Stiamo passando una giornata politica un po' assurda, sull'onda di notizie-scoop che scoop non sono.
Quel 2011 lo ricordiamo in tanti, credo tutti; la "guerra del debito pubblico" era in corso da tempo: si legga un editoriale di Mario Deaglio dell'agosto del 2010 per capire come la preoccupazione per la sostenibilità dell'Italia fosse già palpabile mesi prima.
Con il mondo in preda alla crisi economica, e con le dinamiche finanziarie che colpivano l'Europa, sarebbe stato assai strano - e veramente colpevole - se il Presidente della Repubblica non si fosse attivato, in presenza di una maggioranza molto fragile, come quella che caratterizzava il governo Berlusconi dell'epoca. Si doveva decidere tutto in poche ore quando tutto fosse crollato? Sarebbe stato quello sì comportamento da irresponsabili.
E' ridicolo spacciare queste notizie come "rivelazioni" ed è fastidioso, quando si valorizzano queste presunte "rivelazioni" con frasi un po' populiste come "le élites sapevano, la massa no" (ha detto una frase simile Alan Friedman nella puntata di Piazza pulita che sta andando in onda questa sera).
No, la distinzione élite - massa risparmiamocela. La cittadinanza democratica è un esercizio che può superare queste distinzioni, a cui populisti e reazionari sono affezionati, e in quei mesi la consapevolezza della gravità della crisi era comune, non era "patrimonio nascosto" di qualche élite tecnocratica (mondialista, bolscevica, plutocratica, fate voi).
Di Monti premier si discuteva da diversi mesi. Si parva licet, nel mio minimo 'spazio pubblico' avevo fatto girare l'ipotesi, come forse qualcuno ricorderà (E - sia detto per inciso - l'azione di Monti risulterà fondamentale per permettere a Mario Draghi di convincere i governi dei paesi dell'euro a muoversi efficacemente a garanzia della moneta comune)
E' assolutamente normale che in situazioni di crisi, i vertici e le istituzioni di un paese prendano in esame tutti gli scenari possibili, e laddove sia necessario, comincino a operare per i dovuti cambiamenti. Accade così anche nella guerra, quella vera, probabilmente. Per la sicurezza dello Stato non puoi attendere che i fatti avvengano; e se il rischio è "totale", ti muovi in anticipo perché devi evitare a tutti i costi che il rischio si avveri.
Per cui, nessuna novità. Nessuno scoop. Come ha detto Napolitano, fumo. Soltanto fumo.
Francesco Maria
(...) L’instabilità o il vuoto politico potrebbero infatti avere rilevanti ripercussioni negative sulla gestione del debito pubblico italiano. Va ricordato che l’Italia è stata per decenni uno dei maggiori «produttori» di debito pubblico, ossia di titoli sovrani acquistabili sui mercati finanziari ma che, con il generale peggioramento dei bilanci pubblici delle economie avanzate, su questo mercato mondiale del debito l’Italia deve competere molto più duramente di prima con molti Paesi, quali Germania, Francia e Gran Bretagna che devono «piazzare» i propri titoli per avere le risorse necessarie a quadrare i propri bilanci.
Il debito pubblico italiano è complessivamente gestito bene, senza addensamenti eccessivi di scadenze, il che limita la possibilità di grandi ondate speculative, del tipo di quelle che hanno colpito la Grecia e, in misura minore, il Portogallo. E finora l’Italia ha rigorosamente rispettato gli obblighi di disciplina di bilancio - tra i quali il varo della recente manovra - che si era assunta in sede europea. Alcune aste importanti negli ultimi mesi, specialmente quelle di giugno, sono state superate in maniera molto soddisfacente;
tra la fine delle ferie e la fine dell’anno, però, vengono a scadere circa 100-120 miliardi di debito, concentrati soprattutto a settembre e a novembre e dovranno essere rifinanziati, ossia sostituiti con titoli nuovi.
Chi li acquisterà? Una parte rilevante - si può stimare un po’ più della metà - sarà sottoscritta da risparmiatori italiani, tradizionalmente attratti da questo prodotto «di casa» (l’impiego di risparmio in debito pubblico è uno dei più importanti comportamenti unificanti dell’Italia di oggi). Il resto dovrà trovare compratori all’estero nelle condizioni concorrenziali e difficili di cui si diceva sopra.
Quando devono decidere se - e a che prezzo - acquistare titoli di uno Stato sovrano, i grandi operatori finanziari, tra i quali figurano molte banche centrali, come quella cinese, esaminano a tutto campo la situazione del Paese debitore e in questo esame la stabilità politica e la volontà di rispettare i propri debiti hanno uno spazio molto importante.
Quale sarà la reazione del banchiere cinese, del finanziere americano, dell’analista finanziario che lavora per qualche grande banca internazionale di fronte alle «sparate» dei politici di questi giorni? Gli esperti internazionali che si occupano dell’Italia sono in gran parte abituati alle iperboli, al sarcasmo, alle pesanti ironie, alle punte di volgarità del dibattito politico italiano. La possibilità che tutto questo si possa riflettere sul piano istituzionale senza alcun riguardo per la posizione finanziaria del Paese non potrà però non preoccuparli.
E potrebbe indurli a chiedere un «premio», ossia un tasso di interesse sensibilmente maggiore di quello applicato ad altri Paesi che si tradurrebbe, come minimo, in qualche migliaio di miliardi in più di spesa per lo Stato italiano, da recuperare poi con nuova austerità e, nella peggiore delle ipotesi, in una più generale «bocciatura finanziaria» dell’Italia.
Ai politici che in questi giorni così abbondantemente si esprimono deve quindi essere consentito di rivolgere una sommessa preghiera: tengano presente che quando parlano non hanno di fronte solo il pubblico, spesso non troppo numeroso, dei loro sostenitori politici, o i giornalisti desiderosi di riempire spazi che le festività rendono vuoti.
Ad ascoltarli, a pesare le loro parole più di quanto essi stessi si rendano conto, c’è tutta la finanza mondiale. Che deciderà se sottoscrivere i nostri titoli di debito anche sulla base delle loro parole e dei loro programmi.
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