Nel frattempo, anche il flusso di armi diretto verso il paese è aumentato e – secondo il New York Times – alcuni agenti della CIA avrebbero fornito armi sul confine siriano-turco a combattenti “scelti” della resistenza. Dall’altro lato, Mosca continua a inviare materiale bellico al regime siriano. È evidente che la militarizzazione del conflitto non faciliti il dialogo politico. Intanto, gli attentati che nelle ultime settimane hanno colpito con sempre maggiore frequenza Damasco (dove il regime gode ancora di notevole sostegno politico), mostrano come la spirale del terrore sia una strategia adottata da tutte le parti in guerra. In questo quadro, la possibilità concreta di indire nuove elezioni, formare un governo di transizione e mettere in atto riforme condivise risulta assai improbabile.
Un secondo invalicabile ostacolo è rappresentato dal mantenimento di Bashar al Assad al potere, ormai delegittimato dalla maggior parte degli attori internazionali oltre che dalle forze dell’opposizione interna. La Corte penale internazionale, inoltre, si è espressa dichiarando pubblicamente che il regime siriano potrebbe essere imputato per crimini contro l’umanità. In una tale prospettiva, immaginare una “restaurazione” del ruolo di Assad, tanto all’interno del quadro politico siriano, quanto nella dimensione diplomatica internazionale risulta davvero poco realistico.
Le speranze residue in un piano internazionale per la Siria (Aspenia online)
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