a un governo politico europeo unitario di interfacciarsi con la BCE e definire - nei rispettivi ruoli che devono rimanere nettamente distinti - una politica economica europea coerente.

Per ora, l'unico Zar è Mario Draghi, e a lui spetta valutare possibili azioni d'urgenza.

Francesco Maria Mariotti


(...) La BCE ne devrait pas, comme le demande le FMI, faire davantage pour soulager l'économie ? Nous sommes très ouverts et n'avons pas de tabous. Nous avons décidé de réduire les taux d'intérêt à moins de 1 % car nous prédisions que l'inflation serait proche ou inférieure à 2 % début 2013. Il est désormais probable qu'elle reflue dès fin 2012.
Notre mandat est de maintenir la stabilité des prix pour éviter une inflation trop élevée mais aussi une baisse généralisée et globale des prix. Si nous constatons de tels risques de déflation, nous agirons.(...) Draghi: L'Euro non è in pericolo (laMonde, articolo in francese)

martedì 3 luglio 2012

Se la Grecia esce dall'euro... (dal Sole24Ore)

Non scoppierà il caos se la Grecia lascia? «Il caos è già qui. La disoccupazione di massa che l'euro ha portato è intollerabile. Solo un'uscita dall'euro può dare posti di lavoro dei giovani greci e sperare per il futuro ancora una volta. L'assistenza deve essere utilizzato per facilitare l'uscita ordinata. Negli ultimi decenni ci sono stati decine di default sovrani. In tutti i casi ci sono voluti una svalutazione per recuperare». di Vittorio Da Rold - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/nnnse

lunedì 11 giugno 2012

La road map della Germania da sola non basta a salvare l'euro (dal Sole24Ore)


Da Berlino sta emergendo finalmente una "mappa nautica" che dovrebbe accompagnare la barca europea al sicuro.

La mappa prevede tre passaggi impegnativi: un'unione bancaria e finanziaria entro 12-18 mesi; un'unione fiscale entro il 2015 e infine un'unione politica legittimata democraticamente entro il 2020. È forse la prima volta che si vede sullo sfondo un punto d'approdo per la tormentata vicenda europea.

Tuttavia questo percorso immaginario sposta così in là l'orizzonte politico da scontrarsi con le emergenze di brevissimo termine.

di Carlo Bastasin - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/Yyu1M 

domenica 10 giugno 2012

I nodi al pettine (dal Sole 24Ore)

L'unico modo per costringere i regolatori bancari nazionali a trasferire tutte le informazioni che hanno sullo stato delle banche è proprio quello di sottoporli all'autorità di controllo dell'Ue o del Fondo monetario nel contesto di un programma di assistenza. In questa luce, la crisi spagnola, prima ancora che una crisi bancaria, è una crisi causata dalla pretesa di sovranità nazionale in Europa. di Carlo Bastasin - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/vL8Hw

Hollande risponda alla Merkel (da LeMonde)

(...) Que dit la chancelière ? Elle répète cette vérité première sur laquelle il ne peut y avoir d'ambiguïté : la gestion de la monnaie unique suppose une politique budgétaire commune. Toute union monétaire marche sur deux jambes : une banque centrale, un Trésor commun.
Or une politique budgétaire commune - la crise de l'euro le prouve depuis deux ans - requiert des mécanismes d'harmonisation, de contrôle, de gestion, d'évaluation qui doivent être centralisés. Autrement dit, les Etats qui veulent la monnaie unique doivent céder un peu de leur souveraineté budgetarie. On ne peut vouloir l'euro et conserver sa pleine souveraineté budgétaire. En matière monétaire, l'ambiguïté est destructrice, pas constructive.
Mme Merkel ne propose pas un super-Etat fédéral pour gouverner l'Europe. Elle ne réclame pas une fédération. Elle veut seulement investir une institution communautaire de la part de pouvoirs - budgétaire et bancaire - nécessaires à une saine gestion de l'euro. A cette condition, l'Allemagne est prête à aider à la recapitalisation des banques espagnoles, et même à mutualiser une partie de la dette souveraine au sein de la zone. (...)


MHollande doit repondre a Mme Merkel
Traduzione del passo citato, mi scuso per eventuali imperfezioni di stile: La gestione della moneta unica presuppone una politica di bilancio comune. Ogni unione monetaria poggia su due gambe: una banca centrale, un Tesoro comune. Ora una politica di bilancio comune - la crisi dell'euro lo prova da due anni - richiede dei meccanismi di armonizzazione, di controllo, di gestione, di valutazione che devono essere centralizzati. Altrimenti detto, gli Stati che vogliono la moneta unica devono cedere un po' della loro sovranità di budget. Non si può volere l'euro e conservare la propria piena sovranità di bilancio. In materia monetaria, l'ambiguità è distruttrice, non costruttiva. La signora Merkel non propone un super-Stato federale per governare l'Europa. Non reclama una federazione. Vuole solo investire una istituzione comunitaria di una parte dei poteri - di bilancio e bancari - necessari a una sana gestione dell'euro. A questa condizione, la Germania è pronta a aiutare la ricapitalizzazione delle banche spagnole, e pure a mutualizzare una parte del debito sovrano della zona.

giovedì 7 giugno 2012

Disciplina e Solidarietà: il Giusto Scambio

Ripropongo un articolo di Marta Dassù, già segnalato in altro momento (era ancora Presidente in Francia Sarkozy), che ben spiega la partita politica in corso in Europa, lo scambio fondamentale su cui comunque - anche con personaggi parzialmente diversi - dobbiamo discutere oggi.

E' fondamentale che il patto con Berlino sia chiaro, ma anche giusto per tutti i contraenti: deve permettere ossigeno alle economie deboli, ma non deve "svendere" la stabilità monetaria ed economica, che è bene essenziale per tutti noi, non solo per la Germania.

Come già scritto, gli Eurobond - ammesso che funzionino ( e possono funzionare solo con una struttura europea nuova) - o un intervento eccezionale della BCE non devono diventare la Grande Scusa per nuove scelte di spesa fuori controllo.