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sabato 7 novembre 2020

Conservatori: un nuovo percorso

Il conservatorismo politico avrebbe moltissimo da dire alle società post-moderne, confuse e alla ricerca di senso, ma per farlo deve liberarsi dalla retorica populista e abbandonare mitologie reazionarie.

Per questo la sconfitta di Trump può essere utile anche "a destra".

Se inizia un percorso di rinnovamento anche su quel versante, è solo un bene per le democrazie liberali e occidentali.

La politica estera di un nuovo presidente USA

Ripropongo spesso questo articolo di Boris Biancheri, per capire che non è il caso di fare troppe previsioni sulla politica estera di un nuovo presidente Usa

***

Mr. President e il mondo, BORIS BIANCHERI
PUBBLICATO Il 04 Novembre 2008
ULTIMA Modifica 24 Ottobre 2019 19:10

"(...) Tutte queste considerazioni possono essere più o meno condivise ma sono perfettamente legittime. Sull’ultimo punto, tuttavia - cioè che il successo di Obama darebbe luogo a una politica estera americana più vicina alla nostra visione del mondo - credo sia utile introdurre una nota di cautela. Non certo perché io pensi il contrario, e cioè che siano invece McCain e la sua squadra a concepire i rapporti internazionali in modo più vicino ai nostri interessi, ma per una cautela di carattere più generale.

(...) La realtà è che la politica estera, anche se si tratta di una potenza globale come lo sono gli Stati Uniti, non può essere programmata in anticipo se non in termini tanto generali che non significano quasi più nulla. La guerra al terrorismo e l’intervento militare in Iraq non erano nei programmi di Bush più di quanto la guerra del Kosovo lo fosse in quelli di Bill Clinton. Bush, anzi, iniziò il suo mandato concentrandosi su problemi interni e mantenendo, sul piano internazionale, le iniziative dell’amministrazione precedente. Poi giunse l’11 settembre a sconvolgere gli Stati Uniti e il mondo e a dare della guerra al terrorismo un ruolo centrale condiviso da tutti. Ricordate il «siamo tutti americani» di quei momenti? Da lì nacque l’azione militare in Afghanistan e, dal successo di quella, l’operazione Iraq, fallimentare nella gestione della pace ancor più che della guerra.

Un governo può avere un programma di politica fiscale, di politica sanitaria, di espansione dell’economia o di riduzione della spesa pubblica perché sa di poter perseguire i suoi programmi presentando al proprio Parlamento delle leggi che, se approvate, conducono a questi risultati. Non è in suo potere programmare in termini altrettanto precisi la politica estera che è quasi sempre il frutto di una reazione ad avvenimenti estranei alla volontà di chi governa, di cui non si possono scegliere i tempi né, di solito, prevedere tutte le conseguenze, e di fronte ai quali occorre spesso fare scelte di intuito e improvvisazione.

(...) . Il Presidente degli Stati Uniti ha, in materia di politica estera, una grande autonomia. Il nostro futuro dipenderà più dalle sue doti di carattere che dalla bontà dei suoi programmi, più dal temperamento o dall’equilibrio che dalla forza della ragione, più dal caso che dalla ideologia. Speriamo bene."

https://www.lastampa.it/opinioni/editoriali/2008/11/04/news/mr-president-e-il-mondo-1.37088865

martedì 23 luglio 2019

Il flirt iraniano di Trump (Daniele Raineri, ilFoglio)

Molto interessante, e non sorprendente. E forse non a caso ieri da UK una proposta di pattugliamento dello stretto di Hormuz che sia UE e autonomo dagli Usa.

FMM

"(...) Per arrivare a negoziare di persona con il dittatore nordcoreano Kim Jong Un, il presidente americano usò nella fase iniziale un approccio durissimo, promise che avrebbe risposto ai test di Kim con “fire and fury”, irrise Kim e lo chiamò “l’uomo razzo”. Poi quando la tensione divenne molto alta accennò alla possibilità di un incontro personale e ci fu una svolta diplomatica. Da allora i contatti sono diventati frenetici. Trump ha incontrato Kim già tre volte ormai – e in ogni occasione i media sono impazziti. Durante l’ultimo incontro il presidente americano ha varcato la linea di confine nella zona demilitarizzata tra Corea del nord e Corea del sud per stringere la mano a Kim e non era mai successo prima. Che importa se risultati concreti per ora non ce ne sono e la Corea del nord non ha alcuna intenzione di rinunciare alle armi nucleari, l’attenzione attorno a Trump è stata altissima e quindi i negoziati dal suo punto di vista sono senz’altro una cosa eccellente. Kim nel frattempo si gode una legittimità internazionale che non aveva mai avuto perché era sempre stato considerato un mattoide.

È possibile che Trump desideri la stessa cosa con l’Iran. Durante la campagna elettorale definì l’accordo firmato dal predecessore Obama con l’Iran per congelare il programma atomico “il peggiore accordo di sempre”, e queste parole sono famose, ma si tende a dimenticare quello che disse dopo: “Io ne farò uno migliore”. Se dopo essere stato il primo presidente americano a varcare il confine sul trentottesimo parallelo in Corea Trump diventasse anche il primo presidente a essere invitato in Iran dopo la rivoluzione del 1979, sarebbe un evento storico. È probabile che l’eccitazione che abbiamo visto quando è successo in Corea del nord in confronto all’Iran sarebbe poca cosa, come una prova generale dello spettacolo vero.

Per ora tutto questo resta sullo sfondo, ma ci sono segnali molto chiari. Quando a giugno Trump ha annullato all’ultimo momento un raid aereo contro obiettivi militari in Iran, ha fatto arrivare agli iraniani la richiesta di negoziati. L’Amministrazione americana per due anni ha applicato all’Iran la linea della “massima pressione possibile”, quindi sanzioni molto dure e annullamento dell’accordo del 2015, ma ora ha fatto sapere che non impone condizioni per i negoziati: basta che avvengano. E negli ultimi giorni dall’Iran sono arrivate dichiarazioni di disponibilità dalle due correnti interne al regime, quella del presidente pragmatico Hassan Rohani e quella del falco populista Mahmoud Ahmadinejad. Quest’ultimo, che non ha più incarichi di governo ma ha molto seguito, ha detto al New York Times che “Trump è un uomo d’affari, sa come calcolare costi e benefici a lungo termine”. In Iran si comincia a pensare che, in cambio di una bella foto con Trump, ci si potrebbe liberare di molte sanzioni. Ieri il segretario di stato americano, Mike Pompeo, ha detto al governo britannico “dovete prendervi cura voi delle vostre navi” – si riferiva alla petroliera catturata – e così ha escluso qualsiasi iniziativa americana di aiuto."

Pubblicato sul Foglio di martedì 23 luglio: https://www.ilfoglio.it/esteri/2019/07/23/news/il-flirt-iraniano-di-trump-266528/?fbclid=IwAR0Lhr6qZQ232S31TBJQckO5tErz2RJv8r8Qz4TTCtfrEprzlV5JmN5CGPU&paywall_canRead=true

Tratto da Facebook https://www.facebook.com/172477746626388/posts/507921573082002/

domenica 14 luglio 2019

Sovranisti fra Trump e Putin

Segnalo un articolo di Alberto Negri. Al di là del ragionamento complessivo (su alcuni punti sarebbe da approfondire) mi pare sia importante notare la sottolineatura che Trump e Putin in qualche modo possono "simpatizzare" fra loro.

Forse è su questa possibile linea di sintonia (che mi pare sia presente nell'amministrazione americana come ipotesi di lavoro in versione anti-cinese, quasi a "rovescio" della tattica kissingeriana usata contro l'URSS a suo tempo) che i sovranisti si illudono di poter giocare su più tavoli tranquillamente.

Non capendo che in realtà senza una politica estera definita e un solido ancoraggio alle alleanze, si diventa vittime delle spinte e controspinte dei due (o più) attori principali.
Rendendo in realtà l'Italia più insicura, al di là della retorica "prima noi".

FMM

L'articolo di Negri è leggibile sul post del profilo Facebook del giornalista:

Se il sovranismo ci lascia indifesi (ilGiornale, A.Sallusti)

Non seguo molto Sallusti e ilGiornale, e quel poco che ho letto di suo - se ben ricordo - non mi è mai piaciuto. Finora. Mi sembra un interessante "segno dei tempi" che oggi mi trovi a condividere un suo articolo; perché il pericolo che corriamo in questo periodo è qui ben detto, in modo chiaro e sintetico. E non è una questione di corruzione (tutta da dimostrare, ed è questione che va lasciata alla magistratura e alle indagini), ma di una più evidente debolezza politica, a cui di fatto il cosddetto "sovranismo" rischia di condannarci. 

Indipendentemente da cosa si pensi di altre questioni politiche e dai diversi posizionamenti partitico-ideali, questa debolezza deve preoccuparci. 

Tutti.

FMM

"(...) Penso che stiamo sperimentando - ma è solo l'inizio - quanto sia pericoloso e stupido il sovranismo, per di più all'amatriciana come non può che essere quello italiano. Un Paese che non appartiene a nessuna alleanza, che non ha amici e avversari chiari, è destinato inevitabilmente a essere in balia degli interessi di tutti. Un gioco sporco e senza scrupoli, fatto di ricatti, misteri e intrighi che alla lunga non potranno che logorarci e tenerci costantemente in una sorta di limbo a tutto vantaggio dei vicini di casa. Con Putin ma anche con il suo rivale Trump; con Trump ma anche con la sua acerrima nemica Cina, alla quale abbiamo aperto la Via della seta; contro l'Europa ma anche con l'Europa quando si tratta di spartire le poltrone. (...)"

venerdì 21 giugno 2019

Trump non vuole la guerra?

*Iran, Trump diposto a parlare con Rohani o Khamenei Intervista alla Nbc: nessuna precondizione al dialogo Roma, 21 giu. (askanews) - Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è detto pronto a parlare con l'omologo iraniano Hassan Rohani o con la Guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, senza alcuna precondizione. In un'intervista concessa alla rete televisiva statunitense Nbc Trump ha inoltre ribadito di aver revocato l'ordine per delle incursioni aeree mirate in territorio iraniano come rappresaglia per l'abbattimento di un drone, a causa delle possibili perdite umane. Mgi 20190621T201802Z

Dal profilo Fb di Germano Dottori

https://www.facebook.com/100009991966741/posts/911018339241223/

Il non-attacco di Trump

"(...) Non è chiaro ancora a cosa sia legato effettivamente il dietrofront: se il presidente ha cambiato decisione ascoltando tutte le reticenze che dimostra da settimane (o meglio, da sempre rispetto agli impegni militari, che considera un costoso impegno economico), oppure la scelta è stata legata a necessità logistiche, tattiche o strategiche. Ancora non è comunque esclusa una risposta militare. Secondo quanto riportano i media americani, che hanno seguito gli sviluppi delle riunioni alla Casa Bianca tramite i corrispondenti (e sono gli unici realmente informati dei fatti), durante una riunione serrata iniziata alle nove di sera è andata avanti per più di un’ora e mezzo, s’è creata una spaccatura tra gli apparati statunitensi. Da una parte il segretario di Stato, Mike Pompeo, il consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton, e la direttrice della Cia, Gina Haspel, che consigliavano l’attacco per punizione e deterrenza nei confronti di Teheran, che da settimane reagisce aggressivamente all’altrettanto politica aggressiva della “massima pressione” scelta da Washington contro la Repubblica islamica: e un conto sono operazioni asimmetriche plausibilmente negabili come i sabotaggi alle petroliere, un conto è l’abbattimento di un velivolo senza pilota della marina statunitense; questo va punito severamente, dicono i falchi.

FALCHI E COLOMBE

Dalla parte di chi non voleva colpire c’era Trump e i vertici del Pentagono (che è senza un segretario di fatto ed è in fase di transizione tra due facenti funzione): i militari temono un’escalation incontrollabile se dovessero essere colpiti obiettivi in Iran. Il presidente è a un anno dalle elezioni di riconferma e sa che ai suoi elettori e ai suoi finanziatori sarebbe complicato giustificare come America First un attacco contro l’Iran. In mezzo, per così dire, il Congresso: a quanto sembra i leader di Democratici e Repubblicani avrebbero chiesto al presidente di partecipare alle decisioni, ossia di approvare in aula eventuali operazioni militari contro Teheran che comunque dovevano essere “misurate” (secondo una dichiarazione fatta dai congressisti repubblicani). (...)"

https://formiche.net/2019/06/trump-iran-attacco-drone/

"L'Iran ha fatto un errore molto grosso!"

"Oggi le Guardie della rivoluzione islamica dell’Iran hanno annunciato l’abbattimento di un drone americano avvenuto alle quattro del mattino nello Stretto di Hormuz – poco lontano dalla zona dove quattro petroliere erano state attaccate giovedì scorso – e poche ore dopo il Pentagono ha confermato. L’attacco potrebbe avere conseguenze molto serie perché martedì il generale americano Paul Selva aveva avvertito con parole specifiche che l’America non sarebbe intervenuta da sola per proteggere le navi in transito nello Stretto – quindi l’attacco alle petroliere straniere non è considerato un motivo sufficiente per un intervento militare – ma “se gli iraniani prendono di mira cittadini americani, proprietà americane o le Forze armate americane, allora ci riserviamo il diritto di rispondere con un’azione militare”. Il presidente americano, Donald Trump, oggi ha scritto su Twitter: “L’Iran ha fatto un errore molto grosso!”. Potrebbe ordinare un bombardamento di rappresaglia su obiettivi militari dell’Iran, in particolare sulla costa che affaccia sullo Stretto. (...)

Gli iraniani dicono che il drone aveva violato il loro spazio aereo, gli americani dicono che invece si trovava in acque internazionali. È un punto cruciale della vicenda perché potrebbe portare a un’azione di rappresaglia, ma le due versioni sono contrastanti. Gli esperti dicono che fare entrare il Global Hawk nello spazio aereo dell’Iran non avrebbe senso: è un drone che resta in altissima quota per raccogliere informazioni, quindi non è costretto ad avvicinarsi a quello che deve vedere, ed è un bersaglio lento e goffo, quindi incapace di sfuggire alla reazione eventuale dei nemici. La sua protezione era rimanere al di fuori dello spazio aereo dell’Iran. Un singolo esemplare di Global Hawk costa 123 milioni di dollari – più dei costosissimi caccia F-35 che costano circa 89 milioni di dollari – e fin da subito è partita la caccia ai rottami, che contengono tecnologia all’avanguardia e sono molto desiderati dagli iraniani, dai russi e dai cinesi.

È possibile che il drone americano stesse volando sopra quella zona del Golfo per sorvegliare eventuali manovre attorno alle petroliere, dopo gli attacchi avvenuti il 12 maggio e il 13 giugno. Proprio il 13 giugno i Guardiani della rivoluzione islamica a bordo di una barca veloce avevano tentato di abbattere con un missile portatile un drone americano – un più modesto Reaper da quindici milioni di dollari – che li stava seguendo poco prima degli attacchi alle petroliere, ma non ci sono riusciti. Il 6 giugno le milizie houthi che combattono in Yemen con l’appoggio dell’Iran sono riuscite ad abbattere un altro drone Reaper con un missile terra aria e la notizia è stata confermata da entrambe le parti. Il capo dei Guardiani della rivoluzione islamica, Hossein Salami, ha detto che l’abbattimento di oggi è un messaggio: “Non vogliamo una guerra, ma siamo pronti, e questo è quello che succede a chi vìola i nostri confini”."

Pubblicato sul Foglio di venerdì 21 giugno: https://www.ilfoglio.it/esteri/2019/06/20/news/liran-abbatte-il-drone-gioiello-degli-americani-nello-stretto-di-hormuz-261520/?paywall_canRead=true

Riprodotto su Fb al link https://www.facebook.com/172477746626388/posts/490314891509337/

venerdì 14 giugno 2019

Attacco al largo dell'Oman: cosa succede nel Golfo? (ISPIOnLine)

"(...) Il ruolo del Giappone
Nelle ore in cui è avvenuto l’attacco era in corso la visita di Stato a Teheran del premier giapponese Shinzo Abe, la prima da parte di un primo ministro del Giappone dalla rivoluzione iraniana del 1979. Non si trattava però della prima volta di Abe a Teheran: suo padre Shintaro Abe compì una missione analoga nel 1983 nelle vesti di ministro degli Esteri, cercando di mediare tra Iran e Iraq nella guerra che per otto anni ha opposto i due paesi, e il giovane Shinzo, allora segretario del padre, viaggiò al suo seguito.

Il Giappone, del resto, è uno dei paesi che più importa(va) petrolio da Teheran, tanto da essere stato tra gli otto paesi che lo scorso anno avevano ricevuto le esenzioni per poter continuare ad acquistare greggio iraniano. Da questo maggio, però, per volontà dell’amministrazione Trump, anche Tokyo ha dovuto cessare le importazioni da Teheran e aumentare così i rifornimenti da altri paesi della regione, in particolar modo da Arabia Saudita e Emirati. Se Abe è intervenuto a mediare è proprio perché il Giappone ha un interesse fondamentale nella sicurezza e nella stabilità della regione mediorientale, e perché gode di buoni rapporti tanto con Washington (Abe è uno dei leader che più ha saputo dialogare con Trump) quanto con Teheran. Significativo poi che questo tentativo di mediazione sia portato avanti da una potenza occidentale, alleata degli USA, ma che non ha preso parte al negoziato sul nucleare iraniano che ha portato alla firma del JCPOA. L’Unione Europea, del resto, ha visto fallire tutti i tentativi fatti finora a questo scopo, e sembra concentrata oltre che sull’imminente passaggio di consegne presso il Servizio di azione esterna, sul tentativo di rendere operativo INSTEX, lo strumento per il commercio con Teheran, che però potrebbe non essere sufficiente a stabilizzare una situazione che nell’ultimo mese è precipitata. La missione di Abe di queste ore sembra dunque essere stata quella di mediare un accordo di “congelamento” della situazione. Trump dovrebbe quindi permettere all’Iran di riprendere in parte le proprie esportazioni di petrolio, e in cambio l’Iran non riprenderebbe le proprie attività nucleari, come ha invece minacciato di fare a partire da luglio. Solamente una volta contenuta l’emergenza si potrà cercare una mediazione più ampia su altri aspetti del contenzioso tra Washington e Teheran.

Quali scenari?
Se non è possibile stabilire con certezza le responsabilità dell’accaduto, altrettanto difficile è tratteggiare degli scenari certi. Molto dipenderà da come la crisi evolverà nelle prossime ore, ovvero se le parti in causa cercheranno di abbassare la tensione, oppure se al contrario si alzeranno i toni e si formalizzeranno accuse ufficiali. Analizzando il precedente dell’attacco dello scorso mese, a un repentino innalzamento della tensione hanno fatto seguito dichiarazioni  di apertura – sia da parte dell’Iran che da parte degli Stati Uniti – che hanno scongiurato il rischio di un’escalation, ma che non hanno risolto la situazione. Il livello di tensione attuale nella regione è infatti talmente elevato da rendere estremamente difficile la de-escalation, quantomeno perché qualsiasi strategia trovata dovrà permettere a entrambi i paesi di “salvare la faccia”: se è chiaro che nessuno dei due vuole un conflitto, e che entrambi hanno l’interesse a dialogare, è vero anche che per entrambi è difficile tornare sui propri passi. Trump dovrebbe ammettere che la sua strategia della “massima pressione” non solo non ha funzionato, ma ha prodotto conseguenze che hanno ulteriormente destabilizzato la regione, rivelandosi negative per gli stessi Stati Uniti. Dal canto suo, l’Iran dovrebbe giustificare che ha bisogno di riprendere il negoziato nonostante gli USA non abbiano tolto le sanzioni. La possibile via di uscita dall’impasse rimane però quella della diplomazia. Non è un caso che il Giappone abbia dichiarato che la situazione verrà discussa nel corso del G20 di Osaka, il 28 e 29 giugno prossimo, quando Paesi molto diversi tra loro – ma uniti dalla volontà di preservare la sicurezza e la stabilità di una delle aree più strategiche del globo – potranno discutere con gli USA e cercare una possibile mediazione. Qualunque sarà il risultato di questa mediazione, però, è difficile immaginare che Washington possa uscire dall’impasse, se non tornando sui propri passi sul tema delle sanzioni, in particolare quelle sul petrolio. Questo però equivarrebbe a ridefinire l’attuale strategia statunitense verso il Medio Oriente: una decisione difficile, ma sono sempre più numerosi i segnali che questa possa presto rivelarsi necessaria."

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/attacco-al-largo-delloman-cosa-succede-nel-golfo-23312

domenica 28 aprile 2019

Cina: che crescita sarà? Più qualità e meno debiti (F.Fasulo, ISPIOnLine)

"Nel 2019 la crescita cinese continuerà il suo processo di graduale rallentamento avviato con l’ingresso della fase denominata New Normal. È questo quello che emerge dal rapporto sull’operato del governo pronunciato il 5 marzo dal Premier Li Keqiang all’apertura della sessione annuale dell’Assemblea Nazionale del popolo durante il quale ha fissato per il 2019 un obiettivo di crescita tra il 6 e il 6,5%. Questo valore è il più basso mai proposto e fa seguito al 6,6% raggiunto nel 2018, a sua volta il valore più basso dal 1990.
L’attenzione del premier cinese è rivolta soprattutto alla gestione delle incertezze senza ricorrere all’indebitamento. Non è un caso, infatti, che il termine che ha avuto maggiore evidenza nelle osservazioni degli analisti sia stato “rischio”, un aspetto che era emerso anche in occasione di un inedito incontro con i vertici di partito convocato dal Presidente Xi Jinping il 21 gennaio di quest’anno. Il timore di Pechino è che il rallentamento dell’economia, rafforzato dagli effetti della guerra commerciale con gli Stati Uniti, possa portare all’insorgere di costi sociali eccessivi. 
Per questa ragione, tra gli obiettivi del governo sono stati individuati la creazione nuovi posti di lavoro – il valore fissato è di 11 milioni di posti nelle sole aree urbane con un tasso di disoccupazione inferiore al 4,5% - e il supporto alle piccole e medie imprese. Le politiche a supporto della volontà del governo in questo campo si manifestano in particolare sotto forma di riduzioni dei costi per le imprese per un valore totale stimato in 2.000 miliardi di Rmb, ovvero circa 300 miliardi di dollari. Una quota importante della diminuzione del carico per le imprese è rappresentata dalle modifiche apportate alle imposte sul valore aggiunto. A partire dal 1° aprile, infatti, l’Iva per il settore manifatturiero è scesa dal 16 al 13%, quello delle costruzioni e trasporti dal 10 al 9%, mentre quello per i servizi che si attesta al 6%, un valore già contenuto, viene confermato ma con l’introduzione della possibilità di maggiori deduzioni.   
Se queste iniziative possono essere lette positivamente nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi di crescita fissati, resta aperta la questione sul finanziamento di tali misure. Infatti, contrariamente al dichiarato proposito di non aumentare l’indebitamento gravato dalle politiche dell’ultimo decennio – come conseguenza dello stimolo resosi necessario dopo la crisi economica globale - e oggi prossimo alla soglia del 300% del pil, Li Keqiang ha annunciato nel suo discorso la volontà di portare il deficit di bilancio dal 2,6% del 2018 al 2,8% del Pil per l’anno in corso attraverso investimenti infrastrutturali per 577 miliardi di Rmb e l’emissione di bond a livello locale per 2.150 miliardi di Rmb, in crescita rispetto ai 1.350 miliardi del 2018. Sembra così che Pechino non sia ancora riuscita a trovare una fonte di crescita alternativa agli investimenti pubblici, una prospettiva che potrebbe risultare molto penalizzante per una società che ha bisogno di rafforzare il proprio sistema di welfare alla luce dell’invecchiamento della popolazione e di una economia in transizione che potrebbe comportare la gestione di posti di lavori persi in settori ad alta intensità di lavoro. In aggiunta vi è anche molta incertezza per quanto riguarda l’andamento delle esportazioni, in attesa che le negoziazioni commerciali fra Stati Uniti e Cina attualmente in corso possano finalmente rendere il quadro più chiaro. (...)"

sabato 27 aprile 2019

La telefonata di Trump, l'attacco con gli elicotteri

"(...) A livello regionale gode del sostegno esplicito di Egitto, Arabia Saudita ed Emirati arabi uniti. A livello mondiale Russia e Francia lo appoggiano ma non apertamente. Ma è stata la telefonata di Donald Trump, il 15 aprile, a dargli il via libera definitivo per quello che dal punto di vista del diritto internazionale è l’assalto a un governo legittimo, l’unico riconosciuto dall'ONU. (...)"