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giovedì 29 maggio 2014

La Golden Rule dei sogni (da Phastidio.net)

Pare che il premier Matteo Renzi proverà nuovamente, in sede europea, a chiedere l’esclusione degli investimenti pubblici dal computo del rapporto deficit-Pil. Si tratta di una antica aspirazione dei politici italiani, sinora sistematicamente frustrata perché più che altro rimasta nel libro dei sogni, essendo stata sempre ignorata a livello comunutario. Cambierà qualcosa, oggi?
L’idea di Renzi sarebbe quella di escludere dal calcolo gli investimenti pubblici, inclusi quelli per scuola e ricerca. Inoltre, il premier italiano vorrebbe escludere dal calcolo del deficit-Pil anche il cofinanziamento nazionale ai fondi strutturali europei. Questi ultimi si svolgono in regime di matching funds, cioè per ogni euro erogato dalla Ue vi è un euro di spesa pubblica da parte del paese destinatario. All’Italia arriveranno, tra il 2014 ed il 2020, fondi comunitari pari a 43 miliardi di euro, ed altrettanti dovranno essere messi dal nostro governo. Metterli a deficit potrebbe dare un aiutino, ma solo se tali fondi avranno impatto elevato in termini di efficacia di sistema sulla crescita.
Il problema di queste iniziative politiche è sempre quello: la definizione di ciò che è “investimento”, ed i relativi margini per giochetti contabili nazionali. L’occasione fa il governo ladro (letteralmente), e ci vuole davvero poco per camuffare spesa corrente in spesa per investimenti. Quindi, ammesso e non concesso che il paese sia in grado di spendere in modo efficace ed efficiente i fondi comunitari (la vera rivoluzione di cui avremmo bisogno), servirebbe comunque una supervisione molto stretta da parte della Ue, ad evitare abusi e frodi contabili. Per ottenere ciò si potrebbe pensare quindi a mettere in campo lo strumento degli accordi di partnership bilaterale, già vagheggiato dalla Merkel.
Solo che la declinazione tedesca di questi accordi era quella di una camicia di forza e di una sorta di “nuovo memorandum”, per niente light, per paesi che non sono in assistenza della Troika, mentre Renzi non si spinge a dettagliare le modalità di controllo ma vuole solo ottenere “flessibilità contro riforme”. (...)

mercoledì 19 marzo 2014

F35 Sì, F35 No, Comunque Abbiamo Bisogno Di Aerei

Di seguito presento una breve rassegna stampa, con articoli anche non scritti negli ultimi giorni, sulla questione F35. E' comprensibile che in una situazione economica grave come quella che stiamo vivendo si pensi di tagliare su un comparto che a molti appare inutile, se non addirittura odioso, per alcuni.  In fondo l'alternativa "burro/cannoni" è di quelle che abbiamo imparato tutti, in qualche modo, come base dell'economia. 

Il calcolo però è inevitabilmente più complesso, e l'investimento nel settore militare - per quanto oneroso - è ineludibile, per uno stato che voglia farsi carico della propria sicurezza e delle proprie responsabilità nel mondo. 

Giusto discutere se il programma F35 sia quello più adatto, ma che siano quelli o altri aerei, un aggiornamento delle nostre dotazioni sembra necessaria. 

Perciò meglio evitare false alternative: non salveremo il nostro stato sociale rinunciando a migliorare la nostra capacità di fare la guerra. Anche perché forse presto saremo chiamati di nuovo alla prova.

Francesco Maria Mariotti


Si può ovviamente discutere se, quanto e come l’utilizzo delle Forze armate, in particolare della componente aerea, sia stato utile o no per tutelare gli interessi nazionali in questa o quella missione, o a promuovere il ruolo dell’Italia in ambito Nato ed Ue e il rapporto con gli alleati. Ma di certo, se si rottamano 253 caccia da attacco al suolo tra Tornado, AMX e AV-8B, ma non si acquisisce un sostituto, l’Italia resta senza aeronautica. E resta anche senza la possibilità di utilizzare l’aviazione imbarcata della marina, ed in particolare la Garibaldi e la Cavour che diventerebbero delle portaerei senza aerei. Occorre ricordare che in Afghanistan per sei anni, dal 2007 in poi, anche l’esercito ha beneficiato di un significativo e costante supporto dei caccia italiani quando ha dovuto rispondere alle imboscate della guerriglia o garantire la sicurezza delle vie di comunicazione - con oltre tremila sortite aeree e 8.450 ore di volo in teatro da parte di Tornado e AMX. Uno scenario di sostegno aereo a truppe di terra non si può affatto escludere in futuro, né si può escludere l’impiego di velivoli dalle portaerei nel caso non vi fossero basi disponibili a terra. L’acquisizione degli F-35 per aeronautica e marina è pertanto intimamente legata alla capacità di usare il potere aereo quando necessario. (...)
Se si ritiene che l’aeronautica e l’aviazione della marina siano ancora utili, e che debbano continuare a svolgere il ruolo svolto negli ultimi 24 anni, allora occorre ragionare su possibili risparmi che non intacchino la capacità operativa delle Forze armate. Un ragionamento già iniziato con la riforma approvata nel dicembre 2012, che prevede entro il 2024 un taglio del 30% delle infrastrutture militari, specie le piccole caserme oggi inutili, e una riduzione di 43.000 unità del personale del Ministero della Difesa. Riforma di fatto tradita dal decreto attuativo approvato dal Parlamento a inizio 2014. È quindi meritoria l’intenzione di riavviare la razionalizzazione della spesa militare a partire dalla dismissione di centinaia di caserme e presidi territoriali, inutili per le missioni che le Forze Armate devono e dovranno svolgere. Altrettanto meritoria è l’intenzione di elaborare un Libro Bianco della Difesa che discuta compiti, livello di ambizione, linee di sviluppo e necessità di procurement dello strumento militare in un’ottica europea e di medio periodo. Senza tale riforma e razionalizzazione, si rischia in ambito militare non solo di avere un’auto d’epoca inutilizzabile, ma di pagare anche i costi del personale in divisa che gli fa la guardia in garage.

Ora veniamo alle questioni più profonde. Una volta accettato che tutti i Paesi al mondo hanno un’aeronautica militare equipaggiata con aerei moderni, la domanda riguarda l’opportunità di acquistare l’F-35/Lightning II Joint Strike Fighter, di solito chiamato solo F-35 o JSF.
Innanzitutto, l’attuale flotta aeronautica italiana è composta principalmente da tre velivoli:
  • il Tornado Panavia, progettato nel 1968 e in costruzione dalla fine degli anni ’79;
  • l’AV-8B Harrier II plus, progettato negli anni ’70 come evoluzione di un precedente modello e costruito a partire dagli anni ’80;
  • l’Eurofighter Typhoon, progettato a inizio degli anni ’80 e iniziato a costruire a partire dalla metà degli anni ’90.
Facciamo una discussione semplice, così che chiunque la possa capire. Qualcuno si ricorda la FIAT Ritmo? Ecco, quelli sono i nostri Tornado. Qualcuno si ricorda la FIAT 127? Quelli sono i nostri Harrier. La Fiat Brava? I nostri Eurofighter.
E’ chiaro dunque che bisogna rinnovare le nostre flotte, a meno di non voler credere che gli attuali mezzi a nostra disposizione siano all’avanguardia. La domanda, dunque, è sul come rinnovare.
Signor PresidenteSignori Ministri, di fronte alle tre possibilità, Competere esprime la propria perplessità sull’ipotesi politicamente più semplice, la prima, che apre però ad enormi rischi. In primis, perché determinerebbe una cannibalizzazione delle risorse a disposizione delle Forze Armate nella falsa prospettiva di un loro potenziale ma inverosimile reimpiego in altri comparti dell’economia italiana. Perciò Competere condivide la linea adottata del Ministro Pinotti, che proprio ieri ha ammonito: “guai se passa l’idea che la Difesa sia il bancomat da cui attingere risorse”.

Per questo Vi chiediamo un intervento coraggioso ed inequivocabile, un messaggio, dalle Forze Armate al cittadino, che faccia presente al Ministero dell’Economia e delle Finanze che tagliare unicamente o in gran parte le spese della Difesa significherebbe colpire in modo irrazionale anche capacità essenziali, oltre a cauterizzare uno dei pochi settori in crescita della produttività italiana.
Generale, perché si pensa nuovamente di tagliare il programma F-35?

I motivi sono ideologici, più che economici. Tanto è vero che sono in molti a sostenere che dovremmo acquistare Eurofighter e non F-35. A loro dico che: a) sono due velivoli con caratteristiche diverse, non intercambiabili, il primo serve a difendersi, il secondo ad attaccare; b) Gli F-35 costano, a inizio programma, molto meno che gli Eurofighter al termine della produzione e hanno anche minori costi operativi per ore di volo; c) È vero che gli Eurofighter sono prodotti da un consorzio di quattro Paesi tra i quali c’è anche l’Italia con una quota del 21%. Proprio questo significa che se oggi ne ordinassimo un quantitativo spendendo ad esempio 100 – e gli altri Stati del consorzio non facessero lo stesso in proporzione -, noi avremmo sì un guadagno di 21, ma il restante 79 andrebbe ad altri Paesi. Con gli F-35 invece si è sul mercato in modo aperto, per un numero di commesse che potrebbe essere potenzialmente estesissimo. Non mi stupirei di scoprire che alla fine del programma Jsf, facendo i conti, avremmo avuto lavoro per una cifra superiore a quella spesa per acquistare i nostri velivoli.
Quando il governo Monti nel 2012 tagliò il numero di velivoli da 130 a 90 portò a casa una minore spesa di circa 3,5 miliardi. In conseguenza – come previsto dagli accordi tra governi e aziende partner – il numero delle ali affidate all’opera di Alenia è sceso da 1200 a 800 unità. Con un mancato introito di oltre 4 miliardi. Dimezzare l’ordine degli aerei adesso che l’Italia ha già investito 1,9 miliardi in ricerca e sviluppo e 1,7 in investimenti produttivi (l’investimento complessivo nel programma Jsf è già all’80%) rischia di avere impatti ancora più pesanti. Per ogni aereo tagliato (al valore attualizzato del 2018) ci sarebbe una minore spesa di circa 80 milioni di dollari e minore valore aggiunto per l’industria italiana della Difesa e per l’indotto di poco più di 150. Quasi il doppio. I numeri sono semplicemente la proiezione dello studio diffuso a fine febbraio da Pwc (PricewaterhouseCoopers) che ha calcolato l’impatto del programma Jsf sull’economia italiana (15,8 miliardi di valore aggiunto complessivo). Senza contare che prima del 2018, anno in cui entra nel vivo la produzione e che darebbe all’Italia i veri ritorni sul PIL, non è possibile disimpegnarsi dal programma. Semmai si potrebbe diluire il numero di velivoli già ordinati.
Oggi Lockheed Martin ha annunciato che i primi componenti alari prodotti da Alenia Aermacchi e installati su un F-35 Lightning II hanno effettuato il loro primo volo lo scorso 6 marzo. I componenti sono stati installati a bordo dell’AF-44, un velivolo della variante F-35A a decollo e atterraggio convenzionale, che ha compiuto il primo volo di controllo presso l’Air Force Plant 4 di Fort Worth, Texas. L’AF-44 sarà consegnato alla U.S. Air Force prima della fine dell’anno. “Per anni, Alenia Aermacchi ha dimostrato la propria capacità di produrre componenti avanzati sia per velivoli civili sia per aerei militari ad elevate prestazioni”, ha affermato Debra Palmer, Vice President Lockheed Martin e General Manager dello stabilimento FACO (Final Assembly and Checkout) in Italia. “Quanto la Società sta realizzando nell’ambito del programma F-35 Lightning II è un’ulteriore conferma del suo ruolo di leadership in un ambito altamente specializzato della produzione di velivoli”.
I pacifisti vorrebbero tagliare le spese militari senza rendersi conto, nel loro furore ideologico, che far passare il concetto che lo Stato possa abdicare a una delle sue funzioni (la Difesa) costituirebbe un pericoloso precedente che domani potrebbe venire allargato a settori più “sociali” della spesa pubblica. La Difesa sostiene che l’aereo è indispensabile ma non si capisce bene a che cosa perché nessuno ha mai delineato in modo preciso cosa pretenda l’Italia dalle sue forze armate. Ammesso che l’F-35 riesca a superare tutti i numerosi difetti che ancora lo caratterizzano e diventi un aereo da attacco invisibile ai radar, sofisticatissimo ed efficacissimo siamo certi di potercelo permettere? Perché non basta dire che i costi dell’aereo americano sono elevati (e probabilmente cresceranno ancora) senza ricordare che il bilancio della Difesa di questo e dei prossimi anni stanzia un po’ di denaro per acquistare nuovi mezzi moderni ma lo fa a discapito dei fondi per l’Esercizio, cioè per manutenzione, carburante e addestramento. Ha quindi senso acquistare gli F-35 per tenerli chiusi in hangar per mancanza di benzina e manutenzione come già accade per molti aerei, mezzi e navi oggi in servizio? La domanda sembrano porsela gli olandesi chiedendosi se abbiano davvero bisogno di un velivolo di quinta generazione o non sia sufficiente uno più gestibile e meno costoso di quarta generazione aggiornato con le ultime tecnologie (il cosiddetto 4++). L’Olanda è uno dei Paesi che hanno avviato una seria riflessione sulla loro adesione al programma ma tra questi non figura l’Italia dove si affrontano in modo “calcistico” due squadre che rappresentano i fans dell’F-35 contrapposti a pacifisti e populisti uniti dallo slogan “più burro e meno cannoni”. Come Analisi Difesa ha più volte evidenziato sul programma F-35 esistono molti interrogativi senza risposta anche a causa della discordanza tra le informazioni diffuse dai protagonisti del programma. Nei mesi scorsi il nostro web magazine aveva rivelato che i costi annunciati nel febbraio 2012 dalla Difesa erano già saliti considerevolmente ma oggi il problema dell’affidabilità delle cifre fornite si ripresenta. In una recente conferenza stampa Lockheed Martin ha annunciato che entro il 2018 l’F-35 costerà 67 milioni di dollari a esemplare. A dicembre però il Ministero della Difesa italiano aveva informato il Parlamento che a partire dalle consegne in programma nel 2021 alla nostra Aeronautica e alla nostra Marina, la versione convenzionale dell’aereo costerà 83,4 milioni di dollari (64,1 milioni di euro), e quella a decollo corto e atterraggio verticale 108,1 milioni di dollari (83,1 milioni di euro). Differenze non di poco conto forse spiegabili col fatto che l’Italia deve negoziare con il governo statunitense il prezzo degli aerei mentre Lockheed Martin fornisce i costi relativi ai velivoli prodotti per il Pentagono? (...)
Qualcuno può spiegarci perché dovremmo continuare a essere buoni clienti di costosi e traballanti programmi americani quando Barack Obama applica lo slogan “buy american” su tutte le commesse militari e negli ultimi mesi il Pentagono ha tagliato i contratti per i velivoli cargo italiani C-27J destinati alla Guardia Nazionale statunitense e G-222 acquisiti per le forze afghane? Non sarebbe meglio investire sui nostri prodotti adottando la versione da attacco del Typhoon e finanziando lo sviluppo di droni da combattimento europei con programmi che coinvolgono pienamente la nostra industria ? Con un bilancio della Difesa più che doppio di quello italiano i tedeschi non acquisiranno l’F-35 ma utilizzeranno un solo aereo per l’intercettazione e l’attacco, il Typhoon di cui sono anche loro produttori. L’Italia invece avrà una doppia linea di velivoli, Typhoon ed F-35, con un raddoppio dei costi logistici che non possiamo permetterci con gli attuali budget della Difesa. Una scelta “alla tedesca” ci permetterebbe di salvaguardare meglio la nostra industria e i posti di lavoro acquisendo solo una ventina di F-35 nella versione B a decollo corto e atterraggio verticale davvero indispensabili per la portaerei Cavour. Su questi interrogativi e su questi temi vorremmo vedere svilupparsi un confronto che coinvolga anche quanti pretendono di guidare l’Italia.

mercoledì 4 dicembre 2013

Francia, Malata d'Europa?

Certo, questa non è una gara nella quale la seconda e la terza economia dell'euro bramino arrivare prime. Ma visto che insieme Francia e Italia fanno ben oltre un terzo del Pil dell'eurozona, il loro stato di salute è inevitabilmente un problema collettivo oltre che nazionale, lo spartiacque tra una crescita europea robusta e una ripresa anemica, come l'attuale. «Nell'ultimo biennio l'Italia è migliorata, la Francia no ma siccome la Francia fa parte del nucleo duro dell'euro non è esposta alla speculazione, perché tutti sanno che sarebbe aiutata dai tedeschi molto più facilmente dell'Italia» spiega Schmieding con brutale franchezza.
 
di Adriana Cerretelli - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/WI95E

Francia e Italia si stanno sforzando di trovare soluzioni più equilibrate rispetto alle linee guida in stile Troika (Commissione Ue, Bce, Fondo monetario). Parigi ha respinto con decisione le tesi delle agenzie di rating e il presidente Hollande ha confermato che non devierà dalle scelte di sovvenzionamento pubblico dei livelli occupazionali. Ma senza importanti e mirate operazioni di spending review (a cui il governo Letta sta lavorando, obbiettivo tagli per 32 miliardi) che vadano a incidere sul cosiddetto cuneo fiscale sarà molto difficile - dati gli alti livelli di debito e la bassa crescita - evitare una lunga e dolorosa fase di svalutazione interna e imponente disoccupazione strutturale. 

di Alberto Annicchiarico - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/uLz3k

La risposta è semplice: è una questione politica. Il peccato della Francia non è un debito eccessivo, una crescita economica particolarmente scarsa, una produttività scadente (dal 2000 a oggi è stata più o meno uguale a quella tedesca), una crescita insoddisfacente dell'occupazione (come sopra) o altro del genere. Il suo peccato è aver rimesso in ordine i conti pubblici alzando le tasse invece che tagliando lo Stato sociale, cosa che il Governo di Parigi è contrario a fare. Non c'è nessun dato che dimostri che si tratta di una politica disastrosa (e infatti i mercati dei titoli di Stato non sembrano preoccupati): ma a che servono i dati? 

di Paul Krugman - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/yzP6T

Tre i punti critici della Francia, secondo gli economisti del Lisbon Council: e’ uno dei paesi in cui la spesa pubblica in rapporto al pil e’ piu’ elevata; conduce politiche eccessivamente orientate all’interno con il risultato che la quota di esportazione continua a declinare; la competitivita’ e’ indebolita da un aumento eccessivo dei costi del lavoro e da norme restrittive che rendono “piu’ difficile assumere e licenziare rispetto a qualsiasi altro paese dell’Eurozona con l’eccezione della Slovenia”. Di piu’: secondo il Lisbon Council in Francia pesa enormemente “un’avversione alle riforme e le sue politiche rappresentano un rischio per tutti”

giovedì 21 novembre 2013

Parla Carlo Cottarelli

C’è chi dice: in Italia la spesa al netto degli interessi non è molto più alta che altrove. Cosa risponde?
«Se escludiamo gli interessi sul debito - troppi - e le pensioni è vero. Ma con questo debito non possiamo permetterci sprechi. Se possiamo essere più bravi dei tedeschi nel calcio, possiamo farlo anche nella revisione della spesa».


E la Sanità? Il ministro Beatrice Lorenzin sostiene che i risparmi saranno studiati all’interno del suo dicastero e Cottarelli è d’accordo. «Non siamo mica in conflitto. La revisione della spesa la deve fare prima di tutti la pubblica amministrazione», dice il commissario arrivato a Roma, al ministero dell’Economia, dal Fondo monetario internazionale. Le cose da fare, spiega, sono due: capire se si può fare la stessa attività, dare lo stesso servizio, a costi più bassi. E individuare e togliere i servizi non necessari. «Non si tratta di toccare lo stato sociale che è un fondamento dell’economia italiana». Ma, ripete, anche in questo settore occorre eliminare gli sprechi e «i servizi non necessari». 

Ancora più delicato è l’argomento pensioni. L’Italia, riconosce, «ha fatto un’ottima riforma che assicura la riduzione dei flussi di spesa per i prossimi 20 anni. Pochi paesi sono risusciti a farla». Ma per il presente «il paese ha un grosso problema: una spesa in rapporto al Pil che è troppo alta, tra le più alte al mondo». Sarà necessario, aggiunge, «toccare le pensioni d’oro e d’argento. L’approccio della legge di Stabilità è di congelare la perequazione. So che esistono difficoltà a livello costituzionale. Ma c’è una scelta da fare» afferma.


mercoledì 25 settembre 2013

Chi E' Carlo Cottarelli?

Oggi a Otto e Mezzo il ministro Saccomanni ha di fatto confermato che sarebbe sua intenzione nominare un commissario straordinario per la spending review. Pur non dando una risposta totalmente esplicita alla domanda di Gruber, ha dato la sensazione che il nome indicato dalla giornalista sia la scelta più probabile. Si parla quindi di Carlo Cottarelli, attualmente direttore del dipartimento per gli affari fiscali e di bilancio del Fondo Monetario internazionale. Di seguito qualche link per conoscerlo meglio.

FMM

Da ormai due mesi per esempio Saccomanni annuncia l' intenzione di nominare «in tempi brevi» un commissario straordinario per la spending review. Secondo varie fonti con conoscenza diretta del dossier, Saccomanni ha anche in mente da tempo una persona adatta per quell' incarico: Carlo Cottarelli, un passato in Banca d' Italia, oggi direttore del dipartimento per gli affari fiscali e di bilancio del Fondo monetario internazionale. Il solo fatto di pensare a un profilo del genere indica che Saccomanni non intende mettere mano alla spesa pubblica con il cacciavite o le forbicine da unghie. Vuole farlo con una robusta arma da taglio. Sarebbe difficile attrarre Cottarelli da Washington, dov' è all' apice della carriera, senza fornirgli garanzie sull' efficacia del suo mandato. Del resto è lo stesso Fmi che da anni suggerisce all' Italia di tagliare la spesa con decisione per poi poter ridurre il carico fiscale sul lavoro e sulle imprese di altrettanto. Il ministro ha ripetuto l' impegno a creare il commissario straordinario alla spending review, «permanente» e dotato di staff, 


Per la spending review, infine, circola l’ipotesi che possa diventare commissario straordinario Carlo Cottarelli, direttore del dipartimento per gli affari fiscali e di bilancio del Fondo Monetario Internazionale. Ma in questo clima di instabilità anche questa nomina sembra essere più difficile. 



Carlo Cottarelli, a citizen of Italy, has been Director of the Fiscal Affairs Department since November 2008.
After receiving degrees in economics from the University of Siena and the London School of Economics, he joined the Research Department of the Bank of Italy where he worked from 1981 to 1987 in the Monetary and Financial Sector Division. After working for about one year as head of the Economic Research Department of ENI (the main Italian energy company), Mr. Cottarelli joined the IMF in 1988, working for the European Department, the Monetary and Capital Markets Department, the Policy Development and Review Department, and the Fiscal Affairs Department. He was Deputy Director both in the European Department and the Strategy, Policy and Review Department.(...)
Per capire quali sono le principali sfide e cosa aspettarsi dai prossimi anni Euronews ha parlato con Carlo Cottarelli, Direttore del Dipartimento Affari Fiscali dell’Fmi.
Aleksandra Vakulina, Euronews: “Pochi Paesi europei possono dirsi contenti dello stato del proprio deficit. L’obiettivo del 3% sul Pil per molti pare irraggiungibile nel breve periodo. Tagliare il debito significa ridurre anche la crescita. Come può un governo superare tale contraddizione?”
Carlo Cottarelli: “E’ un problema complicato. L’austerità è un po’ come una medicina: la devi prendere, ma se ne prendi troppa non va bene. Quindi bisogna dosarla bene. Questa è un po’ la sfida che affronta l’Europa: prendere la medicina dell’austerità nelle giuste dosi. Da quello che possiamo osservare, in generale, il ritmo dell’aggiustamento è quello giusto. Ma l’Europa deve prendere un po’ le distanze dallo sforzo verso specifici target nominali. L’obiettivo del 3% deve essere raggiunto, ma non deve essere raggiunto in un anno specifico. Su questo, però, devo dire che trovo incoraggiante che l’Unione Europea abbia mostrato un certo grado di flessibilità nell’affrontare casi specifici, permettendo ai Paesi di rallentare nel ritmo dell’aggiustamento quando necessario.” (...)
“L’Italia ha già completato il grosso dell’aggiustamento fiscale, insieme alla Germania”, ha detto Cottarelli. A differenza di Italia e Germania “ci sono altri Paesi come la Francia che hanno strada da fare“, ha aggiunto, spiegando che, in linea generale, “la restrizione fiscale continuerà ancora”. “La cosa importante – ha precisato – è che avvenga ad una velocità adeguata. Non bisogna esagerare altrimenti si uccide l’economia”. Secondo Cottarelli infatti “è necessario un aggiustamento fiscale ma ad un passo ragionevole. Le decisioni che guardano ad una maggiore flessibilità da parte delle istituzioni europee sono da giudicare positivamente. E ci si sta spostando da un focus orientato solo sui target nominali ad uno che consideri anche gli aggiustamenti ciclici”.

martedì 3 luglio 2012

La spending review è un cantiere (dalSole24Ore)

La spending review è un cantiere ed è un processo che non si interrompe «È chiaro che la spending review non é che si fa in un mese e poi ce ne si dimentica: é un cantiere e quindi continuerà», ha detto il vice ministro all'Economia, Vittorio Grilli, a margine di un'audizione alla Camera. «Spending review vuol dire che si continuerà a guardare all'interno della Pubblica amministrazione per efficientarla e ridurre i costi, é un processo che non si interrompe certo domani». Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/CpyOC