Venerdì mattina centinaia di uomini armati con uniformi simili a quelle dell’esercito russo – ma senza alcun altro segno distintivo – hanno preso il controllo dei due principali aeroporti della Crimea – repubblica autonoma meridionale dell’Ucraina a maggioranza russa – quello di Sebastopoli (militare) e quello di Simferopoli (civile). Il ministro degli Interni ucraino ad interim, Arsen Avakov, ha attribuito l’azione a forze militari russe, anche se rimangono molti dubbi sull’identità e appartenenza di queste milizie. Russia Today dice che gli uomini che hanno preso il controllo degli aeroporti sono vestiti e equipaggiati in modo simile alle milizie di autodifesa che ieri avevano occupato gli edifici del parlamento e del governo locale a Simferopoli, mentre la stessa Russia ha smentito qualsiasi coinvolgimento. Dopo diverse ore la situazione in Crimea è ancora molto confusa, anche se sembra che le autorità ucraine abbiano ripreso il controllo dei due aeroporti. Nuove manifestazioni pro-russe si sono tenute però a Simferopoli, di fronte alla sede del governo locale, e una colonna di blindati russi è stata fotografata mentre si muoveva in Crimea verso Sebastopoli.
(...) MOSCA NEGA COINVOLGIMENTO - Tuttavia la flotta russa sul Mar Nero, di stanza nella regione, ha negato che le proprie forze siano coinvolte nell’occupazione di almeno uno dei due scali (quello di Belbek) secondo quanto riferito dall’agenzia Interfax. E un uomo che sostiene di aver aiutato il gruppo armato nell’altro scalo ha definito gli assalitori come gente della «Milizia popolare della Crimea».
L’IRA DI KIEV- L’aeroporto di Sinferopoli, scrive Avakov, «è bloccato da reparti militari della flotta russa». «All’interno dell’aeroporto - prosegue - si trovano i militari e le guardie di frontiera ucraini. Fuori ci sono militari in divisa mimetica con armi e senza distintivi, che non nascondono la propria appartenenza». «L’aeroporto - aggiunge - non funziona. Sul perimetro esterno ci sono i posti di controllo del ministero degli interni ucraino. Non ci sono ancora scontri armati».(...)
(...) Ma il problema principale, quello che fa addirittura temere che le tensioni possano sfociare in un conflitto militare, ha a che vedere con la profonda divisione del Paese. Finora si era parlato soprattutto della spaccatura fra un Est russofono e un Ovest fortemente caratterizzato dalla cultura e dalla lingue ucraine, ma oggi la crisi trova il suo punto più delicato in Crimea. La Crimea, storicamente russa, passò all’Ucraina nel 1954 solo a seguito della decisione demagogica di Khrusciov. Oggi la maggioranza russofona – e russofila - della popolazione teme che gli eventi di Kiev, con il prevalere dei nazionalisti ucraini, abbiano rotto a loro sfavore il delicato equilibrio su cui si basava la convivenza. E in effetti una delle prime decisioni del nuovo vertice politico nella capitale è stata quella di togliere al russo il precedente status paritario di lingua ufficiale. A Simferopoli, capoluogo della Crimea, gli attivisti russi sono passati all’azione, occupando il Parlamento regionale e issando sull’edificio la bandiera russa in sostituzione di quella ucraina.
Di fronte al vasto dispiego di unità militari russe ai confini, i vertici politici sia americani che europei fanno sfoggio di cautela e di nervi saldi, partendo evidentemente dal presupposto che Mosca pagherebbe un prezzo troppo alto se decidesse di trasformare l’esercitazione militare in un’invasione. Probabilmente la vera intenzione russa è solo quella di lanciare un pesante ammonimento ai governanti ucraini: (...)
Pochi giorni fa si poteva leggere, sul New York Times, l’esortazione di un accademico polacco ad Europa e Stati Uniti a mettere in atto, lasciando da parte eccessive prudenze, «uno sforzo congiunto per includere l’Ucraina nel campo occidentale». E’ proprio questo l’incubo principale di Vladimir Putin, tanto più se si pensa che questa inclusione potrebbe, in prospettiva, prendere forma non tanto in un improbabile ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea quanto piuttosto nella Nato.
Gli ucraini, soprattutto i giovani, che hanno rovesciato Yanukovich sventolavano le bandiere dell’Europa, ma le loro aspettative non hanno alcuna base nella realtà, e sarebbe eticamente giusto per noi europei non essere prodighi più di illusioni che di effettivo sostegno. L’adesione all’Unione Europea non solo non è per domani, ma nemmeno per dopodomani, e per quanto riguarda la drammatica situazione economica del Paese, non si vede come l’Europa possa - in un momento di non superata crisi interna - far fronte all’urgente necessità di aiuti finanziari che sono stati quantificati in 35 miliardi di dollari su due anni. Paradossalmente non sembra esservi un futuro sostenibile, per l’Ucraina, che escluda un sostanziale rapporto con la Russia in campo finanziario, commerciale e soprattutto in tema di forniture energetiche. Quando si parla infatti della possibilità di un intervento del Fondo Monetario Internazionale in aiuto all’Ucraina non si può dimenticare che l’aiuto del Fmi verrebbe corredato di condizionalità che, si sa, includerebbero l’abrogazione del «prezzo politico» dell’energia, oggi inferiore a quello che l’Ucraina paga per il suo acquisto dalla Russia. Una prospettiva che i nuovi governanti di Kiev non potrebbero facilmente gestire, con un’opinione pubblica convinta che, con la cacciata del tiranno filorusso, non solo la libertà, ma anche il benessere, siano a portata di mano.
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