Attualmente, in Arabia Saudita vivono più di 27 milioni di persone, di cui il 52 per cento sono donne che vivono sotto tutela. Non possono nemmeno studiare se non hanno il consenso dei “mahrams” (padri, fratelli o parenti uomini che hanno il compito di vigilare sulle donne): la sharia, la legge islamica che ispira la giurisprudenza, impone alle donne la segregazione in casa. Molte famiglie ritengono inopportuna l'emancipazione delle donne e non permettono loro di lavorare. Da quelle parti, la grande paura è quella dell’ “ikhtilat”: la mescolanza dei sessi in pubblico.
Di prassi, la vita delle donne saudite è divisa da quella degli uomini: scuole, cure mediche e persino le file nelle banche sono rigorosamente separate. Il risultato di questa convenzione sociale è l'inettitudine delle donne alle interazioni con gli estranei, soprattutto se uomini.
Così, per avviare il processo di “femminilizzazione” della società saudita, le donne hanno avuto bisogno di frequentare dei corsi per abituarsi ai più semplici contatti. Hanno dovuto apprendere persino come sorridere: sorriso ampio alle donne, discreto agli uomini.(...)
Il processo di “femminilizzazione” della società saudita è partito da una serie di proteste di donne stanche dell'imbarazzo di comprare oggetti così legati alla sfera intima da commessi uomini poco sensibili e a volte scortesi. Così, mentre altrove fiorivano le rivoluzioni arabe, nel giugno 2011 il re Abdullah firmò una legge ad hoc. Da quel momento l'intimo, i trucchi e gli abiti da donna potevano esser venduti solo da commesse donne.
Da subito questo cambiamento è stato giudicato un «crimine» dalla somma autorità religiosa saudita, il Gran Mufti Abdul Aziz Aal ash-Shaikh. Lo scorso settembre, il ministro del lavoro saudita Adel Fakeih ha accusato l'Haia, la polizia religiosa incaricata di vigilare sull'attuazione della sharia, di non rispettare quanto stabilito dalla legge sulla “femminilizzazione”.(...)
(...) Con quanto previsto dal decreto sulla “femminilizzazione”, nonostante le difficoltà, molte donne hanno potuto sentirsi più libere. Anche tra le mura domestiche. Molte hanno raccontato di esser trattate meglio dai mariti e, spesso, durante le litiquotidiane, l'indipendenza economica è stata un'arma che le ha aiutate a rivendicare i propri diritti.
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