(...) Su un punto, tuttavia, sembra esserci una sostanziale convergenza di vedute: il Fiscal Compact - sottoscritto nel 2012 dal governo Monti - deve essere rivisto, se non addirittura abolito come proposto da Beppe Grillo. Le nuove regole sono considerate un ostacolo alla crescita economica. A cominciare da quella sul debito (articolo 4) che impegna i 25 paesi firmatari (il Regno Unito e Repubblica Ceca non hanno aderito) a ridurre il proprio debito di un ventesimo per la parte eccedente la soglia del 60 per cento del Pil. Ciò comporterebbe per l’Italia un taglio di 45-50 miliardi l’anno, per un totale di circa 900 miliardi di euro nell’arco dei prossimi venti anni.
Se queste sono le cifre, verrebbe da pensare che chi ha firmato il Fiscal Compact fosse in preda alla follia. In realtà, non è così. E, infatti, una lettura attenta del Trattato mostra che il taglio del debito richiesto all’Italia non ammonta a 50 miliardi l’anno, bensì ad un massimo di 7 miliardi, da effettuare una tantum. Vediamo il perché.
Per valutare l’osservanza della norma, non si deve solo considerare la riduzione di un ventesimo - nella media del triennio precedente - del debito effettivo (criterio cosiddetto backward looking). Si può tener conto anche del ciclo economico (criterio del ciclo) e/o dell’andamento del debito previsto nei due anni successivi all’applicazione della regola (criterio forward looking). In sostanza, la regola del debito richiede i rispetto di almeno uno dei suddetti tre criteri.
Chiarito questo punto, veniamo al caso italiano. In base alle previsioni contenute nella Nota di aggiornamento del Documento economico e finanziario - pubblicata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze lo scorso ottobre -, sia il criterio del ciclo sia quello forward looking sono pienamente rispettati. Chi è al governo - o chi lo era nel mese di ottobre -, non ha quindi ragioni per preoccuparsi.(...)
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