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martedì 30 aprile 2019

Giappone: abdica Akihito, “Imperatore del popolo” (ISPIOnLine)

"(...) Il 30 aprile, all’età di ottantaquattro anni, l’imperatore Akihito cederà il trono al Principe ereditario Naruhito nella convinzione che l’età avanzata e le condizioni di salute siano diventati ostacoli insormontabili all’adempimento dei suoi doveri di imperatore. Akihito lascia un’eredità morale che sarà difficile da eguagliare. L’imperatore ha infatti sgretolato, pezzo dopo pezzo, il lascito di una monarchia inaccessibile, acquisendo una sempre maggiore corporeità nella percezione nazionale, esternalizzata in una maggiore presenza pubblica e nell’utilizzo della lingua giapponese in forma moderna. Perfino il matrimonio con l’imperatrice Michiko, una comune cittadina, prima unione di questo tipo nella storia della monarchia giapponese, lo ha avvicinato al popolo giapponese ancora di più: una condizione che è in linea con l’attuale Costituzione e che spoglia l’imperatore di una qualsiasi aura di divinità (e di qualsiasi potere politico), trasformandolo in un “simbolo dello stato e dell’unità del popolo”.
È sicuramente vero che non tutti in Giappone sono entusiasti dei successi ottenuti dall’imperatore Akihito nell’ultimo decennio nell’interazione con i propri sudditi. Molto spesso, gli studiosi più conservatori hanno accusato Akihito e la sua famiglia di aver confuso le priorità. In una recente intervista su “The Japan Times”, il costituzionalista Hidetsugu Yagi, per esempio, ha lamentato la tendenza di Akihito nel sottolineare il ruolo dell’imperatore come “simbolo” del Giappone: “[Akihito] ha stabilito un precedente riguardo a cosa significhi essere un simbolo per gli imperatori, ma quel ruolo di simbolo non è al centro di cosa significa essere imperatore. Lo status di imperatore non si concentra sull’ottenimento del consenso popolare, pertanto essere accettati dal pubblico non dovrebbe avere alcuna importanza”, ha sostenuto Yagi. Tuttavia, coloro che in Giappone auspicano di ripristinare il ruolo dell’imperatore come capo di stato sono destinati a rimanere delusi. Infatti, le priorità di Akihito sono dettate dalla Costituzione democratica post-bellica del Paese, che ne determina le azioni – insieme a quelle della famiglia imperiale – fin dal 1947, quando l’imperatore fu obbligato a rinunciare ad ogni potere militare e politico, rappresentando il Paese esclusivamente con funzione simbolica.
Il maggior grado di accessibilità di Akihito è legato al suo sforzo di ovviare alle cicatrici lasciate dalla Seconda Guerra Mondiale (combattuta nel nome del padre, l’imperatore Hiroito), nonché al suo impegno nel portare conforto alle vittime delle catastrofi emerse dal conflitto. Durante i suoi trent’anni di regno, Akihito si è proposto come una figura liberale ed esposta internazionalmente, aperta e accessibile. Non a caso Akihito è stato il primo moderno monarca giapponese a condurre una visita di stato in Cina nel 1992 durante la quale ha condannato le sofferenze che il Giappone ha inflitto alla Cina durante i quasi dieci anni della seconda guerra sino-giapponese (1937-1945), culminata nello stupro di Nanchino (南京强奸Nanjing qiangjian) del gennaio 1938. Nel 2015, in occasione del settantesimo anniversario della resa giapponese nella Seconda Guerra mondiale, Akihito ha ricordato al popolo giapponese di imparare dalla storia: invito chiaramente esteso anche al primo ministro Shinzo Abe e ai suoi seguaci revisionisti. Al fine di sottolineare la propria estraneità alle affermazioni poco veritiere dei revisionisti giapponesi secondo cui il Giappone è vittima invece che colpevole, nel suo discorso del 2015, Akihito ha fatto riferimento all’incidente mancese, l’attentato perpetrato nel 1931 dall’esercito giapponese a Mukden, in Manciuria, come pretesto per accusare i terroristi cinesi: “Penso che abbia maggiore importanza per noi approfittare dell’occasione per studiare e imparare dalla storia di questa guerra a partire dall’incidente mancese del 1931, mentre prendiamo in considerazione la direzione che il nostro Paese prenderà in futuro”. Quest’affermazione è particolarmente significativa poiché l’incidente mancese del 1931 incarna l’inizio della guerra di occupazione giapponese in Cina. Menzionandolo, Akihito ha evidenziato il proprio rifiuto a sottostare alle asserzioni dei revisionisti che interpretavano il secondo conflitto sino-giapponese come una guerra di autodifesa che mirava alla “liberazione panasiatica”, ossia alla presunta liberazione dell’Asia dall’imperialismo occidentale e dal colonialismo.
Akihito si è da sempre posto a tutela della memoria degli orrori perpetrati dal suo Paese nel corso della storia, andando inevitabilmente a scontrarsi con la concezione sostenuta dalla leadership governativa di Shinzo Abe. L’impostazione di Abe pone l’accento su una forma di nazionalismo giapponese e sull’idea di un Giappone che acquisisce un tono conciliatorio nei confronti del suo passato militare, creando frizioni con la Costituzione del Paese che lo dipinge invece come campione del principio pacifista. La Costituzione del 1946, prodotto della sconfitta del Paese durante la Seconda Guerra Mondiale, include una clausola che prevede che il Giappone non possa formare un esercito, poiché “aspirando sinceramente a una pace internazionale fondata sulla giustizia e sull’ordine, il popolo giapponese rinunzia per sempre alla guerra, quale diritto sovrano della Nazione, e alla minaccia o all’uso della forza, quale mezzo per risolvere le controversie internazionali. Per conseguire l’obiettivo proclamato nel comma precedente, non saranno mantenute forze di terra, del mare e dell’aria, e nemmeno altri mezzi bellici. Il diritto di belligeranza dello Stato non sarà riconosciuto”. Ad oggi, il Giappone si avvale di forze di autodifesa in un contesto fortemente critico che vede Abe riproporre ciclicamente una riforma della Costituzione.
Nonostante Akihito non detenga alcun potere politico, la grande popolarità di cui gode e la crescente esposizione pubblica a livello nazionale ed internazionale hanno contribuito a una rivoluzione del ruolo della monarchia giapponese e all’affermarsi una rivalità interna con il governo di Abe a causa delle posizioni diametralmente opposte sostenute dai due leader del Paese.(...)"

mercoledì 7 maggio 2014

Cellulare Contro L'Analfabetismo (da laStampa.it)

(...) Non solo giochini e telefonate. Secondo il recente rapporto dell’Unesco “Reading in the mobile era”, la diffusione dei cellulari nei paesi in via di sviluppo potrebbe servire a combattere nientemeno che l’analfabetismo. Non pensate a lussuosi smartphone dallo schermo luccicante, anche gli apparecchi di base, quelli disponibili alla stragrande maggioranza della popolazione, potrebbero giocare un ruolo importante, andando a supplire alla mancanza di libri, laddove questi sono scarsamente presenti o troppo costosi.
 Il cellulare si trova invece ormai anche nei villaggi più sperduti dell’Africa: recenti stime delle Nazioni Unite davano a 6 miliardi il numero di dispositivi disponibili; molto di più, giusto per fare un paragone, del numero di toilette, fermo a 4,5 miliardi. I ricercatori hanno studiato le abitudini di lettura di più di 4.000 abitanti di 7 nazioni (Etiopia, Ghana, India, Kenya, Nigeria, Pakistan e Zimbabwe) tramite un sondaggio online effettuato attraverso l’applicazione World Mobile Reader (un software che dà accesso a un vasto catalogo di testi gratuiti, e che si può installare anche su cellulari datati), a cui sono seguite alcune interviste individuali.(...)

lunedì 3 dicembre 2012

L'insensata «guerra» ai redditi dell'Europa (ilSole24Ore)


Quando il mercato asiatico sarà pienamente sviluppato, con una propria robusta domanda interna, né l'Europa, né gli Stati Uniti avranno le dimensioni da soli per essere indispensabili agli altri Paesi. La capacità europea e americana di esercitare influenza politica nel mondo sarà molto diminuita. E, più grave ancora, la soluzione dei contrasti che dovessero insorgere tra Occidente e Oriente rischia di abbandonare il linguaggio negoziale della cooperazione commerciale, tipico della diplomazia europea, e minaccia di ritornare sul piano del conflitto politico se non addirittura di quello militare. Evitare questo scenario di incertezza ed esercitare la logica del dialogo economico è ancora alla portata di Usa ed Europa. Ma perché ciò sia possibile, è necessario che le due crisi parallele, il fiscal cliff americano e la crisi dell'eurozona, vengano risolte prima possibile.
 

venerdì 30 marzo 2012

Questa nuova fase non è una "parentesi" (lettera di Monti al Corriere)

(...)  La percezione errata è quella che porta ad attribuire essenzialmente al governo («tecnico») il merito dei rapidi cambiamenti in corso. Il forte dubbio discende da quella percezione: è il dubbio che il nuovo corso possa essere abbandonato quando, dopo le elezioni parlamentari, torneranno governi «politici».
Finché la percezione errata e il dubbio non saranno dissipati, la fase attuale verrà considerata come una interessante «parentesi», degna forse di qualche investimento finanziario a breve termine. Ma le imprese straniere, come del resto quelle italiane, saranno riluttanti a considerare l'Italia un luogo conveniente nel quale investire e creare occupazione.
Non è facile modificare le opinioni su questi due punti. Ma credo sia dovere del presidente del Consiglio cercare di farlo con ogni interlocutore. Gli argomenti che ho utilizzato a Tokyo, riportati correttamente dai corrispondenti italiani presenti, ma «letti» in Italia fuori contesto, sono stati i seguenti.
Se da qualche mese l'Italia ha imboccato risolutamente la via delle riforme, lo si deve in parte al governo, ma in larga parte al senso di responsabilità delle forze politiche che, pure caratterizzate da forti divergenze programmatiche, hanno saputo dare priorità, in una fase di emergenza, all'interesse generale del Paese.
E lo si deve anche alla grande maturità degli italiani,che hanno mostrato di comprendere che vale la pena di sopportare sacrifici rilevanti, purché distribuiti con equità, per evitare il declino dell'Italia o, peggio, una sorte simile a quella della Grecia.
E dopo le elezioni? Certo, torneranno governi «politici», come è naturale (perfino in Giappone, ho dichiarato che il sottoscritto sparirà e che il «montismo» non esiste!). Ma ritengo che ciò non debba essere visto come un rischio.
Le forze politiche sono impegnate in una profonda riflessione al loro interno e, in dialogo tra loro, lavorano a importanti riforme per rendere il sistema politico e istituzionale meno pesante e più funzionale.(...)


L'integrale della lettera di Monti sul sito del Corriere della Sera

martedì 27 dicembre 2011

Giappone-India un asse per la nuova Asia (da LaStampa)

(...) La sicurezza ha preso il primo posto nell'agenda regionale non solo in risposta all’ascesa della Cina, ma anche perché l'America e l'Occidente lasceranno una falla nel sistema di sicurezza asiatico quando ritireranno le loro truppe dall'Afghanistan, senza prima averlo pacificato. Forse ancora di maggiore importanza per la sicurezza a lungo termine, il rapporto Usa-Pakistan continua a peggiorare, mentre le relazioni dell’Iran con l'Occidente vanno di male in peggio, segnate da ultimo dall'invasione da parte della folla dell'ambasciata britannica a Teheran nel novembre scorso.

Poco a poco, iniziativa dopo iniziativa, molti dei poteri della regione stanno agendo per creare un quadro coerente di cooperazione allo scopo di migliorare la loro sicurezza. Per esempio, il governo laburista australiano ha accettato di vendere uranio naturale all’India, invertendo una politica in vigore fin da quando l’India aveva sviluppato il suo arsenale nucleare. Quasi contemporaneamente, il presidente americano Barack Obama ha annunciato lo stazionamento di marines americani nel Nord dell'Australia. Nessuno ha esplicitamente collegato le due mosse, ma sono probabilmente correlate strategicamente, dal momento che l'Australia mira a promuovere i suoi legami sia con gli Stati Uniti sia con l’altro gigante asiatico, l’India.

India e Stati Uniti hanno inoltre intensificato i loro rapporti strategici con il Giappone, non solo a livello bilaterale, ma anche in un’inedita versione trilaterale, che secondo il vicesegretario di Stato William Burns potrebbe «rimodellare il sistema internazionale». Burns, come gran parte dell’establishment americano che si occupa di politica estera, ora pensa che l'influenza regionale dell'India sia diventata globale; la sua strategia del «Guardare a Est», annunciata all'inizio di quest'anno, viene tradotta in politiche di «Azioni a Est».(...)