Eppure in questi ultimi anni abbiamo assistito a una intensificazione del lavoro sulla Memoria e da molti questa è considerata la migliore prevenzione perché non tornino gli errori del passato.
Credo che le sollecitazioni che arrivano in campo ebraico in questa occasione dovrebbero essere riconsiderate meglio. Siamo chiamati a salire alla ribalta. Ci dedicano uno spazio, talvolta anche significativo. Ma torniamo ai motivi ispiratori del Giorno della Memoria. Il 27 gennaio fu il giorno in cui furono aperti i cancelli di Auschwitz. Il momento in cui gli altri videro la realtà della persecuzione e dello sterminio. È la memoria vista dall’esterno, non dall’interno della storia di sofferenza dei perseguitati. E così dovrebbe restare uno spazio per far crescere la consapevolezza delle popolazioni europee, per aiutare l’Europa a fare i conti con il passato. Non è roba nostra, non è un problema nostro e nessuno ci fa una cortesia. Non è uno spazio di conoscenza della cultura ebraica. E non possiamo essere noi i protagonisti di questo processo di recupero della memoria.
E questo equivoco comporta dei rischi?
L’assuefazione alla memoria di comodo, alla celebrazione della memoria, non è solo deteriore, ma anche pericolosa. Perché pone il problema al di fuori del campo dove deve trovarsi e finisce per deresponsabilizzare chi crede di fare in una giornata i conti con il problema della memoria e dell’identità dell’Europa.
La soluzione quale sarebbe?
Non ho una risposta. Ma credo che in quanto ebrei dovremmo riflettere sulla possibilità di fare un passo indietro. Di spiegare alla società che la Memoria deve essere un suo patrimonio e una sua conquista, non un momento di omaggio e di riconoscenza per rendere noi protagonisti. Dovremmo aiutare gli italiani a riappropriarsene. Più si rende in questa occasione omaggio alla cultura ebraica e meno si capisce il problema proprio e la memoria propria. Il mito degli italiani brava gente, certo fondato sul reale coraggio dimostrato da alcuni, ma contraddetto da molti altri provvedimenti e azioni di cui l’Italia porta la responsabilità, è per esempio molto cresciuto da quando il Giorno della Memoria è stato istituito. Così facendo non cresce la coscienza civile, e proprio per questo dovremmo credo chiamarci fuori.
Come vede oggi quello che accade in questa stagione?
Siamo nel pieno di un fenomeno ipercelebrativo che non favorisce una crescita, non accresce per la popolazione italiana la capacità di fare i conti con il passato. E questo obbedisce alle norme di una società dove conta solo l’evento e tutto, dal contenuto dei giornali alle uscite in libreria, deve obbedire alla logica dell’evento. Il mercato editoriale passa direttamente dalla stagione delle strenne di dicembre alla stagione della memoria.
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