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domenica 19 gennaio 2014

Il nuovo mostro globale si chiama stag-deflazione (da Linkiesta.it)

(...) Scelte monetarie coraggiose (americane, ma anche europee) hanno impedito che la grande recessione diventasse una grande depressione. Adesso, però, si vede che le banche centrali da sole non riescono ad avviare un nuovo ciclo di sviluppo. Quanto alle politiche fiscali, sono alla frutta. Se è così, ci aspetta un futuro dominato da spinte negative: popolazione in calo, aspettative crescenti e risorse calanti, mancanza di un acceleratore della forza e pervasività dell’elettronica, e soprattutto di un paradigma forte come la rivoluzione liberista che ha risposto al cambiamento dei termini di scambio provocato dall’aumento improvviso e fortissimo del petrolio e delle materie prime. Teoria e prassi allora si mossero all’unisono, in questo modo ebbero un ruolo importante, anzi determinante. Oggi non è così anche se la forza delle cose riporta in auge la mano pubblica come alternativa ai fallimenti della mano invisibile del mercato.
Il ritorno dello stato, in realtà, non appare un passo avanti, ma semmai due passi indietro ed è tutto giocato sul breve periodo; nessuno può più pensare che un governo possa gestire l’automobile, l’acciaio, le telecomunicazioni. Tanto meno nell’era web. Internet è il moderno monumento alla libertà individuale e al mercato. (...) 

Il driver, dunque, non può essere il governo. Anche perché non è possibile fare il keynesismo in un solo paese: era vero quando c’erano le frontiere nazionali è ancor più vero oggi. Lo sanno anche i keynesiani i quali, infatti, chiedono qualche forma di controllo sui capitali o di tassazione alle attività finanziarie. Con il rischio di un grave effetto boomerang: il libero scambio delle merci e dei capitali è sempre stato (fin dall’Ottocento) la chiave della crescita mondiale e il ristagno odierno s’accompagna a un inaridirsi delle fonti di finanziamento e degli investimenti. Il flusso tra le economie del G20 era pari al 20% del prodotto totale nel 2007, con la recessione è sceso al 4,3%. Paul Krugman (economista e premio Nobel, ndr) sostiene che il limite delle attuali politiche di deficit spending è che non si è speso abbastanza, i nuovi keynesiani, in altre parole, non sono puri e duri come i vecchi. Eppure, è chiaro che ormai nemmeno il governo degli Stati Uniti il quale tradizionalmente ha sempre avuto minori vincoli esterni, può spendere e spandere quanto vuole. Il signoraggio del dollaro come lo chiamava il generale de Gaulle s'è ridotto. Persino negli anni del boom il mercato non riusciva a finanziare i consumi e gli investimenti degli americani i quali si sono messi nelle mani dei cinesi; figuriamoci adesso. E anche se ci fosse un governo mondiale, non sarebbe mai in grado di controllare il gran gioco dello scambio, come lo chiamava Fernand Braudel. E per fortuna.(...)

mercoledì 1 febbraio 2012

Eresie ed Esorcismi (da FULM.org - recensione di un testo di Paolo Savona)


(...)Perché nazionalizzare la produzione di energia elettrica in quelle modalità è stata un eresia? Savona lo spiega dicendo che “Il risultato fu, dal lato del capitale, un’ingente fuga di risorse finanziarie, il crollo dei valori di Borsa e la caduta degli investimenti; e, dal lato del lavoro, il raggiungimento di un riconoscimento dei suoi diritti fuori tempo e fuori misura: sfociò infatti in un innalzamento del suo costo per unità di prodotto quando i margini di profitto erano già calanti”. In altre parole, quella modalità della politica economica fu un eresia perché generò un doppio effetto negativo: il capitalismo perdeva risorse finanziarie che espatriavano mentre i lavoratori guadagnavano reddito e diritti insostenibili nel medio termine, perdendo essi stessi la possibilità di avere un miglioramento duraturo delle proprie condizioni.

Perdeva la società italiana, insomma , e si avviava la spirale che avrebbe condotto alla fine del miracolo economico ed al tracollo della prima Repubblica sotto la pressione di “Mani pulite”. Meglio i liberisti, come Einaudi e De Gasperi, che traghettarono dalla sconfitta militare al miracolo economico il paese, che il mancato appuntamento con politiche liberali in cui si risolse il centrosinistra e la sua ambizione per il cambiamento. In ogni conflitto potenziale ci sono tre esiti: ottenere un vantaggio per entrambi i contendenti; vincere sottraendo risorse all’altro; perdere entrambi.

L’Italia, con le sue molte eresie si è collocata sempre sul terzo esito. “Il problema della crisi dell’Italia sta tutto qui – scrive Savona alla pagina 44 del suo libro – grandi dissertazioni su ciò che si deve fare, quando la frittata è fatta. Mai quando le uova sono ancora intatte”. Una entropia crescente ed inarrestabile, si direbbe nel lessico della termodinamica. Così facendo abbiamo liquidato a prezzi stracciati istituzioni, ormai malandate, come le partecipazioni statali e l’IRI: mentre ne avremmo avuto bisogno nel gioco della geopolitica, essendo quelle istituzioni – nate negli anni di Beneduce e Menichella – potenzialmente fondi sovrani, come quelli che oggi supportano la crescita dei paesi emergenti sulla scena del mercato globale. Il lettore potrà attraversare la relazione tra eresie ed esorcismi ed arrivare alle quattro scelte giuste leggendo un libro di cento pagine: essenziale e molto diretto.
Le scelte giuste sono principi di riferimento, come abbiamo già detto.

La creazione di una Camera Alta, un governo dei saggi, sulla intuizione di Hayek. Un ritorno all’ordoliberismo della Scuola di Friburgo, facendo agire sia la convivenza civile che la concorrenza globale, insieme, come le lame delle forbici, per fare sviluppare un regime di equità. Chiedere ed ottenere un accordo sulla riforma del Fondo Monetario Internazionale e sul WTO come pilastri, entrambi necessari, dell’equilibrio economico internazionale. Chiedere ed ottenere la trasformazione dell’Europa in una entità politica; la nascita di una politica fiscale comune; la trasformazione della BCE in una banca centrale, che sia anche un lender of last resort; la piena liberalizzazione, per persone, capitali, beni e servizi, del mercato europeo. In questo modo avremo una eurozona fondata e governata da un patto democratico tra i paesi membri dell’Unione Europea anche se non presenta, quella eurozona, i tratti di un’area valutaria ottimale.(...)