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martedì 4 marzo 2014

La Guerra, L'Economia, I Mercati: I Limiti Del Principe

Probabilmente è troppo presto per tirare un sospiro di sollievo sulla questione ucraina. Troppo forti gli interessi russi sulla Crimea, troppo alta la posta in gioco per l'Occidente, dal punto di vista dell'"onore" - se c'è onore nelle relazioni internazionali (forse sì, a volte no) - e dal punto di vista delle svariate "dipendenze", soprattutto economiche, che questa crisi mette in luce. 

E' invece interessante notare come oramai il "sismografo mercati finanziari" sia sempre più rilevante, anche per i paesi che forse nella percezione comune non corrispondono all'idea di nazioni - diciamo con una espressione "aggiustata" per intenderci - "a forte leva finanziaria".

In questa dialettica che non è più - e non sarà più - solo con l'economia reale, si riscontra forse il vero limite della guerra di questi tempi, e dunque della politica. 

(O forse di un certo tipo di guerra, da cui l'esplosione dei cosiddetti conflitti asimmetrici, che però confermano i limiti della potenza "classica"; e forse per questo quando i conflitti superano una certa intensità - vd. Siria - nessuno sembra in grado di fermarli, portando alla deriva totale una collettività). 

Perché nell'impossibilità di una guerra totale (ed eccezion fatta - o conferma, in realtà, come ci si domandava? - nel "suicidio" della guerra civile) - v'è scritta l'impossibilità della politica, intesa come desiderio di comando, di progettazione della realtà, di cambiamento delle strutture portanti della società.

Bene o male che sia, e personalmente mi pare che gli elementi positivi superino quelli negativi, il Principe appare spodestato o comunque non più così potente, come spesso -a sinistra come a destra - ci si illude che sia , anche quando Principe "democratico".

Nel pensare un'Europa "non-solo-moneta" faremmo bene a non illuderci di poter tornare a un'idea di collettività con una direzione comune, certa e razionalmente definita. 

Il patto che legherà le future collettività non potrà essere stipulato solo con gli elettori. Già non illudersi e non illudere i cittadini sarebbe un ottimo passo in avanti per rendere più concreti i nostri legittimi sogni di poter "costruire" un mondo migliore.

Francesco Maria Mariotti



Rispondere a Vladimir Putin con le sue stesse armi, sarebbe per l'Europa un modo veloce, diretto e completamente sbagliato. Prendendo controllo della Crimea, Putin ha violato con arroganza le leggi internazionali. Ma il suo potere nel confronto militare è maggiore di quello che può esercitare sul piano diplomatico. È al tavolo negoziale che va esposta la sua debolezza, inclusa quella economica mostrata ieri dai mercati. È lì che l'Europa può imporre il rafforzamento della democrazia in Ucraina, svalutando di riflesso l'autocrazia di Mosca. Non con minacce di missili o di dure sanzioni, come piace ai più radicali a Washington, ma seminando il virus democratico ai confini della Russia. Ogni volta che i cingoli solcano il terreno, cadiamo preda di un riflesso automatico che stigmatizza come debole o tardiva la ricerca europea di soluzioni diplomatiche. L'esperienza delle primavere arabe giustifica molti pregiudizi. Ma questa volta la cancelliera Merkel, promotrice di un approccio sia di condanna sia di mediazione attraverso un "gruppo di contatto" – che contrasta con la tentazione americana di isolare Mosca - ha ragione e bene ha fatto il governo italiano a capirlo e a sostenerlo.
di Carlo Bastasin - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/v6LfJ
L’arrivo dei soldati con e senza mostrine in Crimea solleva una doppia questione di indipendenza. Lo fa dal punto di vista politico per l’Ucraina, crocevia del gas che dai serbatoi dell’ex impero sovietico confluisce verso l’Europa attraverso una rete di 40 mila chilometri di oleodotti. E poi da quello energetico per l’Europa, terra in cui alcuni leader in queste ore si staranno forse chiedendo se sia stato davvero un affare trattare con compiacenza il sempre indisponente zar Vladimir, e quanto sia stata una buona idea non costruire un mercato unico dell’energia fondato su una rete integrata a livello continentale.
Il riscaldamento delle case e l’energia delle imprese in Lituania, Estonia e Lettonia sono legati al 100 per cento ai gasdotti che portano a Gazprom. La Romania al 97,5 per cento. La Polonia al 67. L’Europa allargata, dunque tutto quello che si trova sopra, di fianco e sotto l’Ucraina, ha una dipendenza del 30 per cento. Venticinque miliardi di metri cubi l’anno sono assorbiti dall’Italia, che da sola consuma un quinto dell’export russo verso la parte occidentale del Continente. Questa, insieme con gli interessi economici e industriali condivisi con Mosca (in primo luogo attraverso l’Eni), è la principale ragione della grande (e inevitabile) cautela diplomatica adottata dal governo.

E’ dal giorno dell’occupazione delle truppe russe in Crimea che il capo dello Stato segue con molta attenzione l’evoluzione della crisi in Ucraina. Certo, lui è il capo del Consiglio Supremo di Difesa, come vuole la Costituzione. Ma c’è di più. E’ come se l’affare ucraino, così delicato a livello internazionale, abbia fatto scattare quel ruolo di consigliere d’esperienza da parte di Napolitano nei confronti del giovane premier e del giovane ministro degli Esteri Federica Mogherini. Non una supplenza, naturalmente. Piuttosto la consapevolezza di non essere soli a gestire una questione più grande di tutti. Renzi ne ha parlato stamane con Napolitano, in quei 40 minuti di colloquio a margine dell’inaugurazione del corso accademico di formazione degli agenti dei nostri servizi segreti, proprio nella sede dell’Aisi a Monti, in centro a Roma. Di fatto, è la prima volta che il segretario del Pd si trova a dover tener conto dei suggerimenti non solo del capo dello Stato ma anche delle gerarchie militari. Insomma, in questi affari non c’è rottamazione che tenga. E la crisi Ucraina non esalta il carattere decisionista del presidente del Consiglio. E’ un bene, a sentire i giudizi che ci arrivano da ambienti militari.


Legittima difesa collettiva

L’Ucraina ha mobilitato le proprie forze armate. Essa ha diritto di esercitare la legittima difesa, come consentito dalla Carta delle Nazioni Unite, diritto che è connaturato all’esistenza stessa dello stato e che non richiede, per il suo esercizio, di essere autorizzato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Ben vengano le parole di moderazione come quelle espresse dal governo italiano, ma è assurdo non ricordare i diritti della vittima dell’aggressione e in particolare che questa può reagire con la forza armata, quantunque le forze in campo siano incommensurabili.

Alla vittima dell’attacco armato spetta non solo il diritto di legittima difesa individuale, ma anche quella collettiva: terzi stati possono intervenire a suo favore.

La Nato dispone di un meccanismo di legittima difesa collettiva a tutela dei propri membri, nel senso che se uno stato dell’alleanza è attaccato gli altri debbono intervenire a suo favore. Questo non è il caso dell’Ucraina, che non è membro della Nato.

Teoricamente però, la Nato, pur non essendovi obbligata, potrebbe intervenire a favore dell’Ucraina, con una missione decisa dal Consiglio atlantico. Teoricamente, poiché nessuno vuole morire per Kiev e infatti la Nato non è andata oltre la deplorazione dell’intervento russo e la sua stigmatizzazione come violazione del diritto internazionale. 



venerdì 28 febbraio 2014

Alta Tensione in Crimea

Venerdì mattina centinaia di uomini armati con uniformi simili a quelle dell’esercito russo – ma senza alcun altro segno distintivo – hanno preso il controllo dei due principali aeroporti della Crimea – repubblica autonoma meridionale dell’Ucraina a maggioranza russa – quello di Sebastopoli (militare) e quello di Simferopoli (civile). Il ministro degli Interni ucraino ad interim, Arsen Avakov, ha attribuito l’azione a forze militari russe, anche se rimangono molti dubbi sull’identità e appartenenza di queste milizie. Russia Today dice che gli uomini che hanno preso il controllo degli aeroporti sono vestiti e equipaggiati in modo simile alle milizie di autodifesa che ieri avevano occupato gli edifici del parlamento e del governo locale a Simferopoli, mentre la stessa Russia ha smentito qualsiasi coinvolgimento. Dopo diverse ore la situazione in Crimea è ancora molto confusa, anche se sembra che le autorità ucraine abbiano ripreso il controllo dei due aeroporti. Nuove manifestazioni pro-russe si sono tenute però a Simferopoli, di fronte alla sede del governo locale, e una colonna di blindati russi è stata fotografata mentre si muoveva in Crimea verso Sebastopoli.
(...) MOSCA NEGA COINVOLGIMENTO - Tuttavia la flotta russa sul Mar Nero, di stanza nella regione, ha negato che le proprie forze siano coinvolte nell’occupazione di almeno uno dei due scali (quello di Belbek) secondo quanto riferito dall’agenzia Interfax. E un uomo che sostiene di aver aiutato il gruppo armato nell’altro scalo ha definito gli assalitori come gente della «Milizia popolare della Crimea».
L’IRA DI KIEV- L’aeroporto di Sinferopoli, scrive Avakov, «è bloccato da reparti militari della flotta russa». «All’interno dell’aeroporto - prosegue - si trovano i militari e le guardie di frontiera ucraini. Fuori ci sono militari in divisa mimetica con armi e senza distintivi, che non nascondono la propria appartenenza». «L’aeroporto - aggiunge - non funziona. Sul perimetro esterno ci sono i posti di controllo del ministero degli interni ucraino. Non ci sono ancora scontri armati».(...)
(...) Ma il problema principale, quello che fa addirittura temere che le tensioni possano sfociare in un conflitto militare, ha a che vedere con la profonda divisione del Paese. Finora si era parlato soprattutto della spaccatura fra un Est russofono e un Ovest fortemente caratterizzato dalla cultura e dalla lingue ucraine, ma oggi la crisi trova il suo punto più delicato in Crimea. La Crimea, storicamente russa, passò all’Ucraina nel 1954 solo a seguito della decisione demagogica di Khrusciov. Oggi la maggioranza russofona – e russofila - della popolazione teme che gli eventi di Kiev, con il prevalere dei nazionalisti ucraini, abbiano rotto a loro sfavore il delicato equilibrio su cui si basava la convivenza. E in effetti una delle prime decisioni del nuovo vertice politico nella capitale è stata quella di togliere al russo il precedente status paritario di lingua ufficiale. A Simferopoli, capoluogo della Crimea, gli attivisti russi sono passati all’azione, occupando il Parlamento regionale e issando sull’edificio la bandiera russa in sostituzione di quella ucraina.  

Di fronte al vasto dispiego di unità militari russe ai confini, i vertici politici sia americani che europei fanno sfoggio di cautela e di nervi saldi, partendo evidentemente dal presupposto che Mosca pagherebbe un prezzo troppo alto se decidesse di trasformare l’esercitazione militare in un’invasione. Probabilmente la vera intenzione russa è solo quella di lanciare un pesante ammonimento ai governanti ucraini:  (...)

Pochi giorni fa si poteva leggere, sul New York Times, l’esortazione di un accademico polacco ad Europa e Stati Uniti a mettere in atto, lasciando da parte eccessive prudenze, «uno sforzo congiunto per includere l’Ucraina nel campo occidentale». E’ proprio questo l’incubo principale di Vladimir Putin, tanto più se si pensa che questa inclusione potrebbe, in prospettiva, prendere forma non tanto in un improbabile ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea quanto piuttosto nella Nato. 

Gli ucraini, soprattutto i giovani, che hanno rovesciato Yanukovich sventolavano le bandiere dell’Europa, ma le loro aspettative non hanno alcuna base nella realtà, e sarebbe eticamente giusto per noi europei non essere prodighi più di illusioni che di effettivo sostegno. L’adesione all’Unione Europea non solo non è per domani, ma nemmeno per dopodomani, e per quanto riguarda la drammatica situazione economica del Paese, non si vede come l’Europa possa - in un momento di non superata crisi interna - far fronte all’urgente necessità di aiuti finanziari che sono stati quantificati in 35 miliardi di dollari su due anni. Paradossalmente non sembra esservi un futuro sostenibile, per l’Ucraina, che escluda un sostanziale rapporto con la Russia in campo finanziario, commerciale e soprattutto in tema di forniture energetiche. Quando si parla infatti della possibilità di un intervento del Fondo Monetario Internazionale in aiuto all’Ucraina non si può dimenticare che l’aiuto del Fmi verrebbe corredato di condizionalità che, si sa, includerebbero l’abrogazione del «prezzo politico» dell’energia, oggi inferiore a quello che l’Ucraina paga per il suo acquisto dalla Russia. Una prospettiva che i nuovi governanti di Kiev non potrebbero facilmente gestire, con un’opinione pubblica convinta che, con la cacciata del tiranno filorusso, non solo la libertà, ma anche il benessere, siano a portata di mano.


lunedì 24 febbraio 2014

"Cambiare Marcia" Sull'Ucraina

I cambiamenti repentini che avvengono in queste ore in Ucraina costringono a mantenere alte l'attenzione e la prudenza. Troppo spesso apparenti rivoluzioni democratiche si sono trasformate in piccoli o grandi incubi. In questo senso è assolutamente necessario che l'Europa mantenga un "giusto distacco" da alcune dinamiche presenti nella parte che in questo momento sta uscendo "vittoriosa". Questo non deve apparire contraddittorio rispetto ad altri momenti in cui era necessario "alzare la voce". (O meglio, la contraddizione c'è, forse, ma è parte di un percorso che è in sé - sempre - contraddizione e mutamento).

Era giusto "parteggiare" in un momento drammatico di conflitto in piazza, era ed è giusto attivarsi e contrastare la prepotenza russa, e per certi aspetti l'azione europea  -rappresentata dalla permanenza e dalla mediazione attiva di tre ministri degli esteri nel paese nelle ore decisive - è forse stata più incisiva che in altri momenti. Ma basta poco, perché l'appoggio politico diventi un un nodo che vincola eccessivamente, costringendoci magari ad avallare passaggi politici discutibili, se non pericolosi.

E' un momento molto delicato, ed è il caso di "cambiare marcia"; la giusta battaglia per una democrazia piena in Ucraina deve intersecarsi e stringersi - come sempre - con la necessaria stabilità geopolitica, e quindi con l'inevitabile vicinanza/presenza russa. Non sarà spingendo gli Ucraini a combattersi ancora fra di loro che aiuteremo questo fragile paese, peraltro sull'orlo di un fallimento economico.

Si deve essere inflessibili su alcuni principi di libertà e sui diritti civili (da garantire - soprattutto in momenti come questi - a tutti, naturalmente anche alle componenti "filorusse"), e deve essere posto - come pare abbia fatto Merkel in queste ore - il problema di un governo del paese che sia il più possibile unitario e che possa garantire la coesione del paese. 

Non facciamo diventare una battaglia ideale il prologo di una nuova guerra civile, o secessionista. Deve essere chiaro - a tutto l'est europa - che democrazia, libertà, e sicurezza dello stato sono fattori che si tengono assieme. 

FMM

Negli ultimi giorni è diventata sempre più urgente anche la questione economica: come ha detto il parlamentare Arseniy Yatseniuk, l’Ucraina si trova in «bancarotta». Secondo il nuovo ministro delle Finanze ucraino, Yuriy Kolobov, al paese servirebbero urgentemente circa 25 miliardi di dollari in aiuti esteri, che fino a pochi giorni fa sembravano poter essere in parte coperti dalla Russia: secondo un accordo firmato tra i due paesi, il governo russo avrebbe investito 15 miliardi di dollari in titoli di stato ucraini e avrebbe ridotto il prezzo del gas che fornisce all’Ucraina di circa un terzo. Dopo l’allontanamento di Yanukovych, il ministro delle Finanze russo Anton Siluanov non ha ancora chiarito se il suo governo è disposto ad avviare la prossima tranche di investimenti, pari a 2 miliardi di dollari. L’Unione Europea è comunque disposta a sostenere l’economia dell’Ucraina con un prestito da 20 miliardi di euro, ha detto il presidente della commissione Affari esteri del Parlamento europeo, Elmar Brok.
(...) Negli ultimi giorni diversi giornalisti hanno cominciato a occuparsi della Crimea, penisola sulla costa settentrionale del Mar Nero amministrata dalla Repubblica autonoma di Crimea, e della possibilità di una sua secessione dall’Ucraina per unirsi alla Russia. La Crimea, come ha scritto Simon Shuster su Time, è «l’unico pezzo di Ucraina dove la rivoluzione non è riuscita a prendere piede»: qui il nazionalismo russo è fortissimo e Sebastopoli, una delle città più grandi della Crimea dove i cittadini si sentono più russi che ucraini, è sede di una base navale russa che ospita circa 25mila soldati. Quando venerdì le opposizioni hanno preso il controllo del parlamento, in Crimea «si è diffuso il panico»: in alcune città, come Simferopoli, i cittadini hanno iniziato a firmare petizioni per creare delle brigate di difesa della Crimea da usare in caso di necessità, e diverse autorità locali hanno chiesto aiuto al governo russo.(...)

La sera di sabato 22 febbraio, dopo tre mesi di rivolte culminati con la fuga da Kiev del presidente ucraino Viktor Yanukovich, i principali giornali online del mondo titolavano: “Liberato il nemico numero uno di Yanukovich”. Per nemico numero uno intendevano una donna di 53 anni, ex oligarca dell’energia, ex primo ministro, più volte indagata dalla magistratura ucraina in controversi procedimenti giudiziari e diventata famosa in tutto il mondo dopo essere stata imprigionata per tre anni: Yulia Tymoshenko.

Le speranze del 2004 Arancione sono perdute, la Tymoshenko discreditata, nessuno nella piazza che ha rovesciato il regime filorusso dell’ex teppista Yanukovich è leader maturo, non l’ex ministro dell’Economia Yatsenyuk, non l’ex pugile Klitschko. La propaganda di Mosca (e i suoi galoppini in Italia) seminano scandalo per i neofascisti nazionalisti di «Settore Destra», ma la debolezza dell’opposizione non bilancia le colpe del regime, lo sfascio economico, la repressione dei dimostranti anche quando la piazza era ancora non violenta. Anche il falco putiniano Alexei Pushkov, presidente della Commissione Esteri del Parlamento russo, ammette «Yanukovich ha fatto una triste fine».
 E ora? Non ci sono «buoni» e «cattivi», in Ucraina tra cui scegliere, ma ricordate che Vladimir Putin non smetterà di interferire: se Kiev entra nell’area di influenza europea, o addirittura della Nato, il sogno neoimperiale di Mosca fallisce. Quando ha fatto strappare a Yanukovich, con la promessa di 15 miliardi di euro e un oceano di gas, l’accordo con i troppo cauti diplomatici europei, Putin voleva per sempre legare Kiev a Mosca, emulo della cacciata della Guardia Bianca 1919. Il Cremlino ambisce alla Crimea, che, si dice, Kruscev abbia assegnato agli ucraini durante una sbronza.
 L’ex Consigliere per la Sicurezza nazionale americano Brzezinski e l’ex presidente europeo Prodi hanno, in questi giorni, proposto che, per evitare la guerra civile tra filorussi e filo-Ue che il Cremlino non esiterebbe a scatenare come in Georgia, il paese resti libero ma neutrale, modello Finlandia. Putin si impegna a non mestare negli affari interni, Europa e Stati Uniti sostengono l’economia che è allo sfascio, ma senza alleanze militari. Gli stessi oligarchi ucraini, al sicuro nel lusso di Londra, sembrano comprenderlo, se Rinat Akhmetov, considerato dal Financial Times «l’uomo più ricco in Ucraina» e ex alleato di Yanukovich, dichiara «Voglio un’Ucraina forte, indipendente ed unita e sottolineo unita».


"Putin ha vinto l’oro nel pattinaggio, ma ha perso l’Ucraina”. È l’ironia che si scatena su Twitter verso il titolare del Cremlino, che nulla ha potuto fare contro la rivoluzione ucraina. Il canale Tv Tsn sostiene, citando una sua fonte, che il destituito presidente ucraino abbia tentato la fuga in Russia, anche se, a quanto pare, non atteso a braccia aperte. Nel giro di 24 ore Yanukovich non è solo dovuto scendere a patti con l’opposizione. Ha lasciato in tutta fretta la sua residenza lussuosa alle porte di Kiev, per rifugiarsi nel “feudo” pro-russo di Kharkov, mentre la Rada, il parlamento ucraino, votava a maggioranza il suo impeachment. “Nella residenza di Yanukovich, Mezhigorye, nei pressi di Kiev, stanno facendo entrare chiunque: lui stesso è fuggito, come anche la guardia, il personale di servizio si è disperso… Una fine ridicola per il presidente”, ha twittato Alexey Pushkov, presidente del comitato per gli Affari Esteri della Duma.​



L'Ucraina si sta disintegrando. Questo grande Stato europeo la cui frontiera occidentale è più vicina a Trieste di quanto la città giuliana sia prossima a Reggio Calabria sta piombando nella guerra civile.
E tutto ciò sotto gli occhi negligenti o impotenti dell’Occidente. L’Unione Europea, più che mai incerta e divisa, alterna la retorica della pacificazione alla patetica minaccia di sanzioni che ormai non avrebbero alcun effetto sugli equilibri geopolitici del paese - 45 milioni di abitanti per oltre 600 mila chilometri quadrati (il doppio dell’Italia) - dalle cui condotte energetiche, sempre bramate da Mosca, dipende per una quota decisiva il nostro approvvigionamento di idrocarburi.
Come ammette uno dei leader dell’opposizione, il pugilatore Vitali Klitschko, la crisi è fuori controllo. Lo dimostrano il tributo di sangue già pagato dagli ucraini - decine di morti e centinaia di feriti - e soprattutto il fatto che intere città e territori non sono più in mano al governo. Il quale è sotto assedio, barricato nei suoi palazzi. Al punto di sconsigliare i ministri degli Esteri di Germania, Francia e Polonia dal trattenersi a Kiev per facilitare un estremo negoziato fra il presidente Yanukovich e i capi del variegato cartello delle opposizioni, alcune delle quali dotate di proprie milizie.

Romano, quali sono le responsabilità politiche dell’Unione Europea?

Fino a quando l’Unione Europea continuerà a fare dichiarazioni severe facendo pressione sul governo, l’ala dura della protesta le prenderà come scusa per tornare in piazza e creare un clima di ancora maggiore tensione. Temo che ci troviamo, con le dovute differenze di contesto, di fronte a una situazione simile a quella siriana.


Cosa intende?

La protesta che vediamo è composta da nuclei diversi e spesso non riconoscibili: noi non sappiamo bene chi siano le persone in piazza. Spesso le immagini parlano da sole però: ci sono persone che confezionano bombe molotov, milizie che appaiono organizzate e pronte a combattere.


Non è un movimento pacifico?

Sappiamo che nella protesta ci sono anche elementi del vecchio nazionalismo ucraino, che è anti-russo prima di tutto e che nella storia è emerso nel momento in cui ha goduto di un appoggio esterno. È successo così con l’occupazione tedesca durante la Seconda guerra mondiale e anche durante la Prima guerra mondiale. Questo per dire che c’è molto di “vecchio” in questa protesta. Poi, certo, ci sono anche i ceti popolari in piazza che pensano che l’Ucraina starebbe meglio nell’Unione Europea, però dobbiamo fare attenzione: il giorno in cui questa battaglia fosse vinta, chi prenderebbe il potere? Chi avrebbe il controllo della piazza? Quale componente si imporrebbe sulle altre?


L’Unione Europea non vede questo rischio?

L’Europa si è sentita personalmente coinvolta, forse anche per risentimento visto che stava per concludere un accordo [commerciale di libero scambio] che è saltato all’ultimo momento. Ma anche questo accordo non è interesse di tutti i paesi membri: l’Italia, ad esempio, non mi sembra si sia schierata e non è il solo paese. Chi ha più interessi in questa faccenda sono gli stessi che hanno molto caldeggiato la rivoluzione del 2004: Polonia, Svezia e Lituania, che non vogliono vedere l’Ucraina gravitare nell’orbita russa. Ma questo è molto difficile da ottenere per Kiev.



L’Ucraina infatti continua a stare nel limbo, visto che sino a oggi con la Russia non è arrivato nessun accordo determinante sul lungo periodo. La Bankova ha virato verso il Cremlino con la speranza fare cassa rapidamente, ma le richieste russe, dall’entrata nell’Unione doganale al controllo del sistema dei gasdotti (gts), se torneranno all’ordine del giorno dovranno eventualmente essere fatte digerire sia all’opposizione sia alla popolazione. Se nel passato decisioni analoghe hanno creato convulsioni solo a livello parlamentare, dopo le ultime grandi manifestazioni è probabile che scelte radicali provochino un nuovo scontro con l'elettorato europeista. Senza contare le frange più estremiste, che non sono state ancora disinnescate. Se le future scelte di campo non porteranno benefici   concreti per la gente comune, è possibile che il malcontento popolare si diffonda oltre le regioni occidentali, roccaforti dell’opposizione filoeuropea e antirussa, e dalla capitale Kiev si riversi verso i tradizionali feudi vicini a Mosca, dall’est al sud.
 In assenza di stravolgimenti sul modello della rivoluzione del 2004, è prevedibile che l’Ucraina entri in una fase di distacco dal contesto europeo occidentale, provocato e andato a beneficio sì della Russia, ma del quale è responsabile in parte la stessa Unione Europea. Finita l’emergenza, Bruxelles dovrà tentare di riprendere il dialogo a partire dal secondo semestre del 2014, che coincide con la presidenza italiana, ma se Yanukovich rimarrà alla Bankova sino alla scadenza naturale e probabile che rapporti costruttivi siano possibili solo con un altro presidente. Resta da vedere se la strada intrapresa dopo Vilnius sarà mantenuta o vi saranno deviazioni.