Segnalo in questo post alcuni articoli che tentano di analizzare da un lato la politica economica delineata nelle prime uscite pubbliche del Presidente del Consiglio o di altri esponenti del Governo, e dall'altra tentano di interpretare la strategia più complessiva dell'attuale inquilino di Palazzo Chigi.
La lettura combinata dei vari articoli purtroppo non aiuta l'ottimismo, a mio avviso (anche se un paio danno interessanti suggerimenti).
Il mio grado di condivisione dell'attuale impostazione politica del Pd e del suo segretario è uguale a zero, o forse veleggia verso numeri negativi. Quindi probabilmente non fa meraviglia se dico che personalmente sono molto preoccupato; ma a prescindere dalla mia opinione, il problema è che molti osservatori rimangono perplessi dall'approccio complessivo che si sta dipanando in questi giorni (e questo mi pare accada anche fra coloro che hanno guardato senza pregiudizi - o con simpatia - al tentativo del sindaco di Firenze).
Forse nella figura "leaderistica" - e un po' populista - di questo Presidente del Consiglio l'italia ritrova la periodica tentazione di credere nel "seducente" obiettivo del "primato della politica". Tale espressione - che affascina perché sembra voler riportare "ordine" nelle dinamiche sregolate dell'economia - purtroppo il più delle volte è semplice copertura di poche idee e poca concretezza, surrogate da "volontarismo" e "velocità".
L'uscita dalla crisi non può avvenire per improvvisazioni. Il cammino sarà lungo, e le scorciatoie e le furbizie (correre alle elezioni dicendo che questo Parlamento non lo lascia lavorare, per esempio?) non funzioneranno, o faranno danni.
Spero di essere eccessivamente pessimista e di sbagliarmi.
Francesco Maria
***
Dal punto di osservazione del Sole 24 Ore ascoltare il discorso di Matteo Renzi è un po' una sofferenza. Ti impone, infatti, un duro sforzo per cercare di andare oltre la patina di genericità e individuare le proposte di merito. Una gran fatica per chi è abituato a giudicare sulla base dei numeri e della concretezza. E alla fine un senso di delusione resta: perché nello sfrontato monologo di Renzi le buone proposte non mancano, ma sono declinate attraverso molte semplificazioni e senza la dovuta attenzione (anche nella replica in tarda serata) alla responsabilità di indicare le necessarie, e cospicue, coperture finanziarie. (...)
Bene anche l'allargamento delle garanzie al credito per le Pmi, così come il piano per l'edilizia scolastica. Anche qui interventi da «miliardi» e mancanza di dettagli. E di verità: perché le modifiche al patto di stabilità interno non sono a costo zero. E se fino ad oggi sono state fatte con grande prudenza non è per illogica follia ma perché la lente dell'Unione europea su questo è molto attenta. (...)
Forse – parafrasando il film di Richard Brooks – «è lo stile di Renzi bellezza, e tu non puoi farci niente». Ma il salto dallo straordinario coagulatore di consensi delle primarie a un presidente del Consiglio che illustra in Parlamento con concretezza e credibilità il suo programma di governo, Renzi non lo ha ancora fatto. L'auspicio è che al di là di una retorica attenta al consenso, i piani operativi per attuare le misure annunciate siano già in fase avanzata. Una speranza, perché questa potrebbe davvero essere l'ultima chance.
di Fabrizio Forquet - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/WKP1H
Intervistato a Palazzo Chigi da Giovanni Floris per Ballarò, Renzi ha spiegato tutte le sue ideone per cambiare verso al Paese.Come ampiamente sospettato, sulle coperture lo studente Renzi non ha studiato, e spesso si trova disattento. “Entro un mese” avremo i dettagli, promette Renzi, ma intanto enumera le potenziali coperture, e le individua nella ormai salvifica spending review di Carlo Cottarelli e (udite udite) nel ritorno dei mitologici capitali italiani dalla Svizzera, in quella che appare una botta di sano berlusconismo. Inutilmente Floris, col suo sorrisetto permanente, tenta di ricordargli che quella non sarebbe una copertura “strutturale” ma una tantum, e che già altri in passato hanno tentato, senza successo. Renzi è già lontano, e risponde con un bel ghe pensi mi da Silvio dei giorni migliori: “Quella se la son giocata tutti, ma non l’ha fatta nessuno”.(...)
Poi Renzi parla del ruolo dell’altra pentola d’oro in fondo all’arcobaleno, la Cassa Depositi e Prestiti. E sono subito fuochi d’artificio: «La Cassa Depositi e Prestiti ci può aiutare a fare quello che ha fatto la Spagna, per circa 60 miliardi di euro, con un effetto benefico immediato. Aiuterà con i fondi per lotta al credit crunch, e in 15 giorni permetterà di sbloccare i 60 miliardi che sono bloccati per i debiti della P.A.».
Ora, questo è ovviamente impossibile, ma la cosa più interessante è che Renzi deve aver creduto alla fiaba che in Spagna non solo la rana gracida in campagna ma pure che gli asini volano, e quindi ha già inforcato felice il suo costumino con le ali. Non esiste alcuno “shock prodotto dalla Spagna sulla liquidità”, sarebbe interessante capire da dove Renzi ha preso questa botta di provincialismo magico, che fa il perfetto paio con “le spese per la sanità sono tutte online in Regno Unito” e “In Italia le rendite finanziarie hanno la tassazione più bassa che nel resto d’Europa”. E non è vero, basterebbe verificare.(...)
Articolo analogo su http://phastidio.net/2014/ 02/26/le-rendite-pure-con- scappellamento-a-destra-come- se-fosse-cdp/?utm_source=dlvr. it&utm_medium=twitter (dove potete trovare l'intervista del Presidente del Consiglio a Ballarò)
Lo scenario chiaroscurale sull’Italia rischia di avere un effetto particolare. Considerato che gli esponenti del neonato governo di Matteo Renzi hanno più volte rimarcato l’urgenza di andare oltre il vincolo del 3% del deficit per alimentare gli investimenti sull’Italia, ora non ci sono più scuse. Lo 0,4% di margine prima di arrivare al limite si può tradurre in poco più di 6,4 miliardi in investimenti. Una cifra che non è proprio irrisoria, specie in questo periodo, ma che in teoria non può essere utilizzata vista la regola sul pareggio strutturale. il rischio che corre il Paese è però quello di lasciarsi prendere dall’entusiasmo e sforare il tetto, o perlomeno arrivare vicini a farlo. Compiere una mossa del genere, senza portare a compimento le riforme strutturali promesse, potrebbe far scivolare il governo Renzi nelle sabbie mobili.
È la proposta lanciata dalla Fondazione Astrid presieduta da Franco Bassanini, numero uno dell’ente di via Goito, e dall’economista Marcello Messori: usare la Cdp – soggetto per Eurostat fuori dal perimetro del debito pubblico – per ristrutturare i debiti delle Pa nei confronti delle banche (che a quel punto potrebbero scontarli), con la garanzia sussidiaria dello Stato. Coinvolgere la Cdp in questo ambito, va detto, non è una novità nell’entourage del rottamatore: «Invece di destinare i soldi dei depositanti in incerti progetti di politica industriale, la Cdp dovrebbe impegnarsi a fare quello che lo Stato non riesce a fare: pagare i suoi debiti alle imprese, a partire dai crediti Iva» ha scritto sul Sole 24 Ore Luigi Zingales, già ospite della Leopolda nel 2011 e, almeno in passato, ispiratore del leader Pd.
Si potrebbe complessivamente arrivare a 50-70 miliardi di euro da spendere subito che potrebbero far quasi raddoppiare il bassissimo tasso di crescita stimato dall’Unione Europea per l’economia italiana nel 2014. Non si tratta di cosa facile, ma ci si può provare, soprattutto se si utilizzano queste risorse per rimborsare debiti delle amministrazioni pubbliche con le imprese fornitrici e per ridurre il cuneo fiscale anche se sarà difficile arrivare subito alla riduzione a «due cifre» promessa da Renzi. Del resto, le stime europee sulla crescita italiana sono state sicuramente redatte prima della nascita del nuovo governo e quindi ipotizzano semplicemente la continuazione delle tendenze attuali mentre l’obbiettivo del governo è precisamente quello di ribaltare tali tendenze.
"(...) Perché – è vero – quando sentiamo il primo ministro e i suoi (nostri) coetanei che hanno preso il potere in questi giorni, restiamo a volte perplessi, a volte sbigottiti. Spesso, molto spesso, ci rileggiamo in pieno nelle bastonature un po’ compiaciute ma puntuali della generazione dei rottamandi. Spesso sentiamo che non c’è la cultura politica che abbiamo imparato a ritenere fondamentale, e non troviamo il peso specifico, la padronanza dei numeri e delle relazioni che servono per metterci la faccia in Italia, ma soprattutto in Europa. Vediamo, e ci spaventiamo a quel che vediamo, un’improvvisazione che spaventa, e che difficilmente fa sentire tranquilli rispetto ai mostri che dobbiamo vincere: una burocrazia impossibile, un fisco invecchiato e nemico di rischia e produce, uno welfare che non sa più rispondere alle esigenze di oggi, un sistema scolastico da rifondare, e così via. Non cose da poco. Cose da cambiare, radicalmente, e per cambiare le quali servono competenze precise, un rapporto forte ma non supino con gli apparati dello stato, una rappresentanza di interessi ampia quanto basta per vincere gli ampi controinteressi.(...)"
(...) Insomma, più cerchiamo di comprendere qual è la strategia del sindaco e più ci rendiamo conto che Renzi non è pazzo ma un abile calcolatore. Anzi, un giocatore d’azzardo che fino all’ultimo è abituato a non scoprire le proprie carte. In tutti questi mesi in fondo si è comportato così, ossia ha sempre dichiarato una cosa per poi farne un’altra. È successo con le primarie (ricordate, aveva giurato e spergiurato che non avrebbe mai fatto il segretario del Pd), è capitato con il governo (fino a meno di un mese fa assicurava in tv che non avrebbe soffiato il posto a Letta), probabilmente si ripeterà ora.
Renzi è giovane e un po’ guascone, tuttavia non può non rendersi conto che se non fa qualcosa di concreto, la sua credibilità diminuirà rapidamente e lo stesso accadrà alla sua popolarità. Dunque? La sensazione è che anche adesso che è giunto a Palazzo Chigi l’ex sindaco non abbia sospeso la sua personale campagna elettorale. Cominciata con la sfida delle primarie - le prime, quelle contro Bersani - Renzi ha continuato senza fermarsi mai e neppure la conquista della segreteria del Pd lo ha indotto allo stop. Lunedì e ieri, al Senato e alla Camera, il nuovo presidente del Consiglio non ha presentato il suo programma, ma ha tenuto un comizio. La campagna elettorale proseguirà nei prossimi giorni, quando il premier itinerante inizierà a visitare le scuole, a partire da quelle di Treviso. Renzi che telefona ai marò e alla donna sfregiata dall’ex fidanzato, Renzi che imita Papa Francesco e scende fra la gente, si fa fare le fotografie e tra poco berrà dalle bottigliette che la gente gli offre, fa tutto parte dello stesso disegno. Della stessa campagna elettorale. Perché il neo premier sa che non ce la farà. Anzi sa che non ce la può fare con un Pd che non controlla. Un Pd che sotto i suoi occhi applaude Letta, il premier che lui ha licenziato.
Sì, Renzi pur negandolo (le sue smentite non fanno testo) ha pronta l’uscita di sicurezza, ovvero le elezioni. Proverà a far qualcosa, poi dirà che non gliela lasciano fare e quindi ci porterà a votare. In fondo ha solo 39 anni. E per governare c’è tempo.
(...) Se poi le riforme segnassero il passo o si affacciassero difficoltà crescenti, Renzi può giocare la carta del voto politico anticipato. Il suo calcolo è che comunque lo farebbe da presidente del Consiglio. A quel punto la coabitazione tra l’identità di premier del Parlamento e quella di presidente anti-Palazzo non avrebbe più ragione di continuare. Renzi potrebbe togliersi i panni istituzionali e indossare gli altri, più congeniali, da politico che parla all’opinione pubblica; e che chiede voti contro chi non lo ha fatto governare come voleva. È un gioco molto azzardato, ma anche ieri il presidente del Consiglio ha rivendicato quasi il dovere di rimettere in discussione tutto. D’altronde, l’azzardo gli piace, e finora gli è andata bene: basta che vada bene anche all’Italia.
(...) Non è antiparlamentare, Renzi. Però è anti questo parlamento. E ne viene ricambiato, dai senatori che vuole licenziare e dai deputati il cui feeling istintivo è con Bersani, e perfino con Letta nonostante ne siano stati duri critici e, per la parte Pd, i veri carnefici.
La dinamica politica non concede all’ex segretario e all’ex premier alcuna ravvicinata possibilità di rivincita. Renzi rimarrà il dominus della situazione, il controllo del Pd da parte sua è fuori discussione. Ma oggi è chiaro che la famosa «sfrenata ambizione» può dispiegarsi davvero solo con altri equilibri, altri rapporti di forza, in un altro contesto, in definitiva con un altro parlamento.
Nessun commento:
Posta un commento