giovedì 19 luglio 2012

Gatti neri, gatte nere (racconto)

Oggi ho scritto una cosa un po' diversa dal solito. E' un esercizio di pura fantasia, che  ho scritto prendendo spunto da alcune notizie di questi giorni. Se dovesse essere riprodotto da qualche parte, prego di segnalare con evidenza che di pura fantasia si tratta.

Non so se sono riuscito nel mio intento, e spero di non offendere involontariamente nessuno, né avvallare chissà quali ipotesi strane; soprattutto non vorrei mancare di rispetto a chi si assume ogni giorno, per la nostra sicurezza, gravi rischi personali.

Il mio voleva essere anche un modo particolare per dire grazie a chi - nell'ombra - in questi giorni ha creato le condizioni perché ci fosse una bella notizia (e se non sono stati proprio loro, vale per mille altre volte, di cui forse non sappiamo....)

Francesco Maria

Gatti neri, gatte nere
Non è un bel lavoro. Nessuno ti conosce, il più delle volte l'azione che metti in campo rimarrà segreta. Il risultato può essere bellissimo, tutta una nazione - la stessa che ti sputa addosso virtualmente (non ti vede mai in faccia ) perché pensa che hai brigato con i mafiosi e contro i giudici - esulta senza neanche sapere come mai, cosa è successo. Sì, certo, lo immaginano tutti: avranno pagato un riscatto. Ma non è solo una questione di soldi, non è solo questione di denaro. Fosse solo quello, ci sono i fondi riservati. E anche quelli, ormai "si sa". Ma nessuno può immaginare cosa significa sapere che gli uomini con i quali stai parlando sono quelli che hanno appena comprato bombe, li hai visti; anzi, li hai magari aiutati ad avere contatti. 

Ti fa schifo questa cosa? Lo sai che con i tuoi soldi sono più capaci di uccidere, ora? non è un problema per chi aspetta una persona a casa. Non deve esserlo, non può. E tu sei pagato perché questa separazione di realtà continui a essere sempre presente. Non cada mai. 

Le democrazie vivono di questo. Non può esistere uno stato - tanto meno uno stato democratico - se non su una duplice, triplice, quadruplice verità. 
Perché all'interno - forse - puoi e devi far valere il sacro principio di legalità. 
(Dio, cosa mai sarà successo in quegli anni pesanti non lo sai neanche tu, che ci lavori dentro. Non te lo dicono, magari non lo sanno. Dio, a volte le tracce si perdono anche negli apparati più organizzati...)
Che ne sai? Ma giustamente i cittadini vogliono cose coerenti. Mica possono pensare che faccia parte della guerra trattare. Che sia insito nella stessa idea di nemico, la stretta di mano insanguinata. O meglio, magari lo sanno, ma è meglio non vedere, certo all'interno. 

All'estero la cosa è più facile. Certo, più facile. Per loro, per i cittadini. Per noi. I gatti bui. gatti neri da evitare, gatti invisibili. Per noi no.
Noi sappiamo che mostri sono certi tizi, noi sappiamo cosa se ne faranno di quei soldi, noi abbiamo accompagnato quelli da scambiare al confine, consegnandoli a persone che - un metro in più, un passo più verso noi - avremmo avuto l'ok per ammazzarli, perché sempre con esplosivo addosso; o perlomeno accanto. O almeno li avremmo arrestati. E facciamo lo sforzo di dimenticarci.
Che ora quella cosa, grazie  a noi, sarà un po' di più. Sarà più efficace.

Ma i nostri. Dobbiamo pensare ai nostri. I nostri - e le nostre - contro i loro, e le loro.
C'è poco da fare. Tu lo sai, e preghi di non dover mai sentire che una bomba è esplosa in una stazione di un paese africano lontano. 
Sono cose loro. Ma sei anche tu. Sono loro, ma ci sono i tuoi soldi, che firmano quell'esplosione.
Ma c'è un tuo parente, un tuo connazionale. Perché per noi la nazione è cosa seria. E vera. E sovrannaturale (almeno per me...)

Ci sono connazionali che aspettano la libertà, ci sono connazionali che attendono che questi altri italiani siano liberati; e non puoi fare finta che ciò sia eguale a quel sentimento di grande fratellanza, che i tuoi insegnanti al liceo ti spacciavano come insito nelle umane cose. No, avevi già litigato allora, non è la stessa cosa.
E vi siete capiti, in questo, senza parlare, quella volta - nel cortile universitario - quando il docente ti passò il biglietto, il numero. Attendi qualche giorno. Sei dei nostri, tu. 
Non sei mica il pennivendolo che domani magari dirà che non siamo stati noi, che sono stati gli spagnoli. E certo. Bravo! Applauso! Come se il contatto potesse essere diretto. Ma come li scrivono, certi articoli? Certo, a volte. Ma non sempre. Certo, a volte contatto diretto. Ma non è così facile. E il nemico del tuo amico, a volte è tuo amico.
Domani lo ucciderai. Domani, però. Oggi, fallo parlare con gli spagnoli, i tedeschi, i francesi. Casinisti siamo, a volte. 

C'è sempre un rischio grande in queste cose. Passerò il resto della mia vita con il timore di aver aiutato un tizio a beccare il mio migliore amico, lui che era della Legione, ancora, quando lo conobbi. Ma non lo saprò mai. Le nostre strade si erano incrociate, ancora. Ma non sapevo che era lui la vittima.
Fuoco nemico, aiutato da soffiate amiche. Ma dovevamo farlo sapere, ai francesi, che c'erano contatti da parte nostra. 
Qualcosa non funzionò. Chi tardò a parlare, chi sottovalutò il nostro contatto, chi... mah...

Ma non è questo il peso. L'angoscia è altra: è quando la sera vorresti chiamare la tua collega, che è "oltre la linea del fuoco". Perché noi l'abbiamo, la linea del fuoco. 
Perché vorresti capire se le stanno chiedendo cose che non vorresti mai. Vorresti vederla serena. Sai, ha anche una figlia, mi disse il comandante. 
L'aveva appena saputo, aveva appena capito... che finì sotto le nostre bombe. A Belgrado. 
Hai mai sentito le bombe cadere? Hai mai pensato "non sono più?" "Proprio ora che...."
Non è scappata, doveva rimanere lì, doveva confermarci che i "nostri amici" non venissero colpiti, che alcuni non venissero beccati. 
Che le nostre bombe effettivamente si limitassero a....

Eravamo stati chiari. Ma perché lei? Anche questo, non lo saprò mai.
Ma oggi sono in ansia. Fra poco mi portano i nostri, quelli per cui abbiamo pagato.

Ma lei è oltre, forse confusa in qualche tribù, forse deve fingere qualche relazione, forse...
Non voglio pensarlo.
Dio, falla tornare.


Anche lei è nostra connazionale. Una gatta buia, una gatta nera.
Se lei sentisse che nella nostra nazione ci dicono che siamo stati con i mafiosi. Lei, che iniziò accanto a un giudice. Ma poi era troppo brava con i numeri. Tutte le targhe delle auto in un secondo, potevano essere dieci, te le sapeva ripetere con modelli. Fin da piccola, il papà la educò così. doveva diventare... mah, non lo ricorda neanche, ma ora la crittografia è senza segreti per lei. Non lo sapranno le sue compagne di università, o di liceo. 
Lei, che era la secchiona, ma al tempo stesso "quella che la dava via" troppo facile. Disprezzata al doppio. Invidiata. Li inginocchiava alla grande, gli uomini, e i professori...

Grazie a lei abbiamo sventato sette - dico sette - attentati. 
Ma non lo saprete mai. Voi. A voi basta discutere: chi cambia con il prossimo governo? In alto, dite? noi, in alto, non vediamo gran che.
Venite in basso, se avete il coraggio. 
Venite...

La mia amica, la mia volpe del deserto, appoggia la mano sul braccio. Guardo.
Nel buio, il camion che attendiamo da dieci ore, senza pausa, senza cibo. Col terrore ancora di un buco nell'acqua. Ma no, oggi, forse no, vedo profili non africani.

Domani, una nazione sarà contenta.
Va bene così, deve essere così.

Bentornati, fratelli; bentornate, sorelle.

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