(...) Scelte monetarie coraggiose (americane, ma anche europee) hanno impedito che la grande recessione diventasse una grande depressione. Adesso, però, si vede che le banche centrali da sole non riescono ad avviare un nuovo ciclo di sviluppo. Quanto alle politiche fiscali, sono alla frutta. Se è così, ci aspetta un futuro dominato da spinte negative: popolazione in calo, aspettative crescenti e risorse calanti, mancanza di un acceleratore della forza e pervasività dell’elettronica, e soprattutto di un paradigma forte come la rivoluzione liberista che ha risposto al cambiamento dei termini di scambio provocato dall’aumento improvviso e fortissimo del petrolio e delle materie prime. Teoria e prassi allora si mossero all’unisono, in questo modo ebbero un ruolo importante, anzi determinante. Oggi non è così anche se la forza delle cose riporta in auge la mano pubblica come alternativa ai fallimenti della mano invisibile del mercato.
Il ritorno dello stato, in realtà, non appare un passo avanti, ma semmai due passi indietro ed è tutto giocato sul breve periodo; nessuno può più pensare che un governo possa gestire l’automobile, l’acciaio, le telecomunicazioni. Tanto meno nell’era web. Internet è il moderno monumento alla libertà individuale e al mercato. (...)
Il driver, dunque, non può essere il governo. Anche perché non è possibile fare il keynesismo in un solo paese: era vero quando c’erano le frontiere nazionali è ancor più vero oggi. Lo sanno anche i keynesiani i quali, infatti, chiedono qualche forma di controllo sui capitali o di tassazione alle attività finanziarie. Con il rischio di un grave effetto boomerang: il libero scambio delle merci e dei capitali è sempre stato (fin dall’Ottocento) la chiave della crescita mondiale e il ristagno odierno s’accompagna a un inaridirsi delle fonti di finanziamento e degli investimenti. Il flusso tra le economie del G20 era pari al 20% del prodotto totale nel 2007, con la recessione è sceso al 4,3%. Paul Krugman (economista e premio Nobel, ndr) sostiene che il limite delle attuali politiche di deficit spending è che non si è speso abbastanza, i nuovi keynesiani, in altre parole, non sono puri e duri come i vecchi. Eppure, è chiaro che ormai nemmeno il governo degli Stati Uniti il quale tradizionalmente ha sempre avuto minori vincoli esterni, può spendere e spandere quanto vuole. Il signoraggio del dollaro come lo chiamava il generale de Gaulle s'è ridotto. Persino negli anni del boom il mercato non riusciva a finanziare i consumi e gli investimenti degli americani i quali si sono messi nelle mani dei cinesi; figuriamoci adesso. E anche se ci fosse un governo mondiale, non sarebbe mai in grado di controllare il gran gioco dello scambio, come lo chiamava Fernand Braudel. E per fortuna.(...)
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