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venerdì 19 luglio 2019

Von der Leyen: “L'Europa dialoghi con la Russia ma da una posizione di forza” (laStampa)

Mi sembra intervista interessante, da molti punti di vista.

FMM

"(...) Dalla necessità di un “nuovo inizio” sul tema delle migrazioni alla volontà di «sfruttare meglio i margini offerti dalla flessibilità» per ciò che riguarda i criteri del patto di stabilità e di crescita, la presidente von der Leyen si annuncia come un’interlocutrice attenta alle preoccupazioni italiane. Non solo si oppone a qualsiasi forma di Ital-Exit, ma riconosce che «le differenze tra Sud e Nord dell’Europa, così come quelle tra Est e Ovest, vanno ricomposte evitando un’eccessiva emotività nel dibattito, che possa far sentire esclusi o respinti alcuni degli Stati membri».  Anche sul caso che ha contrapposto il vicepremier italiano Matteo Salvini a Carola Rackete si è mostrata attenta a pesare le parole: «In tutto il mondo il dovere è salvare le persone dall’angoscia di trovarsi in alto mare, ma questo non significa che tutti debbano venire in Europa».

Pur riconoscendo che su alcuni dossier non è ancora in grado di offrire soluzioni e proposte – prima su tutte la questione catalana, che «intende approfondire in tutti i suoi dettagli» – von der Leyen ha assicurato che ascolterà molto e cercherà un approccio comprensivo nella soluzione dei problemi. Vale anche per Brexit: «L’accordo non è morto, se ci sono buone ragioni che il governo britannico vuole offrire all’Ue per un’estensione dei suoi termini, sono pronta ad ascoltarle». Le maggiori cautele le ha espresse a proposito della Russia di Vladimir Putin: «La Russia è nostra vicina e resterà la nostra vicina – ha detto - ma l’esperienza degli ultimi anni ci dice che il Cremlino non perdona alcuna debolezza, quindi l’Europa deve essere disponibile al dialogo da una posizione di forza». Trasparenza e contrasto alle fake-news: «Questa è la forza dei paesi liberi con la stampa libera».

La versione integrale dell’intervista concessa dalla Presidente Ursula von der Leyen alla Stampa e ad altri quotidiani europei (The Guardian, Le Monde, Sueddeutsche Zeitung e La Vanguardia) sarà disponibile nell’edizione di domani, 20 luglio."

https://www.lastampa.it/esteri/2019/07/18/news/von-der-leyen-l-europa-dialoghi-con-la-russia-ma-da-una-posizione-di-forza-1.37105568

domenica 14 luglio 2019

Sovranisti fra Trump e Putin

Segnalo un articolo di Alberto Negri. Al di là del ragionamento complessivo (su alcuni punti sarebbe da approfondire) mi pare sia importante notare la sottolineatura che Trump e Putin in qualche modo possono "simpatizzare" fra loro.

Forse è su questa possibile linea di sintonia (che mi pare sia presente nell'amministrazione americana come ipotesi di lavoro in versione anti-cinese, quasi a "rovescio" della tattica kissingeriana usata contro l'URSS a suo tempo) che i sovranisti si illudono di poter giocare su più tavoli tranquillamente.

Non capendo che in realtà senza una politica estera definita e un solido ancoraggio alle alleanze, si diventa vittime delle spinte e controspinte dei due (o più) attori principali.
Rendendo in realtà l'Italia più insicura, al di là della retorica "prima noi".

FMM

L'articolo di Negri è leggibile sul post del profilo Facebook del giornalista:

Morrete come gli altri uomini

E comunque I Grandi Capi - dittatori o meno che siano - non sono mai immortali. Non lo è Putin, non lo è Xi Jinping, per dire i primi che mi vengono in mente. D'altronde non lo è nessuno di noi, potente o meno.
Non lo sono umanamente, e tanto meno politicamente. I piedi d'argilla sono di tutte le statue del potere, oggi ancor più di un tempo forse.
Per questo alcune analisi mi sembrano fragili. La storia dei "personaggi" è friabile, bisogna ascoltare l'acqua che scorre sotto terra, voce quasi silenziosa. Ma in realtà tante cose ci vengono già dette. Già oggi.

"(...) 5 Essi non conoscono né comprendono nulla;

camminano nelle tenebre;
tutte le fondamenta della terra sono smosse.
6 Io ho detto: "Voi siete dèi,
siete figli dell'Altissimo".
7 Eppure morrete come gli altri uomini
e cadrete come ogni altro potente».
8 Sorgi, o Dio, giudica la terra,
poiché tutte le nazioni ti appartengono"

(Salmo 82, o 81 a seconda della numerazione)

FMM

[nota pubblicata anche sul profilo personale FB; la versione del salmo è tratta dalla Nuova Riveduta http://www.laparola.net/testo.php?riferimento=salmo+82 ]

Se il sovranismo ci lascia indifesi (ilGiornale, A.Sallusti)

Non seguo molto Sallusti e ilGiornale, e quel poco che ho letto di suo - se ben ricordo - non mi è mai piaciuto. Finora. Mi sembra un interessante "segno dei tempi" che oggi mi trovi a condividere un suo articolo; perché il pericolo che corriamo in questo periodo è qui ben detto, in modo chiaro e sintetico. E non è una questione di corruzione (tutta da dimostrare, ed è questione che va lasciata alla magistratura e alle indagini), ma di una più evidente debolezza politica, a cui di fatto il cosddetto "sovranismo" rischia di condannarci. 

Indipendentemente da cosa si pensi di altre questioni politiche e dai diversi posizionamenti partitico-ideali, questa debolezza deve preoccuparci. 

Tutti.

FMM

"(...) Penso che stiamo sperimentando - ma è solo l'inizio - quanto sia pericoloso e stupido il sovranismo, per di più all'amatriciana come non può che essere quello italiano. Un Paese che non appartiene a nessuna alleanza, che non ha amici e avversari chiari, è destinato inevitabilmente a essere in balia degli interessi di tutti. Un gioco sporco e senza scrupoli, fatto di ricatti, misteri e intrighi che alla lunga non potranno che logorarci e tenerci costantemente in una sorta di limbo a tutto vantaggio dei vicini di casa. Con Putin ma anche con il suo rivale Trump; con Trump ma anche con la sua acerrima nemica Cina, alla quale abbiamo aperto la Via della seta; contro l'Europa ma anche con l'Europa quando si tratta di spartire le poltrone. (...)"

giovedì 16 maggio 2019

Guai economici, conflitti etnici, e spopolamento: la Russia fa più pena, che paura(Massimo Nava su Linkiesta)

Interessante Massimo Nava. Chissà se sul medio lungo periodo questo può portare a un cambio di politica e un avvicinamento alle ragioni "europee"
FMM

"(...) Nonostante l’apparente adesione ai movimenti populisti e xenofobi e a modelli nazionalisti la Russia di oggi vive in modo drammatico le stesse contraddizioni delle società europee che pretenderebbe di condizionare. E le soluzioni non sono molto diverse. Si chiamano welfare e immigrazione se il grande nemico è la demografia con i suoi alleati (stili di vita, emancipazione della donna, crisi economica). In Russia il flusso migratorio è fortemente controllato ma abbastanza incoraggiato per coprire servizi e lavori che i giovani russi non vogliono fare. Soprattutto in taxi, alberghi e ristoranti, basta osservare volti e tratti del personale. Gli abitanti in più della Russia futura saranno ucraini, uzbeki, moldavi e prima o poi cinesi."

domenica 22 novembre 2015

Combattere Ma Non Perdersi

Nota: il blog non è più aggiornato con continuità; riporto di seguito una riflessione condivisa con alcuni amici via mail riguardante i terribili attentati di Parigi del 13 novembre e scritta tre giorni dopo
FMM

***

Non devi giudicar le cose nel modo secondo il quale le giudica un uomo violento e malvagio o nel modo che costui vorrebbe che tu le giudicassi. Tu devi guardar le cose come sono, secondo verità.
(Marco Aurelio Antonino, Ricordi, Libro Quarto, 11)
 
***
 
Di seguito alcuni articoli e spunti di riflessione apparsi in questi giorni (Romano Prodi, Alberto Negri, Mario Monti, Enrico Letta, David Bidussa e altri). Nel richiamarli, aggiungo solo alcune mie brevi considerazioni:
 
1. Senza nulla togliere alla necessaria solidarietà atlantica ed europea, attenzione a non dimenticare pesi e responsabilità della stessa Francia nella gestione di alcune partite molto delicate. Si leggano le considerazioni di Massimo Nava, che ricorda alcuni errori di Parigi, in particolare dal punto di vista della politica estera (vd. Libia). Se dobbiamo muoverci uniti - e dobbiamo - è necessario che anche la Francia cambi atteggiamento nei confronti di tutti i suoi alleati;
 
2. Enrico Letta - che in questi giorni è stato una delle voci più nitide che si sono ascoltate - raccomanda l'integrazione della sicurezza a livello europeo. Su questo dobbiamo essere decisi e al tempo stesso molto attenti: abbiamo visto che i passaggi di sovranità sono lunghi e perigliosi; il passaggio all'euro è stato percepito - a torto (secondo me) o a ragione - come generatore di due gruppi di paesi, uno più forte economicamente, l'altro più in difficoltà. Questo tipo di percezione non può assolutamente verificarsi sul discorso sicurezza, per cui i passi devono essere fatti con molta attenzione, e condivisione piena. Sarebbe letale se ci accorgessimo che la condivisione delle procedure di sicurezza può diventare fattore di "vantaggio" di uno Stato rispetto ad un altro. Si possono condividere anche le informazioni più riservate? Forse, ma allora deve esserci attenzione massima in questi passaggi, e assoluta reciprocità;
 
3. Mario Monti in un bell'articolo segnala le debolezze di un'Europa che ha difficoltà a ragionare sulle necessità legate alle esigenze di sicurezza e scrive: "Ci si rende conto, sì, che sono sempre più essenziali beni pubblici, come appunto la sicurezza interna ed estera, un minimo di istruzione, una maggiore tutela ambientale, ed altri. In parte, certo, la fornitura di questi beni pubblici può avvenire anche con un’intelligente mobilitazione del settore privato. Ma in gran parte il ruolo dello Stato, in generale dei pubblici poteri, è essenziale." Oggi - guardando alle periferie di Parigi, ma anche alle nostre; guardando alla migrazione di masse sempre più ingenti, vien da pensare a un ruolo insostituibile della scuola (pubblica e privata, ma coordinata assieme) nel creare le condizioni di integrazione. Per questo è necessaria una riflessione non improvvisata sui programmi che le scuole pubbliche e private devono seguire; ed è forse il caso di tentare di rilanciare l'educazione civica, anche intesa come "educazione alla laicità", che dovrebbe prevedere momenti di scambio fra scuole, in modo che nessun allievo della Repubblica italiana - e dei futuri Stati Uniti d'Europa - rischi di rimanere legato a un solo tipo di formazione. Ed è altresì necessario pensare al modo di rendere il "panorama sociale" più integrato, il che vuol dire che nella nostra idea di società non può assolutamente mancare un welfare sostenibile e flessibile (quindi capace di esserci quando necessario, ma anche "retrattile" per evitare gli sprechi);
 
4. Giusto non cadere nella tentazione dello "scontro di civiltà", ma attenzione a non "annacquare" il fattore religioso e culturale, comunque decisivo in questo conflitto: su questo mi sembrano particolarmente importanti i contributi di Claudio Magris (ottimo) e Giovanni Fontana (con quest'ultimo sono meno pienamente in linea, ma la sua mi sembra riflessione importante da condividere).
 
Francesco Maria Mariotti
 
***
 
L'intervento di Romano Prodi a Che tempo che fa del 15 novembre (intorno al minuto 15 fino al minuto 34)
 
 
​Alberto Negri sul Sole24ore
 

"(...) Serve una coalizione globale, un’alleanza di civiltà, da quella occidentale a quella musulmana, per combattere l’Isis. Siamo chiamati a costituire una coalizione militare e di intelligence questa volta davvero efficace non come quella che dal 2014 a oggi ha colto risultati incerti e invece di rinsaldarsi si è quasi sfaldata lasciando spazio all’intervento in Siria della Russia di Putin, senza il quale peraltro oggi al-Baghdadi farebbe colazione sulle rovine di Damasco. Gli aerei sauditi e degli Emirati non volano più e i loro raid adesso li compiono in Yemen contro i ribelli sciiti Houti; la Turchia, storico membro della Nato, fa ancora assai poco perché gli stessi occidentali le hanno dato via libera per quattro anni, alzando la sbarra della frontiera al passaggio di migliaia di jihadisti, molti europei e francesi, che dovevano sbalzare dal potere Assad e che si sono poi arruolati nell’Isis.
La guerra la devono fare anche i nostri riluttanti alleati mediorientali.
Musulmani che si battono sul campo contro l’Isis ce ne sono: i curdi, i più eroici, osteggiati però dalla Turchia; gli iraniani, alleati di Assad come del resto gli Hezbollah libanesi; gli iracheni, che hanno avviato un’offensiva per spezzare le linee di rifornimento dell’Isis. Questi nostri alleati oggettivi anti-Califfato, che l’Occidente ha boicottato per anni mettendoli sotto sanzioni e in lista nera, hanno due difetti, sono sciiti e alleati del regime di Damasco.
Siamo al punto nodale: per una guerra efficace contro l’Isis bisogna congelare anche la storica ostilità tra sciiti e sunniti. Qualche segnale positivo c’è e proviene dal vertice di Vienna sulla Siria, che per certi versi ha anticipato quello di oggi al G-20 di Antalya.(...)"

"(...) Alla vigilia delle elezioni, dopo l’attentato di Ankara con oltre 100 morti, il braccio destro di Tayyp Erdogan, Ahmet Davutoglu, definì il Califfato «ingrato e traditore». Più che una gaffe, questi termini sono apparsi un’ammissione di colpa. Non mancano infatti le prove, se non di amicizia, almeno di compiacenza, della Turchia nei confronti dello Stato islamico. articoli correlati O si fa l’Europa o si muore Russi e americani contro il nemico ormai globale Coordinare intelligence europea e azioni militari Vedi tutti » OAS_RICH('VideoBox_180x150'); Erdogan è uno dei prìncipi dell’ambiguità mediorientale presenti al G-20 di Antalya. La guerra al Califfato è una vicenda in cui la Turchia ha giocato un ruolo essenziale con la complicità delle potenze occidentali e di quelle sunnite che in Siria hanno condotto un conflitto per procura all’Iran sciita. La svolta sono stati i negoziati sul nucleare con Teheran che hanno alimentato ancora di più la preoccupazione delle monarchie del Golfo per l'influenza iraniana. Più si avvicinava un’intesa con l’Iran e maggiori diventavano le offensive dell’Isil. Dopo Mosul, cadevano Ramadi e Falluja. Eppure la guerra della coalizione a guida americana restava inefficace: il 70% dei raid non trovava neppure il bersaglio. Ci si chiedeva come fosse possibile che non si riuscisse a fermare i jihadisti. La realtà è che il Califfato faceva comodo come mezzo di pressione per convincere gli iraniani ad arrivare a un accordo. (...)"
di Alberto Negri - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/J0GbYV

Mario Monti su ilFoglio
"(...) Beni pubblici e benessere privato. Se l’Unione Europea entra in una fase storica carica di sfide nuove rispetto ai suoi primi settant’anni – sfide legate ai profughi e ai migranti, alla guerra asimmetrica in corso, alla sicurezza interna ed esterna, alla necessità di spendersi seriamente per lo sviluppo sostenibile dell’Africa e del Medio Oriente, anche ad evitare che si scarichino sull’Europa flussi e tensioni insostenibili – ci sono due “confini” che devono essere riconsiderati quello tra beni pubblici e benessere privato e quello tra beni pubblici nazionali e beni pubblici europei.
Soprattutto in alcuni Paesi periferici, come l’Italia, si sta vivendo ora una tardiva onda lunga dell’era reaganiana. Ci si rende conto, sì, che sono sempre più essenziali beni pubblici, come appunto la sicurezza interna ed estera, un minimo di istruzione, una maggiore tutela ambientale, ed altri. In parte, certo, la fornitura di questi beni pubblici può avvenire anche con un’intelligente mobilitazione del settore privato. Ma in gran parte il ruolo dello Stato, in generale dei pubblici poteri, è essenziale. Anziché battersi a fondo perché il funzionamento dello Stato sia più efficiente, più trasparente, meno costoso, ma tuttavia dotato di risorse adeguate per svolgere i suoi compiti essenziali, sembra prevalere una certa rassegnazione. Si mira allora a sostenere il benessere privato, dando priorità alla riduzione delle tasse (“vanno ridotte tutte”, “non verranno mai più aumentate”, “alcune tasse saranno abolite” e “per sempre”) quasi come dovere morale dello Stato verso i cittadini e le imprese. Il loro consenso è assicurato, ma forse così facendo si trascurano interessi essenziali dei singoli Paesi, in un’Europa che deve “armarsi” della capacità di essere sicura, di sconfiggere il terrorismo, di farsi rispettare nel mondo. Inoltre i singoli Paesi, e l’Europa, faranno bene a tornare ad avere una certa attenzione per le disuguaglianze, cresciute a dismisura; e dovranno usare anche i sistemi fiscali per combattere le disuguaglianze eccessive, ancor più se vogliono conservare o accrescere una certa coesione sociale e nazionale dinanzi a un futuro forse caratterizzato da maggiori conflittualità esterne. (...)"
 
Enrico Letta su laStampa
 
"(...) Sicurezza integrata

I Paesi europei hanno difeso le loro prerogative nazionali in materia di intelligence, di sicurezza e di difesa. Non hanno voluto rafforzare la dimensione europea in questo campo. E non possiamo certo dire di sentirci più sicuri grazie a questa nazionalizzazione dei sistemi di sicurezza. Come pensare di essere davvero più sicuri senza una reale integrazione dei sistemi di sicurezza preventiva, e come pensare di vincere questa guerra senza una capacità complessiva coordinata a livello europeo di contrastare i fenomeni terroristici? Oggi questa capacità non c’è. I sistemi sono rimasti troppo nazionali, mentre i terroristi usano tutti i più moderni e integrati meccanismi per attaccarci.
Fare finalmente un passo avanti nella capacità congiunta di reazione dei Paesi europei sarà l’altro passo fondamentale per vincere questa sfida così drammatica. (...)"
 
Massimo Nava su Facebook
 
"(...) La realtá della guerra all'Isis é molto diversa da quanto farebbero pensare i buoni propositi e gli ambiziosi obiettivi.
1) Chi oggi combatte davvero sul campo l'Isis sono Paesi e forze che l'Europa e l'Occidente non considera come alleati o che ha considerato e considera ancora come nemici : la Russia di Putin, senza il quale il Califfato sarebbe giá a Damasco; gli hezebollah (che hanno subito un feroce attentato a Beiruth); l'Iran che puntella il regime di Damasco e i kurdi, massacrati dai turchi e di tanto in tanto sacrificati da tutti.
2) Gli Stati Uniti hanno sempre pensato che lo scontro fra potenze regionali favorisse l'equilibrio della paura. Hanno favorito la guerra Irak Iran negli anni Ottanta e oggi assistono allo scontro e alle guerre per procura fra Iran e Arabia Saudita, cioé fra il mondo sciita e il mondo sunnita.
3) Turchia (Membro Nato!) Arabia Saudita (sostenuta e armata dagli Usa), monarchie del golfo (con le quali tutti facciamo affari) hanno permesso l'espansione del Califfato, hanno agevolato il passaggio dei volontari combattenti dall'Europa, hanno pensato che potesse essere il grimaldello per scardinare il sistema siriano. Aperto il vaso di Pandora, nulla é piú controllabile. L'Isis controlla un grande territorio dove vivono milioni di persone. Ha armi sofisticate e addestratori, ha arruolato pezzi dell'esercito iracheno smantellato dagli americani, si finanzia con il petrolio, la droga e il contrabbando di opere d'arte (molti pezzi naturalmente finiscono sulle piazze occidentali!)
4) La Francia piange i suoi morti e tutti piangiamo per la Francia, ma Parigi dovrebbe hanno avviare una profonda riflessione sugli errori di politica estera e di politica socio-culturale. La battaglia della civiltà e dei valori repubblicani é nobile, ma l'ipocrisia è dietro l'angolo se non si ripensano amici e nemici, clienti di centrali nucleari e armamenti, finanziatori e investitori sul territorio francese. La battaglia della civiltá e dei valori repubblicani é nobile, ma deve essere condotta anche nelle periferie, nel mondo a parte dell'integraziona mancata o sbagliata che é diventata il terreno di proselitismo e di manovra anche dei terroristi. 
L'islamismo radicale é dentro la Francia."


Mario Giro* su Limes
"(...) Siamo in guerra? La guerra certo esiste, ma principalmente non è la nostra. È quella che i musulmanistanno facendosi tra loro, da molto tempo. Siamo davanti a una sfida sanguinosa che risale agli anni Ottanta tra concezioni radicalmente diverse dell’islam. Una sfida intrecciata agli interessi egemonici incarnati da varie potenze musulmane (Arabia Saudita, Turchia, Egitto, Iran, paesi del Golfo ecc.), nel quadro geopolitico della globalizzazione che ha rimesso la storia in movimento.
Si tratta di una guerra intra-islamica senza quartiere, che si svolge su terreni diversi e in cui sorgono ogni giorno nuovi e sempre più terribili mostri: dal Gia algerino degli anni Novanta alla Jihad islamica egiziana, fino ad al-Qaida e Daesh (Stato Islamico, Is). Igor Man li chiamava “la peste del nostro secolo”.
In questa guerra, noi europei e occidentali non siamo i protagonisti primari; è il nostro narcisismo che ci porta a pensarci sempre al centro di tutto. Sono altri i veri protagonisti.
L’obiettivo degli attentati di Parigi è quello di terrorizzarci per spingerci fuori dal Medio Oriente, che rappresenta la vera posta in gioco. Si tratta di una sorta di “guerra dei Trent’anni islamica”, in cui siamo coinvolti a causa della nostra (antica) presenza in quelle aree e dei nostri stessi interessi. L’ideologia di Daesh è sempre stata chiara su questo punto: creare uno Stato laddove gli Stati precedenti sono stati creati dagli stranieri quindi sono “impuri”.(...)"

David Bidussa su GliStatiGenerali
​"(...) Terzo aspetto. Come si sconfigge il nemico? Anche in questo caso è importante la forma in cui inquadrarlo. Perché sapere come lo si sconfigge è conseguente a inquadrare la natura di Isis, ovvero descrivere che cosa sia in quanto espressione, cultura e pratica politica. Ritenere che ciò che abbiamo di fronte sia un attacco terroristico implica intraprendere un percorso di contrasto che fa della controinformazione, dell’uso spregiudicato dell’intelligence, l’arma essenziale. Tutti i movimenti terroristici in età contemporanea sono stati sconfitti in seguito a un processo di rottura al loro interno, in altre parole “per defezione”. A un certo punto si è prodotta una falla e in forza di una capacità di contrasto e di intelligence qualcuno ha attraversato quella terra di nessuno in cui si era ritirato e “ha parlato”.
È pensabile che accada anche con ISIS? Vorrei pensarlo, ma non credo. ISIS ha la fisionomia del movimento politico, ideologico che si fa esercito, movimento fondato sulla convinzione. Movimento costituito da “soldati politici”.
Una sola esperienza nel corso del Novecento ha avuto questo percorso. L’esperienza politica, culturale, ideologica e mentale rappresentata dal nazismo. Il nazismo non è stato sconfitto da nessuna defezione. I suoi sopravvissuti, non hanno mai intrapreso una strada di pentimento, non hanno mai “abbandonato il campo”. Hanno attraversato il lungo dopoguerra senza mai aprire i conti con il loro passato, semplicemente perché ritenevano di avere ragione, ma di avere avuto il solo torto di essere sconfitti.(...)"

Claudio Magris sul Corriere della Sera
"(...) A questa inaudita violenza si collegano, indirettamente, il nostro rapporto col mondo islamico in generale e la convivenza con gli islamici che risiedono in Occidente. A chiusure xenofobe e a barbari rifiuti razzisti si affiancano timorose cautele e quasi complessi di colpa o ansie di dimostrarsi politicamente ipercorretti, che rivelano un inconscio pregiudizio razziale altrettanto inaccettabile. È doveroso distinguere il fanatismo omicida dell’Isis dalla cultura islamica, che ha dato capolavori di umanità, di arte, di filosofia, di scienza, di poesia, di mistica che continueremo a leggere con amore e profitto. Ma abbiamo continuato ad ascoltare Beethoven e Wagner e a leggere Goethe e Kant anche quando la melma sanguinosa nazista stava sommergendo il mondo, però è stato necessario distruggere quella melma. Le pudibonde cautele rivelano un represso disprezzo razzista ossia la negazione della pari dignità e responsabilità delle culture camuffata da buonismo.
È recente la notizia di una gita scolastica annullata dalle autorità della scuola elementare «Matteotti» di Firenze perché prevedeva una visita artistica che includeva un Cristo dipinto da Chagall, nel timore che ciò potesse offendere gli allievi di religione musulmana. Il Cristo di Chagall è un’opera d’arte, come le decorazioni dell’Alhambra, e solo un demente o un fanatico razzista può temere che l’uno o le altre possano offendere fedi o convinzioni di qualcuno. (...)"

Giovanni Fontana su DistantiSaluti
"Tutti quelli che, in queste ore, stanno dicendo la sciocchezza che ciò che motiva gli attentati di Parigi è la politica e non la religione provi a rispondere a una semplice domanda: perché, in questa fase d’incertezza, siamo certi che tutti gli attentatori siano mussulmani? Attenzione: non sto dicendo che non esiste un terrorismo non mussulmano, non sono scemo, la storia ne è piena. Sto domandando: se la causa di questi attentati è politica e non religiosa perché sappiamo che tutti gli attentatori di questi attentati sono mussulmani? Saranno francesi, siriani, potrebbero essere marocchini, sauditi, belgi, tunisini, britannici, iracheni, italiani, giordani, kuwaitiani, spagnoli, libici, turchi (queste sono alcune delle nazionalità che hanno commesso attentati suicidi in Iraq e Siria) eppure siamo certi che siano tutti mussulmani. (...)"

Daniele Bellasio su Danton (Blog del Sole24Ore)
"(...) La prima ragione per cui diciamo “è colpa nostra” è l’antiamericanismo, che poi assume forme di antiisraelismo, se non di antisemitismo, e ovviamente di antioccidentalismo. E’ colpa nostra perché gli americani sono brutti, sporchi e cattivi e siccome noi siamo alleati degli americani siamo anche noi un po’ brutti, sporchi e cattivi.(...)
La seconda ragione per cui diciamo “è colpa nostra” è un nostro merito, un nostro pregio, cioè un aspetto positivo delle culture liberal-democratiche, della civiltà occidentale, ovvero la diffusione di una sana consapevolezza sociale, mai abbastanza profonda ma pur sempre presente, che intravede nella difficoltà a risolvere alcune gravi questioni legate alle diseguaglianze economiche, e appunto sociali, una ragione di autocritica severa, la scaturigine cioè di un senso di colpa che ci fa dire, di fronte a reazioni da noi non controllate e non controllabili, che in fondo è colpa nostra. Se questa riflessione è corretta, se questa sensazione/opinione è frutto di un aspetto positivo della nostra civiltà, dobbiamo prenderne il buono – l’anelito a migliorare le nostre società – senza però dimenticare che allora, proprio e anche per questo motivo, le nostre società sono meritevoli di esistere, di continuare a proteggere i propri valori e a battersi per i propri principi. Senza cambiare la base della nostra convivenza. In poche parole, per continuare a migliorare le nostre società dobbiamo continuare a vivere. E dunque dobbiamo vincere contro chi ci vuole annientare.(...)
La terza ragione per cui diciamo “è colpa nostra” è un’illusione, naturale ma pur sempre un’illusione, cioè la voglia di credere che se noi facciamo qualcosa di diverso da quello che stiamo facendo loro, i terroristi jihadisti, ci lasceranno in pace. In fondo, è una naturale, ovvia, giustificata e giustificabile speranza quella di pensare: “Ci uccidono perché facciamo qualcosa, se smettiamo di fare quel qualcosa non ci uccideranno più”. Ma se è naturale questa illusoria speranza, allora bisogna rispondere con sincerità alla seguente domanda: che cosa dobbiamo smettere di fare perché ci lascino in pace? La drammatica risposta è che dovremmo smettere di essere noi stessi. Vogliamo?

mercoledì 28 maggio 2014

Escalation in Ucraina (da laStampa.it)

Precipita la situazione a Donetsk, cinta d’assedio dalle forze militari ucraine che hanno intimato ai ribelli separatisti di lasciare la città, o verranno «colpiti con precisione». Una minaccia che ieri si è trasformata in bagno di sangue. Almeno 100 gli uccisi nella battaglia per l’aeroporto internazionale della città, dilagata presto nei quartieri residenziali limitrofi. E arrivata a lambire la stazione centrale, a due passi dalla zona degli alberghi affollati di giornalisti stranieri e civili in cerca di rifugio. (...)
L’autoproclamata Repubblica popolare accusa le forze ucraine di crimini contro l’umanità: almeno 15 miliziani feriti, che venivano trasportati a bordo di due camion, «con insegne mediche», sono stati uccisi dal fuoco degli rpg. Spari anche contro un’ambulanza, denunciano ancora i ribelli che chiedono «l’intervento personale di Putin, in qualsiasi forma». Ma, lo ammettono, sperano che da Mosca decida di intervenire militarmente. Diametralmente opposta la posizione dei fedeli a Kiev, che accusano la Russia di favorire l’ingresso nel Paese di «terroristi e mercenari». Non sono mancati gli scontri a fuoco al confine, dove secondo la versione ucraina, convogli carichi di uomini armati hanno tentato di infiltrarsi per dare man forte ai “fratelli dell’est”. Blindati e militari armati di tutto punto hanno accerchiato il perimetro esterno della città, per impedire l’afflusso di volontari e miliziani pronti a difendere Donetsk a ogni costo. Ma molti, forse qualche centinaia, sono già arrivati nelle ultime 48 ore. Anche loro sono bene equipaggiati, fucili automatici, rpg a spalla, e zaini che sembrano carichi di esplosivo. 
La tensione è alle stelle: ne hanno fatto le spese i quattro osservatori Osce fermati ieri sera, e ora nelle mani dei ribelli. (...)

martedì 4 marzo 2014

La Guerra, L'Economia, I Mercati: I Limiti Del Principe

Probabilmente è troppo presto per tirare un sospiro di sollievo sulla questione ucraina. Troppo forti gli interessi russi sulla Crimea, troppo alta la posta in gioco per l'Occidente, dal punto di vista dell'"onore" - se c'è onore nelle relazioni internazionali (forse sì, a volte no) - e dal punto di vista delle svariate "dipendenze", soprattutto economiche, che questa crisi mette in luce. 

E' invece interessante notare come oramai il "sismografo mercati finanziari" sia sempre più rilevante, anche per i paesi che forse nella percezione comune non corrispondono all'idea di nazioni - diciamo con una espressione "aggiustata" per intenderci - "a forte leva finanziaria".

In questa dialettica che non è più - e non sarà più - solo con l'economia reale, si riscontra forse il vero limite della guerra di questi tempi, e dunque della politica. 

(O forse di un certo tipo di guerra, da cui l'esplosione dei cosiddetti conflitti asimmetrici, che però confermano i limiti della potenza "classica"; e forse per questo quando i conflitti superano una certa intensità - vd. Siria - nessuno sembra in grado di fermarli, portando alla deriva totale una collettività). 

Perché nell'impossibilità di una guerra totale (ed eccezion fatta - o conferma, in realtà, come ci si domandava? - nel "suicidio" della guerra civile) - v'è scritta l'impossibilità della politica, intesa come desiderio di comando, di progettazione della realtà, di cambiamento delle strutture portanti della società.

Bene o male che sia, e personalmente mi pare che gli elementi positivi superino quelli negativi, il Principe appare spodestato o comunque non più così potente, come spesso -a sinistra come a destra - ci si illude che sia , anche quando Principe "democratico".

Nel pensare un'Europa "non-solo-moneta" faremmo bene a non illuderci di poter tornare a un'idea di collettività con una direzione comune, certa e razionalmente definita. 

Il patto che legherà le future collettività non potrà essere stipulato solo con gli elettori. Già non illudersi e non illudere i cittadini sarebbe un ottimo passo in avanti per rendere più concreti i nostri legittimi sogni di poter "costruire" un mondo migliore.

Francesco Maria Mariotti



Rispondere a Vladimir Putin con le sue stesse armi, sarebbe per l'Europa un modo veloce, diretto e completamente sbagliato. Prendendo controllo della Crimea, Putin ha violato con arroganza le leggi internazionali. Ma il suo potere nel confronto militare è maggiore di quello che può esercitare sul piano diplomatico. È al tavolo negoziale che va esposta la sua debolezza, inclusa quella economica mostrata ieri dai mercati. È lì che l'Europa può imporre il rafforzamento della democrazia in Ucraina, svalutando di riflesso l'autocrazia di Mosca. Non con minacce di missili o di dure sanzioni, come piace ai più radicali a Washington, ma seminando il virus democratico ai confini della Russia. Ogni volta che i cingoli solcano il terreno, cadiamo preda di un riflesso automatico che stigmatizza come debole o tardiva la ricerca europea di soluzioni diplomatiche. L'esperienza delle primavere arabe giustifica molti pregiudizi. Ma questa volta la cancelliera Merkel, promotrice di un approccio sia di condanna sia di mediazione attraverso un "gruppo di contatto" – che contrasta con la tentazione americana di isolare Mosca - ha ragione e bene ha fatto il governo italiano a capirlo e a sostenerlo.
di Carlo Bastasin - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/v6LfJ
L’arrivo dei soldati con e senza mostrine in Crimea solleva una doppia questione di indipendenza. Lo fa dal punto di vista politico per l’Ucraina, crocevia del gas che dai serbatoi dell’ex impero sovietico confluisce verso l’Europa attraverso una rete di 40 mila chilometri di oleodotti. E poi da quello energetico per l’Europa, terra in cui alcuni leader in queste ore si staranno forse chiedendo se sia stato davvero un affare trattare con compiacenza il sempre indisponente zar Vladimir, e quanto sia stata una buona idea non costruire un mercato unico dell’energia fondato su una rete integrata a livello continentale.
Il riscaldamento delle case e l’energia delle imprese in Lituania, Estonia e Lettonia sono legati al 100 per cento ai gasdotti che portano a Gazprom. La Romania al 97,5 per cento. La Polonia al 67. L’Europa allargata, dunque tutto quello che si trova sopra, di fianco e sotto l’Ucraina, ha una dipendenza del 30 per cento. Venticinque miliardi di metri cubi l’anno sono assorbiti dall’Italia, che da sola consuma un quinto dell’export russo verso la parte occidentale del Continente. Questa, insieme con gli interessi economici e industriali condivisi con Mosca (in primo luogo attraverso l’Eni), è la principale ragione della grande (e inevitabile) cautela diplomatica adottata dal governo.

E’ dal giorno dell’occupazione delle truppe russe in Crimea che il capo dello Stato segue con molta attenzione l’evoluzione della crisi in Ucraina. Certo, lui è il capo del Consiglio Supremo di Difesa, come vuole la Costituzione. Ma c’è di più. E’ come se l’affare ucraino, così delicato a livello internazionale, abbia fatto scattare quel ruolo di consigliere d’esperienza da parte di Napolitano nei confronti del giovane premier e del giovane ministro degli Esteri Federica Mogherini. Non una supplenza, naturalmente. Piuttosto la consapevolezza di non essere soli a gestire una questione più grande di tutti. Renzi ne ha parlato stamane con Napolitano, in quei 40 minuti di colloquio a margine dell’inaugurazione del corso accademico di formazione degli agenti dei nostri servizi segreti, proprio nella sede dell’Aisi a Monti, in centro a Roma. Di fatto, è la prima volta che il segretario del Pd si trova a dover tener conto dei suggerimenti non solo del capo dello Stato ma anche delle gerarchie militari. Insomma, in questi affari non c’è rottamazione che tenga. E la crisi Ucraina non esalta il carattere decisionista del presidente del Consiglio. E’ un bene, a sentire i giudizi che ci arrivano da ambienti militari.


Legittima difesa collettiva

L’Ucraina ha mobilitato le proprie forze armate. Essa ha diritto di esercitare la legittima difesa, come consentito dalla Carta delle Nazioni Unite, diritto che è connaturato all’esistenza stessa dello stato e che non richiede, per il suo esercizio, di essere autorizzato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Ben vengano le parole di moderazione come quelle espresse dal governo italiano, ma è assurdo non ricordare i diritti della vittima dell’aggressione e in particolare che questa può reagire con la forza armata, quantunque le forze in campo siano incommensurabili.

Alla vittima dell’attacco armato spetta non solo il diritto di legittima difesa individuale, ma anche quella collettiva: terzi stati possono intervenire a suo favore.

La Nato dispone di un meccanismo di legittima difesa collettiva a tutela dei propri membri, nel senso che se uno stato dell’alleanza è attaccato gli altri debbono intervenire a suo favore. Questo non è il caso dell’Ucraina, che non è membro della Nato.

Teoricamente però, la Nato, pur non essendovi obbligata, potrebbe intervenire a favore dell’Ucraina, con una missione decisa dal Consiglio atlantico. Teoricamente, poiché nessuno vuole morire per Kiev e infatti la Nato non è andata oltre la deplorazione dell’intervento russo e la sua stigmatizzazione come violazione del diritto internazionale. 



venerdì 28 febbraio 2014

Alta Tensione in Crimea

Venerdì mattina centinaia di uomini armati con uniformi simili a quelle dell’esercito russo – ma senza alcun altro segno distintivo – hanno preso il controllo dei due principali aeroporti della Crimea – repubblica autonoma meridionale dell’Ucraina a maggioranza russa – quello di Sebastopoli (militare) e quello di Simferopoli (civile). Il ministro degli Interni ucraino ad interim, Arsen Avakov, ha attribuito l’azione a forze militari russe, anche se rimangono molti dubbi sull’identità e appartenenza di queste milizie. Russia Today dice che gli uomini che hanno preso il controllo degli aeroporti sono vestiti e equipaggiati in modo simile alle milizie di autodifesa che ieri avevano occupato gli edifici del parlamento e del governo locale a Simferopoli, mentre la stessa Russia ha smentito qualsiasi coinvolgimento. Dopo diverse ore la situazione in Crimea è ancora molto confusa, anche se sembra che le autorità ucraine abbiano ripreso il controllo dei due aeroporti. Nuove manifestazioni pro-russe si sono tenute però a Simferopoli, di fronte alla sede del governo locale, e una colonna di blindati russi è stata fotografata mentre si muoveva in Crimea verso Sebastopoli.
(...) MOSCA NEGA COINVOLGIMENTO - Tuttavia la flotta russa sul Mar Nero, di stanza nella regione, ha negato che le proprie forze siano coinvolte nell’occupazione di almeno uno dei due scali (quello di Belbek) secondo quanto riferito dall’agenzia Interfax. E un uomo che sostiene di aver aiutato il gruppo armato nell’altro scalo ha definito gli assalitori come gente della «Milizia popolare della Crimea».
L’IRA DI KIEV- L’aeroporto di Sinferopoli, scrive Avakov, «è bloccato da reparti militari della flotta russa». «All’interno dell’aeroporto - prosegue - si trovano i militari e le guardie di frontiera ucraini. Fuori ci sono militari in divisa mimetica con armi e senza distintivi, che non nascondono la propria appartenenza». «L’aeroporto - aggiunge - non funziona. Sul perimetro esterno ci sono i posti di controllo del ministero degli interni ucraino. Non ci sono ancora scontri armati».(...)
(...) Ma il problema principale, quello che fa addirittura temere che le tensioni possano sfociare in un conflitto militare, ha a che vedere con la profonda divisione del Paese. Finora si era parlato soprattutto della spaccatura fra un Est russofono e un Ovest fortemente caratterizzato dalla cultura e dalla lingue ucraine, ma oggi la crisi trova il suo punto più delicato in Crimea. La Crimea, storicamente russa, passò all’Ucraina nel 1954 solo a seguito della decisione demagogica di Khrusciov. Oggi la maggioranza russofona – e russofila - della popolazione teme che gli eventi di Kiev, con il prevalere dei nazionalisti ucraini, abbiano rotto a loro sfavore il delicato equilibrio su cui si basava la convivenza. E in effetti una delle prime decisioni del nuovo vertice politico nella capitale è stata quella di togliere al russo il precedente status paritario di lingua ufficiale. A Simferopoli, capoluogo della Crimea, gli attivisti russi sono passati all’azione, occupando il Parlamento regionale e issando sull’edificio la bandiera russa in sostituzione di quella ucraina.  

Di fronte al vasto dispiego di unità militari russe ai confini, i vertici politici sia americani che europei fanno sfoggio di cautela e di nervi saldi, partendo evidentemente dal presupposto che Mosca pagherebbe un prezzo troppo alto se decidesse di trasformare l’esercitazione militare in un’invasione. Probabilmente la vera intenzione russa è solo quella di lanciare un pesante ammonimento ai governanti ucraini:  (...)

Pochi giorni fa si poteva leggere, sul New York Times, l’esortazione di un accademico polacco ad Europa e Stati Uniti a mettere in atto, lasciando da parte eccessive prudenze, «uno sforzo congiunto per includere l’Ucraina nel campo occidentale». E’ proprio questo l’incubo principale di Vladimir Putin, tanto più se si pensa che questa inclusione potrebbe, in prospettiva, prendere forma non tanto in un improbabile ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea quanto piuttosto nella Nato. 

Gli ucraini, soprattutto i giovani, che hanno rovesciato Yanukovich sventolavano le bandiere dell’Europa, ma le loro aspettative non hanno alcuna base nella realtà, e sarebbe eticamente giusto per noi europei non essere prodighi più di illusioni che di effettivo sostegno. L’adesione all’Unione Europea non solo non è per domani, ma nemmeno per dopodomani, e per quanto riguarda la drammatica situazione economica del Paese, non si vede come l’Europa possa - in un momento di non superata crisi interna - far fronte all’urgente necessità di aiuti finanziari che sono stati quantificati in 35 miliardi di dollari su due anni. Paradossalmente non sembra esservi un futuro sostenibile, per l’Ucraina, che escluda un sostanziale rapporto con la Russia in campo finanziario, commerciale e soprattutto in tema di forniture energetiche. Quando si parla infatti della possibilità di un intervento del Fondo Monetario Internazionale in aiuto all’Ucraina non si può dimenticare che l’aiuto del Fmi verrebbe corredato di condizionalità che, si sa, includerebbero l’abrogazione del «prezzo politico» dell’energia, oggi inferiore a quello che l’Ucraina paga per il suo acquisto dalla Russia. Una prospettiva che i nuovi governanti di Kiev non potrebbero facilmente gestire, con un’opinione pubblica convinta che, con la cacciata del tiranno filorusso, non solo la libertà, ma anche il benessere, siano a portata di mano.


martedì 17 dicembre 2013

Accordo Russia - Ucraina

Dopo avere incontrato il presidente ucraino Viktor Yanukovich a Mosca, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato che la Russia investirà l’equivalente di 15 miliardi di dollari in titoli di stato dell’Ucraina e che ridurrà il prezzo del gas che fornisce al paese di circa un terzo. Putin ha spiegato che questa soluzione aiuterà l’economia ucraina a riprendersi dalla crisi in cui si trova, rafforzando i rapporti commerciali tra i due stati. L’accordo arriva in un periodo difficile per Yanukovich, che da settimane deve fare i conti con enormi proteste di piazza a Kiev contro la sua decisione di ritardare un accordo commerciale con l’Unione Europea, dimostrando una certa dipendenza dalla Russia di Putin.

Il prezzo del gas russo passerà dagli attuali 400 dollari a 268,5 dollari ogni mille metri cubi, ha detto Putin, aggiungendo che “Russia e Ucraina sono unite da secoli di amicizia e hanno vissuto a lungo insieme come uno stesso paese”. Negli ultimi anni i rapporti commerciali tra i due paesi sono progressivamente diminuiti e la Russia mira a rinvigorirli, comprendendo anche altri paesi dell’ex Unione Sovietica per facilitare gli scambi delle merci e la possibilità per i lavoratori di trovare impiego nell’area, anche in paesi diversi da quelli di origine. (...)


(...) Mentre il presidente ucraino stringe accordi con Putin l’opposizione continua a protestare per lo stop all’accordo di associazione all’Unione Europea. Yanukovich aveva chiesto a Mosca un prestito per alleviare la crisi economica e tacitare le proteste europeiste. Un anticipo di contante urgente che sembrano tanto una ricompensa di Putin per la clamorosa inversione a U sul patto con Bruxelles. (...)

martedì 3 dicembre 2013

Putin ha fatto male i conti (da Presseurop - Financial Times)

Negli ultimi dieci anni nessun avvenimento ha spaventato il Cremlino più della "rivoluzione arancione" ucraina nel 2004. Adesso quello di Vladimir Putin pare trasformarsi in un incubo ricorrente, dato che i dimostranti sono tornati a riempire la piazza dell'Indipendenza di Kiev chiedendo a gran voce che il loro paese si avvicini all’Ue e prenda le distanze dalla Russia.
Le dimostrazioni in Ucraina sono un’umiliazione e al tempo stesso un pericolo per Putin. Mentre elogia i profondi legami culturali e storici esistenti tra Ucraina e Russia, il presidente russo scopre che decine di migliaia di ucraini preferiscono affrontare le rigide temperature e i manganelli delle forze dell’ordine che entrare un po’ di più nella sfera di influenza della Russia.
Se la folla in tumulto riuscisse ancora una volta a minacciare di rovesciare un governo ucraino corrotto e dispotico, la lezione politica per la Russia sarebbe molto chiara. Dopo tutto sono trascorsi meno di due anni da quando i manifestanti si sono riversati per le strade di Mosca per protestare contro la seconda nomina di Putin, ribattezzando il suo partito Russia Unita “il partito dei corrotti e dei ladri”.(...)