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giovedì 19 marzo 2015

Tunisi, Italia. I ricordi dell'Ammiraglio Fulvio Martini

"(...) Nel 1986-1987, in Nord Africa si era creata una situazione politico-diplomatica abbastanza complessa. La stampa non se ne occupò molto. Diede più spazio alle intemperanze di Gheddafi o ai tentativi di penetrazione sovietici nell'area.
Nel caso specifico, si era aperta una questione di successione al vertice della repubblica tunisina. 
La questione non era facilmente risolvibile: si trattava di procedere alla sostituzione del presidente Bourghiba. Bourghiba era stato il simbolo della resistenza contro i francesi, ma era un uomo di età molto avanzata e non era più nelle condizioni fisiche e mentali di guidare il suo paese. Ci furono dei disordini causati dai primi movimenti integralisti islamici, e la reazione di Bourghiba fu un po' troppo energica. Minacciò infatti di fucilare un certo numero di persone, e fu subito chiaro che una reazione del genere avrebbe portato a sovvertimenti suscettibili di pesanti riflessi negativi anche nei paesi vicini.
Al problema tunisino erano interessati non solo i due stati confinanti, ossia la Libia e l'Algeria, ma anche l'intera zona maghrebina e alcuni stati europei tra cui l'Italia. 
In quella pericolosa situazione Craxi e Andreotti, rispettivamente presidente del consiglio e ministro degli Esteri, si comportarono, a mio avviso, con grande abilità.
Su loro direttive, noi del Servizio facemmo la nostra parte, la più importante. Con la Tunisia - come con tutto il resto del Maghreb, a esclusione della Libia - avevamo eccellenti rapporti. Riuscimmo a concludere una prima transizione sui principali punti di contrasto, poi proponemmo una soluzione soddisfacente per tutti che fu accettata, e la successione di Bourghiba avvenne con un trasferimento di poteri tranquillo e pacifico.
Non ci fu una goccia di sangue; la pace nella regione fu assicurata. L'unica vittima fu un capo Servizio europeo che ci rimise la poltrona perché al suo governo non piacque la nostra soluzione. I contatti che il Sismi aveva avuto con elementi di tutto il Maghreb permisero un rafforzamento dei rapporti bilaterali. Ci furono accordi tra le varie intelligence, e il nostro Servizio portò avanti nella regione alcune iniziative per evitare un proliferare del terrorismo.
In quel periodo - parlo della metà degli anni '80 - era il terrorismo palestinese quello che ci dava le maggiori preoccupazioni. (...)
Nell'area avevo alcuni amici e non mi fu difficile consolidare vecchi rapporti e stabilirne di nuovi. Alcune mie mosse non furono sempre di generale gradimento, perché falciavano erba in giardini altrui (leggi: francesi), ma nel complesso il Maghreb ci accettò con simpatia e collaborò grandemente alla nostra sicurezza. 
Ciò mi permise, ad esempio, di allertare in anticipo i nostri organi di Polizia sull'operazione che Abu NIdal stava preparando in Libano contro l'Italia e che dette origine al massacro di Fiumicino (...)"

Ammiragio Fulvio Martini, Nome in codice Ulisse, Trent'anni di storia italiana nelle memorie di un protagonista dei Servizi segreti, edizioni BUR, pp.141-143

"(...) Da capo del Sismi, gliene capitarono un paio niente male. Quando gli fu affidato il compito di riportare gli algerini nel Club Med dei servizi segreti, ad esempio. «Andai a Parigi, per convincere i francesi che erano i più ostici. E mi trovai davanti un generale della Legione che aveva combattuto la campagna d' Algeria facendo saltare un braccio a uno dei capi della resistenza. Poi andai ad Algeri, e nella loro delegazione trovai quello senza il braccio. Quando vennero a Roma per il primo incontro e li vidi entrare nella sala, per un momento pensai che sarebbe finita a revolverate». Fu sempre lui, nel 1987, a organizzare il cambio della guardia a Tunisi: via Burghiba, presidente Ben Alì. «C' era una situazione incontrollabile, per via dei colpi di testa di Burghiba che voleva giustiziare un gruppo di fondamentalisti. Ne parlai col mio collega francese della Dgse, il generale Imbot. Troviamo una soluzione insieme, dissi. E quello: "Sono affari nostri, l' Impero non vi riguarda". Ah, sì? Beh, da italiano non la mandai giù. Misi al corrente Craxi, lui diede via libera e sostituimmo Burghiba. La mattina dopo Chirac si mangiò il fegato e Imbot pure. Per fare l' operazione avevamo utilizzato il piano francese, con ventiquattro ore d' anticipo e con un nostro candidato alla presidenza: Ben Alì»(...)"

martedì 20 agosto 2013

Egitto: la terza fase delle rivoluzioni arabe (Gilles Kepel su Huffingtonpost.it)

(...) Morsi non ha voluto tenere conto del carattere composito del suo elettorato, e a coloro che l'avevano eletto perché odiavano i militari ha dato l'impressione che la confraternita di cui era solo uno strumento - la "ruota di scorta", come veniva soprannominato all'epoca della campagna elettorale - volesse infiltrarsi nello Stato e impossessarsene per sempre.
Così facendo, Morsi e i Fratelli Musulmani hanno attirato e cristallizzato contro di sé il malcontento di una metà dell'Egitto di cui attualmente non è dato di sapere se sia maggioritaria o minoritaria, ma che in ogni caso, scendendo in piazza il 30 giugno, ha dimostrato che il paese è ormai diviso in due.
Ora, di fronte alla destituzione di Morsi, i Fratelli Musulmani, che esistono dal 1928 e hanno trascorso gran parte della loro esistenza in clandestinità, e hanno costruito una contro-società radicata negli strati più profondi del tessuto sociale egiziano - talvolta con il favore dei regimi, come quello di Sadat, che si appoggiava a loro per combattere la sinistra - hanno una notevole capacità di contrasto.
Oggi, le due metà antagoniste dell'Egitto sono capaci di ostacolarsi a vicenda, e c'è da temere che nessuna delle due sia in grado di imporre la propria volontà in un contesto polarizzato in cui l'esercito non ha esitato a fare ricorso alle armi in una settimana in cui probabilmente sono rimaste uccise un migliaio di persone.
Tutto lascia pensare che i gruppi armati che sono andati formandosi tra le fronde marginali dei Fratelli Musulmani ricompariranno, e questo processo reca in sé i fermenti di una guerra civile. (...)
Jean Marcou ha ragione quando sottolinea che l'Egitto non è la Siria. Tuttavia, resto molto colpito quando apprendo quel che oggi si dice, si scrive, in arabo su un fronte e sull'altro in Egitto.
C'è una violenza verbale che dall'inizio delle rivolte arabe non avevo mai sentito, se non in Siria. Ma a differenza della Siria, in cui è il combustibile religioso ed etnico ad alimentare la guerra civile, lo scontro in Egitto è innanzi tutto una sorta di Kulturkampf [guerra culturale], che vede schierati gli islamisti da un lato e quelli che gli si oppongono dall'altro. E in questo senso ciò che accade in Egitto è il punto parossistico di un conflitto esistenziale sul futuro delle società arabe e sul posto che vi occuperà la religione, un conflitto che si ritrova oggi in Libia, in Tunisia e in Turchia.


D'altronde è proprio questo che spiega la virulenza del primo ministro turco Erdogan, proveniente lui stesso da una filiazione dei Fratelli Musulmani, il quale, oltre a offrire sostegno ai suoi fratelli egiziani, reagisce con la forza alle difficoltà che incontra nel proprio paese, da quando i democratici e i laici turchi che avevano votato per l'Akp perché mossi dall'odio per un esercito kemalista che consideravano fascistoide oggi sono ossessionati dall'idea che Erdogan diventi un dittatore islamista, come hanno dimostrato le grandi manifestazioni di giugno in piazza Taksim.(...) 

martedì 28 agosto 2012

La primavera araba non giova alle donne (laStampa)

Non sempre il progresso giova alle donne. La Tunisia ne ha offerto da poco un infelice esempio. Grazie al Codice del 1956 e a successive riforme, rappresentava un ammirato precursore dell’emancipazione femminile tra i Paesi arabi. E il nuovo corso tunisino è stato considerato il più assennato tra quelli scaturiti dalla Primavera araba. I risultati elettorali del 2011 non hanno premiato i partiti laici moderati, ma i rischi di chiusure islamiste parevano evitabili. Purtroppo la Commissione «Diritti e libertà» dell’Assembla Costituente tunisina, in disinvolta contraddizione con il proprio titolo, ha approvato un nuovo articolo 28 che retrocede le donne. Afferma infatti: «Lo Stato assicura la protezione dei diritti della donna», un’affermazione positiva solo all’apparenza; secondo Roberta Aluffi, studiosa di diritto delle religioni, si tratta di una rischiosa espressione islamista perché implica specifici diritti femminili (il dono matrimoniale e il mantenimento), cui potrebbero fare da pendant pesanti diritti maschili (il ripudio e l’obbedienza delle donne di famiglia). L’articolo 28, inoltre, vuole la donna «associata» o «complementare» all’uomo non solo nella sfera familiare, ma anche nella «edificazione della Patria»; quindi, a differenza di quanto normalmente teorizzato da pensatori islamisti, in Tunisia il paternalismo potrebbe toccare anche la sfera pubblica (...)