venerdì 13 luglio 2012

La Libia dopo il voto (da AffarInternazionali)

(...) Processo complesso 
D’altra parte, dopo una guerra nata dalla volontà di pochi - ma costata comunque distruzioni, migliaia di morti, sfollati senza possibilità di ritorno, sequestri e sparizioni - la posta era grande e l’occasione non ripetibile, pena una balcanizzazione, per non dire “somatizzazione”, che non sembra ancora scongiurata del tutto. Per molti, arrivare a concludere rapidamente queste elezioni è stato ancora più importante del risultato: il percorso della road map verso un processo di stabilizzazione, che va comunque guardato nei tempi lunghi, doveva necessariamente cominciare, e senza indugi.
Evidentemente, nelle classi più consapevoli c’è stata la percezione che, in caso di fallimento, la frammentazione sarebbe stata inevitabile. Sarà forse per motivi di convenienza elettorale, ma nel corso della campagna tutti i candidati si erano espressi per l’unità dello Stato e la laicità delle istituzioni repubblicane, pur con lasharia come fonte principale del diritto. In questa fase iniziale c’è stato persino un certo fair play, dove i laicisti hanno ricordato di essere comunque musulmani e tutti i confessionali hanno assicurato di essere dei moderati. Nella pratica, staremo a vedere, perché la Costituzione è ancora da scrivere, e dovrà certamente essere scritta a più mani.(...)

La prima chiave della stabilità già di per sé si qualifica come “operazione impossibile”: si tratta dello scioglimento delle bande armate, pomposamente chiamate “brigate”, e la riconsegna delle armi. A chi? All’esercito regolare, vale a dire ad elementi di altre tribù, magari rivali. È inimmaginabile. Queste unità, sparse in tutto il paese, sembra siano un paio di centinaia. Alcune, come si è visto nell’attacco alle forze che presidiano l’aeroporto di Tripoli, sono dotate di mezzi pesanti. Nei giorni scorsi, centinaia di miliziani armati (thuwar, ex-rivoluzionari), hanno assaltato il palazzo del governo chiedendo cose impossibili, come seggi riservati e amnistia per i crimini commessi negli otto mesi di guerriglia.


Altri, nuova fonte di disordine, chiedono a gran voce il sussidio promesso agli ex partigiani (è un fenomeno che anche noi conosciamo bene da sessant’anni), ma, contro circa 200 mila thuwar accertati sono state presentate più di 450 mila domande. Poi c’è il grave problema della popolazione di colore, cacciata dalle abitazioni requisite dai ribelli in quanto accusata di essere complice del vecchio regime. L’integrazione dei gruppi armati nell’esercito e nella polizia fa parte delle promesse elettorali, ma creerà più problemi di quelli che potrà risolvere.


Leggi l'integrale dell'articolo di Mario Arpino su AffarInternazionali


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