Se gli eventi che portarono alla nascita della rivoluzione stupirono gli storici, la sua evoluzione rientrò in schemi più oliati, con un Terrore a seguire la caotica e “creativa” fase iniziale. Sorprendentemente, la repressione rivoluzionaria provocò più morti di quella di Mohammad Reza Pahlavi. Khomeini contò 60 mila persone uccise dallo Shah, e ancora adesso nel preambolo della costituzione islamica si parla di “decine di migliaia di morti”. Ma Emadeddin Baghi, intellettuale di spicco e rivoluzionario della prima ora(che ha passato buona parte degli ultimi anni in galera) ha ricostruito, attraverso documenti ufficiali, un numero più basso: 3164. Mentre le vittime delle purghe rivoluzionarie sarebbero diverse centinaia dopo la presa del potere e circa 8 mila tra il 1981 e il 1985, in piena guerra con l’Iraq, e negli anni successivi. La disgrazia del successore designato di Khomeini, l’ayatollah Montazeri, morto nel 2009, sarebbe stata provocata proprio dalle sue critiche alla durezza della repressione islamica: nel 1989 si era opposto al massacro degli oppositori in prigione, 2500 persone uccise in poche settimane.
In un paese diviso in molte nazionalità di cui quella persiana è soltanto una, Khomeini cercò di dare al paese un’identità esclusivamente islamica, imponendo allo stato un ingombrante profilo ideologico. Nonostante ciò il nazionalismo persiano è tornato in tempi recenti ad emergere anche in ambienti considerati conservatori, come l’entourage dell’ex presidente Ahmadinejad.
La miglior eredità della rivoluzione del 1979 resta la Costituzione che racchiude in sé un raffinato meccanismo di pesi e contrappesi. Un bilanciamento di poteri che però, si è visto negli ultimi anni, è spesso rimasto sulla carta, scavalcato da una gestione autoritaria del potere. La costituzione iraniana contiene infatti molti elementi “progressisti”, retaggio della sua componente marxista, molto attiva nel 1979. “La sinistra - spiega l’analista politica irano-americana Shereen T. Hunter - voleva un sistema socialista con un sottile rivestimento islamico, invece ottenne un sistema islamico con un sottile rivestimento di sinistra”.
Le rivoluzioni, determinate a sciogliere ogni differenza nell’ideologia che le informa, finiscono immancabilmente per da vita a classi privilegiate, come mostra il fenomeno della burocrazia di stato nei “comunismi reali”. Nell’Iran di oggi questi agglomerati di potere che si sono ritagliati un posto di riguardo nella società e nell’economia sono le grandi istituzioni caritatevoli e soprattutto la Guardia Rivoluzionaria, i pasdaran, che hanno dato vita a una specie di stato nello stato, sul modello dei militari turchi prima dell’era Erdogan (ironicamente, i militari turchi erano un modello anche per la famiglia Pahlavi). Questa struttura, insieme con l’impatto devastante delle sanzioni, almeno dal 2006, rende l’economia del paese estremamente fragile e dipendente dal petrolio. Secondo la banca centrale iraniana, l’inflazione a gennaio era del 38,4 per cento. Su una popolazione di circa 80 milioni di persone, 15 milioni vivono sotto la soglia della povertà. In questo senso, certo anche a causa della forte pressione politica esterna, le promesse rivoluzionarie di condividere socialmente la ricchezza del petrolio, non sono state mantenute.
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