lunedì 24 febbraio 2014

"Cambiare Marcia" Sull'Ucraina

I cambiamenti repentini che avvengono in queste ore in Ucraina costringono a mantenere alte l'attenzione e la prudenza. Troppo spesso apparenti rivoluzioni democratiche si sono trasformate in piccoli o grandi incubi. In questo senso è assolutamente necessario che l'Europa mantenga un "giusto distacco" da alcune dinamiche presenti nella parte che in questo momento sta uscendo "vittoriosa". Questo non deve apparire contraddittorio rispetto ad altri momenti in cui era necessario "alzare la voce". (O meglio, la contraddizione c'è, forse, ma è parte di un percorso che è in sé - sempre - contraddizione e mutamento).

Era giusto "parteggiare" in un momento drammatico di conflitto in piazza, era ed è giusto attivarsi e contrastare la prepotenza russa, e per certi aspetti l'azione europea  -rappresentata dalla permanenza e dalla mediazione attiva di tre ministri degli esteri nel paese nelle ore decisive - è forse stata più incisiva che in altri momenti. Ma basta poco, perché l'appoggio politico diventi un un nodo che vincola eccessivamente, costringendoci magari ad avallare passaggi politici discutibili, se non pericolosi.

E' un momento molto delicato, ed è il caso di "cambiare marcia"; la giusta battaglia per una democrazia piena in Ucraina deve intersecarsi e stringersi - come sempre - con la necessaria stabilità geopolitica, e quindi con l'inevitabile vicinanza/presenza russa. Non sarà spingendo gli Ucraini a combattersi ancora fra di loro che aiuteremo questo fragile paese, peraltro sull'orlo di un fallimento economico.

Si deve essere inflessibili su alcuni principi di libertà e sui diritti civili (da garantire - soprattutto in momenti come questi - a tutti, naturalmente anche alle componenti "filorusse"), e deve essere posto - come pare abbia fatto Merkel in queste ore - il problema di un governo del paese che sia il più possibile unitario e che possa garantire la coesione del paese. 

Non facciamo diventare una battaglia ideale il prologo di una nuova guerra civile, o secessionista. Deve essere chiaro - a tutto l'est europa - che democrazia, libertà, e sicurezza dello stato sono fattori che si tengono assieme. 

FMM

Negli ultimi giorni è diventata sempre più urgente anche la questione economica: come ha detto il parlamentare Arseniy Yatseniuk, l’Ucraina si trova in «bancarotta». Secondo il nuovo ministro delle Finanze ucraino, Yuriy Kolobov, al paese servirebbero urgentemente circa 25 miliardi di dollari in aiuti esteri, che fino a pochi giorni fa sembravano poter essere in parte coperti dalla Russia: secondo un accordo firmato tra i due paesi, il governo russo avrebbe investito 15 miliardi di dollari in titoli di stato ucraini e avrebbe ridotto il prezzo del gas che fornisce all’Ucraina di circa un terzo. Dopo l’allontanamento di Yanukovych, il ministro delle Finanze russo Anton Siluanov non ha ancora chiarito se il suo governo è disposto ad avviare la prossima tranche di investimenti, pari a 2 miliardi di dollari. L’Unione Europea è comunque disposta a sostenere l’economia dell’Ucraina con un prestito da 20 miliardi di euro, ha detto il presidente della commissione Affari esteri del Parlamento europeo, Elmar Brok.
(...) Negli ultimi giorni diversi giornalisti hanno cominciato a occuparsi della Crimea, penisola sulla costa settentrionale del Mar Nero amministrata dalla Repubblica autonoma di Crimea, e della possibilità di una sua secessione dall’Ucraina per unirsi alla Russia. La Crimea, come ha scritto Simon Shuster su Time, è «l’unico pezzo di Ucraina dove la rivoluzione non è riuscita a prendere piede»: qui il nazionalismo russo è fortissimo e Sebastopoli, una delle città più grandi della Crimea dove i cittadini si sentono più russi che ucraini, è sede di una base navale russa che ospita circa 25mila soldati. Quando venerdì le opposizioni hanno preso il controllo del parlamento, in Crimea «si è diffuso il panico»: in alcune città, come Simferopoli, i cittadini hanno iniziato a firmare petizioni per creare delle brigate di difesa della Crimea da usare in caso di necessità, e diverse autorità locali hanno chiesto aiuto al governo russo.(...)

La sera di sabato 22 febbraio, dopo tre mesi di rivolte culminati con la fuga da Kiev del presidente ucraino Viktor Yanukovich, i principali giornali online del mondo titolavano: “Liberato il nemico numero uno di Yanukovich”. Per nemico numero uno intendevano una donna di 53 anni, ex oligarca dell’energia, ex primo ministro, più volte indagata dalla magistratura ucraina in controversi procedimenti giudiziari e diventata famosa in tutto il mondo dopo essere stata imprigionata per tre anni: Yulia Tymoshenko.

Le speranze del 2004 Arancione sono perdute, la Tymoshenko discreditata, nessuno nella piazza che ha rovesciato il regime filorusso dell’ex teppista Yanukovich è leader maturo, non l’ex ministro dell’Economia Yatsenyuk, non l’ex pugile Klitschko. La propaganda di Mosca (e i suoi galoppini in Italia) seminano scandalo per i neofascisti nazionalisti di «Settore Destra», ma la debolezza dell’opposizione non bilancia le colpe del regime, lo sfascio economico, la repressione dei dimostranti anche quando la piazza era ancora non violenta. Anche il falco putiniano Alexei Pushkov, presidente della Commissione Esteri del Parlamento russo, ammette «Yanukovich ha fatto una triste fine».
 E ora? Non ci sono «buoni» e «cattivi», in Ucraina tra cui scegliere, ma ricordate che Vladimir Putin non smetterà di interferire: se Kiev entra nell’area di influenza europea, o addirittura della Nato, il sogno neoimperiale di Mosca fallisce. Quando ha fatto strappare a Yanukovich, con la promessa di 15 miliardi di euro e un oceano di gas, l’accordo con i troppo cauti diplomatici europei, Putin voleva per sempre legare Kiev a Mosca, emulo della cacciata della Guardia Bianca 1919. Il Cremlino ambisce alla Crimea, che, si dice, Kruscev abbia assegnato agli ucraini durante una sbronza.
 L’ex Consigliere per la Sicurezza nazionale americano Brzezinski e l’ex presidente europeo Prodi hanno, in questi giorni, proposto che, per evitare la guerra civile tra filorussi e filo-Ue che il Cremlino non esiterebbe a scatenare come in Georgia, il paese resti libero ma neutrale, modello Finlandia. Putin si impegna a non mestare negli affari interni, Europa e Stati Uniti sostengono l’economia che è allo sfascio, ma senza alleanze militari. Gli stessi oligarchi ucraini, al sicuro nel lusso di Londra, sembrano comprenderlo, se Rinat Akhmetov, considerato dal Financial Times «l’uomo più ricco in Ucraina» e ex alleato di Yanukovich, dichiara «Voglio un’Ucraina forte, indipendente ed unita e sottolineo unita».


"Putin ha vinto l’oro nel pattinaggio, ma ha perso l’Ucraina”. È l’ironia che si scatena su Twitter verso il titolare del Cremlino, che nulla ha potuto fare contro la rivoluzione ucraina. Il canale Tv Tsn sostiene, citando una sua fonte, che il destituito presidente ucraino abbia tentato la fuga in Russia, anche se, a quanto pare, non atteso a braccia aperte. Nel giro di 24 ore Yanukovich non è solo dovuto scendere a patti con l’opposizione. Ha lasciato in tutta fretta la sua residenza lussuosa alle porte di Kiev, per rifugiarsi nel “feudo” pro-russo di Kharkov, mentre la Rada, il parlamento ucraino, votava a maggioranza il suo impeachment. “Nella residenza di Yanukovich, Mezhigorye, nei pressi di Kiev, stanno facendo entrare chiunque: lui stesso è fuggito, come anche la guardia, il personale di servizio si è disperso… Una fine ridicola per il presidente”, ha twittato Alexey Pushkov, presidente del comitato per gli Affari Esteri della Duma.​



L'Ucraina si sta disintegrando. Questo grande Stato europeo la cui frontiera occidentale è più vicina a Trieste di quanto la città giuliana sia prossima a Reggio Calabria sta piombando nella guerra civile.
E tutto ciò sotto gli occhi negligenti o impotenti dell’Occidente. L’Unione Europea, più che mai incerta e divisa, alterna la retorica della pacificazione alla patetica minaccia di sanzioni che ormai non avrebbero alcun effetto sugli equilibri geopolitici del paese - 45 milioni di abitanti per oltre 600 mila chilometri quadrati (il doppio dell’Italia) - dalle cui condotte energetiche, sempre bramate da Mosca, dipende per una quota decisiva il nostro approvvigionamento di idrocarburi.
Come ammette uno dei leader dell’opposizione, il pugilatore Vitali Klitschko, la crisi è fuori controllo. Lo dimostrano il tributo di sangue già pagato dagli ucraini - decine di morti e centinaia di feriti - e soprattutto il fatto che intere città e territori non sono più in mano al governo. Il quale è sotto assedio, barricato nei suoi palazzi. Al punto di sconsigliare i ministri degli Esteri di Germania, Francia e Polonia dal trattenersi a Kiev per facilitare un estremo negoziato fra il presidente Yanukovich e i capi del variegato cartello delle opposizioni, alcune delle quali dotate di proprie milizie.

Romano, quali sono le responsabilità politiche dell’Unione Europea?

Fino a quando l’Unione Europea continuerà a fare dichiarazioni severe facendo pressione sul governo, l’ala dura della protesta le prenderà come scusa per tornare in piazza e creare un clima di ancora maggiore tensione. Temo che ci troviamo, con le dovute differenze di contesto, di fronte a una situazione simile a quella siriana.


Cosa intende?

La protesta che vediamo è composta da nuclei diversi e spesso non riconoscibili: noi non sappiamo bene chi siano le persone in piazza. Spesso le immagini parlano da sole però: ci sono persone che confezionano bombe molotov, milizie che appaiono organizzate e pronte a combattere.


Non è un movimento pacifico?

Sappiamo che nella protesta ci sono anche elementi del vecchio nazionalismo ucraino, che è anti-russo prima di tutto e che nella storia è emerso nel momento in cui ha goduto di un appoggio esterno. È successo così con l’occupazione tedesca durante la Seconda guerra mondiale e anche durante la Prima guerra mondiale. Questo per dire che c’è molto di “vecchio” in questa protesta. Poi, certo, ci sono anche i ceti popolari in piazza che pensano che l’Ucraina starebbe meglio nell’Unione Europea, però dobbiamo fare attenzione: il giorno in cui questa battaglia fosse vinta, chi prenderebbe il potere? Chi avrebbe il controllo della piazza? Quale componente si imporrebbe sulle altre?


L’Unione Europea non vede questo rischio?

L’Europa si è sentita personalmente coinvolta, forse anche per risentimento visto che stava per concludere un accordo [commerciale di libero scambio] che è saltato all’ultimo momento. Ma anche questo accordo non è interesse di tutti i paesi membri: l’Italia, ad esempio, non mi sembra si sia schierata e non è il solo paese. Chi ha più interessi in questa faccenda sono gli stessi che hanno molto caldeggiato la rivoluzione del 2004: Polonia, Svezia e Lituania, che non vogliono vedere l’Ucraina gravitare nell’orbita russa. Ma questo è molto difficile da ottenere per Kiev.



L’Ucraina infatti continua a stare nel limbo, visto che sino a oggi con la Russia non è arrivato nessun accordo determinante sul lungo periodo. La Bankova ha virato verso il Cremlino con la speranza fare cassa rapidamente, ma le richieste russe, dall’entrata nell’Unione doganale al controllo del sistema dei gasdotti (gts), se torneranno all’ordine del giorno dovranno eventualmente essere fatte digerire sia all’opposizione sia alla popolazione. Se nel passato decisioni analoghe hanno creato convulsioni solo a livello parlamentare, dopo le ultime grandi manifestazioni è probabile che scelte radicali provochino un nuovo scontro con l'elettorato europeista. Senza contare le frange più estremiste, che non sono state ancora disinnescate. Se le future scelte di campo non porteranno benefici   concreti per la gente comune, è possibile che il malcontento popolare si diffonda oltre le regioni occidentali, roccaforti dell’opposizione filoeuropea e antirussa, e dalla capitale Kiev si riversi verso i tradizionali feudi vicini a Mosca, dall’est al sud.
 In assenza di stravolgimenti sul modello della rivoluzione del 2004, è prevedibile che l’Ucraina entri in una fase di distacco dal contesto europeo occidentale, provocato e andato a beneficio sì della Russia, ma del quale è responsabile in parte la stessa Unione Europea. Finita l’emergenza, Bruxelles dovrà tentare di riprendere il dialogo a partire dal secondo semestre del 2014, che coincide con la presidenza italiana, ma se Yanukovich rimarrà alla Bankova sino alla scadenza naturale e probabile che rapporti costruttivi siano possibili solo con un altro presidente. Resta da vedere se la strada intrapresa dopo Vilnius sarà mantenuta o vi saranno deviazioni.

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